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    Capitolo XV. Far from home

    Nel buio della camera riusciva a scorgere solo una sagoma accanto a lei. Conosceva quel profilo a memoria ormai, tanto che poteva vedere con gli occhi della mente ogni linea, ogni ruga, ogni filamento bianco nei capelli color miele. C’erano tante cose di cui preferivano non parlare, troppo cose taciute per amor di pace, per non aprire quel vaso di pandora che rischiava di distruggere tutto.
    Cercò di ricordare quando era stata l’ultima volta che avevano parlato, parlato veramente. Non vuote parole di circostanza o il riassunto della propria giornata. Una volta parlavano di tutto e potevano stare svegli tutta la notte a raccontarsi reciprocamente quello che pensavano e provavano.
    Sapeva che non era il fatto di essere sposati da tanti anni, non era la routine il loro problema. Semplicemente suo marito aveva smesso di renderla partecipe dei propri pensieri, cosi senza che lei riuscisse ad accorgersene si erano gradualmente allontanati. Per chi li vedeva da fuori nulla era cambiato, erano sempre una coppia unita e innamorata, due persone che avevano in comune un passato e quattro figli che avevano cresciuto bene.
    Eppure lei sapeva che le cose erano cambiate, se ne rese conto quando aveva più bisogno di avere suo marito accanto, quando aveva necessità di metterlo a parte di quello che stava succedendo. Non riusciva a dirglielo, ogni volta che cercava di toccare l’argomento qualcosa la bloccava. Per la prima volta in ventisette anni aveva paura della reazione dell’uomo che aveva accanto in quel momento.
    Dopo la morte di Ron avevano finito per non parlare più del loro lavoro, avevano smesso di parlare della squadra. O meglio, Spencer aveva cominciato a non risponderle più quando questi argomenti venivano tirati fuori. Semplicemente rimaneva in silenzio evitando il suo sguardo oppure si alzava per andare a rifugiarsi nello studio.
    Ripensava a quel periodo e si rese conto che i loro problemi erano cominciati allora. Si rimproverò di non aver avuto la forza e il coraggio necessari per affrontare suo marito in quel momento, dopo era diventato tutto più difficile e ora il loro dialogo era inesorabilmente morto. Anche quella sera si erano scambiati non più di una manciata di parole, tutti e due fermi a fissare il proprio piatto senza trovare il coraggio di affrontare il fatto che ormai non aveva più nulla in comune.
    Si alzò cercando di non fare rumore e scese nel salone. Decise di accendere il fuoco nel camino e si verso una generosa razione di whisky. Si mise a sedere sulla poltrona preferita di lui e si raggomitolò a guardare le fiamme in silenzio, mentre teneva il bicchiere stretto con tutte e due le mani e silenziose lacrime le rigavano il viso. Era cosi stanca di lottare per quel matrimonio, cosi stanca di tenere uniti i pezzi di quello che ormai era solo l’ombra di ciò che erano una volta l’uno per l’altra.
    - Non riesci a dormire?
    La voce di lui la riscosse da quel torpore e si voltò lentamente a guardarlo. Lo amava ancora, lo amava disperatamente, ma non trovava la forza di chiedergli se per lui era ancora lo stesso. Scosse leggermente la testa mentre si asciugava gli occhi.
    - Torna a letto, domani hai lezione – il tono era dolce.
    Lui si avvicinò e si mise a sedere sul puff posto davanti alla poltrona, allungò le braccia e prese una ,mano della moglie fra le sue. La scrutava con quegli occhi color nocciola, che come tanti anni prima lo facevano somigliare ad un cucciolo smarrito.
    - E’ tanto che non parliamo, noi due … - lui rimase a fissarla come se non trovasse il coraggio di proseguire.
    - Si, è tanto tempo. Cosi tanto che non sono sicura di ricordarmi come si fa a parlare di quello che è veramente importante – lei evitava deliberatamente lo sguardo di lui.
    - Mi dispiace, Sarah, mi dispiace tanto – Spencer chiuse gli occhi e si portò la mano di lei alle labbra – So che ci siamo allontanati soprattutto a causa del mio atteggiamento, ma… io ti amo ancora. Per me nulla è cambiato.
    - Sono cambiate tante cose, Spencer. I nostri figli sono cresciuti, non sono più bambini che hanno costantemente bisogno di noi. Chris ha deciso di seguire le tue orme, Cristal e Susan vanno all’università.
    - Anche Elizabeth va all’università.
    - Lizzy ormai è una donna – per un attimo sulle labbra di Sarah apparve il suo vecchio sorriso furbo, quello che usava quando sapeva qualcosa che Spencer ignorava.
    - Lo so, la incontro quasi tutti i giorni a Georgetown – Spencer corrugò la fronte – Cosa mi nascondi di nostra figlia maggiore?
    - Una cosa ironica – rispose lei guardando il bicchiere – Già, c’è dell’ironia in tutto questo.
    - Che vuoi dire?
    - Io ho respinto Aaron perché ero innamorata di te, ora tua figlia ha una relazione con Jack. Non trovi che sia ironico? – non c’era allegria negli occhi della donna.
    - COSA? – Spencer era visibilmente alterato – Come fai a dirlo?
    - Sono una donna anch’io mio caro, anche se tu sembri essertene dimenticato – il sorriso di lei ora era sarcastico – Vorrei solo sapere di che ti preoccupi. Jack è un bravo ragazzo e si prenderà cura di Lizzy.
    Spencer era visibilmente alterato e si era alzato per cominciare a percorrere il salone con grandi falcate.
    - Sai che quello di Jack è un lavoro pericoloso. Già non volevo che mio figlio fosse coinvolto ed ora tu mi dici con la massima calma che nostra figlia frequenta un profiler. Come fai a startene lì seduta tranquilla?
    - In momenti come questo proprio non ti capisco – ora anche lei era alterata – Cosa credi di risolvere arrabbiandoti in quel modo? Cosa ti frulla per la testa? Pensi che i nostri figli si possano creare problemi riguardo a quel lavoro? Io e te eravamo profiler, i nostri amici lo erano, persino mio padre lo era. Sono stati allevati in un ambiente dove era perfettamente normale parlare di profili e S.I. e ora ti meravigli? Quello che meraviglia me è che solo Jack e Chris abbiano intrapreso quella carriera.
    - A volte proprio non ti sopporto. Specialmente quando fai questi ragionamenti. Mio padre era un avvocato eppure io non lo sono diventato.
    - E’ diverso e lo sai – Sarah si accasciò sulla poltrona visibilmente stanca – Perché? Perché non riusciamo più ad avere una conversazione senza urlarci addosso? Quand’è che siamo diventati due estranei?
    Spencer taceva, non sapeva cosa dire. In fin dei conti si era sempre aspettato che alla fine quella conversazione sarebbe stata affrontata e aveva paura di dove tutto questo li avrebbe portati.
    - Sarah, cosa vuoi tu da me?
    - Ora? Niente, ora da te non voglio più niente. Mi hai chiuso fuori tanto tempo fa, è inutile parlarne adesso, non trovi?
    Si alzò e si incamminò verso le scale, non voleva affrontare quella conversazione. Sapeva che avrebbe potuto essere la fine del suo matrimonio se certe verità fossero state dette. Non era più sicura di conoscere la persona che divideva il letto con lei e la cosa la rattristava. Prima che lui la chiudesse fuori dalla sua vita non avrebbero esitato a parlare per risolvere i loro problemi. Ricordava una lite di tanto tempo prima, quando si lui le aveva spezzato il cuore rinfacciandole cose mai avvenute. Allora aveva trovato la forza di perdonarlo, cosa sarebbe successo adesso?
    Senti la stretta della mano di Spencer sul suo braccio e si voltò per affrontarlo. Aveva immaginato tante volte quella scena e si era sempre aspettata di vedere negli occhi di lui rabbia, frustrazione o qualcosa di peggio. Ricordava ancora lo sguardo cattivo di Spencer quando avevano affrontato il discorso di come lei fosse riuscita a entrare nella sezione di criminologia dell’interpool. Allora ne era rimasta atterrita. Invece ora negli occhi di suo marito leggeva solo un’infinita tristezza.
    - Sarah, parla con me.
    C’era una luce strana negli occhi di lui, una luce che lei non vi aveva più scorto da tanto. Sembrava di nuovo l’uomo che aveva sposato, quello che non l’avrebbe mai lasciata partire per Lione. L’uomo che aveva fatto di corsa cinque isolati e aveva quasi buttato giù la porta del suo appartamento per non farla partire. A quella vista Sarah sentì che non tutto era perduto, che forse affrontando il loro passato potevano tornare quelli di un tempo.
    Si buttò fra le braccia di lui come non faceva da tanto, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo e lasciandosi andare all’abbraccio di lui. Mentre Spencer la teneva stretta cominciò a piangere.
    - Sono giorni che sei strana, taciturna. Mi vuoi dire cosa sta succedendo?
    - Tu sapevi chi era Irons, vero?
    - Ho una memoria eidetica, non dimentico mai una faccia. Anche se era solo una bambina di otto anni l’ho riconosciuta subito.
    - E’ ironico che la sopravvivenza della nuova squadra dipenda dalla nipote dell’uomo che ha distrutto la nostra, non trovi?
    - Era solo una bambina, per di più totalmente estranea alla follia di suo zio. E’ questo che ti turba tanto? Il fatto che lei sia la nipote di Hamilton?
    - No. Io ho paura, Spencer, per la prima volta in vita mia ho veramente paura.
    - Di cosa? – cominciò ad accarezzarle piano i capelli per farla calmare.
    - Due settimane fa sono stata dal medico. Ho un tumore.

    Continua…


     
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    Capitolo XVI. Save my soul

    Erano ancora lì, fermi ai piedi delle scale abbracciati. Spencer continuava a sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, che lui le sarebbe stato vicino, che avrebbero superato anche questa e lei gli credeva, voleva credergli. Sperava che quello per loro potesse essere un nuovo inizio, che potessero lasciarsi alle spalle tutte le incomprensioni, che potessero tornare a parlare come una volta.
    Sapeva che il primo passo era stato fatto, ma sapeva anche che doveva dirgli tutto e che forse quello che stava per comunicargli avrebbe finito con il distruggere quello che restava del loro matrimonio.
    - Domani andremo dal dottore, ti porterò dai migliori specialisti. Vedrai si risolverà tutto – lui continuava a tenerla stretta.
    - C’è qualcos’altro che dovresti sapere. Oggi ho parlato con Derek. Le cose a Bangor non vanno bene per la squadra. Sembra non abbiano piste concrete ed Emily è molto stressata ultimamente.
    - Ti ha chiesto di unirti alla squadra ancora una volta? – il suo tono era rassegnato.
    - Io e Derek partiamo stamattina. E’ qualcosa che sento di dover fare per mettere una pietra sopra al passato.
    - Quando me lo avresti detto? Sulla soglia di casa con la valigia in mano? – dalla voce si capiva che era ferito.
    - Vieni con noi – prese il viso di suo marito fra le mani – Non è troppo tardi, Spencer, non possiamo vivere nel passato e risolvere questo caso potrebbe aiutarci.
    Lui si staccò dall’abbraccio e si mise a sedere sulla poltrona di fronte al cammino. Sarah si ritirò in camera per preparare la valigia. Quella che gli veniva offerta era una seconda possibilità, la possibilità di dimenticare il passato e i vecchi rancori. Sarah sentiva che solo risolvendo quel caso avrebbe potuto dire addio una volta per tutte a Cameron e sperava che Spencer capisse tutto questo.
    Si mise a sedere sul bordo del letto e prego che suo marito cambiasse idea, che tornasse l’uomo di cui si era innamorata. Non lo aveva mai visto tirarsi indietro davanti ad un S.I., era sempre stato fermamente convinto che la sua vita fosse il profiling ed era rimasto con la squadra per otto anni dopo la morte di Ronnie. Ma qualcosa dentro di lui era cambiato, viveva la morte di Ron come una sconfitta personale, per una volta non era arrivato in tempo.
    Era l’alba ormai e sentì distintamente l’auto di Derek fermarsi davanti al vialetto. Afferrò la valigia e scese prima ancora che il suo vecchio amico avesse la possibilità di bussare. Spencer era nell’ingresso appoggiato al muro con le braccia conserte e si ostinava a fissare qualcosa sul pavimento. Lei sospirò scuotendo la testa, mentre Morgan bussava con decisione.
    Aprì la porta e rimase a fissarlo. Gli anni erano passati anche per lui e forse quello più colpito dalla tragedia era l’unico che sembrava non averne risentito. Sarah conosceva bene il carattere di Derek, per quanto potesse sembrare allegro e aperto, in realtà era una persona che non parlava mai dei suoi veri sentimenti. Quella era una delle cose che avevano in comune e che li aveva tenuti uniti per tutti quegli anni.
    Non si scambiarono una parola, neanche un buongiorno. Sarah lesse la muta domanda negli occhi del suo amico e scosse la testa in segno di diniego. Morgan le prese la valigia e lei era già pronta a uscire.
    - Aspettate! – Spencer aveva finalmente alzato gli occhi su di loro – Credo di aver bisogno di una doccia prima. Tesoro ti dispiace prepararmi la valigia mentre mi vesto?
    Sarah non credeva più nei miracoli, eppure adesso sentiva di aver appena assistito a qualcosa che non riusciva a definire in altro modo.

    La squadra era appena entrata nel commissariato. Erano tutti visibilmente frustrati dall’assenza di indizi. Per quanto Puka avesse spulciato, non era riuscita a trovare traccia dei Roberts da nessuna parte. L’ultimo delitto era identico agli altri e non era stato possibile trovare nuovi indizi. La ragazza era stata uccisa due giorni prima che ritrovassero il corpo e quindi non sapevano se l’S.I. fosse al corrente che la polizia aveva trovato il capanno. Inoltre la tensione tra Irons e Reid andava aumentando di minuto in minuto, Prentiss si aspettava che quei due scoppiassero da un momento all’altro. Si domandava solo chi dei due sarebbe esploso per primo.
    Entrarono nella sala e Prentiss rimase ferma sulla soglia osservando una scena aliena e famigliare insieme. Derek, Spencer e Sarah seduti intorno al tavolo che parlavano del caso sorseggiando del caffè. Sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi, quella scena le era mancata terribilmente negli ultimi otto anni.
    - Ma cosa? – riuscì a dire.
    - A quanto pare avete delle difficoltà – le rispose Derek con un sorrise – Forse la vostra squadra non è preparata come pensavo, come capo sezione ho il dovere di assicurarmi che venga fatto tutto il possibile per risolvere i casi per cui siamo chiamati. Abbiamo pensato che l’esperienza di tre profiler vi fosse di aiuto.
    - Mai aiuto è stato più gradito – rispose Emily sorridendo – Puka attiva i monitor. JJ fai un riassunto del caso.
    La nuova squadra si guardò perplessa. L’unica che sembrava veramente felice della situazione, oltre il loro supervisore, era Irons che si accomodò vicino al professor Reid.

    Spencer era andato a prendersi un’altra tazza di caffè, non aveva dormito per tutta la notte e ora cominciava a sentire la stanchezza. Pensava che una volta non avrebbe avuto difficoltà a concentrarsi su un caso, anche se aveva passato la notte in bianco, sorrise pensando che allora era più giovane.
    Si voltò pronto ad affrontare la persona che era alle sue spalle. Chris lo osservava con aria di sfida, le mani in tasca e il corpo appoggiato alla parete. Spencer sorrise mentre rifletteva che suo figlio non gli assomigliava molto, era sicuro di se e aveva l’atteggiamento del classico maschio alfa che vedeva il suo territorio in pericolo.
    - Vuoi dirmi qualcosa o ti limiterai a restare fermo lì a osservarmi? – gli chiese il padre sorseggiando il caffè.
    - Non capisco cosa ci faccia TU qui, non sei più un profiler.
    - Come disse tuo nonno a tua madre e come disse lei a me una volta: quando sei un profiler lo rimani per tutta la vita – detto questo fece per girare intorno a suo figlio, ma il ragazzo l’afferrò per un braccio.
    - Cosa ci fai qui, veramente? Capisco che la mamma e Derek vogliano aiutarci, ma tu? Tu sei scappato tanti anni fa.
    - Non sono scappato, semplicemente ho accettato un altro lavoro – Spencer si girò a fronteggiare suo figlio – Se ti ho deluso, mi dispiace. Ormai sei un uomo adulto, dovresti saperlo da un pezzo che anche i genitori sono esseri umani e che, come tali, qualche volta sbagliano.
    Era la prima volta che suo padre lo affrontava in quel modo, normalmente cercava di tergiversare per evitare lo scontro con quel figlio che non era mai riuscito a capire fino in fondo. Chris osservò suo padre per la prima volta in tanti anni e si rese conto che c’era qualcosa di diverso in lui ora. Una luce strana negli occhi, qualcosa che non riusciva a capire, ad afferrare.
    Guardò suo padre allontanarsi e si rese finalmente conto di cosa c’era di diverso. Sembrava di nuovo il padre della sua infanzia, un uomo che ha uno scopo e che lotta per raggiungerlo. Per la prima volta dopo otto anni, Chris sentì di nuovo di ammirare suo padre.

    Continua…
     
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    Capitolo XVII. Past love, present hate

    - Perché stiamo dando per scontato che si siano trasferiti a sole 125 miglia da qui? – chiese Reid rientrando nella sala.
    - Mio fratello ha detto che si sono trasferiti a Portland – rispose Isabel guardandolo stupita.
    - Ma non ha specificato “quale” Portland – fece notare ancora Spencer – Ce ne sono una nel Connecticut e un’altra nell’Oregon.
    Lo guardarono tutti stralunati. Sarah sorrise abbassando gli occhi. Il dr. Spencer Reid era tornato, su questo non c’erano dubbi.
    - Reid ha ragione – intervenne Prentiss – Puka, allarga la tua ricerca.
    - Subito.

    Sarah era ferma in corridoio e parlava al telefono, Spencer s’incamminò verso di lei. Non avevano parlato molto di quello che aveva scoperto il medico e voleva dei chiarimenti subito. Conosceva la testardaggine di sua moglie ma stavolta si sarebbe impuntato. Se fosse stato necessario, l’avrebbe caricata di peso sul prossimo volo per Washington, aveva già in mente il discorso che le avrebbe fatto. Per il caso non era necessaria la sua presenza, se la sarebbero cavata lo stesso. Voleva che lei si curasse subito.
    Si fermò a pochi passi da lei, notando il sospiro di sollievo che era uscito dalla bocca di Sarah mentre ascoltava qualcuno. Le posò una mano sulla spalla e rimase a contemplare gli occhi lucidi di lei.
    - Certo, capisco perfettamente. Può cominciare a fissare l’intervento – strinse gli occhi come concentrandosi su qualcosa – La settimana prossima, non c’è problema.
    Chiuse la comunicazione e si girò ad abbracciarlo. Lui si perse un momento nel suo profumo, quanto tempo era che non lo abbracciava così?
    - Era il medico?
    - Sì. Sono arrivati gli esiti degli esami. E’ benigno – accentuò la stretta sulla sua schiena – Comunque dovranno asportarlo.
    - Quindi subirai un’isterectomia? – nascose il viso nei capelli neri di lei.
    - Sì – si scostò leggermente per guardarlo in viso, mentre gli sorrideva incoraggiante – Non credo che questo sia un problema, avevamo comunque deciso che dopo le gemelle poteva bastare, no?
    Lui sorrise a sua volta e la baciò con trasporto.
    - Promettimi che ti riguarderai. Se il dottore vuole operarti subito, posso benissimo rimanere io qui, anche se preferirei starti vicino.
    - Mi opereranno la settimana prossima, abbiamo tutto il tempo per risolvere il caso – lei si staccò definitivamente dall’abbraccio – Se ci volesse più tempo, Morgan capirà perché dobbiamo andarcene. Una sola cosa, non dire niente a Chris. Ultimamente ha già abbastanza problemi.
    - Come preferisci. Ma dovrai dirgli perché ti operi, non credi? E’ abbastanza grande ormai, e dovremmo dirlo anche alle ragazze.
    - Sì, hai ragione. Non sono più i miei bambini, sono cresciuti – si fermò un attimo come riflettendo su qualcosa – Non so se Chris è al corrente di Lizzy e Jack, ma…
    - Non lo saprà da me, fidati. Quando Lizzy si sentirà pronta lo dirà lei al resto della famiglia.

    Isabel era nascosta dietro l’angolo, tratteneva quasi il respiro. Sapeva che spiare non era una bella cosa, ma era stato più forte di lei. Jack Hotchner aveva una relazione con la sorella di Chris, quella si che era una bomba. Si chiese che tipo di ragazza era questa Lizzy, da come ne aveva parlato Jack era eccezionale. Ma Hotch la vedeva con gli occhi di un uomo innamorato.
    Si incamminò nella direzione opposta per non incontrare i suoi ex professori. Si trovò a riflettere che di lì a poco Reid si sarebbe trovato ad affrontare problemi ben più gravi della loro “disputa”. Da una parte ne era contenta, perché sperava che lui si sarebbe dimenticato per qualche tempo della sua esistenza. Dall’altra era dispiaciuta per lui.
    Non doveva essere una cosa piacevole scoprire che la propria madre ha un tumore, anche se benigno, e che per questo avrebbe dovuto subire un intervento. Proprio una isterectomia, come le vittime del “creatore di bambole”. Al posto del suo collega non l’avrebbe digerita facilmente una cosa del genere.
    I suoi pensieri si spostarono sull’altra tegola che, di lì a poco, si sarebbe rotta sulla testa del casanova del gruppo. Il suo collega, nonché migliore amico, aveva una relazione con la sorella preferita. Cercava di immaginarsi la reazione di Chris a una notizia del genere. Nella sua testa appariva chiara la scena di Reid Jr che prendeva a pugni Hotch davanti a tutti.
    Era cosi immersa nei suoi ragionamenti che non si accorse della persona che le veniva incontro e non riuscì a evitare la collisione. Nell’urto perse l’equilibrio e sentì due mani calde e forti afferrarla per le braccia e tenerla su. Alzò lo sguardo e due occhi verdi la osservavano pieni di ira. Il protagonista delle sue elucubrazioni era proprio davanti a lei, visibilmente sul piede di guerra.
    - Bene bene, signorina, adesso non guardiamo neanche dove mettiamo i piedi? – il tono era gelido.
    - Scusami, Reid, non ti avevo proprio visto – lei cercava di sfuggire il contatto visivo.
    - Dovresti fare più attenzione, non ci sarà sempre uno di noi a evitarti la caduta – Chris sottintendeva qualcos’altro e la guardava pieno di astio.
    Isabel si divincolò dalla sua presa e lo guardò sconcertata. Il loro inizio non era stato dei più rosei, eppure due giorni prima, dopo la chiacchierata in auto, lui si era aperto. Era stato gentile e premuroso quando lei si era sentita male, aveva addirittura cercato di tirarle su il morale raccontandole di come aveva reagito lui sulla sua prima scena del crimine. Non era solo il fatto che Hamilton era suo zio, c’era ben altro dietro l’astio di Reid. Ma lei non riusciva a capire perché il ragazzo la odiasse tanto.
    - Se ho detto o fatto qualcosa che ti ha offeso, ti chiedo scusa – provò a rabbonirlo lei.
    - La tua sola presenza è un’offesa a questa squadra. Tu, ragazzina, sei solo una palla al piede – la superò lasciandola lì basita per la sua reazione.

    Jack era seduto al tavolo di fronte a Morgan e Prentiss, alle loro spalle Puka continuava la sua ricerca. Alzò gli occhi sui due profiler e cominciò a far vagare la sua mente. Collins e Reid, Morgan e Prentiss, due coppie che si erano conosciute sul lavoro e che continuavano a stare insieme dopo tanti anni. Non doveva essere stato facile barcamenarsi fra un lavoro duro come il loro e una relazione sentimentale, specialmente continuando ad avere un atteggiamento serio e professionale sul campo.
    Eppure lui li aveva potuti osservare al di fuori dell’ufficio. Quando tutti insieme festeggiavano qualche ricorrenza, i suoi occhi di bambino venivano sempre calamitati da quelle strane coppie. Cosi freddi, seri e distaccati sul lavoro, cosi dolci, appassionati e uniti nella vita privata.
    I suoi pensieri si spostarono su Elizabeth. Sapeva di amarla e che non avrebbe mai trovato nessuna come lei. Sperava di sposarla un giorno e di passare con lei il resto della sua vita. Sorrise pensando come gli sarebbe piaciuto un giorno assomigliare a quelle due coppie. Talmente uniti e insieme da tanto tempo, che a volte bastava uno sguardo per capire il proprio compagno.
    - Ehi Hotch? Cosa c’è da sorridere in quel modo? – la voce di Morgan lo riportò al presente.
    - Pensavo che mi fa piacere avere Reid e Sarah con noi sul campo.
    - Sarah? – Morgan sollevò un sopracciglio.
    - Ehm… voglio dire la professoressa Collins.
    - Non fare caso a lui, Jack – disse Prentiss dando un pugno scherzoso sulla spalla di Derek – Capisco che sia difficile chiamarla cosi, visto che fin da piccolo l’hai sempre chiamata solo Sarah.
    - Già – riconobbe il ragazzo con un sorriso allegrò – Ricordo una volta che venni in accademia con mio padre, credo che dovesse parlare a una conferenza. Lei era lì e mi offrì un gelato alla caffetteria.
    Morgan e Prentiss si guardarono straniti alla rievocazione di quella scena.
    - Io, lei e mio padre eravamo seduti a un tavolo e d’improvviso arrivò Reid che cominciò a fare i suoi giochi di prestigio – qualcosa, un lampo di incertezza, passò attraverso gli occhi del ragazzo – Non so perché ma avvertivo una certa tensione intorno a quel tavolo, forse ricordo male.
    - Non ricordi male ragazzo – gli confermò Derek con un sospiro – Era il periodo in cui Sarah soffriva di amnesia.
    - Sì, ricordo vagamente. Ma perché tutta quella tensione? – chiese Jack guardando prima l’uno e poi l’altra.
    - Ehm… - Emily era in evidente imbarazzo – Diciamo che fra tuo padre e Reid non correva buon sangue all’epoca.
    - Cosa? – chiese ancora il ragazzo stupito – Ma se mio padre non faceva altro che dire che Reid era un ottimo profiler.
    - Non era qualcosa che riguardava il lavoro – cercò di spiegare Emily.
    - Allora, cosa? Andiamo, non sono più un bambino.
    - Tuo padre, diciamo – provò Morgan con titubanza – non era contento che fra Reid e Sarah ci fosse qualcosa.
    - Per via del protocollo, immagino. Mio padre è sempre stato un tipo piuttosto rigido sul lavoro.
    Puka si era girata a osservarli già da un po’ e cominciava a chiedersi come Jack non riuscisse ad afferrare la situazione. Eppure i sottintesi di Morgan e Prentiss erano chiari.
    - Sveglia, Hotch – decise di intervenire – Tuo padre era interessato a Collins, dico bene capo?
    - Sì – dovette ammettere Emily alla fine.
    - Mio padre e Sarah? – Jack spalancò gli occhi incredulo.
    - No – precisò Morgan – Sarah era la ragazza di Reid. Tuo padre prese una, chiamiamola, “sbandata” per lei. Ma è una cosa di tanti anni fa.
    Jack si ritrovò a pensare che era ironico che suo padre si fosse innamorata non corrisposto di Sarah, mentre lui adesso frequentava la figlia di quest’ultima e del rivale in amore del suo grande eroe.

    Continua…
     
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    Capitolo XVIII. What's wrong?

    - Aveva ragione lei dr Reid – disse Puka voltandosi verso il resto del team – Portland, nell’Oregon. La famiglia Roberts ha vissuto lì fino a quattro anni fa. Dopo di che la signora Roberts ha sposato un certo dottor Mitchell, dentista. Si sono trasferiti a San Francisco. Jennifer si è laureata e ora è impiegata presso una compagnia di assicurazione. Paul si laureerà quest’anno.
    - Quindi sono ancora tutti lì, a San Francisco – meditò Morgan – Non possono essere coinvolti negli omicidi. Ma forse potrebbe essere utile interrogarli.
    Prentiss lo guardò intensamente, era il suo turno di parlare e lo sapeva. Doveva mandare qualcuno della sua squadra e doveva decidere in fretta chi.
    - Sicuramente Irons, essendo loro parente, potrebbe metterli a proprio agio – iniziò voltandosi verso la giovane profiler – Prenderai il jet e ti recherai lì immediatamente, hai giusto il tempo di fare le valigie.
    La ragazza si alzò con un cennò affermativo e si avviò verso la porta. Era arrivato il momento di rendersi utile e di dimostrare di saper fare il lavoro per cui era stata scelta.
    - Aspetta, Irons, porta con te Reid – disse ancora Emily abbassando lo sguardo – Reid, tu sei l’unico di noi con una preparazione in comunicazione non verbale, cerca di scoprire se stanno mentendo.
    - Sissignora – rispose il giovane alzandosi a sua volta.
    Perfetto, pensò Isabel, un viaggio in aereo da soli io e mister simpatia. Sapeva che era inutile recriminare e che doveva mantenere un atteggiamento professionale, non poteva mettersi a dire che non voleva lavorare con un collega. Sospirò, meditando che sarebbe bastato ignorarlo e non rivolgergli la parola mentre erano soli.

    - Credi sia stata una buona idea mandare quei due insieme? – Sarah sorseggiava il suo caffè continuando a scrutare il volto dell’amica.
    - Anche se non vanno d’accordo, era indispensabile mandarli. Irons è la nipote di Hamilton, sua zia potrebbe sentirsi più a suo agio con lei piuttosto che con un altro agente. Tuo figlio è l’unico dell’unità ad avere un’infarinatura in comunicazione non verbale. Cos’altro potevo fare? – Emily era scoraggiata dal comportamento dei suoi due agenti.
    - Forse hai ragione. E poi chissà? – sorrise Sarah – Un po’ di tempo da soli potrebbe aiutarli a chiarirsi.
    - Credi? Per me quei due si uccideranno prima di arrivare – intervenne Morgan entrando nella sala.
    - Due neuroni, io non ne sarei cosi sicura. Quei due troveranno il modo di andare d’accordo. Sono entrambi testardi e vogliono rimanere nella squadra. Dovranno trovare il modo di convivere.
    - Beh, nostro figlio non renderà le cose facile a Irons – interloquì Spencer senza alzare gli occhi dal fascicolo che stava esaminando – Quel ragazzo riesce a essere irritante a volte.
    - A volte? – il sopracciglio di Prentiss si inarcò con fare canzonatorio – Ha litigato praticamente con tutti i membri dell’unità almeno una volta. L’unico che manca all’appello è Jack, ma il figlio di Hotch non perde mai la calma. E’ come suo padre. Quei due sono amici per la pelle, non credo che dovrò mai assistere a un loro litigio.
    Spencer e Sarah si scambiarono uno sguardo preoccupato. Conoscendo il carattere di Chris era molto probabile che lo scontro ci sarebbe stato non appena lui avesse preso coscienza della relazione di Jack con sua sorella. Forse non avrebbe mai perdonato Jack, considerando che reputava non ci fossero uomini abbastanza in gamba da frequentare Elizabeth.

    Puka, JJ e Hotch erano andati insieme a pranzo. Le due ragazze chiacchieravano, mentre il ragazzo era assorto nell’analisi del caso. C’era un dettaglio che gli sfuggiva, qualcosa che aveva detto Irons e che lui non riusciva a mettere a fuoco. Il vocio delle sue due colleghe non aiutava la concentrazione e sospirando decise di provare a partecipare.
    - Ti dico che l’ha completamente ignorata e mi ha detto che non hanno litigato – JJ era particolarmente agitata – Non ha voluto dirmi cosa era successo fra loro, eppure qualcosa deve essere successo.
    - Chris è molto strano ultimamente – convenne JJ – Pensa che mi ha chiamata Cassandra! E’ completamente fuori.
    - Ragazze, lasciatelo in pace. Non è un periodo facile per lui – Jack come sempre prendeva le difese del suo amico.
    - Ha attraversato altri periodi difficile – rispose Puka – ma non si è mai accanito in quel modo verso una persona. Ha litigato con me e JJ, ma non è mai arrivato ai livelli che sta raggiungendo con Irons. Sembra quasi un altro. Di solito alza la voce e arma un putiferio. Invece adesso è freddo e distaccato, non le rivolge nemmeno la parola.
    - Definirei insolito il suo comportamento. Sicuramente non è il Reid che conosciamo – JJ sembrava particolarmente convinta della sua ultima affermazione.
    - Ci parlerò io appena tornano da San Francisco – cedette Jack – Lo riporterò alla ragione, vedrete.
    Le due ragazze si guardarono dubbiose. Hotch era l’unica persona a cui Reid dava ascolto durante i suoi periodi no, eppure non aveva parlato neanche con lui di quello che stava avvenendo con Irons. Alla fine Puka si girò di nuovo verso il giovane e fece fare su e giù al suo piercing.
    - Sempre che non si uccidano prima di tornare qui.

    Erano seduti ai due lati opposti del jet. Non si erano rivolti la parola neanche una volta e Isabel cominciava a sentire la tensione crescere. Cercava di concentrarsi sui dossier che si era portata, improvvisamente si sentì osservata. Alzò la testa di scatto e trovò due occhi verdi che la fissavano glaciali. Chris era in piedi di fronte a lei.
    Sospirò chiudendo il fascicolo e decise di affrontare il suo avversario.
    - Cos’è? Ci comportiamo come i bambini dell’asilo e facciamo la guerra del silenzio? – si morse la lingua. Perché non riusciva a essere meno acida?
    - Lascia l’unità – Reid continuava a fissarla con il viso inespressivo, ma i suoi occhi tradivano tutta la rabbia che provava.
    - Perché non la lasci tu? – Irons era stufa del gioco – Per come la vedo io, o te ne vai o ti rassegni a sopportarmi.
    - Lascia l’unità.
    - Perché, altrimenti? – lo guardò con aria di sfida.
    Si sarebbe aspettata urla, magari un silenzio carico d’ira, ma non era minimamente preparata a quello che segui.
    Improvvisamente Chris l’afferrò per i polsi e la tirò su di peso. La stretta le faceva male e il suo sguardo le stava facendo paura. Non aveva mai visto un rancore simile, cosa diavolo aveva fatto perché lui si comportasse in quel modo?
    - Devi lasciare l’unità, devi uscire dalla mia vita. MA SOPRATTUTTO DEVI USCIRE DALLA MIA TESTA – le stava urlando tutta la sua rabbia a un soffio dal viso.
    Le mancava il respiro mentre lui la sbatté contro la parete. Improvvisamente i suoi occhi si fissarono sulle labbra di lei e le pupille si dilatarono. Isabel non fece in tempo a reagire. Le stava facendo male e le labbra di Chris sulle sue erano rabbiose. Cercò di divincolarsi ma lui era troppo più forte a livello fisico.
    Improvvisamente come aveva iniziato, pose fine a quel bacio e la guardò stralunato cominciando ad allentare la prese sui polsi di lei. La reazione di Isabel fu istantanea. Lo schiaffeggiò con quanta forza aveva in corpo, mentre calde lacrime di umiliazione le rigavano il viso.
    Lui teneva una mano sulla guancia come non rendendosi conto del perché gli bruciava. Rimasero per un momento lì fermi a guardarsi con il fiatone. Erano entrambi sconvolti da quello che era appena successo. Poi Reid parve riscuotersi dal proprio torpore e provò ad allungare una mano verso di lei.
    - Mi dispiace, non so cosa mi abbia preso.
    Isabel non lo fece terminare e cercò rifugio nel bagno dell’areo. Non aveva intenzione di uscire da lì fino a destinazione. Chris sentì le ginocchia cedere e si ritrovò seduto sulla poltrona, se non fosse stata alle sue spalle sarebbe caduto a terra.
    Mille pensieri gli turbinavano in testa. Perché l’aveva fatto? Perché non era riuscito a trattenersi? Cosa diavolo stava succedendo?

    Continua…
     
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    Capitolo XIX. The caos in my mind

    Era ancora appoggiata alla porta del piccolo bagno, tremante e stupita da quello che era appena successo. Il suo rivale, il suo nemico, Christopher Reid l’affascinante sciupafemmine del team l’aveva letteralmente sbattuta al muro e l’aveva baciata come nessuno aveva mai fatto. C’era rabbia in quel bacio, cosi tanta rabbia da lasciarla senza fiato e qualcos’altro, qualcosa che Isabel non riusciva a capire.
    Perché l’aveva baciata? Si guardò spassionatamente al piccolo specchio, analizzando il proprio aspetto. Era molto magra e quelle piccole cosette che aveva sul torace non si poteva neanche definire veramente un seno. I capelli biondo scuro le ricadevano scomposti sul viso tondo, che quei grandi occhi scuri facevano apparire innocente. Un viso da bambina, non da donna. Un tipo come Reid non l’avrebbe mai degnata di una seconda occhiata se si fossero incontrati in qualche locale.
    Non era decisamente il genere di bella donna che potesse interessare ad un maschio alfa come il suo collega. Più di una volta era stata definita “insignificante” dai suoi compagni di liceo e lei, anche se a malincuore, doveva dare loro ragione. Ed ora un bellissimo ragazzo l’aveva baciata. Sgranò gli occhi e sentì di nuovo le lacrime sgorgare ad inondarle il viso.
    L’aveva voluta umiliare, dimostrarle quanto fosse facile sopraffarla. Le aveva detto di andarsene dall’unità e di uscire dalla sua vita, come se lei avesse avuto qualche intenzione di entrarvi. Conosceva troppo bene i ragazzi come Reid. Se le giravano intorno era solo per prendersi gioco di lei, di conseguenza li evitava come la peste.
    Si riscosse dai suoi pensieri e si sciacquò il viso, non voleva farsi vedere in quello stato da nessuno. Cercò di riordinarsi come meglio poteva. Chris aveva superato il limite, l’avrebbe distrutto, gli avrebbe fatto pagare il fatto di averla umiliata in quel modo.
    Finora si era trattenuta, ma adesso il cascamorto avrebbe conosciuto Isabel Irons in tutta la sua cattiveria.

    Chris rimaneva seduto tenendosi la testa fra le mani. Cercava di riordinare le idee, ma non riusciva a connettere. Aveva baciato quella mocciosetta arrogante come spinto da un impulso più forte di lui.
    Quando si era alzato dal suo posto e le si era avvicinato non aveva cattive intenzioni, voleva chiarire con lei, cercare di spiegare a lei e a se stesse l’insieme di sensazioni che l’assalivano quando era da solo con Irons.
    Poi quando lei aveva alzato gli occhi neri si erano posati su di lui aveva perso completamente il controllo. Il tono acido di lei l’aveva letteralmente fatto impazzire. Non voleva sentirle usare quel tono con lui, non voleva che lo guardasse con quel misto di dimore e arroganza.
    In quel momento si era reso conto di non poter lavorare con Irons senza scatenare una zuffa dietro l’altra, le aveva intimato di lasciare la squadra. Quando lei aveva assunto quell’aria di sfida l’istinto era prevalso sulla ragione. Sentire gli esili polsi di lei stretti nelle sue mani gli aveva dato un senso di potere assoluto, ma quello sguardo terrorizzato… Quelle parole non erano passate per il suo cervello, erano state pronunciate senza seguire un percorso logico, così di getto. Lui che analizzava sempre tutto si era ritrovato a dire cose che non sapeva neanche da dove venissero.
    Il colpo di grazie erano state quelle labbra, cosi invitanti cosi morbide. Scosse la testa per chiarirsi le idee. Il solo pensiero delle labbra di lei gli smuoveva qualcosa dentro, non doveva più pensare alla sua bocca. Ma era cosi morbida, cosi arrendevole…
    Basta Christopher!
    Si riscosse prontamente prima di finire di nuovo in quel gorgo di emozioni, in quelle sensazioni cosi strane e nuove per lui. Si vergognava profondamente di se stesso. Non era mai, in nessuna occasione e per nessun motivo, ricorso alla violenza nei confronti di una donna. Se qualcuna non gradiva le sue attenzioni, semplicemente si voltava a cercare un’altra ragazza più disponibile e recettiva.
    Invece con Irons era ricorso alla più bieca e deplorevole brutalità, non si era saputo trattenere. Quando i suoi occhi aveva incontrato la bocca di lei era stato calamitato in modo irrefrenabile, non aveva mai voluto assaporare delle labbra cosi violentemente come con Irons. La cosa che più lo sconvolgeva era che il sapore di lei gli era piaciuto immensamente, sapeva di buono e per una frazione di secondo gli era sembrato giusto baciarla così, senza una parola.
    Si alzò di scatto e cominciò a camminare avanti e indietro guardando ossessivamente la porta del bagno. Ora più che mai sentiva vere le ultime parole che le aveva sputato addosso. Voleva che Isabel Irons uscisse dalla sua vita e dalla sua testa, non sapeva gestire ne spiegare quello che stava avvenendo in lui.

    Sarah aspettò che Jack rimanesse solo nella stanza, poi cautamente entrò sperando che nessuno la vedesse. Si avvicinò piano al ragazzo che dava le spalle alla porta, mentre sprofondato sulla sedia continuava ad analizzare le foto. Gli poggiò delicatamente la mani sulle spalle e sorrise nel vederlo sobbalzare e girarsi con aria stupita verso di lei.
    - Non credi che sia ora che io e te parliamo? – il sorriso era dolce e gli passo una mano fra i capelli chiari.
    Hotch fu preso alla sprovvista da quel gesto cosi affettuoso. Poi sorrise a sua volta pensando che in passato quel gesto era stato una delle poche consolazioni che aveva. Ogni volta che finiva nei guai, che prendeva un brutto voto, che faceva a botte con i compagni di scuola si rifugiava a casa dei Reid e Sarah immancabilmente lo accoglieva con quel gesto. Un gesto che ci si può aspettare dalla propria madre e che lo faceva sentire amato.
    Sarah era sempre stata disponibile per lui, lo aveva sempre accolto a braccia aperte e aveva cercato di dargli quel calore materno che Foyet gli aveva portato via.
    - Credo che non servano le parole – le disse imbarazzato – Anche se per me sei sempre stata solo Sarah, so che sei un’esperta in comunicazione non verbale e quindi sai già tutto.
    - Preferirei sentirlo dalla tua voce – Collins prese posto sulla sedia accanto e imprigionò una mano di Jack nelle proprie.
    - Io e Lizzy… ecco…
    - Non è questo che voglio sapere. Tu la ami?
    - Sì – alzò gli occhi a fronteggiarla, il suo sguardo era sicuro.
    - Mi prometti di prenderti cura di lei?
    - Non chiedo di meglio.
    - Non mi serve sapere altro. Sono felice per voi, non potrei desiderare niente di meglio per Elizabeth.
    Sarah gli posò bacio delicato su un guancia e poi gli accarezzò il viso. Sorrise rendendosi conto di quanto Jack assomigliasse a Aaron e involontariamente la sua mente la proiettò nel passato.

    Era il giorno del suo matrimonio ed era raggiante. Suo padre era andato da Spencer per vedere come stava, mentre Emily era uscita per cercare Derek. Aveva appena finito di vestirsi e acconciarsi, si era seduta e ora rimirava la propria immagine nello specchio sperando che lui la trovasse bella.
    Sentì bussare con decisione alla porta e vide il volto di Hotch fare capolino.
    - Entra pure.
    Lui chiuse la porta alla proprie spalle e si fermò un attimo ad ammirarla.
    - Sei bellissima – trattenne un attimo il respiro – Spero che Reid si renda conto di quanto è fortunato.
    - Sono fortunata anch’io – rispose lei con un sorriso dolce.
    - Sarah – per la prima volta la chiamò per nome – ho bisogno di alcune risposte. Ho bisogno di sapere.
    Lei si alzò e gli si fece incontro, sapeva che quel momento sarebbe arrivato prima o poi. Non voleva mentirgli o vederlo tormentarsi ancora.
    - Tu lo sposi perché sei incinta? – gli occhi di lui cercavano risposta in quelle iridi verdi.
    - No, lo sposo perché lo amo – non c’era stato tentennamento ne indecisione nella sua risposta.
    - Se non lo avessi conosciuto… se non… - non riusciva a finire la frase.
    - Sì, ma non sarebbe stata la stessa cosa – non voleva fargli ancora del male, ma non voleva neanche mentirgli.
    - Come fai a dirlo?
    - Lo so, Aaron – si avvicinò ancora di più a lui – Un giorno troverai quello che cerchi. Sarà sicuramente una donna molto fortunata, perché tu sai come prenderti cura delle persone. E’ il tuo dono.
    Così dicendo gli prese il viso fra le mani e lo guardò. Era un bell’uomo, forte e sicuro, qualsiasi donna si sarebbe sentita protetta nel suo abbraccio. Hotch poggiò le proprie mani su quelle di lei e la guardò. Le stava silenziosamente dicendo addio, augurandosi che le parole di lei un giorno si avverassero.


    Tornò al presente mentre fissava il volto di quell’uomo che aveva visto crescere. Jack assomigliava molto a suo padre e non solo fisicamente. Rivedeva in lui la stessa forza e determinazione, ma anche quell’infinita dolcezza che nascondevano gelosamente dietro una corazza di impassibilità.
    Sorrise pensando che se avesse scelto Aaron, ora loro due non si sarebbero trovati a fare quel discorso, a condividere quell’emozione. Era felice per sua figlia, perché aveva trovato un uomo che l’avrebbe sempre fatta sentire al sicuro.

    Continua…
     
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    In rosso i pensieri di Reid, in blu quelli di Irons.

    Capitolo XX. Unexpected

    Mentre guardava l’impronta violacea sul su polso sinistro, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era come vendicarsi di Christopher Reid. Voleva distruggerlo, voleva farlo soffrire. Pensò con un sorriso cattivo che mostrando a Prentiss quello che Reid le aveva fatto, il supervisore sarebbe stata costretta ad allontanarlo dalla squadra.
    Sì, quella sarebbe stata la vendetta appropriata. Ma doveva fare in modo che lui non subodorasse niente, per impedirgli di trovare una spiegazione convincente da dare alla disciplinare su quello che era avvenuto. Guardò l’orologio, ormai mancavano meno di quaranta minuti all’atterraggio. Sarebbe uscita dal bagno con la massima calma e gli avrebbe detto di stare lontano. Si stava preparando un bel discorsetto per convincerlo che sarebbe bastato mantenere le distanze e tutto sarebbe finito lì.
    Voleva usare la sua esperienza per chiudere il caso e poi gli avrebbe dato il benservito. Cosi il casanova da strapazzo avrebbe scoperto come si sta dall’altra parte, cosa si prova ad essere usati.
    Poggiò una mano sulla maniglia e controllò allo specchio di essere in ordine. Cercò di assumere un’espressione ancora spaventata e si preparò ad andare in scena.

    Chris nel frattempo continuava a rimuginare su quello che aveva fatto. Doveva chiederle scusa, sapeva benissimo di aver sbagliato. Anche se la voleva fuori dalla squadra, non era un buon motivo per aggredirla fisicamente come aveva fatto. Si vergognava profondamente del suo comportamento e continuava a cercare dentro di se una spiegazione a quello che era successo.
    Irons era irritante, presuntuosa, arrogante… decisamente la ragazza sapeva come fargli saltare i nervi con due parole. Eppure non era sicuro di aver provato rabbia quando l’aveva baciata, o meglio, non solo quella. C’era qualcos’altro in quel bacio, qualcosa che non riusciva a spiegarsi. Come non riusciva a capire perché i suoi pensieri tornassero sempre a lei.
    Per quanto cercasse di distrarsi, di concentrarsi su altro, i suoi percorsi mentali lo riportavano sempre a Isabel Irons. Pensava continuamente ai loro litigi, oppure a come era sembrata fragile e vulnerabile nel SUV quando le aveva confessato di essere la nipote di Hamilton. Mentre ripensava a quella scena, sentiva di nuovo assalirlo quel desiderio di proteggerla e consolarla.
    Si guardò le mani, cosi grandi e forti. Mani allenate alla lotta, in fin dei conti era stato quaterback ai tempi del liceo. Sorrise pensando che all’epoca era già molto ammirato dalle sue compagne di liceo, anche se lui era tutto preso dalla sua ragazza, una delle cheerleader.
    Aveva stretto con forza i polsi della sua collega ed ora continuava pensare alla sensazione di morbidezza della pelle di lei. Si scoprì preoccupato di averle fatto veramente male, stringendola in quel modo. Alzò di nuovo gli occhi verso la porta del bagno sperando che lei si decidesse ad uscire da lì.

    Come rispondendo alla sua muta preghiera, la porta del bagno si aprì lentamente lasciando uscire Irons visibilmente ancora scossa. Gli occhi di Chris caddero sul polso sinistro che lei continuava a cercare di nascondere tirando giù la manica.
    In un lampo Chris le fu accanto prendendole delicatamente la mano e tirando su la manica. Isabel cercò di ritirare il braccio, ma la stretta di lui era decisa, anche se a differenza di prima, c’era della dolcezza in quella presa.
    - Perdonami – disse Chris visibilmente scioccato da quello che aveva fatto – Io non volevo farti del male. Ti giuro che non si ripeterà più.
    Nonostante i piani di vendetta che aveva pianificato poc’anzi, il fatto che ora lui fosse premuroso le fece saltare i nervi.
    - SEI UN’ANIMALE! SEI UNO SCHIFOSO ANIMALE!
    Lui lasciò la presa come se lei lo avesse colpito. La guardava con gli occhi sgranati in cui si leggeva il senso di colpa.
    - Ora fai tutto il carino? Viscido verme!
    - Senti, mi dispiace. Te l’ho detto, non volevo farti male.
    - E secondo te bastano due paroline dolci? Te lo faccio vedere io! Appena atterriamo, chiamo Prentiss. Ti giuro che ti rovino stavolta.
    Chris sentiva la rabbia cominciare a farsi largo di nuovo. Nonostante cercasse in tutti i modi di trattenersi era al limite della sopportazione.
    - Te lo ripeto, Christopher Reid, sei un’animale.
    - E tu sei una stronza!
    - Adesso sarei io la stronza? Razza di bullo da due soldi!
    - Stronza e arrogante. Combina guai che non sei altro.
    - Senti chi parla, damerino che corre dietro ogni gonnella che gli svolazza sotto il naso.
    - Irons, è meglio che tu la faccia finita, altrimenti…
    - Cosa fai? Mi sbatti di nuovo contro il muro per farmi vedere chi è l’uomo?
    - Perché stai insinuando di essere una donna? Non si direbbe vista la tavola da surf che hai lì davanti.
    Stavolta fu Chris ad essere preso alla sprovvista. Isabel portò una mano dietro la nuca di lui e cominciò a baciarlo con passione. Al contatto con quelle labbra lui non si fece pregare e ricambiò con altrettanto trasporto.

    Dio come sa di buono. Ha il sapore più buono che abbia mai provato. Non mi sono mai sentito cosi con nessuna. E’ arrogante, impertinente, odiosa… ma mi fa letteralmente impazzire. Mi rendo conto di quanto sia magra solo adesso che la sto abbracciando, eppure il suo corpo è cosi morbido, cosi accogliente. Cosa diavolo sta succedendo? Io la detesto, questo è certo, eppure non riesco a staccarmi da lei.

    E adesso che mi prende? Perché lo sto baciando? Quando ha cominciato a reagire alle mie invettive mi sono arrabbiata ancora di più. Mentre guardavo le sue labbra non ho saputo resistere. DIO, se sa baciare. Il suo abbraccio poi è cosi caldo e avvolgente. I suoi capelli sono morbidi e setosi come pensavo. Non voglio che si fermi, vorrei restare cosi con lui.

    Reid improvvisamente si staccò da quell’abbraccio, facendo un balzo indietro e la guardò sconcertato. Avevano tutti e due il fiatone e si guardavano stravolti. Cercavano entrambi, disperatamente, di riprendere il controllo.
    - Sentimi bene – disse Reid alzando un dito verso di lei – non so cosa stia succedendo, ma la cosa finisce qui, chiaro?
    - Senz’altro – convenne Irons – figurati se voglio ripetere l’esperienza! Vedi di tenerti a debita distanza.
    Si scrutarono, mentre ognuno riprendeva il proprio posto e si preparavano all’atterraggio.


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    In rosso i pensieri di Reid, in blu quelli di Irons

    Capitolo XXI. What if?

    Procedevano per le strade di San Francisco verso la loro meta. Non osavano neanche guardarsi, ognuno perso dietro lo sconcerto per quello che era successo sull’aereo. Chris cercava di concentrarsi sulla guida, ma sentiva chiaramente la presenza di Irons al suo fianco e la tentazione di voltarsi verso di lei. Si era completamente perso in quel bacio. Quando aveva sentito la pelle di lei sotto le dita era stato il punto di non ritorno, non voleva fermarsi, voleva di più.
    Poi improvvisamente gli era balenata in testa la minaccia di lei di rovinarlo. In un lampo aveva capito che lei aveva intenzione di usare questa cosa contro di lui e si era tirato indietro, timoroso di spingersi troppo in là.
    Isabel dal canto suo era frastornata. Quando Reid l’aveva baciata con violenza la prima volta, aveva sentito la rabbia crescere a dismisura e propositi di vendetta farsi largo in lei. Quando avevano ripreso a litigare non ascoltava neanche le parole che lui le diceva, una parte di lei riusciva solo a pensare a quelle mani cosi forti sui suoi polsi, il peso di quel corpo virile sul suo e quelle labbra cosi morbide e invitanti. Quest’ultimo pensiero si era fatto largo prepotentemente sovrastando tutto il resto.
    Prima di riuscire a trattenersi aveva affondato una mano in quei boccoli scuri come la notte e l’aveva attirato a se per catturare quella bocca, unico elemento nella sua testa in quel momento. Quando le mani di Chris si erano fatte largo sotto la maglietta fino a sfiorarle la pelle della schiena aveva capito che non sarebbe stata in grado di riprendere il controllo.
    Fortunatamente Reid aveva reagito scostandosi in modo brusco e minacciandola con un dito puntato, come se lui non avesse partecipato, come se fosse stata tutta opera di lei. Eppure aveva ricambiato quel bacio con identico trasporto, se non era stato addirittura più passionale.
    Improvvisamente Chris parcheggiò davanti ad un centro commerciale sotto lo sguardo indagatore di Irons. Tolse le chiavi dal quadro e si slacciò la cintura.
    - Dove vai?
    - Torno subito, tanto non credo che tua zia scappi – dicendo cosi scese dalla macchina senza ulteriori spiegazioni.

    Era sceso già da venti minuti e Isabel cominciava a spazientirsi. Dove diavolo si era cacciato? Un pensiero cattivo si fece largo nella sua mente.
    Avrà visto qualche bella ragazza e gli sarà corso dietro.
    Proprio mentre formulava quel pensiero sentì la portiera aprirsi e vide Reid risalire con un sacchetto di carta in mano. Il ragazzo glielo posò delicatamente sulle ginocchia, arrossendo imbarazzato. Poi si rimise la cintura e cominciò a fare manovra.
    - E questo cos’è?
    - Quel livido ti deve fare male – Chris si ostinava a guardare dritto davanti a se, mentre le gote aveva una leggera colorazione.
    Isabel aprì il sacchetto, al cui interno trovò un tubetto di crema e una polsiera colorata. Si girò con fare interrogativo.
    - E’ un’ottima pomata per le contusioni, la mettevo sempre dopo una partita di football – ammise senza guardarla – Visto come continui a tirarti giù la manica deduco che tu non voglia fare mostra di quanto posso essere “un’animale” come mi hai definito prima. Se continui a tirartela giù con quella foga finirai con lo sbrindellare la maglia.
    Irons improvvisamente guardò il suo braccio sinistro. La manica a tre quarti non copriva il livido e lei aveva cercato di tirarla giù il più possibile. In silenzio si spalmo la pomata che Reid le aveva comprato e coprì il polso con quella striscia di spugna colorata.
    Guardo il suo collega di sottecchi e notò che aveva la mascella serrata. Si doveva sentire in colpa per quello che le aveva fatto. Altri pensieri cominciarono ad affiorare.

    E’ stato gentile, credo sia il suo modo di chiedere ancora scusa. Sta cercando di rimediare in qualche modo. Dopo la mia esibizione non credo di aver più tanta voglia di metterlo nei guai. Non doveva farlo, ma… d’altro canto neanch’io dovevo baciarlo dopo. E poi devo dire che nonostante mi abbia fatto male al polso quando mi ha afferrata… il bacio non mi è dispiaciuto.
    Cavoli! Ma cosa mi viene in mente adesso. Questo maiale mi ha fatto violenza ed io cerco di giustificarlo? E adesso perché mi sento cosi confusa? Non doveva succedere, ecco. Non era previsto, non era programmato. E’ chiaro che proviamo attrazione sessuale uno per l’altra, il che da parte mia è giustificato visto l’esemplare di maschio al mio fianco… ma perché diavolo lui si sente attratto da me? Potrebbe avere qualsiasi bella ragazza e usa la violenza per baciare un’insignificante ragazzina come me?
    Inoltre… Mac… io ce l’ho già qualcuno nella mia vita. E’ vero che non è un legame serio, almeno non ancora. Ma cavoli, usciamo insieme già da due mesi ed è un bravo ragazzo. Gli interesso veramente e non solo per una notte. Mentre il bell’imbusto qui non è in grado di passare due sere di fila con la stessa ragazza.
    Devo togliermi tutta questa storia dalla testa. Ora mi devo concentrare solo sul caso e sulla cattura dell’S.I., non ho tempo per i giochetti mentali di Reid.
    E se...?


    Come a conferma dei suoi pensieri, il cellulare prese a squillare e lei prontamente rispose.
    - Irons.
    - Ehi, bellissima! – la voce allegra di Mac la fece sobbalzare.
    - Ciao.
    - Ciao? Solo un semplice ciao? Sono due giorni che non ti fai sentire. Come va l’indagine?
    - Sai che non te ne posso parlare. Ora sono a San Francisco per interrogare una persona. Sono stata un po’ presa, scusa se non ti ho richiamato.
    - Il lavoro è cosi interessante da farti dimenticare di me? – anche se il tono era scherzoso, c’era una nota di amarezza in quelle parole.
    - Figurati! Ti avrei chiamato appena avessi avuto un attimo di tregua.
    - Per farti perdonare, appena torni, esci a cena con me senza storie. Chiaro?
    - Mi porti al solito posto.
    - Pensavo di portarti in un ristorante vero… tipo da Carlo’s.
    - Da Carlo’s? Sei sicuro di poterti permettere un posto del genere?
    - Non siamo più matricole ma agenti federali. E poi non capita tutti i giorni di dover portare la propria ragazza a festeggiare il primo caso risolto.
    - Già – Isabel chiuse gli occhi, Mac era sempre dolcissimo con lei.
    - Mi manchi tanto. Cerca di stare attenta e di tornare tutta intera.
    - Ci proverò. Ora però ti devo lasciare…
    - Isabel? Ti amo.
    Irons rimase un attimo interdetta, era la prima volta che Mac le diceva una cosa del genere.
    - A… anch’io Josh.
    Chiuse la chiamata, ma continuava a tenere il telefono in mano guardandolo, come se da un momento all’altro il suo ragazzo dovesse prendere il posto di quel piccolo apparecchio.
    - Da Carlo’s? – Reid le scoccò un’occhiataccia – Un posto piuttosto romantico e costoso.
    - Infatti – rispose acida lei voltandosi – Ti sembra incredibile che io abbia un ragazzo? E che lui mi ami?
    Reid non rispose, limitandosi a stringere ancora di più il volante fino a farsi diventare bianche le nocche.

    Lei ha un ragazzo… e adesso perché mi sento cosi? Sono furioso, vorrei distruggere tutto. Perché tutta questa rabbia? E poi perché m’importa tanto se la piccola peste ha il ragazzo? Sicuramente sarà uno sfigato come lei, magari magrolino e con gli occhiali. Il classico perdente che si accontenta di quello che la vita gli offre senza aspettarsi di più.
    Ha detto “anch’io Josh”… lui le deve aver detto che l’ama. E scommetto che lei ci crede pure. Figuriamoci se una persona sana di mente si può innamorare di un disastro ambulante come lei.
    Se ha il ragazzo, perché non ne ha mai fatto cenno nelle conversazioni con gli altri? Sicuramente è una balla che si è inventata adesso per giustificare la chiamata ricevuto. Certo! Era qualche amica che la voleva portare a festeggiare fuori appena avesse risolto il suo primo caso. Oppure qualche amica che festeggia il compleanno lì. Non c’è altra spiegazione.
    In fin dei conti, che m’importa? Può fare quello che vuole e uscire con chi vuole. Non sono fatti miei. Quel bacio non significava niente. Dovrei dire quei baci. Già, sono stati due. Perché mi ha baciato in quel modo? E perché adesso non riesco a pensare ad altro che non sia il modo in cui mi ha baciato?
    E se…?


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    Capitolo XXII. What I always know

    La signora Mildred Mitchell fece accomodare Reid e Irons nel salotto e prese posto sulla poltrona. Isabel si mise a sedere sul divano, mentre Chris prendeva posizione dietro di lei e non staccava gli occhi di dosso alla loro testimone.
    - Sei cresciuta, Bel. Non ti avevo neanche riconosciuta finché non mi hai detto il nome – la donna sui cinquant’anni non sembrava sorpresa di aver ricevuto la visita di due agenti federali.
    - Non sei sorpresa di vederci piombare qui? – le chiese Isabel intuendo già la risposta.
    - Ho saputo dei nuovi omicidi a Bangor. Era solo questione di tempo prima che ci trovaste. Spero vi rendiate conto che sia io che i miei figli abitiamo a San Francisco e che quindi non possiamo avere nulla a che fare con questi nuovi crimini – la donna chiuse gli occhi e si poggiò le mani in grembo aspettando l’interrogatorio.
    Irons si girò verso Reid, che invece continuava a fissare alla signora Mitchell senza prestare attenzione alla collega. La ragazza si rese conto che non avrebbe avuto aiuto da lui durante l’interrogatorio, quindi con un sospiro tornò a concentrarsi sulla propria zia.
    - A quanto pare l’S.I. usava il capanno da caccia per “il suo lavoro” – mimò le virgolette con le dita.
    - Quello dove si era rifugiato Robert?
    - No, quello che tu hai ricomprato da mia madre dopo la morte dello zio.
    La donna alzò gli occhi visibilmente stupita dalle ultime parole della nipote.
    - Di cosa stai parlando? Il capanno che tuo padre e Robert avevano comprato insieme…
    - Sappiamo che hai usato una società off-shore per ricomprarlo senza che nessuno sapesse niente. Perché?
    - Io… Bel c’è un errore. Sì, il capanno fu ricomprato da una società off-shore, ma non ero io l’acquirente. Puoi chiedere conferma a Bredwood.
    - Lo farei con piacere se fosse ancora vivo.
    - Jonathan è morto? – la zia appariva sconcertata.
    - L’hanno ucciso sei mesi fa con un colpo di pistola alla nuca.
    - O mio dio! – la donna si portò una mano davanti alla bocca – Non è possibile.
    - Invece è possibilissimo – Isabel cercava di controllarsi anche se a fatica – Sappiamo che curò lui la vendita del capanno e sappiamo che lo fece su tuo mandato.
    - No! Torno a ripeterti: è vero che il capanno fu ricomprato da una società fittizia, ma non c’ero io dietro.
    - E allora chi?
    - Bel, possibile che tu non lo sappia?
    - Cosa? Che cosa dovrei sapere?
    - Tua madre ricomprò il capanno.
    Isabel si alzò di scatto e guardò con occhi sgranati la zia.
    - Non è vero.
    - Si che lo è – ora la donna appariva molto più sicura di sé – Io non volevo più avere niente a che fare con quel posto, volevo andarmene da Bangor e portare via i miei ragazzi. Volevo allontanarli da tutta quella storia, da quel marciume.
    - Perché mia madre doveva ricomprare il capanno?
    - Perché… - la donna era titubante – Robert non agiva da solo.
    La donna sospirò cercando di mantenere il controllo, ma perse miseramente la battaglia con se stessa. Si alzò a fronteggiare la nipote con occhi pieni di rabbia.
    - Tuo padre si è ucciso per il senso di colpa è vero, perché lui e Robert erano complici. Erano loro due insieme a catturare e torturare quelle povere ragazze. Erano due pazzi! E tua madre ricomprò il capanno cercando di nascondere la verità, non voleva che anche voi vi portaste dietro il peso di un genitore psicopatico.
    Irons scosse la testa, si sentiva male, cominciava a mancarle l’aria. Tutti i dubbi che aveva avuto su suo padre, tutte le volte che si era interrogata su quale fosse il legame fra suo padre e Hamilton.
    Lo sapevo! Una parte di me l’ha sempre saputo.
    Corse fuori dalla stanza in evidente stato confusionale. Reid si avvicinò alla signora Mitchell e le strinse la mano come per congedarsi e seguire la collega. Poi parve ripensarci e si girò verso la donna.
    - Un’ultima domanda.
    - Mi dica agente Reid.
    - Perché non ha mai detto niente di questa storia?
    - Mia sorella mi supplicò di tenere la bocca chiusa, per amore dei miei nipoti. Pensavo che visto che quei due erano morti, non c’era motivo di rovinare un’altra famiglia.
    - Grazie signora, nel caso ci faremo vivi noi.

    Isabel era ferma sul marciapiede accanto al SUV, le spalle le tremavano visibilmente mentre piangeva. Chris si avvicinò in silenzio e si fermò appena dietro di lei. La ragazza avvertiva la presenza del suo collega e aspettava che lui dicesse qualcosa. Si chiedeva quanto ci avrebbe messo Reid prima di cominciare a inveire contro di lei, specialmente ore che sapeva che era la figlia di un serial killer.
    - Mi chiedo… - esordì lui – se il creatore di bambole all’epoca erano loro due, perché tuo padre denunciò Hamilton?
    - Per proteggere me – ammise la ragazza fra i singhiozzi – Il giorno prima di essere denunciato, Hamilton venne a casa nostra con un regalo per me. Una bambola di porcellana dai capelli biondi. Mi guardava in modo strano e diceva che anch’io sembravo una bambola. Mio padre aveva assistito alla scena e cominciò a urlare contro di lui.
    - Aveva paura che tu saresti stata la vittima successiva – Reid teneva ancora le mani in tasca e fissava la nuca della collega.
    - Credo di sì. Mi sono sempre chiesta come facesse a sapere che suo cognato era l’assassino che tutti cercava – trattenne un attimo il respiro mentre si asciugava le lacrime – Avrei preferito non scoprirlo mai.
    - Ma tu lo sospettavi, non è vero?
    - Sì. Tu non avresti avuto lo stesso sospetto?
    - Sali in macchina – disse lui facendo scattare le portiere – Riprendiamo l’aereo e torniamo in dietro.
    - E se mia zia avesse mentito? – l’ultima speranza a cui aggrapparsi.
    - Non ha mentito. Mi dispiace comunicarti che ha detto la verità – senza guardarla, salì in macchina e mise in moto.

    - Quindi è la signora Irons che copre le tracce dell’S.I. – interloquì Prentiss, mentre veniva messa a conoscenza degli ultimi sviluppi – Credo che dovremo fare una bella chiacchierata con la signora, che lei voglia o no.
    - Sei sicuro, Chris? – chiese Sarah, pensando alla reazione di Irons.
    - Sì, sicurissimo. I segnali non verbali erano chiari, la signora stava dicendo la verità.
    - Rientrate subito – ordinò Derek.
    - Siamo già sulla via dell’aeroporto.
    - Bene – Morgan sembrava soddisfatto – Aspettiamo voi per l’interrogatorio.
    - Credo che dovrete convocare anche Patrick – Isabel parlò per la prima volta durante la telefonata.
    - Perché? – chiese Derek.
    - Ha mentito deliberatamente. Ci ha raccontato una storia del tutto diversa e non credo che si sia confuso. Stava cercando di depistarci.
    - Credi che sia lui? – Chris la guardò preoccupato.
    - Non lo so. Potrebbe semplicemente aver cercato di coprire qualcuno… David Jr o Karl.
    - Convocheremo tutti e quattro e li interrogheremo separatamente – decise Emily – Sbrigatevi a tornare qui.
    - Arriveremo il prima possibile – garantì Reid.

    Isabel si aspettava un viaggio di ritorno nel più completo silenzio e che Reid la ignorasse completamente dopo quello che era successo fra loro, nonché dopo le rivelazioni di sua zia.
    Si mise a sedere al posto che aveva occupato all’andata e chiuse gli occhi cercando di dormire un po’. Come si era aspettata il silenzio regnava sovrano all’interno della carlinga. Aprì gli occhi aspettandosi di vedere Chris seduto dall’altra parte dell’aereo che la guardava con ostilità. Invece il ragazzo si era silenziosamente seduto di fronte a lei e la guardava preoccupato.
    - Come stai? – le chiese senza staccarle gli occhi di dosso.
    - Secondo te? – rispose lei acida – Come credi ci si senta a scoprire che tuo padre è uno dei pazzi psicopatici a cui dai la caccia per lavoro?
    - Scusami, domanda stupida – Chris continuava a guardarla e poi allungò delicatamente una mano fino ad afferrare una di quelle di Isabel – Se hai bisogno di parlare…
    - No, grazie – rispose lei ritraendo la mano – Voglio solo essere lasciata in pace.
    - Voglio solo aiutarti.
    - Sì, come no! So perfettamente che userai questa cosa contro di me. L’hai detto e ripetuto più di una volta che mi vuoi fuori dalla squadra. Quale migliore occasione?
    - Io non sono così meschino – nonostante si fosse imposto la calma, cominciava ad arrabbiarsi sul serio.
    - No, sei molto peggio di così – disse lei sfilandosi la polsiera e mettendo in mostra il livido bluastro.
    - Ti ho già chiesto scusa, mi sembra. Me lo rinfaccerai vita natural durante?
    - Se non vuoi che te lo rinfacci, basta che tu ti tenga alla larga e la smetta di stare sempre in mezzo ai piedi – dicendo così scattò in piedi pronta a litigare con lui.
    Reid la guardò pieno di rabbia, ma qualcosa passò nei suoi occhi e lui di colpo si calmò.
    - Fai come ti pare, mocciosa – disse alzandosi e riprendendo possesso del sedile più lontano da lei –Non ho bisogno di questi trucchetti per farti uscire dalla squadra. Hai dimostrato proprio adesso di non essere emotivamente abbastanza forte.
    - STRONZO! – Isabel si tolse una scarpa e gliela tirò colpendolo in pieno petto.

    Continua…
     
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    Capitolo XXIII. To take care of

    Irons era furiosa, sarebbe bastata un’altra parola per farla esplodere definitivamente. Reid raccolse la scarpa e si avvicinò alla ragazza che ormai tremava dalla collera. Sorrise beffardo, mentre la squadrava e dopo un attimo si decise a parlare.
    - Altra dimostrazione di quanto tu sia emotivamente fragile.
    Isabel sgranò gli occhi e gli si avventò addosso, tempestandogli il petto di pugni.
    - SEI UN FOTTUTO STRONZO! HAI CAPITO, CHRISTOPHER REID! SEI SOLO UNO STRONZO!
    Continuava a colpirlo sul petto, mentre lui si limitava a guardarla con un’espressione triste e non faceva niente per fermarla. Irons piangeva mentre continuava a urlargli tutto il suo disprezzo e mettendo tutta la sua rabbia e frustrazione in quei colpi che infliggeva al collega.
    Ormai i colpi erano poco più che lievi carezze sul possente torace del giovane profiler e la ragazza singhiozzava vistosamente. Solo a quel punto Reid ruppe la propria immobilità per avvolgere la giovane sconvolta in un abbraccio rassicurante.
    - Così, brava – le sussurrò all’orecchio mentre la stringeva sempre più forte – Butta tutto fuori, sfogati adesso. Non permettere che gli altri vedano quanto sei sconvolta.
    Isabel non si scostò da quell’abbraccio rassicurante. Reid l’aveva provocata apposta per farla sfogare, per darle modo di tirare fuori tutta la sua rabbia prima di riunirsi al resto del team. Era stupita dal comportamento del collega. Lui era irritante, vanesio, superficiale, ma anche incredibilmente premuroso.
    Senza allentare la presa, Chris si mise a sedere trascinandosi dietro Isabel come una bambola di pezza. Occuparono due sedili vicini e Irons continuò a piangere sulla spalla di Reid, mentre lui si limitava ad accarezzarle piano i capelli e mormorandole, di tanto in tanto, parole di conforto.

    Aveva la camicia sbottonata e sentiva il dolce peso di Irons su di lui, mentre la ragazza faceva scorrere le mani e le labbra sul suo petto. Gli sembrava di essere in paradiso, la sensazione del tocco di lei era qualcosa di incredibile. Era eccitato all’inverosimile mentre la ragazza continuava la propria esplorazione.
    - Isabel…
    Lei alzò la testa e Chris si ritrovò davanti Puka che lo guardava con aria canzonatoria.
    - Non ti sarai mica innamorato della ragazzina?
    Si svegliò di soprassalto da quel sogno cosi strano. Abbassò gli occhi sulla testa di Irons che si era addormentata sulla sua spalla. Sembrava tranquilla e abbandonata completamente contro di lui, una mano era scivolata sulla coscia di Reid e rimaneva lì sospesa. Chris si ritrovò a chiedersi come sarebbe stato essere accarezzato da lei, se la sensazione sarebbe stata simile a quella di provata durante quell’assurdo sogno erotico.
    Cercava di afferrarne il senso. Il fatto che la protagonista all’inizio fosse la sua nuova collega era sicuramente legato a quei due baci che si erano dati, ma cosa c’entrava Cassandra? Forse aveva paura di ripetere lo stesso errore, era una specie di avvertimento.
    Già una volta si era lasciato andare troppo con una collega e aveva finito per perdere la sua migliore amica. Aveva paura che se non troncava subito quell’attrazione che provava per Isabel sarebbe finito nei guai sul serio stavolta. Con Puka non lavorava sul campo insieme, invece Irons partecipava attivamente alle indagini e si sarebbe ritrovato in futuro a doverle affidare la propria incolumità.
    Si ridestò dai suoi pensieri sentendo la ragazza sospirare e muoversi leggermente nel sonno. Stava per svegliarsi e lui aveva un disperato bisogno di mettere una barriera tra di loro prima che gli eventi precipitassero definitivamente.
    La scostò dolcemente mentre lei si tirava su e si stropicciava gli occhi ancora gonfi di sonno e arrossati dal pianto. Aveva i capelli arruffati e aveva un aspetto tenero e indifeso. Sorrise timidamente al suo collega e si stiracchiò.
    - Grazie – riuscì a mormorare prima che le guance s’imporporassero.
    - Niente – rispose lui brusco – Scusami, avrei bisogno di sistemarmi prima dell’atterraggio.
    Lei lo guardò perplessa e si spostò in modo che lui fosse libero di alzarsi. Si chiese perché ora lui appariva cosi scostante dopo essere stato cosi premuroso da farla sfogare, nonostante lei lo avesse trattato così male.
    Chris si incamminò verso il bagno e si chiuse dentro senza aggiungere niente.

    Mentre aspettava che lui uscisse per potersi rassettare a sua volta, prese il suo lettore mp4 e si mise le cuffiette. Sperava che un po’ di musica l’avrebbe aiutata a rilassarsi.
    Era un’appassionata di vecchie canzoni, quelle che ascoltava da bambina. La prima canzone che partì, la fece sobbalzare. Era di Taylor Swift e sembrava ripercorre quello che adesso era la sua situazione.
    He is sensible and so incredible
    And all my single friends are jealous
    He says everything I need to hear and it's like
    I couldn't ask for anything better
    *
    Sì, decisamente era la descrizione di Mac. Cosi gentile e premuroso, sapeva sempre quale fosse la cosa giusta da dire per farla sentire bene. Era fortunata ad avere un ragazzo come lui accanto. Durante il periodo all’Accademia erano stati semplici amici, troppo concentrati nello studio per pensare a risvolti romantici. Poi, improvvisamente, due mesi prima le aveva chiesto di uscire loro due da soli.
    Era stato un primo appuntamento da manuale. Era andata a prenderla nel suo nuovo appartamento e l’aveva scortata fino alla macchina. Le aveva aperto la portiera, mormorandole quanto fosse bella quella sera. L’aveva portata a cena in un locale alla mano, ma molto grazioso e non le aveva mai tolto gli occhi di dosso.
    Aveva pagato lui, perché diceva che era cosi che si comportavano i veri gentiluomini, era stato irremovibile sul quel punto. Dopo cena l’aveva portata a fare una passeggiata lungo il Potomac e le aveva preso la mano. Era stato tutto perfetto, persino il bacio della buonanotte. Uno sfiorare di labbra appena accennato, giusto per farle capire che era stato bene ma non le metteva fretta.
    Dopo due mesi non si erano spinti molto più in là nella loro relazione. Lui continuava a dirle che non c’era fretta, che voleva che lei si sentisse pronta. La riaccompagnava sempre fino alla porta di casa, ma non faceva niente per forzarla a farlo entrare. Non che non fosse interessato da quel punto di vista, l’ultima volta aveva percepito anche troppo bene il desiderio di lui premere contro la sua coscia mentre si scambiavano l’ultimo bacio della serata.
    Sì, Mac era il ragazzo perfetto.
    Però… Reid.
    But I miss screaming and fighting and kissing in the rain
    And it's 2am and I'm cursing your name
    You're so in love that you act insane
    And that's the way I loved you
    Breakin' down and coming undone
    It's a roller coaster kinda rush
    And I never knew I could feel that much
    *
    I loro litigi, il loro provocarsi a vicenda e poi… quel bacio infuocato che le aveva tolto il respiro. Non aveva mai provato niente del genere con nessuno. Era un insieme di sensazioni che le facevano girare la testa. La maggior parte del tempo avrebbe voluto spaccargli la faccia, ma poi lui diceva o faceva qualcosa che le faceva scattare tutto un altro tipo di desiderio.
    Ricordava anche troppo bene come le mani di lui si erano avventurate sotto la sua maglietta per carezzare la pelle nuda della schiena e sentì un brivido caldo scuoterla. Decisamente provava un’attrazione sessuale indiscutibile per il suo collega e forse era questa alla base dei loro continui battibecchi.
    Ma lui riusciva anche a essere tenero e premuroso. Come quando l’aveva consolata nel SUV, quando le aveva comprato la pomata e la polsiera per il livido, o quando l’aveva provocata per farla sfogare. Si era addormentata abbracciata a lui, con un senso di pace e protezione che l’aveva invase mentre si lasciava cullare dal suono della sua voce.
    Si rese conto che in realtà non sapeva bene cosa provava Reid per lei. A volte era dolcissimo, altre era un emerito cretino. Come poco prima, quando era stato cosi freddo e scostante. Perché si comportava cosi? Perché ora cercava di evitare il suo sguardo?
    Lo vide passarle accanto senza degnarla di una parola e poi mettersi a sedere più avanti dandole le spalle. Sospirò spegnendo l’apparecchio ed entrò nel bagno per darsi una sistemata prima dell’atterraggio.
    Decisamente avrebbe fatto meglio a rimanere con Mac ed evitare di rimanere di nuovo da sola con quel casanova da strapazzo.
    Io ho il ragazzo perfetto, che mi importa di quel cretino di Christopher Reid?

    Continua…

    *La canzone è "The way I loved you" di Taylor Swift
     
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    Capitolo XXIV. Till the end of this

    Reid guidava cercando di concentrarsi sulla strada, la necessità di non distrarsi lo aiutava a non pensare a quella presenza vicino a lui, quella presenza che stava cambiando poco a poco tutto il suo mondo e faceva crollare tutte le sue certezze con uno sguardo. Irons era più silenziosa del solito, aveva messo le cuffiette e cercava di non badare a quel ragazzo dai cambiamenti d’umore cosi repentini.
    Continuava a rimuginare su Mac, su quello che significava per lei, su come la facesse sentire. Indubbiamente lui era innamorato, glielo aveva dimostrato in mille modi diversi, con quella sua gentilezza innata e quella premura che metteva in ogni gesto. Cercava sempre di metterla a proprio agio, di non farle pressioni, la faceva ridere quando era di cattivo umore.
    Si preoccupava costantemente per lei, era capacissimo di inviarle dieci messaggi al giorno solo per sapere come stava. Riusciva a farla sentire amata e protetta, specialmente dopo aver saputo che la sua famiglia aveva deciso di troncare qualsiasi rapporto con lei. Era sulla sua spalla che si era sfogata, era con lui che passava ore a parlare dei suoi problemi.
    Fino a ventiquattro ore prima non le dispiaceva neanche come cercava di sedurla. Baci teneri e delicati, non aveva mai cercato di slacciarle la camicia o cose del genere. Ma ora s’interrogava sull’uragano che aveva scatenato il suo collega con un bacio e una carezza sulla pelle nuda della schiena. Sentiva il cuore tornare a galoppare al solo ricordo. Scosse la testa cercando di chiarirsi le idee.
    Voleva rimanere nella squadra e l’unico modo era mettere da parte l’attrazione che provava per Christopher Reid e il ricordo di quel bacio infuocato. Aveva preso una decisione: non si sarebbe più lasciata coinvolgere in quel modo dal suo collega. Sarebbe stata professionale e avrebbe accantonato le sue pulsioni. Era in grado di farlo, lo sapeva bene. Non era la prima volta che sacrificava i propri desideri per raggiungere il proprio obiettivo. Voleva essere una profiler e non avrebbe permesso a niente e nessuno di metterle i bastoni tra le ruote.
    Inoltre sapeva che per Chris sarebbe stata solo una delle tante, l’avventura di una notte. E poi? Si sarebbe ritrovata come Puka? Desiderosa di farla pagare al bel dongiovanni perché l’aveva trattata come una cosa usa e getta? Preferiva non sapere come ci si sentiva a essere state usate dal bel giovanotto al suo fianco.
    Fu riscossa dai suoi pensieri dal tocco di Reid che le indicava il cellulare. Si tolse gli auricolari mentre la voce di Prentiss continuava il proprio discorso.
    - … quindi non sappiamo dove sia. Nessuno l’ha più visto dopo che ha lasciato la centrale. Inoltre è scomparsa un’altra ragazza, l’aspetto corrisponde alla vittimologia.
    - Siamo per strada, tra poco saremo lì – Reid manteneva un tono di voce neutro.
    - Quanto tempo fa è scomparsa la ragazza? – Isabel invece era indubbiamente ansiosa.
    - Ventiquattr’ore. Poco prima del vostro decollo per San Francisco – la informò Prentiss – Irons, so che è difficile, ma… dove può averla portata?
    - Il vecchio capanno.
    - Sa che lo abbiamo trovato – le ricordò Chris.
    - Quello dove Hamilton portò Jennifer – continuò lei con lo sguardo vacuo – Se vuole ripercorrere le orme dello zio…
    - Ci dirigiamo lì – Reid prese in mano la situazione.
    - Vi raggiungiamo subito. Non fate niente di avventato – Prentiss chiuse la comunicazione.
    - Chi? – chiese Isabel.
    - Irons…
    - CHI!
    - Patrick – ammise in fine il collega.
    Irons tornò a guardare la strada mentre allungava una mano dietro i sedili e prendeva i giubbotti antiproiettile.
    - Credo che ne avremo bisogno – disse con noncuranza.
    - Mi chiedo perché proprio ora?
    - Due mesi fa ho comunicato alla mia famiglia che ero entrata nell’F.B.I. e che avevo buone possibilità di essere assegnata alla B.A.U.
    - Fattore di stress.
    - Già – ammise la ragazza chiudendo gli occhi – La colpa è mia…
    Sentì la mano forte di Reid stringerle delicatamente una spalla.
    - Non dire assurdità. Tu non hai colpa se tuo fratello…
    - E’ un pazzo psicopatico come mio padre e mio zio – finì lei mentre una lacrima le scivolava sulla guancia – Avrei dovuto capirlo quando la zia Mildred ha smentito la versione dei fatti che ci aveva dato Patrick.
    - Poteva anche voler coprire qualcun altro.
    - Patrick pensa solo a se stesso, è un egoista e un egocentrico. Avrei dovuto capire che stava proteggendo se stesso. Sono sicura che sapesse benissimo che la zia si era trasferita nell’Oregon, ma ha voluto sviarci facendoci pensare a Portland nel Maine.
    - Te la senti? Se volessi tirarti indietro nessuno potrebbe biasimarti.
    - Ho un debito da pagare – rispose lei in modo enigmatico.

    Scesero dal SUV simultaneamente, lei spianò la pistola mentre Chris finiva di indossare il giubbotto. Si erano fermati a qualche centinaio di metri dal vecchio capanno e la fitta vegetazione non consentiva una visuale accettabile della zona. Isabel continuava a guardarsi in torno con nervosismo, mentre Reid estrasse la propria arma e le fece segno di seguirlo.
    Si avvicinarono lentamente nascondendosi dietro il tronco di un albero, lui improvvisamente la afferrò per un braccio e se la premette contro per parlarle direttamente nell’orecchio.
    - Qualsiasi cosa succeda, stammi vicino. Non ti allontanare per nessuno motivo e tieni pronta a fare fuoco, non sappiamo come potrebbe reagire vedendoci.
    - D’accordo – rispose lei in un sussurro – Comunque teniamoci pronti al peggio. Se il suo modello è lo zio Robert non si arrenderà e cercherà di uccidere almeno uno di noi.
    Reid annuì e le fece scudo con il suo corpo mentre si avvicinava al capanno. Isabel notò il fuoristrada parcheggiato nella radura a ridosso del capanno e fece un segno al collega. Sicuramente Patrick era lì dentro.
    Isabel si sentiva mancare l’aria, stavano per fare irruzione nel capanno dove era morta quella ragazza che aveva cercato di difendere Jennifer. Inoltre, probabilmente si sarebbe trovata costretta a sparare al proprio fratello. Sperò con tutta se stessa di avere la forza di sopportare tutto quel peso.
    Spostò la sua attenzione sul collega che avanzava cauto fra la boscaglia e la vista delle sue spalle larghe la face sentire un po’ al sicuro in quella situazione. Camminava dietro di lui, leggermente spostata sulla sinistra per avere la visuale di tiro libera. Era concentratissima mentre sentiva rivoli si sudore colarle lungo il collo, sapeva che non erano dovuti al caldo.

    L’aria intorno al capanno era immobile, tutto era silenzio. Chris si nascose dietro un tronco e fece segno alla sua compagna di mettersi dietro quello vicino. Rimasero a fissarsi per un momento, sapendo che di lì a breve avrebbero dovuto fare irruzione. Poi improvvisamente il pianto di una donna destò la sua attenzione, non poteva aspettare il resto del team, dovevano entrare subito in azione.
    - Mi fido di te – mosse appena le labbra e il sorriso di rimando di Isabel indicava che lei aveva capito.
    Prese un profondo respiro e si lanciò seguito da Isabel. Con un calcio sfondò la porta e puntò la pistola davanti a se. Patrick Irons era davanti a lui e si faceva scudo con la ragazza che aveva rapito. Una pistola premeva sulla tempia della giovane donna che piangeva disperata.
    - F.B.I. butta quell’arma.
    Chris manteneva l’S.I. sotto tiro e si avvicinava lentamente. Una parte del suo cervello cercava la presenza di Isabel dietro di lui, mentre l’altra si concentrava sull’uomo che aveva davanti.
    - Se ti avvicini la ammazzo! Chiaro, agente?
    Chris si fermò continuando a chiedersi che fine aveva fatto la sua compagna. Alla fine capì che la ragazza non aveva retto e che probabilmente ora era in lacrime dietro un tronco aspettando di sentire la detonazione dell’arma. Non avrebbe dovuto fidarsi di lei, maledizione!
    Lui e Patrick continuavano a guardarsi, a studiarsi reciprocamente mente lentamente scivolavano ognuno alla propria sinistra mantenendo le distanze. Reid cercò di capire se avesse o no la possibilità di sparare senza colpire l’ostaggio. Era frustrato rendendosi conto di non avere abbastanza spazio di manovra da poter correre un rischio del genere.
    - Tutto solo, federale? – lo schernì Irons – Per mio zio erano un battaglione e per me mandano solo un ragazzino? Sono profondamente offeso.
    - Cosa ti fa dire che erano un battaglione? – Chris cercava disperatamente di prendere tempo.
    - Io ero qui, mio caro. Lo zio riteneva che fossi abbastanza grande da partecipare al gioco di lui e mio padre.
    - Eri qui per uccidere, quindi.
    - Zio doveva portare Isabel, lei sarebbe stata una bambola perfetta. Sfortunatamente papà non era dello stesso avviso ed io avevo ripiegato su Jennifer. Lo zio stava facendo un sacco di storie, quando abbiamo sentito arrivare una macchina. Era una ragazza mora, non andava bene per noi. Non sarebbe mai stata una delle nostre bambole. Cosi io sono scappato nel bosco e ho visto arrivare tutti quegli altri.
    - Tu sei pazzo!
    - Può darsi, ma ti dirò una cosa: ora io me ne vado a cercare Isabel e tu non puoi fermarmi. La prossima bambola sarà lei come da programma.
    Mentre parlava Patrick puntò la pistola dritta verso Chris.
    - Ciao ciao federale.
    Una detonazione spezzò il silenzio del bosco.

    Continua…
     
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    Capitolo XXV. Have a little faith in me

    Chris era appoggiato a una delle macchine della polizia e osservava Irons parlare con Prentiss. Il suo completo su misura era imbrattato di sangue, come le sue mani e il viso. Jack gli passò una tovaglietta con cui pulirsi un po’.
    - Come ti senti? – chiese all’amico.
    - Come ti sentiresti se il sangue e il cervello di un serial killer fossero sparse su uno dei tuoi vestiti preferiti? – rispose lui con un grugnito.
    - Credo che tu debba dare qualche spiegazione al nostro capo.
    Reid sbuffò, anche se a malincuore doveva avvicinarsi di nuovo a lei. S’incamminò svogliatamente, Prentiss avrebbe voluto anche la sua versione dei fatti e non era sicuro di quello che avrebbe detto. Era successo tutto troppo in fretta, l’unica cosa che ricordava era lo sguardo preoccupato di Isabel mentre abbracciava la ragazza e si voltava verso di lui.
    Non avevano parlato dopo lo sparo, lei non si era staccata neanche un momento dall’ostaggio. L’aveva caricata personalmente sull’ambulanza e si era raccomandata con i paramedici di essere gentili, la donna era sotto shock. Come biasimarla del resto: era stata rapita da un pazzo psicopatico che aveva minacciato di farla diventare una bambola a grandezza naturale; aveva sentito tutta la conversazione senza senso tra un agente federale e il suo aguzzino; aveva visto il cervello di quest’ultimo esplodere… ce ne era abbastanza da scuotere i nervi di chiunque.
    - Ho seguito le sue direttive. Non ho fatto niente di avventato – stava dicendo Irons con piglio deciso – Mi sono appostata dietro una finestra per controllare prima cosa stesse realmente accadendo all’interno del capanno. Quando l’S.I. mi ha dato le spalle ed ha alzato la pistola contro Reid, ho sparato. Questo è tutto. Sarò indagata?
    - No, hai salvato la vita al tuo collega e alla vittima. L’uomo aveva intenzione di fare fuoco su Reid, hai difeso la vita di un agente federale – Prentiss si voltò verso Chris con aria contrariata – Riguardo te, giovanotto, non si fa irruzione in quel modo. Avresti dovuto seguire l’esempio di Irons.
    - C’è da dire che se lui non avesse distratto il sospetto io non avrei potuto appostarmi – Isabel cercava di difendere Chris.
    - Non ho bisogno della balia – la redarguì lui – So dare spiegazioni senza l’intervento di una pivellina come te. Capo – disse voltandosi verso Prentiss – ho fatto irruzione perché ho sentito l’ostaggio piangere. Ero convinto che Irons mi stesse coprendo le spalle e ….
    - Per tua fortuna è quello che ha fatto – lo interruppe Emily – La prossima volta rispetta gli ordini e aspetta che arrivi il resto della squadra prima di giocare all’eroe.
    Detto questo, si allontanò lasciando i due ragazzi da soli.
    - Come profiler fai schifo – gli disse Isabel con un sorriso triste – Scommetto che eri convinto che ti avessi mollato lì da solo. Avevi detto che ti fidavi di me
    La guardò con rabbia e strinse i pugni, poi suo malgrado fu costretto ad annuire.
    - Come sai che ero convinto che mi avessi lasciato solo?
    - Il tuo sguardo mentre Patrick alzava la pistola contro di te. Non avrei mai fatto una cosa del genere – Isabel era visibilmente delusa – Pensavo che un profiler sa sempre chi è il suo compagno.
    - Mi dispiace. Avevo pensato che in una situazione del genere… voglio dire… era tuo fratello.
    - Già e se io non avessi sparato attraverso la finestra, lui avrebbe ucciso te e la ragazza e poi sarebbe venuto a cercare me per finire quello che avevano cominciato sedici anni fa.
    Isabel si mise le mani in tasca e s’incamminò verso la macchina con gli occhi bassi. Chris si rese conto di averla giudicata male e di averla ferita con la sua mancanza di fiducia.

    Erano sull’aereo di ritorno a casa. Chris guardava i suoi genitori seduti di fronte a lui che si tenevano per mano come due fidanzatini. Sorrise riflettendo che era quello che si era sempre aspettato quando avesse trovato quella giusta. Una luna di miele senza fine, fatta di sguardi amorevoli e di piccole premure. Per lui l’amore era quello, punto e basta. Non esisteva nella sua mente un altro tipo di relazione destinata a sfociare nel matrimonio.
    - Ma vuoi due state sempre cosi appiccicati? – chiese con un sorriso a suo padre.
    - Ehi, sono un uomo fortunato. Non voglio mica che tua madre si renda conto che potrebbe avere di meglio, ergo non la mollo un attimo – gli rispose il padre ridendo e portandosi la mano della moglie alle labbra.
    - La coppia perfetta – li prese in giro Derek – Non farti illusioni ragazzo, di solito le relazioni sentimentali non sono come quella dei tuoi genitori.
    - Che vuoi dire?
    - Guarda loro due – gli rispose la madre indicando Derek ed Emily che erano seduti uno di fronte all’altra – Ricordo che non facevano altro che discutere e litigare.
    - Prenditela con lui – disse Emily piccata – E’ impossibile quando ci si mette.
    - E tu hai la lingua troppo lunga, signora – Derek strizzò un occhio verso sua moglie.
    - Mi domando come faccio a sopportarti da cosi tanti anni – Prentiss non voleva cedere.
    - Perché non puoi resistere al mio fascino – rispose il capo sezione fra l’ilarità generale.
    Reid Jr cominciò a rimuginare sul fatto che i rapporti non sono tutti uguali. Aveva visto Prentiss e Morgan litigare più di una volta e invariabilmente i loro litigi finiva in una risata da parte di entrambi.
    Anche questo è amore, si disse alla fine.

    Erano tutti andati a casa. Per una volta Chris aveva battuto persino Hotch, era rimasto alla sua scrivania continuando a lavorare nonostante Prentiss avesse detto che potevano consegnare il rapporto con calma il giorno dopo. Aveva bisogno di rimanere da solo per fare mente locale sugli ultimi avvenimenti. Era sempre stato cosi, fin da piccolo. Sorrise pensando che almeno questo l’aveva preso da suo padre.
    La sua era una mente analitica e poteva passare ore ad analizzare quello che succedeva nella sua vita alla ricerca di un motivo. Nonostante gli anni di allenamento a quel tipo di analisi, non riusciva a capire il perché di quello che era avvenuto nella sua vita dopo l’ingresso di Irons nell’unità. Non riusciva neanche a dare un nome a quello che aveva provato intuendo che il suo ragazzo la stava aspettando nel parcheggio.
    Si permise un piccolo sogno ad occhi aperti. Isabel che tornava in ufficio, si avvicinava alla sua scrivania e gli diceva di aver mollato il cretino che le ronzava intorno. Si riscosse, cosa gli importava di Irons e del suo ragazzo? Perché aveva provato quel senso di gioia all’idea che lei potesse troncare la propria relazione e andare di filato da lui per dirglielo?
    Si rese conto che qualcuno era in piedi accanto alla sua scrivania e alzò gli occhi speranzoso. Si trovò davanti due occhi scuri che lo guardavano sorridendo e sentì una mano, che delicatamente, gli si poggiava su una spalla.
    - E’ tardi, perché sei ancora qui?

    Si erano ritrovati dentro un bar e stavano bevendo un whisky. Era tutto strano fra loro adesso. Chris scrutò ancora quegli occhi scuri alla ricerca di una risposta a tutte le sue domande. La ragazza sorrise intuendo lo stato d’animo del suo compagno. Reid fece un respiro profondo e alla fine si buttò.
    - Non sei più arrabbiata con me?
    - Sono furiosa con te, ma il non parlarne peggiora solo le cose, non trovi?
    - Sai sempre cosa dire. Io invece non so da che parte incominciare a chiederti scusa.
    - Gli errori si fanno in due Chris.
    - Perché adesso vuoi parlare?
    - Quando eravamo a Bangor… tu mi hai chiamata Cassandra – Puka si fermò un attimo per riordinare le idee – Nessuno mi chiama mai cosi. Io sono Puka e basta. Mia madre mi chiama Cassie. Nessuno usa mai il mio nome di battesimo. Quando l’hai fatto, ho capito che volevi veramente fare la pace con me.
    Christopher allungò una mano attraverso il tavolo e strinse quella della ragazza.
    - Vorrei solo che tu sapessi che sono veramente dispiaciuto per come mi sono comportato dopo…
    - Non sei dispiaciuto per quello che è successo prima? – Puka sollevò un sopracciglio con aria divertita.
    - Fra noi due non è amore, però ti voglio bene – Reid arrossì visibilmente – E’ stata la prima volta in vita mia che…
    - L’hai fatto con qualcuno a cui tenevi veramente? – chiese la ragazza stringendogli la mano con le proprie.
    - Sì. E’ stato strano… non credo di voler ripetere l’esperienza, senza offesa.
    - Non sono offesa. Eravamo tutti e due ubriachi ed è successo.
    - Per te non era la prima volta con un amico, vero?
    - No. Ma proprio per questo so come gestirlo. Non succederà più e questo è un bene. Cerchiamo di dimenticare e di metterci una pietra sopra. Io rivoglio indietro il mio compagno di bagordi – il viso della ragazza s’illuminò in un sorriso.
    - Non credo che questo sia possibile.
    - Per quello che è successo fra di noi? – chiese Cassandra visibilmente delusa.
    - No… io…
    - Ti sei proprio innamorato, eh?
    - E tu che ne sai? Non sei mica una profiler.
    - No, ma spero un giorno di guardare qualcuno come tu guardi Irons.
    - Bubbole. E’ solo attrazione sessuale, niente di più – minimizzò lui con un’alzata di spalle.
    - Allora perché la guardi come se al mondo esistesse solo lei? Chris, se io riuscissi a trovare qualcuno che mi faccia dimenticare tutte le altre possibilità non ci penserei neanche un secondo.
    Chris cercò di ingoiare quel magone che non riusciva a mandare giù.
    - Il problema non è questo…
    - Allora qual è?
    - Lei ha un ragazzo e sono innamorati.
    - Chris mi dispiace proprio tanto.
    - Tu ti sei mai innamorata Puka?
    - Una volta, ma lui mi ha spezzato il cuore.
    - Passerà? Ti prego dimmi che passerà – Chris si portò una mano davanti agli occhi, non voleva piangere.
    - Mi dispiace tanto.

    Continua…
     
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    Capitolo XXVI. Splint up

    Era stanca e avvilita. Gli avvenimenti degli ultimi due giorni erano più di quanto riuscisse a sopportare. Mentre l’ascensore la portava ai garage ripensava a suo padre. Lei l’aveva sempre venerato, era un uomo dolce e un genitore attento. Non le aveva mai fatto mancare niente, aveva sempre esaudito ogni suo desiderio. Suo malgrado si ritrovava costretta a fare i conti con il fatto che il suo adorato papà in realtà fosse un serial killer.
    A quel pensiero ne seguì un altro ancora più sconfortante. Aveva ucciso un uomo, un serial killer. Patrick era quello più vicino a lei come età, li separavano cinque anni. Non era stati compagni di giochi, non avevano mai legato particolarmente. Però era per sempre suo fratello maggiore. Non aveva potuto fare diversamente, aveva minacciato il suo collega con un’arma e stava per fare fuoco.
    Si rendeva conto benissimo che il suo era stato un gesto di difesa nei confronti di Reid in primis e di se stessa in seconda battuta. Patrick era stato chiaro su quel punto. Appena ucciso il suo collega e l’ostaggio, sarebbe andato a cercarla per farle quello che suo padre e suo zio avevano fatto a sette ragazze innocenti.
    Aveva fatto il proprio dovere sparandogli, non poteva permettere che un suo collega fosse ucciso sul campo. Inoltre Reid le aveva sussurrato che si fidava di lei, prima di fare irruzione.
    Si fidava di lei, che senso aveva? Quando lei aveva preso posizione fuori dalla finestra, Chris era stato convinto che lei lo avesse abbandonato. Bel modo di avere fiducia! Si sentiva amareggiata dalla mancanza di stima che Reid aveva dimostrato nei suoi confronti, come se fosse una mocciosa senza coraggio che correva a rifugiarsi chissà dove invece di mantenere la propria posizione.
    Non capiva come lui potesse considerarla una persona del genere. Indubbiamente l’attrazione sessuale reciproca non favoriva il loro lavoro sul campo, ma non per questo lei andava considerata un tipo inaffidabile. Quel ragazzo era imperscrutabile, il suo comportamento era senza senso. Urlava, si arrabbiava, la trattava male e poi di punto in bianco era premuroso e dolce. Si passò distrattamente le dita sulle labbra ripensando a quel bacio che le aveva rubato.
    Scosse la testa pensando che Mac la stava aspettando vicino alla macchina, come tutte le sere. Come le porte si aprirono, lo vide lì fermo che le sorrideva in modo incoraggiante. Era bello, non come Reid, ma si difendeva molto bene. Alto, biondo, occhi grigi e sorriso dolce. Inoltre anche il suo carattere lo rendeva appetibile: dolce, premuroso, allegro e cordiale. Decisamente il ragazzo perfetto.
    - Allora, bellissima? – ma il sorriso gli morì sulle labbra non appena vide l’espressione di lei – Tutto bene?
    - No – rispose lei avvicinandosi allo sportello del passeggero – Scusami, ma non ho voglia di festeggiare stasera.
    - Certo – rispose lui aprendo la portiera – Ti porto subito a casa, tesoro.
    Lui non insisteva nel chiederle cosa c’era che non andava, era molto discreto e aspettava sempre che lei si sentisse pronta a parlare. Isabel non gli aveva mai raccontato niente della sua infanzia, di suo zio, del motivo che l’aveva spinta a diventare una profiler. Senza queste premesse lui non avrebbe capito il suo stato d’animo attuale. Non se la sentiva di riferirgli che aveva ucciso l’S.I. e che questi non era altro che suo fratello maggiore. Non voleva parlare con lui in quel momento, sentiva che erano troppo distanti a livello personale perché lui potesse capire veramente cosa si aggirava nella sua testa.
    La macchina si fermò sotto casa sua e lui premuroso la accompagno fino alla porta dell’appartamento. Si stava congedando con un semplice bacio sulla fronte, quando lei gli si aggrappò.
    - Ti va di venire dentro? – non sapeva neanche lei perché l’aveva invitato.
    Mac le sorrise e annuì contento, lei al contrario non sapeva bene cosa sarebbe successo una volta dentro.
    - Vuoi un caffè? – gli chiese per rompere il ghiaccio.
    - Solo se ne prendi anche tu – le carezzò piano la guancia.
    Isabel si sottrasse a quel contatto rifugiandosi nell’angolo cottura, mentre Josh prendeva posto nel divano che lei aveva sistemato davanti al camino. Aspettarono che il caffè passasse in silenzio, lui sempre seduto e lei appoggiata contro l’isola del cucinino. Irons cercava di sfuggire a quello sguardo indagatore, non sapeva bene cosa dirgli né come comportarsi.
    Si accomodò accanto a lui e posò le tazze sul tavolino basso di fronte a loro. L’atmosfera era tesa, Mac le passò piano un braccio intorno alle spalle e lei si rassegnò a un qualche tipo di approccio da parte del ragazzo. Con suo sommo stupore lui si limitò a guardarla ancora più intensamente e a parlarle a pochi centimetri dal viso.
    - Cosa c’è che non va?
    - Io… - Isabel non sapeva bene cosa si agitasse dentro di lei – non lo so. E’ che tutta questa storia mi ha scombussolata.
    - Gira voce che tu abbia sparato ad un sospettato che aveva minacciato di fare fuoco su un tuo collega. E’ questo che ti turba?
    - Già si sa quindi… ti hanno detto anche chi era?
    - No, in realtà non si sa molto. L’hai ferito?
    - No, è morto.
    - Non riesco ad immaginarmi come devi sentirti adesso. Hai fatto il tuo dovere, non è colpa tua – lentamente la strinse a se per consolarla.
    - Non è colpa mia… - Isabel sospirò – L’uomo che stavamo cercando, quello che io ho ucciso…
    - Si?
    - Niente, lascia stare.
    Altro silenzio. Ormai lei poggiava quasi la testa sulla spalla di Mac. Si voltò verso il ragazzo e lo baciò con trasporto. Lui le prese il viso fra le mani e cominciò a ricambiare quel bacio in modo dolce. Isabel quasi fremeva di rabbia, non era cosi che voleva essere baciata. Improvvisamente si mise cavalcioni su di lui e cominciò ad armeggiare con la cravatta mentre i suoi baci si facevano sempre più insistenti e profondi.
    Improvvisamente lui la staccò da se e la guardò stupito.
    - Isabel, cosa stai facendo?
    - Non si capisce – rispose lei provando ad avvicinarsi di nuovo alle sue labbra.
    - Non cosi. Non voglio che per te sia solo uno sfogo in un brutto momento.
    Irons si alzò repentinamente e diede un calcio al tavolino rovesciandolo insieme al caffè.
    - Cosa vuoi? – cominciò ad alzare la voce – COME DOVREBBE ESSERE?
    - Voglio fare l’amore con te, invece tu ti comporti come se…
    - COME SE COSA?
    - Isabel, ti prego non urlare.
    - Vattene Mac – era stanca – Vattene prima che io possa dire o fare qualcosa di cui poi ci pentiremmo entrambi.
    Lui si alzò e la abbracciò.
    - Non me ne vado finché non mi dice cosa c’è che non va.
    - Non mi piace come mi baci, non mi piace come mi tocchi – ormai era lanciata e tirò tutto fuori – Io voglio passione, voglio sentirmi desiderata. Tu mi fai sentire… è meglio dire che non mi fai sentire.
    Lui si allontanò allibito, sapeva di averlo ferito ma era troppo stanca per continuare a fingere.
    - Io non ti amo Mac, mi dispiace. Sei un ragazzo fantastico e la colpa non è tua…
    - Smettila! Risparmiami almeno le scemenze! C’è un altro?
    - No. Te l'ho detto, semplicemente non proviamo le stesse cose.
    - Sei una stupida Isabel Irons, una dannata stupida!
    Uscì sbattendo la porta, quel rumore era come un “a mai più rivederci”. Aveva rovinato la sua storia con un ragazzo fantastico e solo perché… Prese la carta assorbente e cominciò a rimettere in ordine il salotto. Non voleva pensare, voleva solo andare a dormire e svegliarsi dopo una settimana.

    Continua…
     
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    Capitolo XXVII. Back home

    Hotch aprì la porta di casa distrutto, gli avvenimenti degli ultimi giorni avevano scosso la sua corazza. Ripensava a come dovesse sentirsi ora Irons, si chiese se la sua collega fosse abbastanza forte da affrontare le rivelazioni sul suo passato e soprattutto se sarebbe riuscita a superare il fatto di aver ucciso il proprio fratello. Jack era figlio unico, ma i bambini con cui era cresciuto erano stati come fratelli per lui. Provò a immaginare come si sarebbe sentito a scoprire che Henry o Chris fossero pericolosi psicopatici. Non riusciva proprio a immedesimarsi in un pensiero del genere, non voleva neanche esplorare la possibilità di trovarsi costretto a uccidere uno dei due.
    Il suo sguardo si posò sul telefono, forse, si disse, poteva fare una telefonata per sentire come stava Isabel. Rinunciò subito, temendo che il gesto potesse essere interpretato male dalla ragazza. Non voleva mettersi in situazioni complicate, non adesso che aveva fatto una promessa a Sarah. Il pensiero corse alla donna che per lui era stata una seconda madre. Negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza le braccia della collega di suo padre erano state il suo rifugio e lei lo accoglieva sempre con un sorriso e una carezza, era l’ultima persona che voleva deludere dopo Elizabeth.
    A quel pensiero ne seguirono altri. Le due donne Reid nella sua vita erano state come punti fermi nel mare degli eventi. Sempre sorridenti e gentili, si rese conto che per lui Elizabeth era stata importante da subito. Ricordava ancora quando Sarah gliela aveva mostrata la prima volta. Era rimasto incantato a guardare quell’esserino dagli occhi nocciola piena di capelli neri sottili e morbidi. Da adolescente il momento che aspettava con più trepidazione a Natale era quello del pranzo a casa Reid, appena entrava, la bambina dai folti capelli neri gli correva incontro con un sorriso birichino e lo abbracciava all’altezza delle ginocchia.
    - Me la leggi una favola? – quella era la domanda di rito, prima ancora di salutare.
    Sorrise rievocando la sensazione di calore che provava a prenderla in braccio e a stringerla mentre gli leggeva una favola. Fin da piccola riusciva a scaldargli il cuore con un sorriso, si riteneva fortunato, aveva incontrato il grande amore della sua vita alla tenera età di otto anni.
    Si diresse in camera, deciso a porre un freno a quella valanga di sensazioni che i ricordi gli procuravano. Ora aveva bisogno di dormire, anche se moriva dalla voglia di chiamarla per sentire la sua voce che gli augurava la buonanotte.
    Appena varcata la soglia, intravide una sagoma sotto il piumone invernale e rimase lì fermo mentre quel fagotto si girava verso di lui. Due occhi nocciola lo fissavano divertiti mentre un sorrise dolce piego quelle labbra rosse.
    - Bentornato, pensavo ti facesse piacere ricevere un caldo benvenuto.
    Scese dal letto e Jack poté osservare che portava solo una delle sue camice. Sicuramente sotto non indossava nient’altro, le piaceva provocarlo. Si avvicinò titubante, timoroso di tutta quella passione che sentiva dentro di se in quel momento. Lei invece gli buttò le braccia al collo sicura e gli si strinse contro.
    - Mi sei mancato, agente Hotchner.
    - Dì la verità, vuoi farmi impazzire? – cominciò a far scorrere le mani sui suoi fianchi sentendo che oltre la stoffa della camicia non c’era niente a fare da barriera.
    - L’idea era quella. Ci sto riuscendo?
    - Aspetta che ti mostri quanto – rispose lui avventandosi sulle sue labbra.
    Mentre la stringeva a se, si sentì finalmente a casa.

    Si mosse all’interno dell’appartamento nel più assoluto silenzio, evitò anche di accendere le luci per non svegliare Michelle. Aprì lentamente la porta della camera da letto e trovò il letto vuoto e sfatto. Batté le palpebre più volte cercando di immaginarsi dove potesse essere la sua ragazza a quell’ora. Improvvisamente sentì un corpo contro la schiena e due esili braccia che la afferravano all’altezza della vita.
    - SORPRESA!
    Si voltò trovandosi davanti la faccia sorridente di Michelle, sorrise a sua volta scostandole una ciocca di capelli biondi dal viso.
    - Allora? Sono diventata brava a prenderti di sorpresa? – le chiese, nascondendole il viso nell’incavo del collo di JJ.
    - Direi proprio di sì. Vuoi rubarmi il posto all’F.B.I.? – la prese in giro mentre la stringeva.
    - Sono solo una commessa, non credo che l’F.B.I. sarebbe ansiosa di reclutarmi.
    JJ la scostò da se e le prese il viso tra le mani. Era così bella e delicata, a volte aveva paura di farle male non dosando bene la forza. Eppure Michelle sembrava sempre fiduciosa, come se sapesse che non le avrebbe mai fatto del male.
    - Piccola, ricordati che puoi essere qualsiasi cosa tu decida.
    - L’unica che lo crede sei tu – rispose la ragazza bionda abbassando gli occhi.
    - Perché sono l’unica che ti conosce cosi bene. Vuoi diventare un’agente federale?
    - No, ne basta uno in famiglia. La sola cosa che voglio è stare qui con te.
    Jasmine la strinse in un abbraccio delicato, era di nuovo a casa.

    Appena Puka mise piede all’interno dell’appartamento, Lollipop cominciò a strusciarsi contro le gambe della sua padrona.
    - Ti sono mancata? – si chinò per grattare il gatto dietro un orecchio – Oppure ti è mancato solo qualcuno che ti dava le tue scatolette preferite?
    Il gatto per tutta risposta la guardò con i suoi occhi color zaffiro e miagolò piano. Appena Puka fu di nuovo in posizione eretta, con un balzo il siamese le fu sulle spalle e lì si accomodò a peso morto cominciando a fare le fusa.
    - Credo di esserti mancata veramente… e tu sei mancato a me micione – si avviò lentamente in camera da letto con il gatto sulle spalle.

    Derek stava chiudendo la porta mentre Emily si sedeva sul divano con un sospiro.
    - Comincio ad essere troppo vecchia per queste trasferte – rifletté a voce alta.
    - A me non sembri vecchia – Morgan le si accostò da dietro e cominciò a massaggiarle il collo.
    - Questa casa sembra cosi vuota da quando Meredith se ne è andata…
    - Vedi il lato positivo – si era accucciato e cominciò a disegnarle i contorni dell’orecchio con il dito indice.
    - Cioè? – si voltò a guardarlo alzando un sopracciglio.
    - Ricordi com’era prima che arrivasse nostra figlia?
    - Derek Morgan, non cambi mai – incrociò le braccia e fece un po’ la smorfiosa.
    - Non ti lamentare troppo – la prese fra le braccia e la sollevò – Non sono molte le donne che possono vantarsi di fare ancora un certo effetto al proprio marito dopo ventisette anni di relazione, no?
    - Che effetto ti faccio? – chiese maliziosa.
    - Te lo dimostro subito – la lasciò andare sul divano e le si buttò sopra fra le risa di lei.

    Spencer stava leggendo un libro mentre Sarah si spalmava la crema per le mani. Non si erano parlati molto quel giorno e lui continuava a guardarla di sottecchi. Non voleva che tutto tornasse come prima, che ci fossero zone d’ombra nel loro rapporto. Sapeva che sua moglie aveva fatto il primo passo costringendolo ad aiutare la squadra, ora toccava a lui andarle incontro.
    - Hai sentito il dottore?
    - Sì, l’intervento è fissato per martedì. Dovrò rimanere due giorni in ospedale e poi riposo completo per un mese.
    - Dovrai rimanere al letto?
    - Il medico crede che sia meglio, non devo fare sforzi e devo rimanere sdraiata il più possibile – guardò suo marito – Credo che dovremmo cercare qualcuno che rimanga con me durante il giorno.
    - Non sarà necessario. Chiederò un permesso sabatico all’università, i miei studenti faranno salti di gioia sapendo di avere addirittura un mese senza lezioni con me – chiuse il libro e le passo un braccio attorno alle spalle – Mi prenderò io cura di te.
    - Spencer, non è necessario – però si vedeva che era contenta.
    - Sì invece – la bacio teneramente – Un uomo si prende cura della propria donna, l’hai detto tu una volta.
    - Io avevo detto che un uomo protegge la propria donna, non se ne prende cura – rispose sorridendo.
    - Sbagliato, è la stessa identica cosa – le fece appoggiare la testa sul proprio petto – So che gli ultimi otto anni non sono stati facili, ma io ci sono sempre per te.
    - Lo so, caro, lo so.
    - Dovremmo trovare il modo di dirlo ai ragazzi.
    - E’ tardi. Li chiameremo domani.

    Continua…
     
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    Capitolo XXVIII. Parents

    Spencer era seduto nella sala d’attesa dell’ospedale, mentre Elizabeth gli teneva la mano. Sull’altro divano Susan e Crystal erano abbracciate continuando entrambe a guardare verso le porte della sala operatoria. Christopher invece continuava a camminare avanti e indietro visibilmente agitato, il suo percorso fu interrotto da Jack che gli si fece vicino con un bicchiere di caffè in mano e un sorriso incoraggiante stampato in faccia.
    - Vedrai che andrà tutto bene – gli disse poggiandogli una mano sulla spalla – Tua madre è una donna forte e il dottore ha detto che questo è un intervento di routine ormai.
    Chris non gli rispose neanche continuando a fissare un punto imprecisato davanti a lui. Quando sua madre gli aveva chiesto di andare a casa loro perché doveva parlargli, non si aspettava una notizia del genere. Si voltò ad abbracciare con lo sguardo suo padre e le sue tre sorelle, avrebbe voluto dire qualcosa per renderli più sereni. Ma cosa si può dire quando tua madre è in sala operatoria per l’esportazione di un tumore, anche se benigno?

    Dopo quello che la madre gli aveva detto le ragazze avevano fatto tutte cerchio intorno a lei, continuando a dirle che sarebbe andato tutto bene, che si sarebbero prese loro cura della casa, che avrebbero aiutato il padre a occuparsi di lei. Lui invece aveva fatto un cenno al padre e l’aveva preceduto nello studio.
    - Da quanto tempo lo sai? – preferiva arrivare subito al nocciolo.
    - Dal giorno prima di raggiungervi a Bangor – ammise Spencer con un sospiro – Tua madre ha insistito che tu non sapessi niente fino alla fine delle indagini. Il caso era già troppo complicato così, senza che tu fossi distratto da altre preoccupazioni. Conosci tua madre.
    Spencer si fermò e fece spallucce, mentre si accomodava sulla sua sedia e faceva cenno a Chris di accomodarsi a sua volta. Il ragazzo si avvicinò prima alle bottiglie di liquore che suo padre teneva lì, senza aprirle mai. Verso una generosa dose di cognac per tutti entrambi e poi lo raggiunse alla scrivania porgendogli un bicchiere.
    - Sai perfettamente che lei mi ha vietato di dirtelo e sai altrettanto bene quanto sia testarda.
    - Quando ci si mette non la smuove nessuno – ammise il ragazzo con un sorriso.
    - Questo l’hai ripreso da lei.
    - Cosa ha detto esattamente il dottore?
    - E’ un tumore benigno all’utero. Quello che è preoccupante è la rapidità con cui cresce. Per evitare complicazioni future dovrà subire un’isterectomia parziale.
    - Come l’ha presa? – Chris si sporse verso il padre con sguardo preoccupato.
    - Ha fatto una battuta sul fatto che avevamo deciso di non avere altri figli dopo le gemelle. Prima di tutto sdrammatizzare e tranquillizzare gli altri. La conosco da tanti anni ormai, ma ha volte vorrei che si preoccupasse un po’ di più di se stessa.
    - Non è nel suo carattere. La famiglia prima di tutto. Che siamo noi o la squadra non fa differenza – scosse il capo rassegnato – Non la so immaginare diversa.
    - Neanch’io – Spencer continuava a guardare il contenuto del bicchiere senza bere – Ho sempre amato questo lato del suo carattere, sempre premurosa.
    - L’ho sempre ammirata per questo e… ammiro te per come riesci a starle accanto – era la prima volta che ammetteva a voce alta di ammirare il padre.
    - Quando s’incontra una persona come tua madre viene naturale.
    - Ce la farà, vero?
    - Tua madre supererà anche questa, vedrai. Tornerà presto a terrorizzare tutti i cadetti che vogliono seguire i suoi corsi sul profiling.
    - Terrorizzare? – chiese Chris alzando un sopracciglio.
    - Andiamo! Io amo tua madre, ma se fossi uno di quei cadetti me la farei sotto tutte le volte che lei usa quello sguardo di ghiaccio. Non dirmi che quando è stato il suo turno ha fatto eccezioni?
    - Scherzi? Mi ha terrorizzato a morte. Non dirlo a nessuno, ma pensavo di trovarmi davanti ad un'altra persona, era terribile con le matricole.
    - Miss ghiacciolo.
    - Veramente usavano soprannomi anche molto più pesanti…
    - E tu che ne sai?
    - Porto un cognome diverso, nessuno ha mai fatto il collegamento.
    - E tu la difendevi?
    Chris guardò il contenuto del suo bicchiere e trattenne il respiro gonfiando le guance in modo buffo. Sollevò gli occhi su suo padre e poi scoppiò a ridere.
    - Sinceramente erano tutti soprannomi piuttosto azzeccati!

    Si riscosse dai suoi pensieri vedendo il medico avvicinarsi. In un attimo la famiglia Reid era tutta in piedi a circondare Spencer che puntava i suoi occhi nocciola in quelli del dottore.
    - Signor Reid? L’intervento è andato benissimo. Stanno riportando sua moglie nelle stanza e fra pochi minuti la potrete vedere. Mi raccomando non la dovete affaticare troppo, deve riposare il più possibile.
    - Grazie dottore – gli occhi di Spencer erano lucidi.
    Fu il primo a entrare nella stanza e si fermò a osservare sua moglie. I lunghi capelli neri sparsi sul cuscino le incorniciavano il viso, che per il contrasto sembrava ancora più pallido. Le posò delicatamente una mano sulla sua e si concentro su quel contatto. Rialzò lo sguardo lentamente fino a incontrare due occhi verdi che lo fissavano in modo dolce.
    - Hey.
    - Come ti senti? – si chinò su di lei accarezzandole piano i capelli.
    - Ti ricordi quando mi spararono con un fucile a pompa? Questo è anche peggio.
    La guardò stupito. Era la prima volta che non cercava di tranquillizzarlo, ma ammetteva di stare male senza nascondersi dietro la sua maschera di donna dura e decisa. Le posò un bacio delicato sulla fronte.
    - Vuoi che dica al dottore di darti altri antidolorifici?
    - No. I ragazzi vorranno vedermi ed io devo essere abbastanza lucida da rassicurarli – sollevò una mano a sfiorargli il viso – Sei bello come quando ti ho conosciuto.
    - Gli antidolorifici cominciano a fare effetto? – sollevò un sopracciglio e un sorriso ironico gli arricciò le labbra.
    - Ci sono tante cose che non ti ho mai detto…
    - Avrai tutto il tempo amore. Per un mese ti starò talmente appiccicato che alla fine mi chiederai disperata di tornare al lavoro.
    Sarah sorrise e chiuse gli occhi un instante.
    - Falli entrare.
    In un attimo fu circondata dai figli. Le gemelle non facevano altro che piangere mentre Lizzy le teneva la mano. Chris e Jack si scambiarono un’occhiata di intesa.
    - Ok, bambine – si decise Chris abbracciando le sorelle minori – Ora andiamo a prenderci un caffè e vi compro un tir di clinex prima che inondiate l’ospedale.
    Dicendo così scortò le sorelle fuori dalla stanza spingendole delicatamente.

    Il silenzio era tornato nella camera. Spencer continuava a tenerle la mano mentre Elizabeth la guardava preoccupata.
    - Come ti senti mamma?
    - Stai tranquilla, principessa, sono solo stanca – mentì Sarah con un sorriso.
    Jack si assicurò che Chris fosse fuori campo visivo e passò un braccio intorno alle spalle di Lizzy con fare rassicurante.
    - Sapete che alla fine dovrete parlarne a Chris, vero? – chiese Spencer guardandoli accigliato.
    - Sì – ammise la ragazza abbassando lo sguardo – Il problema è che…
    - Hai paura della sua reazione – finì per lei Sarah – Più aspettate peggio sarà. Da quanto?
    - Un anno – ammise Jack passandosi nervoso una mano fra i capelli.
    - Ragazzi, siete in una marea di guai – sentenziò la donna tornando a chiudere gli occhi.
    - Adesso basta parlare di queste cose, tu devi riposare – Spencer fece cenno ai due di uscire – Rimango io con lei.
    Prese una sedia e si sistemò vicino al letto della moglie riprendendo possesso della sua mano.
    - Mi chiedo quando potremmo smetterla di preoccuparci per loro – disse la donna voltandosi verso di lui.
    - Mai – rispose lui con un sorriso – Fa parte del mestiere di genitori essere perennemente angosciati per i propri figli. Ora pensa solo a riposarti e rimetterti in forze il prima possibile – le baciò la mano e rimase lì a vegliare sul suo sonno.

    Continua…
     
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    Un piccolo omaggio per Robin ;)

    Capitolo XXIX. Revelations

    Aveva preso il coraggio a due mani e si era presentata in ospedale, sperando che Chris non fosse presente. Dal loro ritorno da Bangor non si erano più parlati né visti. Prentiss le aveva dato una settimana di permesso per riprendersi, in fin dei conti aveva sparato a suo fratello, anche se era un pazzo psicopatico. Continuava a tenere stretto il mazzo di fiori e guardava in alto i numeri dei piani che piano piano s’illuminavo. Sospirò pensando che anche se fosse stato presente, sicuramente non avrebbe detto niente davanti a sua madre.
    Lei e Mac avevano parlato molto dopo quella “famosa” serata. Non erano arrivati a niente di nuovo, sapevano entrambi che il loro rapporto sentimentale non poteva sopravvivere a quello che lei aveva detto, ma nonostante tutto erano riusciti in qualche modo a salvare l’amicizia. Josh aveva apprezzato che lei non l’avesse tenuto in sospeso per mesi una volta scoperto di non essere innamorata di lui, Isabel dall’altro canto era grata a Mac della sua pazienza e del sostegno che le aveva dato dopo la rottura dei suoi rapporti con la famiglia d’origine.
    Sospirò nervosa, anche se Chris in quel momento si trovava in ospedale, sicuramente non avrebbe detto niente davanti alla madre. Aveva meditato a lungo se andare o no a trovare la professoressa Collins, alla fine si era detta che era pur sempre la sua ex insegnante e che aveva un debito di riconoscenza con lei, visto come aveva caldeggiato il suo ingresso nel team. Le sembrava giusto andare a trovarla e non poteva certo aspettare che la dimettessero, sarebbe stato maleducato da parte sua.
    Le porte dell’ascensore finalmente si aprirono sul piano e lei cominciò a percorrere il corridoio titubante. Si sentì chiamare e si voltò stupita. Hotch le stava andando incontro con due bicchieri di caffè in mano, le sorrideva in modo incoraggiante e si fermò a guardarla.
    - Ti trovo in forma, questa settimana di riposo ti ha decisamente giovato.
    - Grazie, Hotch. Dovevo immaginarlo di trovarti qui. Come sta la professoressa Collins?
    - Si sta riprendendo bene, ma non deve fare sforzi o alzarsi dal letto. Sarà molto felice di vederti, seguimi.
    Così dicendo la precedette lungo il corridoio con passo sicuro, dirigendosi verso la stanza in fondo. Si affacciò sorridente alla porta.
    - Guardati chi ho trovato in corridoio.
    Isabel si affacciò a sua volta trovandosi davanti quattro persone. Spencer teneva la mano della moglie che era adagiata sul letto, dall’altro lato riconobbe immediatamente Chris che teneva un braccio sulla spalla di una ragazza mora. I suoi occhi si soffermarono su quella sconosciuta. Era veramente bellissima, i lunghi capelli neri contrastavano con la pelle di alabastro, splendide labbra rosse erano perfettamente disegnate su un viso dai lineamenti dolci corredato da due occhi color nocciola dalle lunghe ciglia scure. Lo sguardo scese lungo il corpo. Fisico scultoreo perfettamente disegnato da un vestito molto femminile corredato di scarpe con il tacco. Decisamente il genere di ragazza bella ed elegante che si era sempre immaginata come la donna ideale del suo collega.
    Fece uno sforzo su se stessa e si concentro sulla sua ex insegnante regalandole un sorriso. Si avvicinò al letto e porse i fiori a Sarah che li prese ricambiando il sorriso.
    - Spero si rimetta presto professoressa, questi sono per lei.
    - Grazie Irons, sono bellissimi.
    La ragazza mora che aveva attirato prima la sua attenzione si avvicinò al letto con fare sicuro e con un movimento leggero ed elegante prese il mazzo di fiori.
    - Sarà meglio metterli in un vaso. Provvedo subito – dicendo cosi usci dalla stanza.
    - Io vado a darle una mano – Chris uscì dalla stanza rincorrendo la bella sconosciuta.
    - Accomodati Irons – intervenne Spencer porgendole una sedia – Jack ed Io ci assentiamo un attimo, rimani tu a farle compagnia?
    - Certo professore – arrossì notando il sorriso dolce del suo ex insegnante dell’università.
    - Mi raccomando, non permetterle di alzarsi.
    Jack allungò il bicchiere a Spencer e uscirono insieme. Rimaneva solo Sarah e Isabel nella stanza che si scrutavano senza sapere bene cosa dirsi. La prima a interrompere il silenzio fu proprio Collins.
    - Non ti ho ancora ringraziato per aver salvato Chris – disse prendendole una mano – quindi: grazie, Irons.
    - Non deve ringraziarmi – si precipitò a dire la ragazza – Siamo colleghi e dobbiamo guardarci le spalle a vicenda.
    - Mio figlio è insopportabile, vero?
    - No, cosa le viene in mente – si maledisse subito per aver distolto lo sguardo.
    - Non provare a dire bugie con me. So che a volte è impossibile capirlo, ma… vedi, lui ha sempre desiderato diventare un profiler. Fin da quando era piccolo, s’interessava al lavoro mio e di suo padre in modo quasi ossessivo. Per il suo ottavo compleanno il regalo che apprezzò più di tutti fu quello di Leane – Sarah chiuse gli occhi trattenendo le lacrime – Gli aveva regalato manette, pistola giocattolo e walkie talkie. Per mesi continuò ad andare in giro per casa giocando all’agente federale. Per lui è stato duro scontrarsi con la realtà.
    - Intende la durezza del nostro lavoro?
    - No. Chris ha sempre pensato che bastava fare bene il proprio lavoro per essere apprezzati, una volta entrato nell’unità si è reso conto che non bastava. Per quanto fosse preparato per tutti restava il figlio di Reid e Collins, nessuno lo prendeva sul serio. Questo ha influito molto sul suo carattere e sul modo di rapportarsi con i colleghi.
    Isabel meditò su quelle parole. Anche lei aveva dato per scontato che il ragazzo fosse entrato nella squadra solo per via dell’influenza dei suoi genitori e glielo aveva rinfacciato. Non la stupiva più che lui avesse preso a odiarla.
    - Comunque non è solo sul lavoro che ha seri problemi – continuò Sarah scrutando la ragazza – Non è mai riuscito a legarsi a nessuna, non si è mai veramente innamorato di una ragazza. Continuava a cercare qualcosa, non so neanch’io cosa. Ma a quanto pare deve averlo trovato.
    Irons si sentì colpita da quel sottinteso. Ripensò alla bella ragazza che era in compagnia di Chris pochi attimi prima e si disse che probabilmente era vero, aveva trovato quello che cercava. La ragazza perfetta. Si disse che era contenta per lui e per se stessa, così avrebbe smesso di importunarla e quello che era successo sull’aereo sarebbe finito nel dimenticatoio. Ma non era sicura di sentirsi cosi felice.
    - Ora devo proprio andare, mi scusi professoressa – dicendo così si avviò verso l’uscita con passo rigido.
    Sarah sollevò un sopraccigli perplessa dalla reazione di Isabel. Possibile che si fosse sbagliata?

    Chris aveva seguito la sorella e la fissava mentre sistemava i fiori nel vaso. Aveva sentito l’irrefrenabile bisogno di scappare da Irons e da quello che provava. Lei aveva il ragazzo e prima fosse riuscito a dimenticarla prima avrebbe smesso di soffrire così ogni volta che la vedeva.
    - Quella è la famosa Irons? – s’informò Lizzy.
    Il fratello assentì con un mugugno intellegibile. La giovane si girò con un sorriso furbo stampato sul volto e rimase cosi a guardare il profiler che era tutto intento a non distogliere l’attenzione dalle mattonelle poste di fronte a lui e a combattere quel rossore che gli era salito alle guance.
    - Me la aspettavo diversa – riprese senza fermare la propria ispezione della reazione di Chris a quell’argomento – Jack me ne ha parlato come di una ragazza in gamba.
    - Sì.
    - Se lo pensi anche tu, perché continuate a litigare?
    - E’ altamente irritante – rispose evasivo.
    - Sai, Chris, se non ti conoscessi bene direi che hai un interesse particolare per lei.
    - Lei chi? – chiese Hotch affacciandosi – Stavate parlando di Irons?
    - Ma è una congiura? – Chris non era in grado di affrontare quel tipo di interrogatorio.
    - Solo perché ti ho chiesto il motivo dei vostri litigi? – chiese con aria fintamente innocente Lizzy.
    - Invece di preoccuparvi della vita degli altri, fareste meglio a…
    - A fare che? – lo prese in giro Jack.
    - Tanto per cominciare a smettere di distrarre mia sorella dagli studi. Credi che non sappia che passa da te la notte anche durante la settimana quando ha lezione?
    I due giovani si guardarono terrorizzati. Chris sapeva e ora sarebbe arrivata la sfuriata, poco ma sicuro.
    - Finitela di fare quelle facce, non vi mangio mica – era riuscito a spostare la loro attenzione su un altro argomento per fortuna.
    - Non capisco di cosa tu stia parlando – cominciò Jack.
    - Vorrei sapere chi ti ha messo quest’idea in testa – rincarò la dose Elizabeth.
    - Smettetela tutti e due. Sono un profiler e voi state insieme da più di un anno – dicendo cosi si voltò pronto a lasciare la stanza – Veramente pensavate di poterlo tenere nascosto a chi vi ha sotto gli occhi praticamente tutti i giorni?
    - Non… non sei arrabbiato? – Jack era allibito dalla mancanza di reazione dell’amico.
    - Se mia sorella deve proprio uscire con un’idiota, meglio uno che conosco e stimo – si voltò lentamente a guardare il collega in volto – Ma tu prova a farla soffrire ed io ti spezzo le gambe, chiaro?
    Senza aspettare la risposta uscì, lascandosi alle spalle i due ragazzi che si guardavano sconcertati.

    Continua…
     
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