Attimio di follia

di Emily†

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  1. Emily†
     
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    16. La mia Famiglia





    Quando schiuse gli occhi la stanza era illuminata solo dalla luce del camino acceso.
    Non riconobbe quel luogo. Puzzava di chiuso e l’umidità la fece raggelare.
    Si mise a sedere scoprendo che la testa le girava ed un qualcosa di bagnato le scivolava dalla fronte. Si sfiorò il capo quanto bastava per scoprire che aveva un taglio che le faceva dannatamente male.
    Si guardò attorno: una finestra dava su una spiaggia deserta dove il mare si spargeva veloce e si ritirava. Nn riusciva a vedere la linea dell’orizzonte, tutto era annebbiato e grigio. Si alzò dal letto e, pian piano, si avvicinò alla finestra. Ritrasse le tende.
    Continuava a pensare a dove potesse essere, ma la sua mente non voleva collaborare.
    Ricordava perfettamente l’uomo che l’aveva stordita col cloroformio. Era lui. Ne era certa.
    Come un flash le ritornò alla mente l’ombra scura che, assieme a JJ, aveva incontrato nel corridoio dell’hotel.
    Aveva lo stesso paio di occhiali, lo stesso cappello, lo stesso modo di camminare e le medesime mani fredde; si girò di scatto cercando la sua borsa, ma non la trovò. – Dannazione! – mormorò.
    Ad un tratto la porta si aprì ed un uomo, un uomo che riconobbe immediatamente, si fece avanti – Ben svegliata, Emily. – disse quasi con riverenza.
    - Che cosa vuoi da me, Mark? – domandò senza spostarsi da dov’era. Non indietreggiò, non poteva. Ormai era in trappola e non se n’era nemmeno accorta.
    - Sai, credevo che non ti avrei mai rivista. Sono passati anni da quando andavamo al liceo, sei partita per Roma. Ora ti ricordi di me?
    Si. Si ricordava di lui. Purtroppo ora si ricordava di lui. – Non hai risposto alla mia domanda.
    - Cosa voglio? Te. Come allora.
    - Mi hai già avuta, adesso puoi anche lasciarmi andare.
    - Ti sbagli. Chi baderà a Sarah, adesso?
    Emily fece qualche passo in avanti e si avvicinò alla sponda del letto. – Dov’è la bambina?
    - Sta bene. È con il mio governante. Dorme adesso.
    - Che cosa te ne fai di una bambina?
    - È mia figlia. – disse con una voce quasi da bambino. Stridula. Da pazzo.
    - Non è tua figlia, tu lo sai.
    - E allora? È mia di diritto!
    - Non hai diritto in nulla! Non l’hai mai avuto!
    Lui si avvicinò velocemente verso di lei colpendole il viso con una sberla. Lei cadde a terra. – Sei come tutte le altre!! Sai… quando te ne sei andata via, sapevo… lo sai? – si chinò e le prese il polso tirandola in piedi e spingendolo contro il muro. – La tua cara amica Amber mi aveva accennato qualcosa. Ma ormai te n’eri andata, mi avevi lasciato per andare a Roma. Un mondo lontano dove non potevamo stare assieme.
    - Tu sei pazzo! – gli urlò cercando di liberarsi dalla sua morsa. – Lasciami andare!
    - No. Ora staremo assieme come una famigliola felice. Non trovi?
    Qualche camera più in là si udì la voce di una bambina piangere. – Piange la piccola Sarah. Hai sentito? – fissò Emily – Dovresti andare a vedere che cos’ha, sei tu la mammina.
    Emily scosse il capo sconcertata. Tutto ciò che aveva imparato nel corso per profiler stava venendo meno. Non riusciva più a controllare le sue reazioni. – Tu credi sul serio di poter creare una famiglia così?!
    Mark la prese per i capelli e la spinse sul letto. – È colpa tua se non ho una famiglia! Tu hai ucciso la mia famiglia!
    Prentiss cercò di rialzarsi, il cuore le batteva forte e le lacrime le riempirono gli occhi. Si mise seduta, poi, lentamente si alzò dal letto. Scosse il capo. – Avevamo quindici anni. Non c’era amore.
    - Tu che ne sai?!
    Il bambina strillò ancora e Mark le indicò la porta – Falla smettere o l’ammazzo.
    Emily uscì dalla camera e si diresse verso la stanza della bambina. Non poteva fuggire, se l’avesse fatto, Sarah sarebbe di certo andata di mezzo.
    La bambina era sdraiata per terra sopra a dei cuscini. Piangeva e muoveva le mani disperatamente. Emily si chinò per prenderla e le sussurrò di stare tranquilla. – Ssth, da brava. Non piangere. Sarah…
    La piccola poggiò la testa sulla sua spalla e prese una ciocca di capelli in mano. Smise di piangere ed iniziò a singhiozzare. Si lasciò coccolare come una bambina bisognosa d’affetto.


    “L’intelletto è sempre ingannato dal cuore.”

    (Francois de La Rochefoucauld)




    - Dave, Hotch: c’è qualcosa che dobbiamo sapere? – JJ pareva alquanto furibonda, come del resto Reid e Morgan che osservavano Rossi e Aaron con sguardo inquisitorio.
    Rossi distolse lo sguardo dai colleghi per osservare un bambino che correva per la strada seguito da un cagnolino al guinzaglio. La madre gli stava parlando, probabilmente gli diceva di non correre, ma il piccolo sembrava non voler ubbidire.
    - Allora? – la voce di JJ era alterata.
    Hotch chiuse gli occhi e si portò le mani alla faccia.
    Fu David a prendere la parola. – Non è il caso che sia tu a parlare, Hotchener. Piuttosto che te è meglio che parli io. Non tradire la sua fiducia.
    Lui alzò il volto per guardarlo. Nemmeno lui avrebbe dovuto parlare, ma ormai la storia si stava complicando troppo.
    - C’è la possibilità che Mark abbia preso Emily. Vogliamo sapere perché, Dave! Hotch! PARLATE! Dannazione! – Morgan sbatté le mani sul tavolo e Reid disegnò sul volto un’espressione austera e severa che lasciava poco alla serenità.
    - Che legame c’è fra Emily e Mark? Non c’è tempo per riflettere se parlare o meno!
    - Reid ha ragione!! Allora?!
    - Dobbiamo – iniziò Rossi mentre Hotch si alzava in piedi e si allontanava leggermente per non sentire. – prima essere certi che siano collegati.
    - Non me ne frega nulla! La mia amica è in pericolo! È sparita e noi siamo qui a decidere se è giusto o no parlare?!
    - JJ, tu hai ragione, ma è una cosa molto seria. Probabilmente Emily ha avuto a che fare col nostro S.I. quando viveva qui a NY.
    - Ma il nostro S.I. ha ucciso solo donne con cui è stato e che poi hanno abortito… oh mio Dio… - JJ si zittì portandosi le mani alla bocca. Reid corrugò la fronte e Morgan lasciò cadere l’accendino con cui stava giocherellando per l’agitazione.
    - Già… - annuì Dave – Emily rimase incinta a quindici anni e fu Matthew ad aiutarla e trovarle un medico per abortire.
    - Per questo era così sconvolta della sua morte ed io non avevo capito nulla… - la biondina scoppiò a piangere cercando di nascondere il volto fra le mani. Morgan le andò accanto e le posò le mani sulle spalle.
    - Quindi potrebbe darsi che Mark Anderson…
    - Si, Reid. Sia il padre e sia venuto a saperlo in qualche modo. Il problema è che non abbiamo la certezza di ciò che supponiamo.
    - E se… -intervenne Hotch che era rimasto in disparte – E se provassimo a parlare con John Cooley? Forse lui sa qualcosa.
    - Chi è?
    - L’ultimo uomo che il prete voleva esorcizzare. Anche lui era amico di Emily e può darsi che sappia il nome.
    - Chiamo Garcia e lo faccio contattare! – Morgan prese il cellulare e chiamò immediatamente l’amica.
     
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  2. Emily†
     
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    17. Tensione



    "Buon senso è sapere quando puoi disubbidire ad un ordine."

    (Anonimo)




    John Cooley non sapeva nulla.
    Era rimasto all’oscuro di quella storia, percependo qualche informazione da Matthew ogni tanto, ma non aveva mai sostenuto una conversazione con Emily.
    Garcia aveva tentato persino di ricercare il medico a cui si era rivolta, ma alla fine dovette desistere e smettere con le ricerche: certamente non sarebbe servito a nulla trovarlo. Ovviamente Emily non avrebbe mai dato il nome del padre e loro avrebbero riaperto ferite ormai chiuse ed indagato nella vita private di un’amica senza permesso e senza motivo.
    Penelope si sentì impotente seduta alla sua scrivania a Quantico mentre la squadra era a Manhattan per catturare un pericoloso S.I. che aveva rapito la loro collega. Non riusciva a stare seduta sulla sedia come suo solito e continuava a fare avanti ed indietro dalla macchinetta del caffè al suo ufficio senza riuscire a calmarsi.
    Anche JJ era agitata e nervosa. Continuava a camminare avanti ed indietro nella camera di Hotch e Rossi dove il solo supervisore si era chiuso senza più aprir bocca e proferire parola. Sedeva con la testa fra le mani accanto a Morgan e Reid mentre Rossi chiamava il servizio in camera per farsi portare dei caffè ed una tisana per cercare di rilassare Hotch.
    - Abbiamo contattato la polizia. La Strauss ci vuole togliere il caso, non abbiamo in mano nulla e sono passati altri due giorni. La madre di Emily mi chiama in continuazione ed io non so più che cosa dirle! – JJ si asciugò le lacrima e continuò a passeggiare per la stanza. – Dorotha ha detto che Mark sarebbe partito, ma le utenze della casa sono state chiuse e la polizia non ha trovato alcun che durante il raid.
    - Calmiamoci adesso. Dorotha ha detto che Mark si sarebbe recato alla villa al mare, ma nessuno sa dove si trovi. – Dave si grattò la testa ed aprì il PC sul letto per connettersi alla webcam per parlare con Garcia.
    - Ditemi… - mormorò lei pacata senza allegria nell’aria.
    - Hai trovato per caso altri immobili intestati a Anderson?
    - No. Nulla. Nessuno sa nulla. Non ci sono informazioni in rete.
    - Nemmeno gli interrogatori hanno avuto riscontro. – si intromise Morgan. – Nessuno era a conoscenza della villa al mare di Mark. Ma Dorotha sostiene di avergli sentito parlare di questa casa.
    - Si, ma da chi?
    - Nell’interrogatorio ha detto di averlo sentito dire da James, il suo amico.
    - ho capito Morgan, ma le cose non girano. La polizia non ha trovato ne lui ne Mark a casa, ne tanto meno nella residenza in campagna.
    - Perché lui non è in campagna JJ. Lui è andato al mare.
    JJ iniziava ad essere confusa e troppo nervosa per riuscire a ragionare. – Forse la Strauss ha ragione. Forse dovremmo lasciare il posto ad un altro team.
    - NO! – scattò in piedi Hotch. – È fuori discussione. Saremo noi a ritrovare Emily e non ammetto repliche. La Strauss può dire quello che vuole, non mi interessa. Non ci lascerà fuori dal caso! – andò ad aprile alla porta dove avevano appena bussato e fece entrare il cameriere che portava i caffè. Li dispose sul tavolo in messo alla stanza ed uscì cautamente cercando di non irritare ulteriormente l’agente.
    - Hotch devi calmarti anche tu. Ti ho fatto portare una tisana.
    - Al diavolo Rossi. Bevila tu la tisana!
    - Ehi, calmiamoci tutti! – intervenne Garcia che non riusciva a crede ai suoi occhi e alle sue orecchie e sperava vivamente esserci stato uno sbalzo di tensione che avesse scollegato internet per cui la scena appena vista fosse solo frutto della sua mente malata. – Emily è in pericolo e voi al posto che collaborare e restare uniti vi ammazzate? Amori miei basta!
    - Zia Penelope ha ragione. Scusa piccola – Morgan le mandò un bacino via schermo.
    - Ehi aspettate! – esclamò ad un tratto Garcia e tutti si girarono a guardarla. – E se la casa al mare fosse intestata a qualcun altro? Cioè, noi partiamo dal presupposto che la casa sia sua, ma se invece era intestata…che ne so… al fratello? Sempre che ne abbia uno, intesi!
    - Sei un genio piccola mia!
    - Potrebbe essere una soluzione. Magari ha venduto le case per via dei debiti oppure le ha donate perché la banca non gliele pignorasse.
    - Reid sono contenta che ogni tanto appoggi zia Penny. – sorrise e si mise immediatamente alla ricerca di qualcosa nel suo database privato in cui nessuno sarebbe riuscito a cavarci qualcosa.
     
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  3. Emily†
     
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    18. Lontano da me, lontano da tutto



    "Il dolore infierisce proprio là dove si accorge che non è sopportato con fermezza [...]. Poiché il ringhioso dolore ha meno forza di mordere l'uomo che lo irride e lo tratta con disprezzo."

    (William Shakespeare)




    Il taglio alla fronte aveva smesso di sanguinare ma, tutto attorno ad esso e all’occhio, vi era un ecchimosi violacee che le doleva al solo sfiorarla. Anche la guancia era piuttosto arrossata e coperta da un livido.
    Sospirò ripensando agli occhi luminosi di Hotch, poi sentì un vagito, si girò e vide la piccola Sarah che giocava con la sua copertina sdraiata sul letto.
    Erano in quella stanza ormai da giorni e Mark non si era più visto. Era sparito per chissà quale motivo e lei non aveva la minima idea di come poter uscire da quel luogo.
    La bambina sembrava felice e pareva non accorgersi di nulla. – Ehi piccola. Non dovresti fare la nanna? – le domandò come una mamma fa con la propria bambina. Le prese le manine e le baciò.
    La piccola emise un risolino felice e si rigirò sul letto.
    Ogni tanto un uomo dall’aspetto cordiale, dalla testa canuta ed in abito da cameriere portava loro da mangiare, poi se ne andava senza dire nulla. Emily immaginò potesse essere James.
    Si sentiva sperduta, spaesata in quel luogo tanto gelido.
    Non sapeva cosa fare.
    Non sapeva come avvisare Hotch che stava bene.
    Non sapeva come fare a fuggire.
    Quando la porta si aprì la bambina smise di ridere. Emily la prese velocemente in braccio e si ritrasse.
    - Allora, hai finito di fare la reticente?
    Lei non rispose, ma vide Mark entrare nella camera ed avvicinarsi a lei.
    Sarah iniziò a mugugnare e lamentarsi nascondendo il viso fra i capelli di Emily e stringendosi a lei come se fosse l’unica persona che potesse salvarla. Lei la dondolò fra le braccia tranquillizzandola, mentre continuava a guardare quell’uomo che la fissata.
    - Hai finito di spaventare la bambina? Lasciala andare.
    - È nostra figlia. – disse con una voce strana. – Non la vuoi più?
    - Tu sei malato! – gli urlò ritraendosi quando lui le prese il polso. – Perché hai ucciso quelle donne?
    - Perché? Beh… perché avevano ucciso i miei figli e sai… tu sei stata la prima. Sono potente, ricco. Credevi non venissi a sapere che hai ucciso mio figlio?!
    Lei gli strappò il polso dalla mano e si strinse a Sarah. – Vattene… - ringhiò fra le lacrime. Non poteva sentire quelle parole, non poteva sentirsi dire di avere ucciso suo figlio. Si, era vero aveva ucciso una vita, ma non voleva che nessuno lo dicesse fuorché lei altrimenti tutto ciò che aveva tenuto nascosto in quegli anni, tutto ciò che aveva tenuto nel suo cuore sarebbe divenuto realtà.
    Con uno strattone le prese la bambina dalle braccia e buttò lei a terra. Emily picchiò la testa contro lo spigolo della finestra rimanendo tramortita per qualche istante. La vista le si era offuscata ma riuscì a vedere Mark posare la bambina a terra poi avvicinarsi a lei.
    Si sentì intorpidita e faticava a muoversi. – Vuoi sapere perché le ho uccise? Per vendicarmi. Erano impure. – si chinò e la prese fra le braccia, la stese sul letto accanto alla bambina e si avvicinò ad un comodino che distava pochi centimetri dal letto.
    - Loro, mentre erano qui, chiedevano pietà. Non come te che continui ad odiarmi. Si solo lasciate fare tutto, mentre tu preferisci allontanarti da me. Sappi che io ti punirò per quello che hai fatto…
    Emily mosse la testa sentendo un tremendo ronzio nelle orecchie e sentendo la nausea che le salive alla gola. Non riusciva a parlare, ma lo vide aprire un cassetto ed estrarre qualcosa: una siringa.
    Non vide cosa fece, sentì soltanto la bambina strillare, e stomaco e testa dolerle. Lui le sbottonò la manica della camicia e scoprì il braccio.
    Bastò una piccola iniezione perché non sentisse più nulla.
     
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    19. Il tempo che ci rimane




    - L’ho trovata ragazzi! – Garcia comparve in tutto il suo splendore sullo schermo del PC di Hotch. Lui smise di bere il suo terzo caffè nel giro di un’ora e si scaraventò verso il portatile.
    Anche Morgan, Reid, JJ e Rossi fecero lo stesso con l’unica differenza che Spencer rischiò di inciampare fra i piedi di JJ e cadere rovinosamente a terra spaccandosi la mandibola. Fortunatamente Morgan aveva un’ottima agilità e lo prese avendo evitandogli una bella corsa al pronto soccorso: non era il caso in un momento simile aggiungere anche un infortunato.
    - Cos’hai trovato?
    - Caro Hotch, la tua perfetta ricercatrice ha trovato la fantastica villa al mare degli Anderson. Non è intestata a loro, bensì al marito della sorella di Mark. Angelica Anderson si è trasferita nel Connecticut assieme ai figli appena dopo la morte della madre. Non aveva buoni rapporti con il fratello e così l’ha lasciato appena saputo dei suoi numerosi debiti.
    - L’hai già contattata?
    - Ovviamente bellezza mia, si trova a Parigi per una ‘vacanza di piacere’ con la famiglia e mi è parsa particolarmente felice di aiutarci a trovare quell’’idiota’, come lo considera lei, del fratello.
    - Dove si trova la villa? – JJ prese in mano il cellulare pronta per chiamare la polizia di NY e mandarla sul luogo.
    - Poco distante Manhattan, forse un’ora, forse di più. Vi mando le coordinate sul satellitare dell’auto ed invio l’indirizzo alla polizia locale.
    - Perfetto! Grazie Penelope! – esclamò Hotch prendendo la pistola dal tavolo ed inserendola in bella vista dalla fondina. Prese il distintivo e lo mise nella tasca dei pantaloni. Sguardo severo, mascella contratta: perfetto assetto da guerra.
    Anche gli altri non erano da meno. Uscirono di corsa dalla stanza con uno scatto fulmineo.


    "La violenza è una dimostrazione di debolezza."

    (Alexandre Dumas)



    Non riusciva a muoversi. I muscoli erano contratti e le dolevano, la testa le girava e non riusciva a mettersi a sedere. La piccola Sarah era addormentata accanto a lei, respirava piano, quasi impercettibilmente e ciò la fece preoccupare: non era normale che dormisse.
    Il panico iniziò a prenderle il corpo dolente e cominciò a crogiolarsi nel timore che Mark le avesse iniettato qualcosa.
    Li vista non era completamente a posto, vedeva la stanza sfocata e la luce del sole che proveniva dalla finestra era come una lama tagliente. Tentò di muoversi senza riuscirci.
    Allungò il bracciò per sfiorare la bambina e dovette chiedere aiuto a tutte le sue energie per farlo. Le sfiorò la guancia sentendola ne calda ne fredda; le accarezzò la testa.
    Era tutto confuso. Strano.
    La percezione che aveva delle cose, dei suoi e delle luci era completamente diverso. Tutto le rimbombava, persino il battito del cuore le pareva tre volte più rapido e più forte.
    La testa era pesante e gli occhi le bruciavano. Non sapeva per quanto tempo avesse dormito, sapeva soltanto che doveva andarsene da lì o sarebbe certamente morta.
    - Sai, mi dispiace… - una voce le rimbombò nel capo come un martello. Non voltò il capo, non ce la fece, ma riconobbe l’inconfondibile voce del suo aguzzino. – Saresti stata un’ottima madre per Sarah, se solo fossi stata al gioco. Io ti ho amata e avrei potuto riamarti. Ma tu… - rise mentre si sedeva accanto a li e le accarezzava la pelle con la lama di un coltello. – Ma tu sei innamorata di un altro.
    - Anche le altre due erano innamorate di altri, ma a me non importava. Mi bastava tenerle qui, accanto a me. E tu eri brava… - iniziò a parlare confusamente come se fosse in preda ad un panico interiore. – Tu non mi vuoi come non mi voleva Angelica.
    Emily non si mosse, ascoltò la voce stridula e aspra dell’uomo. Non sapeva che potesse essere Angelica, certamente qualcuno a cui lui era legato.
    Le posò il coltello alla gola e premette, senza tagliarla – Ti piacerebbe morire così? Al fianco di una bambina? Sai, credevo che Sarah fosse più brava, invece piange sempre. Però con te era tranquilla. – le passò la punta della lama sulla guancia ed Emily chiuse gli occhi quando sentì la pelle tagliata.
    Una lacrima le scivolò sulla ferita facendola bruciare.
    - Oh, no. No. Non piangere. Fra poco raggiungerai nostro figlio.
    - MARK ANDERSON! – qualcuno urlò dal giardino della villa. Un urlo che echeggiò nella mente di Emily per qualche istante. – LA CASA È CIRCONDATA. ESCI SENZA OPPORRE RESITENZA!
    - Morgan… - sussurrò febbrilmente la ragazza. Senti la lama ferirle il fianco ed il dolore prenderle la testa. Poi chiuse gli occhi.
     
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    20. L’ultima vittima




    "La morte non è nulla per noi, giacché quando noi siamo, la morte non c'è, e quando c'è non siamo più."

    (Epicuro)




    La voce di Morgan risuonò confusa nella sua mente. Non era nemmeno certa se fosse davvero lui o se fosse un sogno utopistico, fatto sta che Mark parve scioccato dall’udire quella frase urlata a megafono.
    Si guardò più volto intorno, si mise le mani nei capelli e strinse con tutte le sue forze. – No. – lo sentì mormorare, quasi balbettare.
    Si avvicinò di corsa alla finestra. La spalancò ed un’ondata gelida avvolse la donna che iniziò a tremare sul letto mentre una striscia di sangue macchiava il copriletto.
    - Andate via! – lo sentì urlare.
    - Lasciali andare e non ti sarà fatto del male Mark Anderson! – questa era la voce di Hotch. Sì, Emily la riconobbe, era proprio lui, la sua voce.
    Socchiuse gli occhi sentendo un torpore generale imprigionarla, sentiva voci ovattate, immagini annebbiaste, riuscì a percepire qualche frammento di frase mentre la sua menta vagava chissà dove. Rivide il volto di una persona a lei cara: Matthew.
    Vestiva con la divisa scolastica e la salutava all’uscita della scuola. Le gridava che avrebbe voluto andare con John a prendere un gelato data la calura di quel pomeriggio di maggio e lei non riusciva a rispondergli. Si rivide ragazzina, solitaria e taciturna, che desideravo soltanto un po’ di attenzione.
    Tutto attorno a lei era velato dal tempo, come se i suoi ricordi non riuscissero ad essere più nitidi. Un istante dopo, il corpo di Matthew giaceva silenzioso ed inerte sul tavolo dell’obitorio, un groviglio di arti sciolti che non potevano più muoversi.
    Inconsciamente le lacrime le bagnarono il viso, il torpore l’aveva imprigionata, non riusciva più a distinguere il vero dal sogno e quando le mani caldi e forti di Morgan la strattonarono per cercare di riportarla alla realtà non volle risvegliarsi. Quel torpore era caldo, anche se davanti al suo viso si aprivano immagini di morte, di dolore e paura. La sua mente voleva dormire, ma il suo cuore avrebbe voluto gridare che voleva tornare a casa, che voleva rivedere il sorriso di Hotch ed essere di nuovo fra le sue braccia.
    Sbatté le palpebre mentre e la mano di Morgan le accarezzò la fronte. Con la coda dell’occhio riuscì a vedere di sfuggita JJ che prendeva in braccio Sarah mentre le gridava qualcosa.
    - Ehi piccola, svegliati… - Morgan la dondolò in preda al panico cercando di svegliarla da quello stato catatonico.
    - Un’ambulanza, presto!!! – la voce di Hotch era chiara e decisa come quella di un generale. Era furibondo ed avevano dovuto strapparlo a forza per evitare che ammazzasse di sberle e pugni il loro S.I. che era stato neutralizzato da una ferita d’arma da fuoco alla gamba.
    James, alla fine, aveva desistito e davanti a tanta follia aveva aperto le porte della casa ed aveva collaborato con li polizia e la BAU per strappare l’ultima vittima da morte certa.
    - non volevo… sono stato costretto… - ripeteva nel pianto. – Dovevo solo badare alle ragazze e dare da mangiare alla neonata. Null’altro.
    Ma Hotch, Reid e Rossi non lo ascoltarono e lo fecero portar via immediatamente dalle forze dell’ordine.
    Aaron prese il posto di Morgan non appena ebbe visto la donna che amava ormai aver perso conoscenza ed una venatura di terrore apparve nei suoi occhi.
    - È stata drogata. – esclamò Rossi sentendole le pulsazioni irregolari.
    - DOVE DIAVOLO È L’AMBULANZA!! – l’urlo di Hotch intimorì i presenti.
    Le sirene si udirono in lontananza.
    - Emily no… Emily svegliati… - le sussurrava fra le lacrime Aaron. – Non puoi lasciarmi anche tu… svegliati…
    Due paramedici corsero verso il team e dovettero spostare di forza Hotch dal corpo inerte e freddo di lei per portare sull’ambulanza la ragazza.
    Venne impedito a qualsiasi membro del team di salire sull’ambulanza, erano tutti troppo agitati e scossi.
    Solo a JJ fu concesso di accompagnare la bambina in ambulanza e, poi, attendere in sala d’attesa con gli altri ragazzi.


    "Gli uomini temono la morte come i bambini temono il buio”

    (Francis Bacon)




    - JJ! – esclamò Reid con la voce rotta dal pianto raggiungendo la ragazza che sostava in piedi davanti alla porta con il volto bagnato dalle lacrime e gli occhi arrossati.
    lei voltò il capo, guardo i colleghi poi tornò a fissare incantato le luci rosse della rianimazione che indicavano un’operazione in corso. Lampeggiava… rosso, bianco, rosso, bianco poi ancora rosso e bianco.
    Il silenzio la uccideva. Il ticchettio di un orologio era la sua unica compagnia assieme ad una croce di legno appesa al muro sopra la sua testa. Rimase mezzora immobile, fermo a fissare le piastrelle a scacchiera bianche e nere che gli facevano girare la testa.
    - Allora?
    - È… è in rianimazione… hanno detto che la droga che le hanno somministrato rischia di danneggiarle il cuore…
    In quel preciso istante, un’infermiera uscì di corsa dalla sala diretta chissà dove.
    – Ci sono novità??
    Tutti guardarono Hotch prendere per un braccio l’infermiera rimasta un po’ perplessa, quasi spaventata -Mi porti da lei!!
    - Hotch calmati! - Rossi lo stacco dalla donna rimasta scossa da quel comportamento.
    - Mi dispiace, la stanno ancora rianimando. Dovete restare qui.
     
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    21. Solo un sussurro




    “Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell'anima. E a chi piange, tutti gli angeli sono vicini.”

    (Hermann Hesse)



    Una singola gocciolina d’acqua salata trovò il proprio cammino lungo la sua guancia ed incominciò a perdersi nella incolta barba del suo collo, mentre sbatteva le palpebre, per eliminare le altre, che minacciavano di cadere. Alzò la mano sinistra, passandosela sul volto, per rimuovere le tracce della lacrima, prima di riportarla su quella di JJ, nel tentativo di farsi forza a vicenda.
    Ancora non riusciva a realizzare ciò che era accaduto e che stava accadendo alla donna che amava, gli parve uno brutto sogno, un incubo dal quale si sarebbe svegliato. Ma, dopo due ore gli occhi non gli aveva ancora riaperti. Tutto era vero. No!tutto era dolorosamente reale come la luna che in quel momento stava illuminando l’ospedale dove, seduti in una piccola sala d’attesa, aspettavano pazientemente il suo risveglio.
    - Sono certo che ce la farà! – esclamò Rossi sedendosi accanto a Hotch.
    JJ si soffiò il naso – Nessuno ha pensato a chiamare la madre di Emily e la famiglia di Sarah.
    - Ci ho pensato io a chiamare i Rose. Ma dicono di non poter venire…
    - Reid che dici?
    - Stanno partendo per Strasburgo. Un gala.
    - Wow, che bell’affetto povera piccola. – mormorò JJ. – La signora Prentiss non l’hai chiamata?
    - No.
    - Meglio avvisarla quando sarà fuori pericolo… - consigliò Rossi. – Così avviseremo anche Garcia, inutile farle agitare. Non servirebbe.
    Fu in quel momento che un medico vestito di tutto punto con un camice bianco si avvicinò loro. – Siete qui per l’agente Prentiss?
    Aaron si alzò di scatto – Sì. Come sta?
    - È fuori pericolo, ma per questa notte vorrei rimanesse sotto monitoraggio in rianimazione. La commozione celebrale è ciò che ci ha preoccupato di più, fortunatamente dalla risonanza abbiamo visto che non è estesa e si riassorbirà da sola. Deve solo riposare.
    - Possiamo vederla?
    Lui scosse il capo. – Tutti no. Uno soltanto. La vostra collega è sotto sedativi e sta riposando, pregherei di lasciarla riposare.
    - La prego, posso vederla?
    - Sarei obbligato a dirvi di no… ma… - il medico osservò Hotch negli occhi vedendo la sofferenza che stava provando in quel momento. – d’accordo, però soltanto lei. Voi dovrete aspettare qui.
    Annuirono tutti, Hotch lasciò il cellulare a Rossi e seguì il medico verso la camera di Emily in fondo alla corsia di rianimazione.
    - Vada pure…- gli disse medico posandogli una mano sulla spalla.
    Era una camera singola con la finestra che dava sul giardino fiorito ed immenso del parco della clinica. La camera era chiara, accogliente e silenziosa. Lei era sdraiata su quel letto, quel letto bianco che gli riportava alla mente brutti ricordi. Le si avvicinò. I capelli castani erano scompigliati e sparsi sul cuscino, i sui occhi del colore del legno erano chiusi. Una mascherina per l’ossigeno le coprivano il naso e la bocca. Pareva serena e tranquilla.
    Era coperta dal lenzuolo bianco ed azzurro, aveva visibile solo le braccia nude macchiate qua e là da ecchimosi violacee, una stesa lungo il corpo dove le era stata messa la flebo, l’altro braccio era posato delicatamente sul suo ventre… aveva una carnagione candida.
    Le accarezzò dolcemente il viso che portava qualche livido e taglio in contrasto con la sua pelle pallida.
    Era calda come diceva il medico, i monitor figuravano 39.3 di temperatura. Era alta. Si chinò su di lei facendo attenzione a non svegliarla, ma probabilmente non ci sarebbe riuscito nemmeno volendo dato che era sotto anestetici.
    Così le baciò teneramente la fronte scostandole i capelli neri che si erano appiccicati al viso.
    - Ti amo - una lacrima gli scivolò lungo la guancia ispida – Emily… - fu un unico e solo sussurro.
    Uscì dalla camera d’ospedale con lentezza, come se non volesse lasciarla, quando si decide a chiudere la porta fissò Rossi e gli altri del Team.
    - Dorme. Sembra serena. – disse con un sorriso. Il primo sorriso che i colleghi gli vedevano da tempo.
    - Abbiamo saputo che anche la bambina è stata drogata. Però i medici sono pessimisti, non sanno se ce la farà… - disse JJ a malincuore.
    - Quel bastardo marcirà in cella.

     
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  7. Emily†
     
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    SPOILER (click to view)
    Ultimo capitolo!!!



    22. Insieme




    "Non si vede bene che col cuore, l'essenziale è invisibile agli occhi."

    (Antoine De Saint-Exupéry)



    Finalmente era uscito il sole.
    Un sole leggero, tenue ma che riusciva a riscaldare ciò che sfiorava con i suoi raggi.
    Era una giornata serena, luminosa, strano per una mattina di dicembre.
    Il Natale era alle porte ed Hotch si chiedeva, seduto su una sedia tenendo la mano di Emily, se quel Natale l’avrebbero potuto passare assieme. Chissà Jack come sarebbe stato contento.
    - Hotch… - sentì mormorare con un esile voce.
    Lui alzò il viso. Sorrise mentre reprimeva lacrime di gioia. Si alzò e si avvicinò ancora di più alla donna che amava. – Ti sei vegliata…
    - Dove sono? – chiese confusa.
    - Sei in ospedale. Mark è stato arrestato e sconterà la sua pena in carcere.
    - E Sarah?
    - Sarah si è svegliata poco fa. I medici sono finalmente ottimisti. Però…
    Emily cercò di mettersi e sedere, ma lui la obbligò a restare ferma. – Però…?
    - Però i suoi nonni non ne vogliono sapere di lei. Andrà in adozione…
    Prentiss sospirò aspramente. Chiuse gli occhi e ricordò il volte sereno della bambina mentre giocavano assieme in quel luogo terribile. – Hotch… - disse ad un tratto guardandola negli occhi.
    - Che cosa c’è?
    - E se mene occupassi io? Infondo ho una casa grande, soldi e non sarebbe un problema badare a lei.
    - Emily…
    - Si, lo so. Non dovrei affezionarmi così, ma questa volta diverso. Sono stata con quella bambina per giorni ed ho imparato a conoscerla. – sorrise. – Dove credi la porteranno? In un orfanotrofio? In un istituto dove verrà sballottata in giro per anni prima che trovi una famiglia? Posso occuparmi di lei anche se…
    - Ssth. – la zittì lui. – Emily, io volevo solo dirti che è una bellissima idea.
    Il viso della donna si illuminò. – Non stai scherzando?
    - Mi hai mai visto scherzare?
    - Effettivamente no. Mai.
    - Il medico dice che puoi viaggiare, ma non vuole assolutamente che tu rimanga sola. Verrai da me per qualche giorno e ci occuperemo dell’affido di Sarah.
    - No, tu stai scherzando!
    - Emily, io non scherzo mai. Io ti amo. E voglio restare con te per sempre. Non voglio più rischiare di perderti.
    A fatica si mise a sedere e lo abbracciò con tutta la forza che aveva in lei. – Ti amo anch’io.
    Era una giornata luminosa, serena.
    Il sole illuminava il viso di entrambi ed un sorriso caldo e sincero si disegnò sui loro volti.


    "Il tuo cuore è un gabbiano che vola libero nei cieli della vita. Lascialo andare senza paura ti saprà condurre alla felicità."

    (Sergio Bambarèn)





    SPOILER (click to view)
    Ringrazio tutte le persone che hanno seguito, letto e commentato la mia FF!!!
    Spero vi sia piaciuta!
     
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