Ritorno Alla Vita

Emily†

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  1. Emily†
     
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    Capitolo 14

    Ore 9.50 pm, 19 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - Nate…- la voce di Alex risuonò nella stanza buia. Lui non rispose.
    Rimase in silenzio sdraiato sul letto abbracciando il cuscino. Piangeva come un bambino a cui avevano rubato un cucciolo.
    Lei entrò nella camera e si sedette sul bordo del letto accanto a lui posandogli una mano sul fianco – Ehi…
    - Non ho potuto dirle addio… non le ho dato un bacio… - mugugnò fra le lacrime senza guardarla, ma tenendo la testa sprofondata nel cuscino.
    Era chiuso in quella camera da ore, da quando era venuto a conoscenza della morte della madre, tra l’altro nel peggiore dei modi. Avrebbe preferito che sentirlo dalla voce di Alex, lei sarebbe stata sicuramente più dolce e materna nell’avvisarlo di una tragedia simile ed, invece, aveva conosciuto l’inevitabile dal tono e gergo militaresco del Generale Backman. – Sono spiacente di informarvi che la signora Louis Hope è deceduta a seguito di una ferita d’arma da fuoco. I funerali saranno celebrati domani in via privata. – così venne a sapere della scomparsa di sua madre, la donna che l’aveva cresciuto per tre anni. Il mondo gli era caduto addosso ed era andato in frantumi come una sfera di cristallo.
    - Lo so… - Alex gli accarezzò i capelli, proprio come l’uomo che amava faceva con lei quando si sentiva sola. – Mi dispiace, Nate… non ho potuto salvarla questa volta… - si senti preda dei sensi di colpa. Prima della loro partenza, aveva promesso al ragazzo che Louis sarebbe stata bene ed, invece, così non era stato. Lui, d'altronde, non l’aveva accusata e probabilmente non pensava nemmeno che lei potesse sentirsi in qualche modo responsabile. Nonostante questo, la mente di Alex era troppo scossa e stressata per poter essere libera da rimorsi e pensieri.
    - Non è colpa tua… è stato l’uomo che dice di essere mio padre, vero?
    - Crediamo di si, ma non ci sono prove per ora… - annuì ed il ragazzo, rapidamente, scattò verso di lei abbracciandola forte e sprofondando il suo viso bagnato di lacrime nel petto della donna. Lei non lo spostò, lo lasciò fare e lo strinse forte a se, come una madre fa col proprio bambino. – Mi dispiace tanto…
    - Lui vuole me! Perché se la prende con chi non centra? Perché la uccisa!?
    - Neta, tuo padre ti sta cercando e…
    - ..Che mi venga a prendere allora! Sono qui! Qui che lo aspetto! Ma non si aspetti che gli correrò incontro a braccia aperte!! Lo desto, lo odio, lo odio, lo odio!! – urlò guardando la donna negli occhi e continuando a stringerla.
    Lei fece un sorriso malinconico e gli spostò i ciuffi biondi e ribelli da davanti al viso – Tua madre ha dato la vita per te. Lo rifarebbe altre cento volte se servisse per salvarti la vita. Se tu ora ti esponi, avrà dato la sua vita inutilmente…
    Lui non rispose ed abbassò lo sguardo sul tatuaggio di Alex: un quadrifoglio nero inciso sulla carne.
    - Te l’ha fatto lui? Ricordo che ne aveva uno simile al polso…
    - Lo ricordi? – esclamò sorpresa.
    - L’unica cosa che ricordo di lui.
    Mesta rivisse quell’esperienza di tre mesi prima, quando era rimasta prigioniera di Doyle in quell’edificio abbandonato dove, anni addietro, aveva fatto fingere a Nate di morire. – Si, l’ultima volta che lo vidi; prima che scappasse.
    - Sarebbe bello, se non l’avesse anche lui.
    - Già – sussurrò - Nate… - gli prese le mani – Fosse l’ultima cosa che faccio, ti salverò…
    - Mi hai già salvato una volta. Lo ricordo bene anche se ero un bambino. Mi chiamavo Declan e tu Lauren. Lauren Reynold. Ho nostalgia di quella donna…
    - Perché? – si chiese dopo quella frase inaspettata.
    - Quella donna rideva sempre. Era felice, sorrideva… tu non sorridi mai, Alex. Hai così tanti pensieri tristi nella mente?
    Lei socchiuse gli occhi. – È tutto diverso da allora, Nate. Allora, ti feci fuggire, ma adesso ho intenzione di liberarti per permetterti di vivere la tua vita.
    - Qual è il tuo vero nome?
    Scosse il capo facendo muovere i capelli lisci – Non posso dirtelo…
    - Perché?
    - Perché il mondo delle spie è complesso, Nate. Non mi è possibile rivelare qualcosa di me stessa…
    - Un giorno, quando tutto questo sarà finito, me lo dirai? Una donna così bella deve portare un nome altrettanto bello…
    Non rispose, si limitò ad accarezzargli la testa e baciargliela.
    - Cosa farò…- la guardò in viso così Alex poté vedere l’azzurro immenso degli occhi del ragazzo - … una volta finito tutto?
    - Verrai affidato ad una famiglia, probabilmente…
    - Non potrei restare con te e Clyde?
    Alexandra si meravigliò di quella strana richiesta. Non avevano una vita tranquilla che potesse piacere ad un ragazzo di sedici anni. – Siamo spie, non abbiamo famiglia…
    - Mi addestrerete. Sarò anche io una spia come voi!
    - Toglitelo dalla testa, Nate. – questa volta si fece molto più seria. – non è un gioco. Si muore facendo le spie.
    - Si muore anche andando al lavoro… - fece notare il giovane.
    Alex sospirò: non aveva tutti i torti. Si mise in piedi – Vedremo non appena Doyle sarà fuori gioco. Adesso cerca di dormire, ne hai bisogno, lei lo vorrebbe.
    Lasciò il ragazzo solo ed uscì dalla camera trovandosi Karinna dinanzi appoggiata al muro. Chiuse la porta e le fece cenno di seguirla.
    - Abbiamo le prove. – disse la rossa dietro Alex. – Hanno trovato un quadrifoglio vicino ai corpi dei nostri uomini.
    - Come immaginavo. La Backman?
    - È furente.
    - Ovvio. Ora sappiamo che Doyle era in Italia e ci sta cercando. Sarà venuto a sapere di certo che il ragazzo è sotto custodia della CIA e della Sicurezza Nazionale.
    - La polizia italiana sta già collaborando con i nostri agenti… crediamo che sia diretto a Washington per raggiungere gli ultimi anziani.
    Entrarono in cucina. Karinna si sedette sulla sedia ed Alex andò a preparare il caffé.
    - Dobbiamo stare attento. L’FBI è sulle tracce degli scomparsi.
    - Tu li consoci. Potrebbe venire a conoscenza che centra la CIA?
    La bruna annuì. – Sono bravi e se li conosco bene lo capiranno presto.
    - Sarebbe un problema?
    - Non lo so. Di certo devono restare fuori dal caso, non posso permettere che rincontrino Doyle. – mise la moca nella caffettiera italiana ed accese il fornello con gesti rapidi, piuttosto nervosi. – I nostri tre Anziani?
    - Non parlano nemmeno sotto tortura.
    - Il trafficante?
    - Non potrà camminare per parecchio, ma credono che parlerà presto. Non è forte come pensava. – sei nervosa? – aggiunse quando vide l’amica posare con un gesto violento le tazzine sul tavolo e versare il caffé bollente.
    - No.
    - A no?
    - Sono incazzata, Karinna ed anche tanto – scaraventò la caffettiera dentro il lavello e corrugò la fronte. – Dobbiamo arrivare a Valhalla prima che la mia squadra… l’FBI – si corresse – lo trovi per primo.
    - Sei pronta ad uccider, vedo.
    - No, di più. Non vedo l’ora di godere della sua morte. Sean, Tsia, Louis… ha passato il segno. Deve solo provare a torcere un capello a Declan.
    - Ci crede morte.
    - Per questo sarà meraviglioso veder la sua faccia quando ci troverà davanti con le pistole puntategli contro.
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 15

    20 giugno 2011
    Hotel, Los Angeles, California




    Erano tutti seduti al bar dell’hotel quando una telefonata ruppe la loro partita a poker. Reid prese il suo palmare e guardò il mittente: era Ronnie.
    Ciccò per rispondere – Sei in vivavoce, Ronnie.
    - Perfetto, la mia voce è udibile a tutto il mondo?
    - Se intendi il mondo dell’FBI, certo bambolina!
    - Cos’hai scoperto? – volle sapere Hotch posando le carte sul tavolo.
    - Purtroppo cose non belle. Vi dice nulla JTF-12?
    Tutti si scambiarono uno sguardo pieno di ricordi e consapevolezza. – Squadra organizzata per l’operazione Valhalla. – rispose Hotch che parve essere l’unico abbastanza cosciente per poter parlare.
    - I miei amici dell’Interpol mi hanno detto che Ásgarðr faceva parte dell’operazione. Era uno dei trafficanti che lavorava per Doyle.
    - Scherzi, vero? – urlò Morgan – Ci stai dicendo che tutto questo è stato fatto da quel bastardo??
    - Mi dispiace, Derek. Purtroppo tutti i nomi che mi avete dato sono inseriti nei database della agenzie mondiali più importanti per traffico di armi. Sono ricercati in tutto il mondo, ma nessuno conosceva la vera identità di Ásgarðr. Era stato visto a Londra l’ultima volta, ma poi aveva fatto perdere le sue tracce. – spiegò Ronnie a telefono. – Non hanno saputo darmi altre informazioni in quanto la JTF-12 non può più essere riformata perché tutti membri… - fece una pausa – sono morti… - la sua voce era rigata di malinconia, come del resto i visi di tutto il team.
    - Sai dirci altro?
    - No, Hotch. Mi ha parlato della JTF-12, ma purtroppo erano agenti di diverse agenzie che collaboravano. Il mio amico non faceva parte della squadra, per cui le informazioni che è riuscito ad ottenere non sono molte.
    - Grazie mille, Ronnie. Sei stata fondamentale.
    - Figuratevi, scusate se non ho potuto fare di meglio…
    Garcia aveva abbassato lo sguardo e le era ritornata in mente la telefonata con JJ. continuava a fare un sogno, sempre lo stesso. In quel sogno Emily era viva, non morta come tutti credevano e Penelope continuava ad avere la sensazione che lei fosse vicino a loro con lo spirito e col corpo.
    Non aveva detto nulla a nessuno. Vedeva i suoi colleghi smarriti e turbati da tutti la vicenda, dalla comparsa di Doyle e da quello che era accaduto al bar. Non voleva infierire ulteriormente.
    Però non poteva nemmeno lasciar correre tutto come se nulla fosse: ne era certa. Quella donna a Santa Monica era troppo simile a Emily per non essere lei.
    Vide Reid immerso nei suoi pensieri. Era certa che stesse pensando ad Emily.
    - Ragazzi, so che è difficile – prese la parola Rossi – ma lei non vorrei vederci così. Se davvero Doyle è invischiato in tutto questo, beh, rimbocchiamoci le maniche e distruggiamolo!
    - Sono d’accordo. – Disse Ronnie dall’altro capo del telefono. – Ragazzi abbiamo la possibilità di vendicarla! Prometto che cercherò di fare indagare il mio amico anche sugli altri tre scomparsi, potrebbero centrare qualcosa anche loro con lui. Saremmo a cavallo.
    - Per nulla. – borbottò Morgan – Vi ricordo che non sappiamo dov’è. – Lui era quello più arrabbiato di tutto il team per la scomparsa di Emily, ma cercava di non farlo vedere.
    - Carl, il mio amico dell’Interpol potrebbe fare qualche ricerca. Se Doyle è ancora in circolazione sicuramente avrà alle calcagna M16, la CIA e la Sicurezza Nazionale, soprattutto se si trova su suolo Americano.
    - Se davvero è così, Ronnie. Non dovrebbe lasciare spazio a loro. Non possiamo competere con una CIA o una Sicurezza Nazionale.
    - Potremmo collaborare. – propose Reid.
    - Negativo. – Hotch fu categorico. Tutti lo guardarono senza parole. – Cameron, inizia ad indagare. Ci sentiamo più tardi. – detto ciò si alzò e salì in camera da letto abbandonando i suoi amici che rimasero a bocca aperta vedendo la sua reazione più strana del solito.
    Si avvicinò alla sua ventiquattrore ed estrasse la cornice dove era ritratto il team BAU ed accarezzò il viso colorito di Emily. Sorrideva. Erano tutti assieme sul jet, c’era ancora JJ assieme a loro.
    - Ti aspetterò… - ripeté fra se e se in un sussurro.

    - Ti aspetterò… - disse guardando Emily sdraiata sul letto.

    - Cosa? – lei lo guardò.

    - Ti aspetterò – ripeté – Aspetterò Emily Prentiss ritornare con il suo sorriso alla BAU.

    - Ci vorrà tempo.

    - Ho tempo. Ti aspetterò. Sempre. – si chinò per baciarla.


    - Devo farcela, Em. – disse a bassa voce. – Ma tu sei lontana. Mi manchi. Mi manchi incredibilmente tanto.

     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 16

    21 giugno 2011
    Maldives, Oceania




    - Irina Kornikova non ha mai lasciato la Russia. È una delegata che lavora prettamente con la Germania, mai in America, Leane. – la voce di un uomo si udì dall’altro capo della cornetta. Ronnie era seduta sulla balconata della sua camera che si affacciava sull’oceano sconfinato, era in costume da bagno e stava prendendo il sole sdraiata sul lettino. – Nemmeno Veruna Ulijanov. Mentre Vladimir Ivanovich e Zaccarij Aleksandrovich sono tornati in Russia senza ricordare quanto era accaduto al convegno.
    - Pensi che siano stati drogati? – sorseggiò un Metropolitan dall’indistinguibile color rosato.
    L’uomo dall’altro capo della cornetta era Carl Swimitz, ex collega di Ronnie all’Interpol – Credo proprio di si. Non ho potuto indagare molto dato che non ci occupiamo noi di questo caso, quindi non ho il permesso di fare troppe domande. – Ronnie lo sentì sorridere. – Dopotutto, in qualità di agente ho vari amici in giro per il mondo, anche in Russia.
    - Quindi tu credi che i nostri S.I. abbiano preso l’identità dei quattro delegati per introdursi alla convention e prelevare i nostri uomini…
    - Esattamente, agente Leane.
    - Non avete informazioni su organizzazioni criminali con le peculiarità dei nostri S.I.?
    - Oh, cara. Nel mondo esistono centinaia di organizzazioni con le loro caratteristiche. Ognuna di loro è schedata nei nostri database, ma è impensabile controllarle tutte per un singolo caso che, tra l’altro, non è di nostra competenza.
    - E tu non puoi tentare? – provò ad insistere la ragazza mentre si spruzzava un po’ d’acqua sulle gambe nude.
    Rise con la sua voce roca e mascolina. – Purtroppo no. I database sono protetti da password e badge, solo i tecnici informatici dell’Interpol possono accedervi.
    - Dannazione. Per cui… - proseguì – non riesci a scoprire altro?
    - Su un’organizzazione che rapisce trafficante e, più che sicuramente, li assassina? – rise nuovamente, questa volta divertito – L’Interpol darebbe una medaglia ai vostri S.I.!
    - È il nostro lavoro scovare i criminali.
    - Anche il nostro e lo sai bene… anche se sei fuori dal giro da diverso tempo.
    - conosco i metodi dell’Interpol, per nulla umani.
    - Quella è la CIA.
    - Colpita ed affondata. Hai vinto questa volta. Ora torno al mio cocktail ed alla mia abbronzatura.
    - Hai tutto il mio disprezzo, Leane. – riagganciò e Ronnie posò il cellulare sul tavolino accanto al lettino.
    Rimase per qualche istante a guardare il mare, poi si levò gli occhiali da sole e si alzò rientrando nella sua camera d’albergo. Avrebbe dovuto informare subito la squadra, ma pensò che se avessero aspettato qualche minuto in più non sarebbe successo nulla.
    Si sedette sul letto e guardò in alto il soffitto. Sbuffò. Avrebbe dovuto prendere un aereo e partire per Los Angeles, ma questo voleva dire addio alla sua vacanza non rimborsabile alle Maldives. Quando le sarebbe potuto ricapitare?
    Scosse il capo. Raggiunse nuovamente il cellulare e telefonò a Garcia.



    21 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    La notizia giunse come una doccia fredda per tutto il team.
    - Andiamo ad interrogare la Myers, magari riesce a farci un identikit. – propose Rossi dopo aver ascoltato attentamente il riassunto di Garcia.
    Lui ed Hotch si recarono nuovamente alla struttura dov’era stata tenuta la convention e lì, trovarono la donna seduta alla recepitone. Portava i capelli legati questa volta ed indossava un vestito blu.
    Hotch e Rossi mostrarono i distintivi – Dobbiamo parlare con lei, signorina.
    - Che cos’ho fatto, agente? – chiese preoccupata.
    - Lei nulla, ma abbiamo bisogno della sua testa per qualche minuto. Possiamo parlare in privato?
    - L’edificio è chiuso al pubblico. Qui andrà benissimo… accomodateli. – indicò loro due sedie accanto a lei che vennero raggiunte subito dai due agenti.
    Hotch posò i gomiti sulle ginocchia e si concentrò sullo sguardo della donna – Abbiamo bisogno di sapere se ricorda due donne: Veruna Ulijanov e Irina Kornikova. Entrambe ci ha detto essere state alla convention…
    - Si, esattamente.
    - Ricorda i loro volti?
    La signorina Myers rifletté per qualche istante ritornando alla sera della convention. – Io… non so. Non so se ricordo i loro volti. Erano… giovani… due belle donne.
    - Com’erano…? – chiese delicatamente Rossi avvicinandosi più a lei e posandole una mano sulla gamba.
    - Irina Kornikova aveva i capelli rossi – chiuse gli occhi – era snella, gli occhi azzurri. Veruna Ulijanov, invece, portava i capelli legati in una coda. Lo ricordo bene perché mi ha affascinato il suo sguardo freddo e gelido. Nonostante questo i suoi occhi non lasciavano trapelare nulla, come se non avesse passato. Aveva i capelli castani e gli occhi azzurri.
    - Riuscirebbe a ripete quanto ci ha detto ad un poliziotto per un identikit?
    Scosse il capo. – Ricordo molto bene la donna bruna, ma non saprei descriverla per farne un ritratto. Non sono per nulla brava in questo genere di cose. Però… - alzò gli occhi pensando.
    - Però?
    - Agente Hotchner… con quelle due donne c’erano anche degli uomini.
    - Vladimir Ivanovich e Zaccarij Aleksandrovich?
    - Credi di si. Come vi avevo già detto, era la prima volta che li vedevo.
    Rossi ed Hotch si osservarono. – Abbiamo saputo di una sparatoria.
    - Oh, si. I poliziotti hanno trovato una pallottola conficcata in un muro. – rispose sconsolata – Però quella sera non si sono sentiti rumori di spari.
    - Potrebbero aver usato il silenziatore. La zona in cui hanno sparato era lontana dalla sala del discorso di Arthur?
    Annuì. – Abbastanza. Era al piano di sotto, vicino ai bagno di servizio.
    - Come se volessero fuggire… - mormorò Rossi a Hotch.
    - Chi? – chiese curiosa e perplessa la donna.
    - Non possiamo dirle nulla. Alla fine della convention ha rivisto i delegati russi?
    - Tutti hanno consegnato i moduli di gradimento tranne loro.
    - Abbiamo gli S.I.
     
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    Capitolo 17

    22 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - Abbiamo una traccia. – Clyde entrò nella camera di Alex all’alba, tirò le tende e lasciò proiettare un fastidioso raggio di sole in pieno volto della donna.
    - Clyde!! – si lamentò lei che, la sera precedente, aveva fatto parecchio tardi per una missione a Burbank. – chiudi le tende! – prese il cuscino e lo premette sopra la testa per allontanare la luce molesta che le feriva il viso.
    - Avanti! Ho il giornale di oggi.
    - Sai quanto me ne frega, dillo a Karinna, poi mi aggiornerete!
    - Karinna è uscita con James per una missione, un auto della CIA è venuta a prelevarli, devono uccidere un leader politico prima che faccia scoppiare una rivoluzione. Sto già preparando lo champagne per festeggiare la dipartita di quel comunista.
    - Fammi indovinare… Malawi?
    - Esatto. – si sedette accanto a lei togliendole il cuscino dalla testa ricevendo in cambio un mugugno sommesso. Lei prese le lenzuola e se le tirò sopra la testa.
    - Sbaglio o avresti dovuto pensarci tu due anni fa? Toglierlo di mezzo, dico.
    - Ehm, si può darsi…
    - E per tre volta non hai portato a termina la missione… - mormorò mettendosi a sedere stropicciandosi gli occhi.
    - Ehm… - lui voltò lo sguardo per evitare il discorso.
    - Touché. Avevi detto di avere un curriculum perfetto, Clyde.
    - …
    - Imbarazzato?
    Lui, come prima, non rispose alla provocazione e cambiò discorso. – Leggi le notizie, piuttosto che prendermi in giro! – le lanciò il giornale addosso.
    Lei sbuffò e lo prese in mano – Cosa c’è?! – sbraitò, ma quando le cadde l’occhio sugli annunci in fondo al giornale cambiò espressione. - 220611942altadenaVH24 – lesse in un sussurro.
    - Lo riconosci?
    - Riconosco questo codice. – disse soltanto alzandosi dal letto. Buttò il giornale per terra e indossò una vestaglia per coprirsi dato che indossava soltanto una mogliettina ed un paio di slip celesti.
    La vestaglia era corta, ma bastava per coprirla fino alle natiche. Mise la ciabatte e si diresse in cucina fra uno sbadiglio e l’altro.
    Vide Nate seduto in giardino a prendere il sole mentre leggeva un fumetto – Hai messo la crema? – gli domandò dalla finestra aperta della cucina.
    - Non iniziare a fare la mamma apprensiva. – ribatté con un sorriso, il primo dopo giorni. – Comunque sì, l’ho messa.
    Alex accese il fuoco per scaldare una tazza di latte e si girò per guardare Clyde che l’aveva seguita – Il Generale è già stato avvisato?
    Assentì. – Questa mattina all’alba.
    Lei non disse altro, guardo fuori dalla finestra il ragazzino che continuava a leggere il giornaletto.
    Stava sfogliando il manga di dragon ball, da quello che poteva vedere. Era piuttosto sereno quel mattino e probabilmente si sentiva meglio rispetto agli altri giorni, nonostante fosse passato poco dalla scomparsa di Louis.
    Aveva pianto molto, per due giorni di fila, senza mai smettere e, di certo, sentiva ancora quel dolore dentro al petto, ma non riusciva ad esprimerlo. Rimase seduto sulla sedia per un’oretta, quando una ragazza lo attirò con la sua voce allegra alla staccionata della casa accanto.
    - Ehi, ciao! – salutò con un gesto ampio della mano. Era una ragazzina di quattordici anni. Aveva i capelli neri corti, tagliati in un carré fresco, indossava un paio di short che si intravedevano dai pali della staccionata ed un top giallo canarino.
    Nate si alzò dopo aver lanciato uno sguardo ad Alex ed averla vista parlottare con Clyde, certamente di qualche nuova missione. Si avvicinò alla bambina – Ciao.
    - Mi chiamo Allie e tu?
    - Nate. Piacere.
    - Sei nuovo?
    Annuì.
    - Quando sei arrivato?
    - Una settimana fa.
    - Vi siete trasferiti da dove?
    Lui tentennò un istante, poi rispose come gli era stato insegnato da Alexandra – Florida. La filiale di papà è stata spostata. – parlarono per un po’ e Nate parve dimenticare tutto l’orrore e la falsità che lo circondava.
     
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  5. Emily†
     
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    Capitolo 18

    22 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - Quando lavoravo sotto copertura come Lauren Reynold – spiegò – era difficile scambiare messaggi con i trafficanti. I metodi convenzionali erano piuttosto pericolosi per via delle intercettazioni, quindi avevo elaborato un modo per comunicare con i membri dell’organizzazione di Doyle.
    Karinna si legò i capelli rossi e posò un braccio sulla spalla di James che osservò Clyde ed Alexandra piuttosto incuriosito.
    L’atmosfera alla base era piuttosto silenziosa, l’unico rumore che si sentiva era la sigla di Buffy che stavano dando alla tv e che Nate, da fan accanito, stava guardando seduto sul divano con tanto di pop-corn al seguito.
    - Così ho elaborato un modo semplice che tutti gli interessati avrebbero potuto capire: 220611942altadena/VH24 – lesse dal giornale ad alta voce – Le prime sei cifre sono la data: 22/06/11. Oggi. Le altre tre cifre indicano l’ora: 9.42; dopodichè è indicata la città e VH. VH sta per Valhalla, era l’abbreviazione del suo nome quando firmava i contratti con i suoi trafficanti. 24 è il codice di riconoscimento dei trafficanti, ognuno ha il suo.
    - Faceva anche autografi?
    - Nel mondo dei trafficanti non si scherza, James. Chi fa un torto la paga con la vita e se sei fortunato uccidono solo te, altrimenti prima fanno fuori tutta la tua famiglia… sempre che tu ne abbia.
    - Doyle mi piace sempre di più – ironizzò Karinna. – Sappiamo qualcosa per l’operazione di questa sera?
    - Negativo. Non dobbiamo intervenire. – disse Alex.
    - Nessuna? – meravigliata e quasi sconcertata la rossa corrugò la fronte – Abbiamo la possibilità di prenderlo e non facciamo nulla?
    - Non c’è abbastanza tempo per organizzare una squadra, né abbiamo abbastanza informazioni per agire al meglio. Si farà risentire.
    - Tu credi, Coburn? E se non lo facesse?
    - Lo farà James. Questo codice veniva utilizzato per organizzare incontri e non per il traffico d’armi. 24 è basso come numero, ricordo che fino al codice 41 venivano indicati i suoi informatori, dal 42 in poi i trafficanti.
    - Vi siete ben organizzati, vedo. Chi è questo 24? – Clyde incrociò le braccia sul tavolo e la osservò con spavalderia.
    - Non ne ho idea. Di sicuro dopo che Doyle è tornato dalla Corea ha modificato i codici dei suoi informatori. Prima era Craig Bhartolik, un tedesco.
    - Non è stato arrestato?
    - Infatti, Karinna.
    - Per cui ci stai dicendo che il Generale non vuole che entriamo in azione?
    - Esatto – Clyde passò dei fogli ai compagni – Questi sono i nomi dei trafficanti che Ásgarðr ha fatto. Sono solo quattro, ma meglio che nulla per il momento. Ne riconosci qualcuno, Alex?
    La donna prese fra le mani il foglio e lesse velocemente i quattro nomi. Scosse il capo. Non ne ricordava nessuno. – Fuori dalla Corea, Doyle si è riarmato. Ha conoscenti ed alleati in tutto il mondo, non sarà facile trovare il suo nascondiglio. Dobbiamo attirarlo in una trappola.
    - Ho un’idea! – allegramente Karinna alzò la mano destra. – Tu sapresti usare questo codice, Alexandra?
    - L’ho ideato io…
    - E se lo utilizzassimo? Conosci il codice con cui viene chiamato Doyle?
    Alex rifletté velocemente su quanto l’amica aveva appena detto. Non ricordava che qualcuno avesse mai contattato Doyle, ma di certo c’era un modo piuttosto efficace per fare in modo che lui uscisse allo scoperto. – Lasciatemi pensare. Domani vi aggiornerò. Per il momento dobbiamo tenere all’oscuro Nate di quanto sta accadendo.
    - Non deve sapere che il padre è arrivato in America. – stranamente Easter parve piuttosto comprensivo nei confronti del ragazzino. – Non sono cose che devono interessargli, dobbiamo proteggerlo non mandarlo in pasto ai lupi.
    - Se è qui a L.A. allora ha contattato un informatore per scoprire dove si trova sua figlio. Fino a nuovo ordine non dovrà lasciare questa casa. Ne lui, né te Karinna. Sei stata una dei suoi complici assieme a me, sa chi sei adesso e ti ucciderebbe se scoprisse che sei ancora viva.
    - Vale lo stesso per te, mia cara Coburn. – fece notare James con una risolino sommesso.
    - Non vi preoccupare per me, so badare a me stessa. Dobbiamo cercare di sviare le indagini dell’FBI.
    - Secondo me dovremmo lasciarli fare. – disse la sua James guardando Clyde. – Che male fanno? Tanto noi siamo venti passi avanti a loro. Anche se dovessero scoprire che i quattro uomini scomparsi sono stati prelevati dalla CIA, cosa potrebbero fare?
    - È vero. Ma sarebbero ugualmente in pericolo. Avranno capito che centra Doyle.
    - Si, è vero Clyde, ma devi renderti conto che non possiamo badare anche a loro. Sono una squadra abbastanza intelligente per capire quando fermarsi, appena sapranno che centriamo noi della CIA e della Sicurezza Nazionale metteranno freno alle loro indagini.
    - Non lo faranno. – intervenne Alex mettendo le braccia conserte davanti al petto. – Appena sapranno, sperando che non l’abbiano già scoperto, che Doyle centra con questa scomparse faranno di tutto per prenderlo… con o senza l’intromissione della CIA.
    - Perché?
    - Non ti interessa il motivo. Sappi solo che lo faranno, Sanders.
    - Lo sanno già. – Clyde sparo la sua sentenza. – Un corrispondente alla polizia di L.A. mi ha informato che hanno appena interrogato la Myers sulla presenza Irina Kornikova e Veruna Ulijanov alla convention. Fortunatamente non ha saputo fare un identikit, ma adesso sanno che abbiamo agito in quattro. Il tuo caro Hotchner è piuttosto in gamba. – fece un occhiolino che infastidì parecchio Alex.
     
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  6. Emily†
     
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    Capitolo 19

    22 giugno 2011
    Hotel, Los Angeles, California




    Reid esausto dalla giornata di interrogatori si buttò sfinito sotto la doccia.
    La sua sveglia indicava le 10 e mezza di sera e fuori dalla finestra si iniziava ad intravedere la luna salire rotonda e luminosa in mezzo al cielo.
    Aprì l’acqua della doccia e si lasciò bagnare dalle gocce tiepide che gli invasero il corpo come serpentelli veloci. Era stanco, stando di pensare, stanco di non ricordare, stanco di far finta che tutto fosse come prima.
    Sì, perché si sforzava giorno dopo giorni di dimenticare il vuoto che c’era accanto lui che, purtroppo, non sarebbe più riuscito a colmare. È vero, non si dovrebbe mai dire ‘mai’, ma per Reid era troppo duro in quell’istante pensare ad una sostituta, ad un rimpiazzo.
    Avrebbe voluto picchiare la testa contro il muro, ma sapeva che il dolore fisico non avrebbe portato a nulla. Così chiuse gli occhi e si lasciò invadere dai ricordi.
    Ricordò l’ultima volta che erano stati felici, quando ancora JJ era nel team e loro si erano dedicati una serata di puro relax, una cena fra di loro dove soltanto l’allegria pervadeva e nulla al mondo poteva distruggere quel momento.
    Lui sedeva accanto ad Emily. Le parlava di filosofia.
    Sentì un nodo in gola. Avrebbe dovuto dirle tante altre cose: quanto le voleva bene, quanto sentiva il legame fra di loro. Invece non l’aveva fatto ed ora si sentiva un vero sciocco, un bambino che pensa soltanto a se stesso. Era troppo preso a dar arie al suo ego per ricordarsi di dirle – Ehi, ti voglio bene. - e se, in quell’istante, lei fosse stata ancora lì, le avrebbe detto centinaia di volte quanto l’adorava, quanto le voleva bene e sentiva la sua mancanza.
    Ora, però, era troppo tardi. Emily giaceva in una tomba fredda e desolata, lontano da loro, in un cimitero sconfinato nella lontana e buia Quantico.
    Spense l’acqua ed uscì dalla doccia avvolgendosi in un asciugamano per evitare di gocciolare sul parquet della camera. Si sedette sul letto e si strofinò il viso con le mani per togliere i residui delle lacrime che si erano nascoste fra le ciglia scure – Perché te ne sei andata. Perché mi hai lasciato solo? – una fitta al cranio lo obbligò a chiudere gli occhi.
    Quei mal di testa ricorrenti, lei sola ne era a conoscenza…
    - Dove sei adesso? Scientificamente non esiste un regno dei cieli ed allora dove sei Emily? Sei qui da qualche parte? Sei nella mia testa? O forse esiste davvero un Al di là…? Se esiste, dimmelo così potrei raggiungerti…e rivederti…
    Non avrebbe mai immaginato di poter parlare da solo in una stanza vuota e dire quelle frasi che da tempo pensava dentro al cuore.
    Si guardò attorno, tanto quanto bastava per vedere il quotidiano di quel giorno posato sul letto rifatto: aveva bisogno di distrarsi immediatamente. I suoi pensieri stavano trascendendo l’inimmaginabile.
    Lo afferrò e lo sfogliò velocemente per assimilare le miriadi di informazioni che conteneva.
    Si fermò sugli annunci non appena vide qualcosa di strano scritto in blu, l’unico annuncio scritto con un colore diverso dagli altri.
    - 220611942altadena/VH24 - mormorò – che cosa significa?
    Si mise a ragionare sui possibili significati di quei numeri e passò così tanto tempo che l’orologio sul suo polso segnò le undici e ventitrè.
    Sospirò pensieroso, prendendo carta e penna e cominciando ad immaginare possibili soluzioni, finché, come un flash, ebbe la sensazione di riconoscere le prime sei cifre. – Una data… 22/06/11, la data di oggi! – esclamò eccitato.
    L’analisi di quell’enigma lo aveva intrigato parecchio, si sentiva come un bambino normale che scarta i regali il giorno di Natale davanti ai genitori affascinati e curiosi per ogni suo minimo movimento.
    Dopo un’altra mezzora, si vestì, uscì dalla sua camera ed andò a bussare alla porta attigua: quella di Derek Morgan.
    Di conseguenza, l’agente dovette affrettarsi ad affacciarsi al corridoio vestito solo con un paio di boxer e guardare il ragazzo con sguardo rabbioso, era sudato come se i suoi sogni fossero stati preda di incubi tremendi – Che cosa vuoi? – chiese meccanicamente, quasi con un accento d’ira. Era stato svegliato nel pieno di uno strano dormiveglia e quello era il risultato: un Derek viola di rabbia, collerico ed adirato.
    - 220611942altadena/VH24! 220611942altadena/VH24! – ripeté più volte stordendo il giovane - È una data, una data seguita da un orario, precisamente oggi alle 9.42. non so di preciso se questa sera o di mattina, però c’è un VH che potrebbe essere la firma dei nostri S.I.! Non è una coincidenza!
    - Ma che stai dicendo, Reid?!
    - Allora – sospirò cercando di rispiegare il tutto più chiaramente. Reid parve non vedere la sottile linea che solcava la fronde di Derek e, quella piccola ruga, compariva soltanto quand’era davvero arrabbiato. – Su questo giornale, il quotidiano di oggi, c’è un annuncio: 220611942altadena/VH24. Ho cercato di decifrarlo perché mi sembrava strano che un giornale portasse avvisi simili e, soprattutto, colorati di blu, e così ho riflettuto a lungo. Ho scoperto – proseguì eccitato – che è un messaggio in codice. Non ti sembra strano? Quattro uomini scomparsi ed ora un messaggio in codice su un quotidiano di Los Angeles?
    - Reid, è tardi! Cosa vuoi che me ne freghi di un annuncio irrilevante su un giornale!
    - Non è irrilevante, Derek!
    - Ma che succede qui? – Hotch sbucò dalla porta attigua in infradito e pigiama a quadretti blu ed azzurro. Glielo aveva messo in valigia il piccolo Jack sostenendo che – Così Emily sarà sempre con te. – quello era stato il suo regalo del Natale precedente e, nonostante Hotch non amasse indossare i pigiami, quella volta aveva fatto un’eccezione.
    - Oh, Hotch! – gli corse incontro e gli mostrò l’annuncio – Credimi se dico che non è una coincidenza!
    - Ok, ok Reid. Ma adesso è tardi e rischi di essere arrestato per schiamazzi notturni e io non ho intenzione di venire in commissariato per pagare la cauzione, per cui rischi di restarci sino domattina. Ergo, cerca di andare a letto e domani ne riparliamo con più calma.
    - E perché non parlarne ora? È davvero urgente, Hotch!
    - Perché abbiamo passato – protestò Derek intervenendo nella discussione – una giornata d’inferno a torchiare Arthur Filips, che domani dovremo risentire per l’ennesima volta, e fare interviste cognitive a tutti i camerieri del convegno! Per cui, abbi la compiacenza di tappare la bocca e tornare a letto – detto ciò sbatte la porta in faccia al ragazzo e si rannicchiò sul letto della camera ricominciando a russare fragorosamente.
     
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  7. Emily†
     
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    Capitolo 20

    23 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    - Arthur Filips, meglio conosciuto come Arth. Secondo giorno d’interrogatorio consecutivo. – espose Rossi gettando dei fascicoli sul tavolo in modo che l’uomo potesse vederli e sapere che l’avevano tenuto d’occhio. – Nato a Londra nel ’74, ha lavorato per la Security Practice Agency of Tennessee come amministratore delegato, per poi trasferirsi alla Group Security Agency di Los Angeles dove avrebbe dovuto presentare il nuovo rapporto di sicurezza mondiale. – Rossi alzò gli occhi osservando che l’uomo abbassava lo sguardo e pareva piuttosto innervosito da quell’esposizione tanto particolareggiata. – Mi dica, adesso: perché mi sembra strano che lei non abbia visto nulla? Eppure… sono sicuro che ha riconosciuto chi la voce dell’individuo che le ha telefonato.
    - Vi ho già detto tutto quello che so!! Era una voce di donna! – disse agitato - Ho lasciato il palco, mi sono recato nella stanza 36, l’ufficio di Raz, e lì non ho trovato nessuno.
    - Perché non le credo?
    - Voglio il mio avvocato! – protestò.
    - Mi ha appena dato la conferma di stare mentendo. – Dave si avvicinò con il busto all’uomo e lo squadrò negli occhi – Quattro uomini sono scomparsi. Parli!
    - So bene che sono scomparsi, ma non so nulla!
    - L’ho già sentita. – rise. – Ritenti. Credeva davvero di farla franca? Ha aiutato i delegati russi a rapire i tre uomini, non è così? Ha sparato lei contro gli agenti?
    - No, no! – urlò alzandosi in piedi e facendo un giro sconnesso e nervoso per la stanca. – Io non… no! – stava crollando dopo ore ed ore di interrogatorio incessabile.
    - Parli!
    - La convention non era ciò che credete.
    - Si spieghi.
    Si risedette iniziando a tamburellare il piede – In realtà non era una convention sulla sicurezza, ma un convegno di copertura. Avevamo organizzato tutto alla perfezione, non sapevamo che avrebbero partecipato anche loro.
    - Loro chi? – insistette Rossi. – I delegati russi? I trafficanti?
    - C’erano un sacco di terroristi in quel luogo. Io dovevo solo presentare il progetto, non centravo nulla, ero pagato per quello!!
    - Un attimo! Mi sta dicendo che il Join Security Summit era una convention di terroristi?
    L’uomo annuì mettendosi le mani nei capelli neri e stringendosi la testa in una morsa. – L’ho saputo soltanto dopo aver letto il discorso! Ve lo giuro! Sono stato chiamato a telefono da una donna: Veruna Ulijanov che mi diceva di recarmi nell’ufficio 36 perché avevano scoperto che… beh io ho evaso il fisco. Mi ha detto di dire al pubblico: codice 009VH e recarmi al piano superiore.
    - Cosa significa?
    - Gliel’ho detto, non lo so! So solo che dopo aver detto quel… quella parola, quel… non lo so, codice! Cinque uomini si sono alzati in piedi ed hanno lasciato di corsa la sala.
    - Tra di loro c’erano i tre scomparsi?
    Fra il panico e il terrore annuì – Si, si! Credo di sì!
    - È sicuro di non sapere altro?
    - Si, si, sicuro!
    Rossi riprese i fogli che aveva gettato davanti ad Arthur Filips ed uscì dalla sala interrogatori per raggiunse il team ed avvisarlo sulle novità.
    - Hanno dei codici cifrati. Sanno fare il loro lavoro. – commentò Morgan fra un sorso di caffé e l’altro.
    - Per cui potrebbe anche darsi che Reid abbia ragione sull’annuncio. Il codice che quella donna ha fatto dire è 009VH, simile a quello sull’annuncio.
    - Io ho sempre ragione, Dave! – sorrise il genietto – È un banda criminale ben addestrata, non mi sorprende che siano ricercati in tutto il mondo. Ronnie è stata piuttosto precisa, ci ha detto che Irina Kornikova non ha mai lasciato la Russia, per cui significa che sono in grado di nascondere le loro identità. Sarà difficile rintracciarli e, soprattutto, prenderli.
    - Non sappiamo dove hanno alloggiato i russi? – domandò Hotch inserendo una chiavetta nella macchinetta del caffé. – Potremmo partire da lì.
    Garcia scosse il capo. – Non ho trovato nulla. La struttura che ha ospitato la convention non sapeva nulla di questa riunione di terroristi, ha prenotato per i loro ospiti, tranne per i delegati russi. Loro hanno fatto da se, tranne Boromich e Flavinsky che hanno alloggiato al Delorean con tutti gli altri.
    - Sono stati sentiti?
    - Si, dalla polizia prima che tornassero in Russia. Ormai tutti gli ospiti sono rimpatriati. La polizia di L.A. non può più far nulla, bisognerebbe inviare le informazioni all’Interpol. – propose Garcia.
    - Ne parleremo con Ronnie, non sarei tanto sorpreso nel sentire da lei che l’Interpol era già stata avvisata. – Hotch prese il bicchierino colmo di liquido nero dalla macchinetta. – Garcia, fai un’indagine incrociata su tutti gli hotel, motel e residence della zona. Avranno certamente alloggiato da queste parti. Chiama tutti e chiedi se hanno visto quattro individui: due donne, due uomini.
    - Mi metto subito al lavoro capo. Ci vorrà tempo.
    - Mettici il meno possibile. Dave, io e te telefoniamo a Ronnie. Morgan e Reid analizzate il codice sull’annuncio.
    - Era di ieri. L’incontro è già avvenuto. – si oppose il ragazzo.
    - Allora scoprite dov’è avvenuto l’incontro ed andate sul posto con una volante. Chiedete informazioni ed interrogate chiunque, cercate tutte le tracce che potete e portatele qui. Dobbiamo prendere quegli S.I. prima che la Strass perda la pazienza e decida di rispedirci tutti a Quantico!
    - Non è arrivato il momento di chiedere a JJ? Hotch, infondo lei lavora per la difesa, magari ha sentito parlare di questo gruppo di terroristi.
    - Ci penserò io.
     
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  8. Emily†
     
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    Capitolo 21

    26 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    Alex si stava vestendo. Era nella sua camera da letto, da sola e sentiva dentro di se un rimorso troppo forte da riuscire a spiegare a parole.
    Indossò la canottiera bianca e si allacciò il ciondolo al collo. Era consapevole che non avrebbe dovuto portarlo addosso, che sarebbe stato frutto di tutti i suoi male se, per uno sfortunato evento, fosse stata catturata dal nemico: avrebbe capito subito qual era il suo punto debole ed avrebbero scoperto la sua vera identità.
    Però non riusciva a staccarsi dall’unico oggetto che la legava a loro. Era soltanto un ciondolo, un oggetto insignificante, comune, ma dentro custodiva un tesoro: i loro dolci volti.
    I mesi erano passati lentamente, come se una clessidra avesse rallentato il suo corso. Il mese passato a Praga per l’addestramento supplementare, le settimane trascorse in Messico con Clyde e quelle a Paris assieme a Karinna. Era passato tutto troppo lentamente e lei sentiva una mancanza infinita al suo fianco.
    Spesso le capitava di voltarsi e vedere Reid ridere, poi sentiva la voce di Morgan che chiacchierava con Garcia e si scambiavano tenere effusioni ironiche. Poi si riscuoteva e tutto era svanito in un soffio di vento, come la sua testa volesse prendersi gioco di lei.
    - Devo resistere… - sussurrò infilandosi gli short ed uscendo dalla camera per scendere al piano di sotto dove Nate stava guardando la tv, come al solito, e Clyde fumava un sigaro cubano gentilmente donato da un leader politico che avevano salvato in Messico un mese prima.
    - Ti ho detto mille volte di non fumare in casa e tu smettila di vedere sempre la tv. – protestò entrando nel soggiorno ed osservando la scena: parve un vero e proprio frammento di una semplice vita familiare vissuta dentro le mura di casa.
    - Non siamo ancora sposati e fai già la rompi palle?
    - Dovrò pur iniziare.
    - Sei perennemente preda della sindrome premestruale, te l’ha mai detto nessuno?
    - Si, tu!
    - Ecco, ed allora vedi di smetterla. Se non fumo il mio sigaro prima di pranzo, sai che mi sale la pressione!
    - Di dico io cosa ti sale se non lo spegni! E non dico altro!
    - Sembrate davvero marito e moglie. – mormorò Nate senza guardarli. – Se non sapessi quanto vi odiate, vi scambierei per marito e moglie. Dovreste provare ad uscire un po’ di casa, vi farebbe bene e magari vi ammazzereste di meno.
    Alex squadrò il ragazzino che teneva i piedi sul tavolino e con un gesto li spinse via facendoli cadere a terra. – E tu, signorino, togli i piedi dal tavolino di cristallo.
    Clyde rise. Nate invece sbuffò annoiato – Adesso ve la pigliata anche con me! Che guardie del corpo noiose che siete! Vado in camera mia. Almeno lì potrò mettere i piedi sulla scrivania!
    Alex lo guardò spazientita andar via. Appena sentì la porta della camera sbattere raccolse il telecomando dal divano e spense la tv.
    - Ehi, io la stavo guardando!
    - Uno: spegni quella cavolo di sigaretta – gliela prese dalle labbra e l’appallottolò nel posacenere sul tavolino – Due: riunione d’emergenza al Castello. MUOVITI!
    In quattro e quattr’otto si trovarono entrambi nel sotterraneo davanti al cospetto del Generale Backman che li osservava seria – Agente Easter, Agente Coburn, abbiamo un problema con l’FBI o è tutto sotto controllo?
    - Crediamo che non ci siano problemi.
    - Crediamo, agente Easter? Ci basiamo sui ‘credo’, adesso?
    - Generale, la BAU è in grado di arrivare a noi. Potrebbe anche capire che è stata la CIA a prelevare i quattro uomini, ma non oltrepasseranno mia il nostro confine. – Alex era in piedi dinanzi allo schermo con le braccia giunte dietro la schiena.
    - Agente Coburn, sbaglio o gli agenti mandati a lavorare su questo caso sono la sua ex squadra?
    - Esattamente, Generale.
    - Posso sapere se è tutto sotto controllo?
    - Si, Generale. – disse per nulla sicura. – Non ci sono elementi perché mi scoprano. Sono sempre rimasta appresso alla risorsa, qui a casa.
    - Mi fido. – annuì militarmente sistemandosi gli occhiali sul naso. – Per quanto riguarda cosa scopriranno, è irrilevante. Anche se venissero a sapere di noi, nessuno dovrà intervenire. Se divenissero troppo curiosi, provvederò al loro trasferimento.
    Alex deglutì a fatica.
    Clyde lo notò. – Non dobbiamo eliminare le prove, allora?
    - Negativo. Lasciate tutto com’è. Tornare ora sul luogo è troppo rischioso per le vostre identità. Passo e chiudo. Non ho altro da aggiungere. – detto ciò si scollegò lasciando i suoi agenti senza parole.
    Alex sospirò angustiata appena la comunicazione terminò – Scopriranno tutto, sono bravi.
    - Ci stanno arrivando. Arriveranno a noi, a me e te. Spero che Hotchner sappia il fatto suo.
    - Non parlerà ed in caso qualcuno scoprisse qualcosa, voglio che lui venga tenuto fuori da tutto questo complotto.
    - Sei troppo apprensiva, Coburn. – Clyde si mise la mani nelle tasche dei pantaloni e passeggiò per la stanza osservando le pistole esposte al muro – Credevo di averti detto che è rischioso.
    - Non sono stupida. Hanno mentito a delle persone solo per coprire noi. Aaron e JJ potrebbero giocarsi la faccia.
    - Aaron… - sussurrò. Chiuse gli occhi e sorrise. – Anche noi mentiamo sempre ed ovunque. Viviamo nella menzogna.
    - Tu vivi nella menzogna. Io ometto volutamente. Ti ricordo che Alexandra Coburn non esiste, è soltanto un nome stampato su carta ed attribuito ad un soggetto qualunque. Potrei chiamarmi anche Nostradamus, le cose non cambierebbero…
    - Anche la te stessa reale ha mentito…
    - No, mai! – alzò la voce. – Non ho mai mentito, nessuno mi ha mai chiesto della mia vita all’Interpol e tanto meno alla CIA.
    - Ed omettere non equivale a mentire?
    Scosse il capo. – So dove vuoi arrivare, vuoi farmi sentire come Doyle, ma non sono come lui. Non ho mentito alla mia squadra perché volevo, ma per proteggerli. Se avessero saputo sarebbero morti!
    - Beh, ma ora non sanno? Sanno di LR, sanno di Valhalla…
    - LR è morta, anche lei come Emily Prentiss. Discorso chiuso. – lasciò l’agente della CIA da solo mentre sorrideva: era contendo di averla messa in difficoltà.
     
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  9. Emily†
     
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    Capitolo 22

    26 giugno 2011
    Hotel Queen Margareth, Los Angeles, California




    La camera da letto era ampia e sulle tonalità del crema tenue. Un letto a due piazze era posto danti ad un’immensa specchiera a muro che poteva riflettere gran parte della camera.
    Un lampadario di gemme bianche era appeso al soffitto illuminando tutto con una luce intensa, sul copriletto un mazzo di rose avvolte in seta bianca.
    - Bella camera. – mormorò Rossi osservandola con attenzione e notando i boccioli di rosa contenuti in un vasetti di cristallo sul comodino. – Classica stanza da donna altolocata, a mia moglie sarebbe certamente piaciuta.
    - Quale? – chiese Hotch a Rossi e poi si rivolse al direttore dell’albergo che li aveva accompagnati a vedere la stanza. – È sicura che sia questa?
    - Certo. Le signore mi hanno dato le loro carte d’identità, ma hanno chiesto di non essere registrate con i loro nomi. Le camere erano state prenotate da una certa Veruna Ulijanov.
    - Avete già fatto pulire la camera, immagino.
    - Sono desolato, ma in questa camera dopo la partenza delle due signore, sono arrivati altri ospiti. È già stata pulita due volte. Sapete, le nostre inservienti sono particolarmente brave e attente.
    - Per cui anche l’altra.
    Annuì. – La 103 è stata data a due signori. Anche quella è stata già pulita. Il nostro albergo è destinato a gente che compie viaggi di lavoro, per cui è rara una permanenza superiori a tre giorni, massimo quattro.
    - Quanto hanno alloggiato le due donne e i due uomini?
    - Agente Rossi, se non sbaglio… e credo di no, ricordo molto bene i bei visi di quelle donne… - ripensò - hanno alloggiato nella 103 e ella 101 per sei notti. Lo ricordo perché, il 15 maggio è venuta la donna dai capelli lunghi e rossi, Irina Kornikova, a farsi restituire le carte di identità. Poi sono partiti. Lo ricordo perché, nonostante fosse sera, indossava occhiali da sole che le coprivano il viso.
    - non l’ha vista in faccia quindi?
    - Poco. Soltanto labbra e un nasino alla francese molto delicato. Labbra sempre colorate di rosa. Era molto misteriosa. L’altra donna l’ho vista di sfuggita durante le cene, ma non ho mai scambiato parole con lei.
    - Non avete trovato oggetti dimenticati o altro?
    - Oh, si. Un fermaglio. – esclamò convinto - È stato consegnato in portineria dalle cameriere che hanno rassettato la stanza, speravamo che tornassero a riprenderlo, ma così non è stato. È un fermaglio piuttosto costoso.
    - Dobbiamo avere quel fermaglio.
    Il monile era di metallo argentato con l’ornamento di un fiore di filigrana d’oro all’estremità. Hotch ebbe la distinta sensazione di avere già visto quell’oggetto, ma preferì non avvisare Rossi in caso si fosse sbagliato.
    L’aveva visto indossato da qualcuno durante una cena ma, in quell’istante, la mente non riusciva a focalizzare il viso di quella persona.
    - Le telecamere di sorveglianza potrebbero avere ripreso le due donne nel corridoio?
    - Oh, mi chiedete i nastri del registratore?
    - Esattamente.
    - Per la privacy dei miei clienti non dovrei darveli. Sapete… i miei clienti spesso vengono qui… soli… senza che le mogli sappiano… mi capite…
    - Capiamo e assicuriamo che questi soggetti non saranno avvisati di nulla.
    - Però… - continuò.
    - Possiamo tornare fra un’ora con un mandato, signor Manphry, però eviterei tutto questo trambusto per un nastro di sorveglianza. A noi non interessano i vostri ospiti che si attardano con donne che non sono loro mogli, a noi interessano solo due donne.
    - Avete più che ragione. Ve li farò avere il prima possibile.
    - Solo quelli di questo piano e del parco esterno, potremmo riuscire ad avere un identikit di qualcuno di loro.
    Rossi rifletté. – Potremmo lanciare un comunicato stampa e richiedere riprese amatoriali della convention. Ci sarà qualcuno che ha filmato l’entrata nell’edificio dei delegati… qualche fanatico.
    - Chiamo Garcia e faccio preparare il comunicato. – detto ciò si allontanò leggermente.
    - Agente Rossi, crede che abbiano alloggiato qui dei criminali? Le signore mi sembravano così gentili e cortesi…
    - Non possiamo esporci. Stiamo ancora indagando, signor Manphry. Lei ci procuri i nastri, le assicuro che se anche così fosse, il nome del suo albergo non verrà citato.
    - Oh, la ringrazio – si tranquillizzò l’uomo in preda ad una crisi di panico. – Non sa come mi solleva, agente. Dio la benedica.




    27 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    - L’unica persona che siamo riusciti ad identificare è una donna, sui trentanni, capelli rossi, lunghi, non sappiamo il colore degli occhi, ma siamo riusciti a farvi avere uno schizzo del soggetto. – espose Hotchner agli agenti accorsi alla riunione. – È piuttosto alta, probabilmente 1 metro e70 cm, è magra, snella e da ciò che abbiamo potuto vedere dal video, porta un tatuaggio sulla spalla destra. Non sappiamo di che genere, ne la grandezza, ma probabilmente è un fiore.
    Reid intervenne. – Non lavora da sola. Lavora in un gruppo criminale con il quale rapisce trafficanti d’armi. Sono astuti, calcolatori, freddi…
    - …girano sicuramente armati, dunque dovete fare attenzione – Morgan si sedette sulla scrivania. – Ognuno di voi dovrà cercare questa donna, sparate solo in caso di pericolo. Dobbiamo prenderla viva per scoprire dove hanno nascosto i trafficanti, prelevarli e consegnarli alla giustizia.
    - Per quanto riguarda – proseguì Hotch – gli altri tre membri non siamo riusciti a trovare nulla se non un fermaglio. Non risarà molto utile, ma continueremo a cercare. Ricordare che lavorano in gruppo. Fate lo stesso e non perlustrate mai la zona da soli. Invieremo l’identikit anche alle stazioni di polizia vicine. È una caccia all’uomo. Trovatela!
    Gli agenti si congedarono velocemente e partirono con le rispettive pattuglie verso i luoghi prestabiliti dagli agenti speciali della BAU.
    Garcia non aveva avuto voglia di partecipare alla riunione straordinaria con la polizia di L.A., era rimasta seduta sulla sedia davanti ai suoi pc a contemplare silenziosa il monile prelevato all’Hotel Queen Margareth.
    Continuava a girarlo e rigirarlo nelle mani ed osservarlo con espressione assorta.
    L’aveva visto affrancato ai capelli di Emily durante una serata al bar. Era una sera di dicembre, il piccolo Henry era a casa con il padre e JJ era riuscita a liberarsi dalle incombenze della maternità e recarsi a festeggiare una serata di pace con le sue più care amiche. Era in quel momento, quando Emily si era allontanata per andare a prendere da bere, che l’aveva visto: era d’argento e con un fiore di filigrana dorata al centro. Quand’era ritornata le aveva domandato dove l’avesse preso e lei le aveva risposto che era datato ed era stato un vecchio regalo di papà per la madre: un dono per il loro secondo appuntamento.
    - Ehi bambolina, va tutto bene?
    - Questo… si, questo… lo ricordo…
    - Lo ricordi? – ripeté sorpreso.
    - Si, Emily ne aveva uno uguale!!
    Morgan ansimò tristemente – Penelope adesso smettila! Non puoi continuare così!
    - Ti dico che è così! Non può essere solo una coincidenza! Prima quella donna che somigliava tanto ad Em, poi il fermacapelli, tutto correlato al fatto che non ci hanno mostrato il suo corpo! Avanti, riflettici! – disse a raffica senza lasciare spazio all’amico di proferir parola. – È identico. Identico. Lo indossava una sera durante una nostra uscita. Era il regalo che suo padre aveva fatto a sua madre per il loro secondo appuntamento: non può essere una coincidenza!!
    Morgan chiuse gli occhi e scosse il capo. – Basta… basta, Garcia! Smettila, non capisci che così ti distruggi e fai soffrire anche gli altri? Emily è morta, morta, lo vuoi capire!
    - No, non è morta! Sono certa che sia sotto una specie di… protezione testimoni, ecco. Che sta bene e presto tornerà da noi!
    - Oh, Santo cielo – allargò le braccia ed uscì dalla stanza, ma prima le disse – Lei non vorrebbe vederti così.
    - Lei non vorrebbe essere morta, è diverso… - sibilò senza farsi sentire. – Lei non è morta… non è morta… non è morta… - ripeté più e più volte.
    Posò il monile sul tavolo e fece qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare: entrò nel database dell’ospedale di Quantico.
     
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  10. Emily†
     
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    Capitolo 23

    28 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - Il mio informatore mi ha avvisato che la tua faccia è su tutti i volantini della zona, Sanders.
    La ragazza, che stava pettinandosi i capelli con la spazzola di Alex, la quale la osservava imbronciata appoggiata con una spalla all’armadio, non appena udì la voce fastidiosa di Clyde si voltò esterrefatta. – Che cosa?
    Alex voltò il capo verso l’uomo che era entrato nella stanza senza bussare e con un ghigno di divertimento dipinto sul volto. – Stai scherzando, vero?
    Scosse il capo velocemente – Ogni poliziotto della zona ha un tuo bel ritratto nel taschino ed aspetta soltanto un tuo autografo in calce.
    - Perché devi sempre fare lo stronzo?
    - Mi piace esserlo, Alex. – voltò il capo verso la rossa che sedeva ancora alla specchiera e lo osservava a bocca aperta. – Chiudi la boccuccia, Sanders. L’errore l’avete fatto tu e James.
    - Come-come hanno fatto?
    - Telecamere di sorveglianza. Avete eliminato tutte quelle all’entrata ed alla sala della convention, ma avete scordato quelli al piano delle suite.
    Alex si portò le mani alla faccia. – Non ci credo. – mormorò fra se e se cercando di nascondere il viso per non guardare con sguardo truce l’amica.
    Karinna si limito a darsi una piccola sberla sulla fronte e riempirsi di piccole maledizioni chiedendosi se il karma le volesse così tanto male. – Soltanto me hanno riconosciuto?
    Easter entrò nella stanza per sedersi sul letto di Alex coperto da un lenzuolo leggero bianco. – Soltanto te, Alex era di schiena ogni volta che veniva ripresa.
    - Sapevo che lì c’erano le telecamere.
    - Aspetta, aspetta Coburn. C’è un altro problema.
    - Quale?! – allargò le braccia spostandosi dall’armadio.
    - Il tuo fermaglio… o meglio, quello che avevi prestato a Karinna… ricordi dov’è?
    Alex scosse il capo sconsolata. – No, non ci posso assolutamente credere…!
    Karinna si voltò dando loro la schiena continuando a pettinarsi cercando di non notare gli sguardi d’accusa che la stavano colpendo e trafiggendo come lame di coltelli. Era stata lei a dimenticare il fermaglio dell’amica sul letto prima della loro partenza e, quand’era ritornata per eliminare tutte le prove se n’era completamente dimenticata.
    - Karinna – la riprese Alex – mi dici dove sei stata addestrata? E da chi? Paperino?! Almeno, Paperino ogni tanto riusciva pure a farla a Zio Paperone, tu nemmeno quello!!
    Clyde scoppiò in una tremenda risata che, però ,la giovane brunetta non riuscì a condividere con l’unico risultato che si portò le mani alle tempie, massaggiandole per via di un improvviso mal di testa pulsante. – Arg, basta! – uscì sbattendo la porta e recandosi nel sotterraneo dove aveva bisogno di mettersi in contatto con la Backman.
    Arrivata al pc di connessione della webcam digitò la password per l’attivazione e il riconoscimento dei suoi dati e chiese colloquio private con il Generale. Era raro che chiedesse una riunione soltanto per lei, ma quella vota era una questione importante.
    - Agente Coburn, mi hanno avvisato della sua chiamata.
    - Generale, mi scuso per averla distratta dai suoi affari diplomatici, ma volevo avvisarla che il piano per scovare Valhalla è stato messo in atto. Chiedevo il suo permesso ad entrare in azione.
    Era in piedi danti alla schermo dove veniva proiettata la figura longilinea del Generale, seduta dietro al scrivania. Era seria, in posizione quasi militare ed attendeva con ansia una risposta affermativa.
    - Sono desolata. Dubito di poterla dare un compito tanto rischioso. Valhalla conosce la sua identità.
    - Conosce tutti noi, Generale. Se permette – alzò lo sguardo – vorrei essere io ad eliminarlo.
    - Ha detto bene: eliminarlo. È l’unico modo per portar termine alla missione. Qualunque luogo possa essere la sua prigione, lui tornerà. Agente Coburn – portò le mani giunte davanti a se posando i gomiti sul tavolo. – È molto rischioso ciò che vuole fare, rischia la vita, davvero questa volta.
    - Ne sono consapevole, Generale. Sono pronta a rischiare il tutto per tutto.
    La donna rimase in silenzio continuando a scrutare l’agente Coburn. – Ho bisogno di avere una risposta: una volta concluso il progetto Valhalla, cos’ha intenzione di fare? Tornare alla BAU o restare alla CIA, agente?
    Alex rimase in silenzio non sapendo nemmeno lei che cosa avesse fatto non appena sarebbe stata libera. – Non credo di poterle rispondere ora, Generale. Neanche io sono consapevole delle mie scelte.
    - Spero deciderà di restare nella nostra squadra. Non vorrei mai perdere un elemento fondamentale.
    - La ringrazio.
    - Per quanto riguarda il piano: come procede?
    - Domani verrà pubblicato un annuncio sul ‘Times’. Riceverà di sicuro il messaggio.
    - Preparate gli armamenti. Voglio che tutto sia perfetto, voglio che Doyle venga eliminato senza troppe smancerie da parte di nessuno. Un colpo alla fronte e l’operazione sarà chiusa. Progetto Valhalla terminato e Declan Jones libero.
    A questo proposito Alex dovette intervenire – Nate mi ha fatto sapere di non vuole essere affidato ad alcuna famiglia.
    - Sarebbe perfetto come spia, una volta addestrato.
    - Troppo pericoloso, Generale.
    - Lo so, ma come lei anche Nate Hope avrà un addestramento. A Praga, proprio dov’è stata allenata lei dall’agente Master.
    - Ma Gener…
    - Alt. Non voglio sentire altro. Ho già dato un consenso obbligato al suo intervento nell’operazione contro Doyle, non andiamo oltre. – detto ciò chiuse la videoconferenza ed abbandonò l’agente Coburn nel castello, da sola con i suoi pensieri.
    Non poteva permettere che la vita di un ragazzino potesse essere rovinata, non sapeva che cosa voleva dire essere una spia.
    Era bello, fantastico visto da fuori, però non era un gioco. A causa loro la gente moriva, veniva arresta, torturata…e per cosa? Estorce loro informazioni sensazionali e, a volte, del tutto banali.

    - Perché sei diventata una spia? – Hotch le accarezzò la testa ed Emily voltò piano il capo verso di lui.

    - Sono stata obbligata. Non è stata una mia scelta.- mormorò piano posando una mano sulla ferita ancora pulsante. Sentiva i monitor della sala di terapia intensiva risuonare ai battiti del suo cuore e la cosa la faceva innervosire.

    - Credevo, da bambino, che fare la spia fosse divertente. Credevo che fossero persone fantastiche, che vivessero alla giornata e girassero il mondo.

    Lei scosse piano il capo. – Ti distrugge. Ti logora. Non sai più chi sei… non puoi avere una vita, non puoi amare… è come essere una macchina fatta solo per mentire ed uccidere. Sono così le spie. Fredde. Assolutamente fredde.

    - …eppure, tu non sei così gelida: hai il cuore caldo. Perché?

    Lei non rispose.

    Hotchner sorrise baciandole la fronte. – Essere una spia non ti ha raggelato il cuore, dentro sei ancora te stessa, la ragazza allegra che ho conosciuto tanti anni fa alla villa dell’Ambasciatrice… altrimenti non mi ameresti così tanto…

    - È vero… ed io ti amo… ti amo così tanto… non voglio andarmene – mormorò piano guardandolo negli occhi, quegli occhi meravigliosi che adorava tanto osservare ed immergersi. – non posso lasciare tutti voi per rincorrere Doyle.

    - Lo so. Lo so. La tua famiglia ristarà qui ad aspettarti…

    - La mia famiglia crede nella mia morte…

    - Loro ti vogliono bene, Emily… loro capiranno…

    - E se non dovessero capire?

    - Sono profiler. Non sono sciocchi, ne stolti. Possono comprendere la gravità di quanto è accaduto ieri notte. Appena ritornerai a casa ti accoglieranno a braccia aperte. Come sempre…soprattutto Ronnie e Garcia.

     
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  11. Emily†
     
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    Capitolo 25

    28 giugno 2011
    Camera 608, Los Angeles, California



    - Abbiamo un problema Hotch.
    -…
    - Grave Hotch!
    -…
    - Hotch!!! Rispondi per l’amore del cielo! Non posso fare un monologo!
    Lui continuò a passeggiare nervoso per la camera d’albergo cercando di riflettere velocemente su quello che la donna le aveva appena detto. – Non è possibile.
    - Sai che lo è!
    - È illegale!
    - Da quando ti interessa così tanto dell’illegalità, Hotch?
    - Dev’essere fermata, JJ.
    - Non si fermerà – mormorò dell’altro capo del telefono. – Anche se la punirai!
    Hotch si avvicinò alla finestra per osservare il panorama, ma senza riuscire ad assaporare le sfaccettature meravigliose del mare al tramonto. – Lo so. Non posso andare da lei e parlarle, sarebbe troppo scontato e lei potrebbe capire ancora prima che cominci a rimproverarla.
    - Dobbiamo lasciarla fare… sicuramente appena scoprirà qualcosa di nuovo mi telefonerà… oh, Hotch. Sto tradendo la sua fiducia!
    - Tutti lo stiamo facendo – si rammaricarono. – Stiamo sostenendo una bugia a cui noi stessi non crediamo, una bugia troppo grossa per noi. Garcia sta piano piano arrivando alla verità ed allora sarà la fine, dovremmo spiegare ogni cosa al team.
    - Abbiamo fatto un giuramento: non dobbiamo essere noi a parlarne. Dovrà essere il Generale Backman a spiegare loro ogni cosa.
    - JJ, sai meglio di me che questo è impossibile. Garcia ha appena scoperto che le cartelle cliniche di Prentiss sono state manomesse il giorno della sua morte. È brava, molto brava.
    - Troppo, ma la CIA di più.
    - La sfida è ardua. – Hotch passeggiò nuovamente per la stanza preoccupato delle nuove notizie – Come ha fatto ad entrare nel database dell’ospedale dov’è stata ricoverata? Era sotto falso nome!
    - Mi ha parlato di una strana coincidenza. Nello stesso istante in cui nella cartella clinica di Emily è comparso il decesso, ne è comparsa un’altra con nuovo nome. Garcia mi ha detto di non credere a queste coincidenza ed io non sapevo che cosa dire. Non sono stata addestrata a mentire ad un’amica su un’altra amica! – sullo sfondo della sua voce si sentirono le grida del piccolo Henry piangere a squarciagola. – Amore, su. Il papà arriva subito! – lo tranquillizzò staccandosi un attimo dalla cornetta.
    - JJ, c’è una cosa che non ti ho ancora detto.
    Lei face un mugugno d’assenso.
    - Ho la netta sensazione che sotto tutto questo ci sia lei.
    - Che cosa?
    - Si, prova a riflettere. I bossoli pervenuti sui luoghi delle scomparse sono proiettili in dotazioni alla CIA. Il fermacapelli nella suite, Penelope che vede una donna somigliante ad Emily… potresti scoprire se la CIA centra qualcosa?
    - Assolutamente, Hotch. Noi siamo il Dipartimento di Difesa. La CIA con noi non centra nulla, è un’agenzia del tutto autonoma che non si appoggia ad altri se non a se stessa.
    - Il tuo amico a Langley? – ricordò il grande aiuto che quell’uomo aveva dato loro per salvare la loro amica dopo la sua scomparsa.
    - Posso provare… ma non prometto nulla. Sono informazioni troppo delicate da dare a telefono e lui è in missione da qualche parte in Messico. Non abbiamo giurisdizione laggiù.
    - Non importa, JJ. tu pensa a tranquillizzare Garcia e farla stare tranquilla. Noi non possiamo far altro che proseguire con le indagini. Se dovessi dare l’ordine di rientrare a Washington si insospettirebbero troppo.
    - No non possiamo permettercelo… - fece una lieve pausa dove si sentì nuovamente Henry piangere e JJ avvicinarsi a lui per prenderlo in braccio. – Ehi patato, tranquilla. Hotch… - disse poi quando il bimbo smise di piagnucolare.
    - Dimmi JJ.
    - Manca anche a te?
    Lui non rispose.
    - Avanti, lo so che ti manca. Non essere sempre così silenzioso e chiuso. Condividiamo un segreto troppo grosso per non essere legati, Hotch. La stiamo proteggendo, a nostro modo, stiamo collaborando alla sua protezione e ne vado fiera. Però… allora stesso tempo, mi manca la sua voce… sono passati quasi quattro mesi dall’ultima volta che l’ho salutata. Dall’ultima volta che ho sentito al sua voce…
    - Lo so. Lo so. Hai ragione, però credo tu sappia come sono. Non parlo molto di me.
    - Dovresti… per non crollare…guarda Morgan, Reid e Rossi. Non dicono nulla ed ogni volta che sentono il suo nome restano in silenzio con gli sguardi persi nel vuoto… non si affronta così un lutto.
    - Non si dovrebbe mai affrontare un lutto simile.
     
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  12. Emily†
     
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    Capitolo 25

    29 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    Reid entrò trafelato nella stanza delle riunioni con in mano un giornale, il Times della California. – Eccolo, eccolo!!!!!
    Morgan lo scrutò come se avesse davanti un pazzo. Lo seguì con lo sguardo finche non gli fu vicino e poté domandargli – Sei impazzito forse, ragazzino?
    - No! Leggi! Leggi – gli buttò davanti il giornale di quel giorno puntando col dito un punto ben preciso.
    Derek glielo strappò di mano data che Reid continuava a muoverglielo davanti e lui non riusciva a leggere attentamente quanto gli stava mostrando. Dopo essersi impadronito di quel foglio di carta, lesse -3107111030SMonicauditorium/RLson – so soffermò a rileggerlo più volte e, in seguito, trascinò Reid alla lavagna dove gli fece decifrare il codice.
    Hotchner, che nel frattempo gli aveva visti piuttosto agitati, si avvicinò loro assieme a Rossi – Che sta succedendo?
    - Abbiamo un indizio.
    Reid scritte tutto alla lavagna e cominciò a decifrare – 310711 è il giorno di domani, 31 giugno 2011. mi pare chiaro. Dopodichè c’è l’ora: 10.30, probabilmente della sera, di giorno sarebbe troppo sciocco. Un incontro in pieno giorno significherebbe esporsi troppo.
    - All’Auditorium di Santa Monica, corretto?
    - Esatto Rossi. Non riesco a decifrare soltanto LRson. LR non capisco cosa voglia dire, credo sarà un nome, come VH, mentre son, son è figlio… che significa?
    Hotch si sedette accanto a Morgan e scrutò con attenzione il codice che Reid aveva decifrato alla lavagnetta – Il 31 giugno ci recheremo all’incontro all’Auditorium. Avvisate gli agenti di polizia; voglio che tutti siano preparati all’azione.
    - E se i nostri S.I. non centrassero nulla?
    - Non potremmo saperlo finché non saremo là. – fece notare Rossi toccandosi il collo. – Credo che ormai, dato che non abbiamo in mano nulla di più che un identikit che non sappiamo nemmeno se ci servirà, dobbiamo provarle tutte.
    - Dave ha ragione – approvò Morgan. – Andiamo all’incontro armati e con gli agenti sotto copertura e vediamo se i quattro delegati si faranno vedere.
    - Ragazzi, ho uno scoop! – entrò trionfante Garcia. – Sono riuscita a zoommare il più possibile il video amatoriale della convention e stampare una voto della nostra Irina. Quella vera. – sorrise – E prima che voi me lo diciate ho già inviato tutto per fax alle stazione di polizia del circondario! Sanno già tutto! Invece…
    - Per Veruna Ulijanov?
    - Appunto, lasciatemi finire cuccioletto miei. Dicevo: per la bruna non posso fare molto, posso dirvi che ha dei capelli piuttosto belli e lunghi. Si è sempre vista solo di schiene… mentre i due uomini non ci sono nel filmato amatoriale.
    - Ottimo lavoro Garcia. – esclamò Hotch con un cenno del capo.





    29 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    Nate stava giocando ad una consol della playstation quando Alex rincasò. Era uscita per fare compere e non destar sospetti nel vicinato. Con Nate era rimasto Clyde che stava pulendo il suo fucile a canne mozze.
    Il ragazzino si era offerto di dare una mano, ma Easter lo aveva allontanato affermando che era un lavoro troppo pericoloso per un ragazzino. Non era stato molto felice della risposta, così si era messo a giocare ad un videogioco di guerra: WarCraft.
    Alex posò i sacchetti della spesa sul tavolo della cucina – NATE! Dammi una mano! – urlo dopo essere tornata fuori dalla porta per prendere gli ultimi sacchetti.
    Il ragazzo mise in pausa il gioco e si avviò all’auto per aiutare la donna a portare in casa il resto della spesa. – Hai comprato da mangiare per un reggimento?
    - Non è colpa mia – caricò in spalla due sacchetti di carta – se tu, Clyde e James mangiate come avvoltoi! Dov’è Easter?
    - Sta pulendo il suo Jimmy.
    Alex lo guardò perplessa chiudendo la porta e posando il resto sul tavolo – Jimmy?
    - Ah, così ha chiamato il suo fucile a canne mozze.
    Coburn alzò gli occhi al cielo. – Santo cielo! – imprecò iniziando a ritirare la carne nel congelatore e il resto fra frigorifero e mobili vari. – Immagino non ti abbia guardato.
    - Non ho più tre anni, non devo essere guardato, <i>mammina>/i>. ho sedici anni, so badare a me stesso.
    - Certo, allora esci da casa e va a fare la spesa perché ho dimenticato di comprare l’olio. – lo guardo e vide che l’espressione sofisticata ed altezzosa del ragazzo mutò improvvisamente, impallidendo. – Scherzo. Ma smettila di fare Reid.
    - Chi?
    - Ehm… nulla… - si corresse velocemente… volevo dire… ridere… non farmi ridere… - si rattristò nel ripensare al ragazzino del team. Poco prima di dirgli addio gli aveva rivelato che soffriva di strani mal di testa e la cosa continua a preoccuparla. Avrebbe voluto telefonare a JJ per scoprire se avesse saputo qualcosa, ma non poteva: i cellulare erano tracciabili e non poteva correre il rischio di essere rintracciata e mandare all’aria la sua faticosa copertura. Per lei e per Declan.
    - Nate, fra due giorni resterai a casa con David Cooman, un’agente della CIA che verrà a darci il cambio.
    - Perché?
    - Perché noi dovremo uscire.
    - Non posso venire con voi?
    - Assolutamente no. – rispose fredda e categorica ritirando le uova nell’apposito contenitore del frigorifero e richiudendolo con cura.
    - Se andate da mio padre, voglio venire anch’io! – disse prendendo Alex per un braccio. – Ti prego… - aggiunse. – Voglio vedere in faccia l’uomo che ha ucciso mia madre e che sostiene di volermi bene.
    - Nate… - lei si voltò e si abbassò per guardarlo in viso. Scosse il capo – è troppo rischioso. Lo è per noi, lo sarà certamente ancora di più per te… questo perché non hai un addestramento alle spalle.
    - Io voglio vederlo in faccia!!
    - Ehi ragazzino, non alzare la voce con Alexandra. – lo rimproverò Clyde entrando per bere un po’ di latte. Aveva udito la conversazione e si era avvicinato per mettere fine alla situazione. – Nate, tu non verrai con noi. Non insistere.
    - Perché?
    - Per lo stesso motivo che ti ha spiegato Alex: è rischioso. Non sappiamo nemmeno se riusciremo a prenderlo, figurati a salvare le nostre vite e la tua.
    Nate guardò con sguardo cattivo l’uomo, non lo sopportava. Si voltò verso Coburn che sospirò malinconica – Alex…
    La vide buttare i sacchetti di carta nella pattumiera ed uscire dalla stanza. Non aggiunse altro, non volle farlo. Salì le scale e si recò in bagno. Aveva bisogno di fare una bella doccia ristoratrice senza pensare a nulla, però era troppo difficile.
    L’idea di essere lontana dalla sua famiglia la rendeva nervosa e non sapeva se sarebbe riuscita a farcela ancora a lungo. Doveva riuscirci se voleva uccidere l’uomo che le aveva rovinato la vita rinchiudendola un una sfera di cristallo che avrebbe potuto rompersi con un piccolo errore.
    Accesa l’acqua della doccia sperando che nessuno sarebbe venuto a disturbarla e si lasciò avvolgere dal tenue fumo caldo che saliva verso il soffitto.
    Aveva promesso che ce l’avrebbe fatta, aveva promesso che sarebbe tornata, l’aveva promesso all’uomo che amava ma, più si avvicinava il giorno, più sentiva una strana angoscia stringerle lo stomaco.
    Sentiva il bisogno di stringersi forte contro il suo petto. S’inginocchiò poggiando la schiena e la testa contro il muro e restò lì, così, senza muoversi; teneva gli occhi chiusi come se volesse allontanare tutto il dolore del suo corpo.
     
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  13. Emily†
     
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    Capitolo 26

    30 giugno 2011
    Luogo non identificato, Los Angeles, California




    Indossava una camicia bianca ed un paio di pantaloni grigi, sopra, per terminare il tutto, una giacca in pelle nera. Nonostante il caldo non pareva inaridito.
    Era appoggiato al davanzale di un balcone dalla ringhiera di ferro battuto nero, decorato con filigrana d’oro. Il balcone era affacciato sul mare e decorava la facciata posteriore di un lussuoso residence di Las Angeles.
    L’uomo stava fumando una sigaretta gettando la cenere giù dal balcone ed osservando le polvere grigi che si lasciavano dondolare dalla brezza leggera che soffiava in quell’istante.
    - Signor Drake, il suo sherry con il quotidiano di questa mattina. – avvisò un uomo vestito da cameriere: camicia bianca, pantaloni e giacca nera ed un papillon rosso legato al collo. Era un uomo sui sessantenni, alto, dagli occhi grigi. Era stempiato ed aveva un’espressione severa da vecchio professore di matematica.
    - Lascialo sul letto. – rispose Drake gettando il mozzicone della sigaretta giù dalla balconata rotonda.
    Il cameriere obbedì e, senza che Drake Person potesse vederlo, fece un lieve inchino ed uscì dalla stanza.
    Non appena l’uomo misterioso ebbe udito la porta chiudersi, si schiarì la voce e varcò la soglia della stanza avvicinandosi al letto per raggiungere il giornale. Lo Sherry con ghiaccio era posato sul comodino, pronto per essere bevuto in un fiato: amava alzarsi la mattina con uno sherry ed il suo giornale di L.A..
    - 3107111030SMonicauditorium/RLson – impallidì non appena lesse quelle scritte. Prese lo sherry e lo ingurgitò in un sor boccone per poi rileggere ad alta voce quell’annuncio che tanto gli era andato di traverso - 3107111030SMonicauditorium/RLson.
    Fece cadere a terra il giornale. Si alzò in piedi e si avvicinò al suo cellulare, compose un numero e posò il telefono all’orecchio con estrema lentezza – Falcon.
    - Si, capo. – rispose una voce grossa dall’altro capo.
    - Il 31 all’auditorium. Ci hanno scoperto.
    - Chi?
    - Non lo so, ma non intendo nascondermi. Hanno mio figlio ed io lo rivoglio. Lo esigo, sono stato chiaro?
    - Non sarà…
    - Quella puttana è morta. Credo si tratti dei suoi amici dell’FBI, sono arrivati a lui prima di noi.
    - E noi arriveremo a loro per prima, giusto capo? – rise.
    Drake fece lo stesso. – Esatto. Li voglio morti. Prepara l’arsenale.
    - Sarà fatto.
     
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  14. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.

    Ringrazio per l’aiuto nella stesura di questo capitolo Robin89 che mi ha ispirata!






    Capitolo 27

    30 giugno 2011
    Airport, Maldives, Oceania




    Era ormai ora di partire: l’aereo sarebbe decollato in pochi minuti e lei non si era ancora tranquillizzata.
    Non le piacevano gli aerei, ma non l’aveva mai detto a nessuno. Era piuttosto riservata e preferiva tenersi per sé i timori che l’affliggevano, per questo motivo andava tanto d’accordo con la dolce Emily.
    Erano piuttosto simili: entrambe si fidavano poco degli altri e preferivano fare di testa loro.
    - Avvisiamo i gentili passeggeri che il volo per Las Angeles decollerà fra pochi minuti. Siete pregati di allacciare le cinture di sicurezza e prepararvi al decollo – disse la voce di una donna dall’altoparlante.
    Ronnie si allacciò la cintura sul ventre e posò una mano sul bracciolo osservando dritto davanti a sé per non avere la tentazione di guardare fuori dal finestrino e farsi venire un colpo al cuore.
    Stava per ritornare dal suo team, quel team che amava più della sua stessa vita.
    Sentiva una sensazione di solitudine dentro di se che non riusciva a colmare in nessun modo: la voglia di ritornare dalla sua famiglia era intensa, forte, ma allora stesso tempo, non voleva rivederli perché sapeva che non sarebbe stato lo stesso.
    Lei non sarebbe stata lì a sorridere al suo ritorno e domandarle se aveva conosciuto qualche bel ragazzo durante il suo viaggio, non le avrebbe domandato mai più se voleva uscire a bere qualcosa con lei, JJ e Garcia. Mai più.
    Era triste pensare che una vita così giovane, una candela così bella potesse essersi spenta all’improvviso, portata via da un soffio di vento gelido.

    - Non ha superato l’intervento.- poche parole, poche sottili parole che fecero cadere il mondo addosso a tutti.
    Gli occhi di JJ erano pieni di lacrime, arrossati. Non sapeva cosa dire in più e, così, era rimasta in silenzio ad osservare il giovane Reid alzarsi in piedi ed andarle incontro con volto sconvolto, incredulo.

    - Non ho potuto salutarla… - mormorò con un filo di voce mentre copiose lacrime gli bagnavano il viso. Si chinò verso la donna che l’accolse fra le braccia con dolcezza materna e lo fece piangere sulla sua spalla, lacrime di dolore, sofferenza.

    JJ lanciò un’occhiata al team. Rossi era rimasto in silenzio, non aveva parole per esprimere il suo dolore che pulsava come spine di rose nel suo cuore.
    Hotch era silenzioso, fermo, immobile in piedi dinanzi alla porta. Non disse nulla, ma si limitò a guardarla negli occhi asserendo. Fece qualche passo e se ne andò nascondendo il volto in una mano.
    Garcia era scoppiata in un pianto dirotto nascondendo il viso fra le mani ed appoggiandosi al caro Rossi che la massaggiava la schiena come un padre farebbe con la bambina disparata. Nessuno disse nulla, nessuno riuscì a dire nulla.

    Ronnie abbassò la testa verso il pavimento osservando e cominciando a contare le piastrelle bianche del corridoio. ‘1… 2… 3…4…’, cercando di allontanare la sua mente da quelle poche parole che le avevano tagliato l’anima in due parti. Era diventata come un macigno pesante che non si poteva più muovere. Si sentiva pesante, tanto pesante.
    Trattenne le lacrime perché non poteva piangere: Emily non avrebbe di certo voluto che lei piangesse. Lei stessa non avrebbe mai voluto farsi vedere piangere, farsi vedere debole.
    Alzò lo sguardo, posò gli occhi su Rossi, poi su JJ e Reid, su Garcia, infine di sfuggita, posò lo sguardo su Morgan. Lui era immobile, si tormentava la mani, quelle mani scure che avevano tenuto strette quelle esili e chiare di Emily fino alla fine. Lui era stato l’ultimo a vederla ancora in vita.

    Si alzò riportando il viso verso il pavimento, strinse i pugni e si diresse fin fuori dalla sala d’attesa sbattendo fragorosamente la porta dietro di se.
    Cammina lontano, lontano dal dolore, lontano dal pianto della sua famiglia, lontano dagli urli dei loro cuori infranti, ma non riuscendo a liberarsi dalle sue lacrime che, come strisce di sangue vermiglio, scivolavano silenziose sul suo viso. Sangue, sì, vere lacrime di sangue perché il dolore che sentiva e che le trafiggeva il cuore, non era solo un dolore dell’anima, ma anche del corpo.

    Doyle le aveva portato via l’unica cosa che la rendeva più serena: una sorella, una vera sorella. Lei, che era sempre stata sola, aveva avuto per anni una sorella ed, ora, era tornata ad essere di nuovo sola.
    - Ronnie! – sentì chiamare da Derek, ma lei non si fermò, continuò a camminare imperterrita senza guardarsi alle spella.

    Sentì i suoi passi più veloci farsi sempre più vicino e raggiungerla.

    - Ronnie!! – ripeté prendendola per un braccio: non poteva farla andare via da sola proprio in un momento di dolore come quello.

    - Lasciami!! – si gira di scatto lei.

    - No! – la voce di Derek lasciava trasparire il pianto.

    - Dimmi che non è vero!! – strilla poi mentre le lacrime, senza rispondere ai suoi comandi, iniziano a bagnarle le guance arrossate. – DIMMI CHE NON È VERO!!!! DILLO!! DILLO DANNAZIONE!! – continua a trillare singhiozzando. – DIMMI CHE NON MI HA LASCAITA, DIMMI CHE È TUTTA UNA MENZOGNA E CHE DOMANI MI SORRIDERÀ ANCORA E MI SGRIDERÀ PERCHÉ NON HO VOLUTO PARTIRE PER LE VACANZE!!! DILLO!!!!!!!!!!

    Derek non risponde. Restò in silenzio e l’abbracciò forte mentre le sue lacrime si fondono con quelle della ragazza.



    - Il volo diretto a Los Angeles sta per partire dall’aeroporto. Grazie per averci scelto. – la voce dell’altoparlante risvegliò Ronnie dall’incubo. Si riscosse e si strinse forte nelle spalle.
    Chiuse forte le palpebre per non scoppiare a piangere e si stropicciò gli occhi con vigore cercando di riscuotersi. – me faltas * - sussurrò cercando di riprendersi ed accettando con rabbia tutti i suoi ricordi più tremendi.
    Ad un tratto, sentì la sua attenzione essere trascinata dalle rise di una donna. Voltò leggermente il capo: aveva accanto a sé un bambino biondo, dagli inconfondibili occhi celesti.
    Ronnie sorrise nel vedere come si divertiva mentre la donna al suo fianco gli faceva le boccacce. Senta alcun motivo le tornò in mente la risata di Reid, poi scosse il capo. – Perchè mi viene in mente Reid?? – esclamò dentro di sè scoppiando a ridere. – Forse soltanto perchè, sotto sotto, lui è ancora un bambino... ed Emily era l’unica a riuscire a farlo sorridere davvero.
    Sospirò, prese coraggio e vide dal finestrino l’aereo che si apprestava a sovrastare il cielo scoprendo che era meglio non farlo: il suo stomaco si sentiva molto intabile.
    Aprì il portatile sulle ginocchia e cominciò ad analizzare i file che Penelope le aveva inviato pochi giorni prima.















    * dal traduttore multimediale Robin89: mi manchi in spagnolo.
    Se c’è qualche errore la colpa è sua xD
     
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  15. Emily†
     
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    Capitolo 28

    30 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    Era un pomeriggio di sole, un pomeriggio dove si toccavano i 35 gradi all’ombra con un’umidità che superava il settanta per cento: una calura estiva indescrivibile.
    Karinna stava prendendo il sole sul retro della base con tanto di bikini giallo fosforescente che lasciava risaltare un’abbronzatura mozzafiato. Alex, ringhiando mentre la guardava, stava stendendo il bucato perché, nonostante il lavoro di spia e la copertura, c’era ugualmente da mandare avanti una casa piuttosto ampia con un falso marito, un ipotetico figlio e due inquilini che amavano buttare all’aria ogni cosa.
    James, Nate e Clyde, invece, si erano divisi in due squadre, o meglio, Clyde e Nate formavano una squadra che combatteva contro James, per passare il tempo avevano organizzato una vera e propria minicrociata con fucili senza pallottole ma caricati con palline di vernice rossa. Chi aveva addosso più segni rossi perdeva e, nonostante James fosse solo, stava vincendo alla grande.
    - Mani in alto, topolina!! – urlò Nate ad Alex mentre stendeva un lenzuolo fresco di bucato. – Se tu sei il male, io sono la cura.
    Lei si voltò torva in viso, guardandolo aspramente – Abbassa la pistola, cobra: il tuo fucile è senza proiettili.
    - Non ci sono i proiettili! – strillò disperato – lo sentivo che era troppo leggere… - mormorò poi.
    - La prossima volta tu e quei due imbecilli farete il bucato! Mi avete rovinato tre lenzuola pulite con i vostri giochetti da idioti terminali! – indicò un mucchietto di panni bianchi macchiati di vernice rossa – E la vernice non va via!
    In quell’istante si udì un urlo incredibile provenire accanto a loro: Clyde aveva preso in testa Karinna con un proiettile di vernice ed ora, lei lo stava rincorrendo per tutto il giardino con il suo coltellino svizzero che portava nel reggiseno. – Ecco, lo vedi? Giuro che se diventi come Easter ti do in pasto a tuo padre immediatamente.
    - Non puoi farlo – sorrise sfidandola appoggiando il fucile a terra ed usandolo come una stampella.
    - E chi te lo dice, signorino?
    - Mi vuoi troppo bene! – e l’abbracciò.
    Lei scoppiò a ridere e ricambiò l’abbracciò. – Karinna, piantala!
    La rossa ringhiò in cagnesco prendendo a sberle il povero Clyde e si affiancò ad Alex inviperita – Mi hanno colorato i capelli!
    - Rosso per rosso… non volevi fare un’altra tinta?
    - Da quando sei diventata spiritosa?
    Fece spallucce e lasciò il ragazzo ornare a giocare – Lasciamo i gorilla alla loro piccola crociata in miniatura e prepariamo le armi per domani.
    Entrambe entrarono nell’abitazione e scesero nel sotterranei dove avrebbero trovato tutto l’occorrente per l’operazione del giorno successivo.
    - Dobbiamo sapere qualcosa?
    - All’auditorium ci sarà una festa dedicata alla filarmonica di Las Angeles, per cui vi saranno parecchi gentiluomini alla serata. L’entrata sarà libera, per cui non potremmo controllare tutti gli invitati.
    - E noi ci infiltreremo. – Karinna era già eccitata all’idea di indossare sfarzosi abiti per una serata importante.
    - Per te sarà rischioso. Devi stare attenta, genietto. Non fermarti a parlare con nessuno, recatevi immediatamente alle balconate, l’appuntamento sarà lì.
    - Sicura? Come fai a saperlo? Non l’hai detto nell’annuncio…
    Lei sorrise passando una browning alla collega – Tutti i messaggi sono scritti in modo che gli appuntamenti vengano programmati nel luogo più alto: all’auditorium ci sono delle balconate. Lo incontreremo lì.
    - E Nate?
    - La Backman ha invitato un cadetto per prendersi cura di lui.
    - Cadetto?? Ma non sanno nemmeno allacciarsi le scarpe da soli! – esclamò caricando la pistola argentata e mettendola nella tasca dei pantaloni. Si sedette sulla sedia ed attese che Alex uscisse dalla stanza della armi con quattro fucili. – Chi poi?
    - Larry.
    - Perfetto, poteva trovarne uno peggiore di lui. Bastava impegnarsi un po’.
    - Cosa vuoi che ti dica. Già non è stato semplice convincere Nate a fare il bravo ragazzo con uno sconosciuto armato, non potevo protestare un ordine del generale. – fece spallucce e sperò che Declan facesse il bravo durante la loro assenza.
    - Sei preoccupata, ammettilo…
    Scosse il capo. – Perché dovrei?
    - È il nostro nemico numero uno. Fra poco lo rincontreremo…
    - …e lo ammazzeremo.
    - Devo dirti la verità – Karinna abbassò la testa e fissò il pavimento.
    - Dimmi…
    - Dopo questa missione ho deciso di chiedere il congedo, sono stanca di lottare… voglio una vita dove veramente io possa vivere la mia vita e non quella di un’altra persona. Voglio tornare ad essere Dorotea Gigs e ritornare dalla mia famiglia, sposarmi ed avere dei figli. Non voglio più combattere…
    Alex chiuse gli occhi: si aspettava da tempo una confessione simile – Credo che sia un ottimo modo per ricominciare a vivere. Però… prima dobbiamo uccidere Doyle…
    - Allora perché ho così tanta paura di non riuscire a vedere una nuova vita? È come se questa fosse davvero la mia ultima missione. Come se dovessi morire domani.
    - Non possiamo morire, Karinna. Siamo già morte, ricordalo sempre…
    - Eppure… tu non hai paura?
    - No. Si ha paura quando si ha qualcosa da perdere. Io non ho più nulla, solo un nome finto. Non ho paura.
    Karinna rimase in silenzio per tutto il resto del tempo impiegato per preparar le munizione. Quando ebbero terminato ritornarono al piano superiore dove poterono assistere allo spettacolo di tre uomini sdraiata sull’erba, sporchi si vernice e traumatizzati dalla fatica: Karinna ridacchiò sotto i baffi, Alex si limitò ad osservarli.
    Ridere era troppo difficile per lei e capitava raramente che accadesse. Le riaffiorarono alla mente le parole di Nate quando le ricordò che Lauren era più sorridente ed allegra e si domandò il motivo per cui era diventata così gelida. Non si diede risposta, ma comprendeva bene il motivo: aveva bisogno di certezze e l’unica certezza che in quel momento esigeva era la salvezza del suo team e di Nate. Null’altro.
    Rimase ad osservare le spalle di Karinna sollevarsi piano sotto una risatina allegra e si rese conto di essere totalmente diversa da lei. Karinna era bella e solare, lei burbera e gelida. Cosa c’era di sbagliato?
    Nemmeno questa volta volle sentire una risposta, si voltò e si diresse in cucina per preparare la cena, almeno non avrebbe riflettuto su di nulla, fuorché la preparazione di omelette al prosciutto e formaggio.
     
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