Just smile.

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  1. Antu_
     
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    “Rapporti di buon vicinato”



    Un bussare costante da oltre dieci minuti svegliò il dottor Reid la mattina successiva, si domandò chi di domenica presto potesse avere così tanta urgenza di parlare con lui. Si alzò di controvoglia strofinandosi gli occhi e si diresse verso la porta, nel raggiungerla controllò l’orologio e notò che erano quasi le undici di mattina, forse non era poi così presto, pensò.
    Aprì la porta e rimase un attimo interdetto nel vedere il signor Chester, il suo anziano vicino di piano, davanti a lui.
    “Ragazzo, non ti ho detto nulla quando i tuoi amici hanno riempito il piano di piante, trasformandolo in una specie di serra, ma per favore, i muffin portali dentro casa” lo rimproverò l’anziano. “Quali muf..?” non concluse nemmeno la frase che l’uomo gli porse una cesta con dei muffin e un bigliettino che riportava il suo nome.
    “Ah, questi muffin!” esclamò annuendo il giovane e prendendo la cesta dalle mani del vicino che non sembrava molto contento di lasciarla andare.
    “Ne vuole uno?” gli domandò porgendone uno all’uomo. “Oh no, tranquillo, ragazzo mio. Mi sono già servito e poi ad esserti sincero i muffin alle mele non mi entusiasmano, preferisco quelli al cioccolato” gli disse ed entrò nel suo appartamento lasciando Spencer sulla porta in pigiama e con la cesta in mano.
    Rientrato in casa, prese il bigliettino e lo aprì scoprendo che era da parte di Madison. Si mise subito a leggerlo mentre prendeva un muffin della cesta.
    <<buongiorno, ti ho preparato questi per ringraziarti, te li avrei voluti dare di persona, ma non mi aprivi perciò li ho lasciati sulla porta. Spero ti piacciano. Un bacio, Madison.
    PS: Non sarò a casa in tutto il giorno, sono in ospedale.
    PPS: ti lascio sia il numero di casa che di cellulare…>>
    Dopo aver finito di leggere, posò i muffin nel ripiano della cucina e conservò il bigliettino in uno dei cassetti della scrivania, poi prese il cellulare e compose il numero di Madison, che aveva ormai imparato a memoria con una sola lettura, con l’intenzione di ringraziarla per il pensiero. A rispondere alla sua chiamata fu l’originale messaggio della segreteria telefonica della giovane dottoressa; la voce di Madison risuonò negli orecchi di Spencer: “In questo momento sono intenta a salvare vite umane, tu però lascia un messaggio e sarai presto richiamato. Grazie.” poi seguì un beep. Spencer rimase un attimo in silenzio, non sapeva cosa dire perciò chiuse la chiamata e si promise di richiamarla più tardi oppure di mandarle un messaggio.
    A quel punto andò a farsi una doccia, aveva bisogno di svegliarsi.

    Qualche ora prima del risveglio poco piacevole di Spencer, la sua nuova vicina usciva di casa diretta all’ospedale, aveva ricevuto una chiamata di urgenza da parte del suo nuovo capo, il dottor Christopher Brown.
    Era il suo primo giorno nel reparto di diagnostica, aveva avuto modo di conoscere i suoi colleghi, la dottoressa Jennifer Andrews e il dottor Ronald Perkins in precedenza, mentre svolgeva le sue ore di pronto soccorso previste da contratto, ma il dottor Brown le era ancora ignoto e quella chiamata che aveva anticipato il giorno della loro conoscenza l’aveva spiazzata. Non era ancora pronta psicologicamente.
    Entrò nel reparto e fu accompagnato da un’infermiera nello studio dello stimato dottore, la giovane collaboratrice annunciò l’arrivo della dottoressa Thompson ed uscì dopo aver augurato buona fortuna alla nuova collega.
    Madison la osservò allontanarsi, infine fece un respiro per calmarsi ed entrò. “Buongiorno” disse prendendo posto nella sedia vuota davanti a lui. “E’ un piacere conoscerla” aggiunse tendendo la mano che fu stretta in modo vigoroso da Christopher.
    “Signorina Thompson, benvenuta nel reparto di diagnostica del nostro ospedale. Volevo dirle due parole prima che inizi a svolgere i suoi compiti” esordì alzandosi in piedi. Madison osservò il dottor Brown, era un uomo sulla cinquantina alto e ben piazzato, portava i capelli neri corti e una barba piuttosto folta, d’istinto gli guardò le mani alla ricerca della fede nuziale che tuttavia non intravide. Non era sposato, o forse è divorziato, pensò la giovane donna.
    “Ho letto nel suo fascicolo che lei prima ha lavorato come medico legale quindi ha poca dimestichezza con i pazienti” continuò camminando su e giù per lo studio. Madison annuì, ciò che diceva il suo capo era vero, a parte quella settimana di pronto soccorso, l’ultima volta che aveva lavorato con dei pazienti ‘vivi’ risaliva ai tempi dell’università.
    “Vede, signorina, i pazienti spesso non dicono la verità” s’interruppe notando l’espressione stranita della giovane. “Beh è così per quanto possa sembrare strano” confermò lui, “Perciò mi aspetto che lei indaghi a fondo ogni volta senza mai dare nulla per scontato” concluse l’uomo, infine la invitò ad uscire dallo studio dopo averle dato la cartella del paziente che aveva preso in cura quella stessa mattina.
    Thompson rimase per un attimo spaesata guardando la cartella che aveva in mano, poi scosse la testa per costringere se stessa a concentrarsi e raggiunse i suoi nuovi colleghi.
    Una nuova avventura stava per iniziare e lei era pronta.

    Più tardi quello stesso giorno, la dottoressa Thompson ritornò a casa carica di entusiasmo. Era stata una giornata incredibile, il dottor Brown aveva risolto il caso loro assegnato in pochissimi minuti nonostante loro tre, lei e suoi due colleghi, avessero eseguito numerosissimi analisi e studi dalla mattina senza giungere ad una conclusione plausibile.
    Aveva capito che il male del tredicenne era dovuto ad una garza dimenticata dal chirurgo che lo aveva operato di appendicite qualche anno prima. Madison era rimasta stupida della sua bravura e capì immediatamente che avrebbe imparato moltissimo lavorando al suo fianco.
    Arrivata al palazzo, getto un’occhiata verso l’alto, o più precisamente verso la finestra dell’appartamento del dottor Reid; notò con piacere che la luce era accesa, il che significava che il suo vicino era in casa, aveva con chi dividere la cena a base di sushi che si era procurata prima di ritornare a casa.
    Perciò salì le scale passando davanti al suo appartamento e si fermò davanti all’interno 14c aspettando che Spencer aprisse la porta. “Salve dottoressa” esclamò lui nel vederla indossare il camice bianco.
    “Ciao, ti sono piaciuti i muffin? A proposito, ho visto la tua chiamata, dovevi dirmi qualcosa?” gli chiese entrando e accomodandosi nel soggiorno.
    “No, no, cioè volevo ringraziarti per i muffin, appunto” rispose chiudendo la porta. “Comunque erano davvero buoni” aggiunse, a quel punto notò la busta con l’insegna del ristorante giapponese situato a pochi isolati da casa sua e domandò cosa ci facesse lì.
    “E’ la nostra cena!” esclamò lei sfoggiando uno splendido sorriso, “Ricordi? Te ne dovevo una!” poi si alzò in piedi e si diresse verso la cucina portando con sé la busta. “Tu cosa hai fatto tutto il giorno?” domandò dalla cucina mentre prendeva i piatti dell’armadietto e apparecchiava la tavola. Si comportava come se fosse casa sua, cosa che non diede affatto fastidio a Spencer, anche se gli sembrava strano che qualcuno potesse entrare in confidenza così velocemente con un’altra persona. “Nulla, ho compilato dei rapporti e letto qualche libro” disse in risposta alla sua domanda.
    “Letto qualche libro?” domandò lei strabiliata. “Ah, giusto! Sei un genio, e hai la memoria eidetica!” aggiunse battendosi la testa con il palmo della mano destra. “Mangiamo?” si sedette, aspettò che Spencer facesse lo stesso poi prese le bacchette e addentò il primo morso di sushi. “Cavoli! È buonissimo, credevo che solo a New York sapessero cucinare il sushi, ovviamente dopo i ristoranti di sushi in Giappone, ma questo è ottimo” esclamò lei con evidente soddisfazione.
    “Si, è buono, anche io lo ordino sempre qui” rispose il giovane. “Com’è andata a lavoro?” le domandò poi spostando la conversazione su un altro argomento.
    “Benissimo! Sai oggi era il primo giorno nel reparto di diagnostica”
    “Il tuo primo giorno? Credevo che stessi già lavorando in ospedale”chiese un po’ confuso senza smettere di darsi da fare con le bacchette.
    “Si, in questi giorni ho lavorato in pronto soccorso, ma lunedì, cioè domani, doveva essere il primo giorno. Però il dottor Brown mi ha chiamata dicendo che dovevamo anticipare il mio inizio” spiegò lei. “Anche se prima mi ha ben bene spaventato”
    Spencer le domandò in che senso spaventato, Madison si schiarì la gola e parlò: “Ha iniziato dicendo che devo stare attenta, che i pazienti spesso mentono e che noi dobbiamo capirlo per essere bravi dottori”
    “Ha ragione, le statistiche dicono che il 57-58% dei degenti in ospedale mentono ai propri dottori, principalmente per paura di essere giudicati- il 73% mente infatti riguardo a rapporti extraconiugali od omosessuali-, altri invece omettono dettagli noncuranti che possano essere importanti” sciorinò lui mentre Madison annuiva.
    “Beh allora starò attenta soprattutto ai mariti che mi sembrano un po’ annoiati” disse lei ridendo.
    Continuarono la serata a ridere e scherzare, si comportavano da buoni amici. Spencer si scoprì piacevolmente compiaciuto della cosa, era bello avere un’amica in più, ma soprattutto un’amica fuori dal lavoro.


    Il giorno dopo Spencer tornò al lavoro, aveva un’aria piuttosto serena, si era rilassato parecchio in quei due giorni. Appena entrato nel bureau, andò a versarsi una tazza di caffè, non ne aveva ancora preso uno.
    Era lì da pochi minuti quando il suo collega Derek Morgan fece ingresso nel cucinino dell’ufficio. “Come hai trascorso il weekend?” gli chiese dopo averlo salutato. “Benissimo! Sono stato con Madison a cena sabato, e anche ieri, a dire il vero. L’ho aiutata con il trasloco” disse in risposta mentre sorseggiava la tazza di caffè, stava per dare ulteriori dettagli al collega ma questo lo interruppe. “Cosa? Hai aiutato Madison con il trasloco? Ma soprattutto sei stato a cena con lei?” chiese un po’ scandalizzato. Si aspettava che genietto avesse passato il weekend in compagnia di un libro, o peggio della serie di Star wars, non di certo di una sua amica.
    “Si, non mi hai fatto finire di parlare. Madison abita nel mio palazzo da sabato, infatti prima stava da un’amica, o almeno così mi ha detto” spiegò lui leggermente infastidito per la reazione di Derek. “Ecco, perché l’ho aiutata. Sabato quando siamo tornati, l’ho trovata nel pieno del trasloco” proseguì posando la tazza vuota di caffè nel lavandino.
    “Non mi hai ancora spiegato il perché della cena però” lo provocò Derek con tono malizioso che imbarazzò Spencer non poco. “Dopo aver finito di aiutarla sabato, era tardi e lei non aveva nulla da mangiare così abbiamo cenato da me e poi ieri ha ricambiato la cortesia offrendomi la cena, e i muffin” rispose sperando che Morgan la smettesse con le sue insinuazioni, cosa che ovviamente non accadde.
    “Lo sai come dice il detto, Reid?” chiese al giovane collega che scosse la testa dicendo che non conosceva nessun detto.
    “La via più veloce per arrivare al cuore di un uomo passa per il suo stomaco” disse tutto d’un fiato. “Quindi stai attento a tutte queste cene e muffin, potresti trovarti in difficoltà ad allacciarti i pantaloni oppure a non avere affatto voglia di indossarli” mormorò vicino all’orecchio del collega perché nessuno li sentisse.
    “Derek!” urlò Spencer con voce acuta, quell’insinuazione non gli era affatto piaciuta. Avrebbe voluto dirglielo, ma l’agente Morgan si era spostato prontamente nell’open space e preferì tacere prima che qualcuno potesse prendere parte a quella conversazione del tutto fuori luogo.
    “Sala riunioni fra cinque minuti!” tuonò la voce di Aaron Hotchner distogliendo tutti dalle proprie attività. Spencer pensò che Hotch l’aveva appena salvato da un ulteriore momento imbarazzante, perciò si alzò subito in piedi per seguire l’agente supervisore della sua squadra. Morgan fece altrettanto mentre fingeva di lanciare baci nella sua direzione, a quel punto Spencer accelerò il passo. “Che gli prende?” chiese Alex Blake notando la reazione di Reid.
    Morgan alzò le spalle fingendo di non sapere ma la sua espressione poco convinta incuriosì Blake che si promise di indagare in seguito.
    “Adam Levinsky, 35 anni, trovato morto in un vicolo di Los Angeles da un passante sabato mattina. Questo è solo il primo corpo, oggi la polizia ha rinvenuto un altro cadavere, il cui nome è ancora ignoto” disse Garcia mentre distribuiva i tablet con tutti i dati ai suoi colleghi.
    “Il collegamento fra i due è il modus operandi” esordì David Rossi dopo una breve esamina del fascicolo. “Alquanto preoccupante, sembra che siamo di fronte ad un altro caso di finti vampiri” aggiunse con evidente disgusto.
    “Ne avete già affrontato uno?” domandò Blake essendo l’ultima arrivata non era ancora a conoscenza del caso a cui faceva riferimento l’agente Rossi.
    “Si, qualche anno fa. Ma il colpevole è stato preso e si trova in carcere e ad ogni modo non ha nulla a che vedere con questo caso” spiegò Hotch. “Tuttavia le conoscenze acquisite durante le indagini di quel caso potranno tornarci utili” proseguì, alzandosi e annunciando ai suoi colleghi che il jet diretto a L.A. sarebbe decollato fra mezz’ora.

    Mentre erano sul jet, Hotch divise i suoi agenti, com’era solito fare. Blake e Reid sarebbero andati insieme dal medico legale, mentre Rossi e Morgan si sarebbero recati sulla scena del primo omicidio, JJ e lui nella stazione di polizia per ricevere maggiori informazioni, sul secondo omicidio soprattutto.
    Giunti a Los Angeles, l’accoglienza dei poliziotti del distretto non fu delle migliori, erano infastiditi all’idea che i federali fossero stati interpellati. Avrebbero risolto benissimo i due omicidi senza bisogno del loro intervento, come fece presente uno dei detective con aria annoiata mentre mal volentieri consegnava le prove che la scientifica aveva raccolto sulla seconda scena del crimine. Informò anche i due agenti che l’identità della seconda era stata scoperta, il suo nome era Luke Sanders, residente nella città degli Angeli dalla nascita, e anche lui membro della comunità di vampiri a cui apparteneva la prima vittima.
    Reid e Blake dal medico legale ebbero maggiore fortuna, entrambe le vittime erano morte dissanguate, uccise con un corpo contundente che sfortunatamente non fu rinvenuto né nella prima e né nella seconda scena del crimine.
    Tuttavia su entrambi i corpi furono individuate tracce di schegge di legno che suggeriva che le vittime fossero state uccise da un paletto di legno. “Come veri vampiri” commentò Blake scioccata dopo che il medico legale espose la propria ipotesi.
    Mentre ritornavano alla stazione di polizia per informare gli altri di quanto appreso dal coroner, Blake ne approfittò per chiedere al dottor Reid cosa fosse successo con Morgan.
    Spencer sgranò gli occhi e deglutì prima di parlare, sapeva che era inutile mentire a dei profiler professionisti, perciò disse a Blake cosa era successo. “E’ fantastico Reid!” esclamò la donna dopo aver sentito la storia.
    “Un’amica è proprio ciò di cui hai bisogno ora. Sono contenta per te” aggiunse senza fare alcun commento malizioso.
    Il giorno dopo risolsero il caso dopo un’estenuante indagine che li condusse alla madre adottiva della prima vittima, Adam Levinsky.
    Il figlio era venuto a conoscenza della bugia che la donna gli aveva raccontato riguardo la morte della madre biologica; sua madre non era scappata, bensì fu uccisa da lei stessa in un momentaneo raptus dopo che la donna si era rifiutata di darle il figlio che aveva appena dato alla luce, nonostante si fosse offerta di fare da madre surrogata in cambio di denaro. Così aveva ucciso il figlio a sangue freddo utilizzando il paletto di legno di modo che venissero incolpati i membri della comunità che frequentava; Luke Sanders l’aveva scoperta, ma fu ucciso a sua volta prima ancora che potesse recarsi alla polizia.
    Ritornati a Quantico, il dottor Reid trascorse il resto della serata a compilare il rapporto accompagnato unicamente da Aaron Hotchner e una tazza di caffè nel bureau dell’U.A.C.; non aveva alcuna fretta di tornare a casa, aveva bisogno di riflettere sulle parole dei suoi colleghi e su quell’amicizia appena nata, lontano il più possibile dalla dottoressa Thompson.


     
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