Chimera

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    Capitolo XV: Vendetta

    Derek arrivò puntuale come sempre. Salirono in macchina senza parlare, ognuno perso nei propri pensieri.
    Spencer era preoccupato, per l’S.I., per Gideon, per la reazione del resto della squadra per il ritorno di quell’uomo che li aveva abbandonati senza una parola. Ma più di tutto era preoccupato per Sarah, il comportamento di lei quella mattina era indecifrabile. Quando si era alzato l’aveva trovata già pronta in cucina a preparare il caffè, gli aveva allungato la tazza senza dire una parola e alla domande di lui rispondeva a monosillabi. Eppure la sera prima sembrava cosi felice.
    Sarah si era seduta sul sedile posteriore e aveva chiuso gli occhi. Non aveva detto tutto a Spencer. Non gli aveva parlato del senso di colpa che provava per aver parlato con lui del suo segreto. Si sentiva in colpa per Jason. Sapeva perfettamente che lui si aspettava qualcosa di più da lei che non qualche formale conversazione e qualche invito a cena, ma lei non si era mai sentita veramente pronta ad affrontare l’uomo che le aveva cambiato la vita. Aveva origliato la conversazione tra Spencer e Jason e non gli era piaciuto il tono di quest’ultimo. Come se lei avesse bisogno dell’approvazione di qualcuno. Chi si credeva di essere? A volte riusciva a irritarla più di chiunque altro al mondo. Prima la sbatteva dall’altra parte dell’Atlantico e poi voleva avere voce in capitolo sulla sua vita sentimentale? Aveva perso quel diritto molto tempo prima, quando lei si aspettava un abbraccio invece della notizia che lui non la voleva nella squadra. Anche se non l’aveva mai ammesso, anzi lo aveva negato con veemenza, lei riteneva che lui si vergognasse di lei e di quello che li univa. Altrimenti perché comportarsi cosi? Perché non degnarla mai di una telefonata? Quando aveva deciso di lasciare l’unità aveva scritto una lettera a Spencer, a lei non aveva fatto neanche una telefonata. L’aveva scoperto per puro caso da un collega dell’F.B.I. appena arrivato a Lione. Non era un bel modo di sapere le cose.

    Il campanello dell’ascensore suono mentre le porte si aprivano. Sarah afferrò istintivamente la mano di Spencer e la strinse. Cosa sarebbe successo ora? Si voltò verso di lui e vide quel sorriso dolce che lei amava tanto apparire sul bel volto del suo ragazzo. Con lui accanto non aveva paura di niente.
    Spencer non si liberò della presa quando entrarono nell’openspace, anzi la accentuò come a voler dichiarare al mondo intero che si, lui Spencer Reid, era innamorato di Sarah Collins.
    JJ, Garcia e Prentiss erano ferme davanti all’ufficio di Hotch. A Sarah sembrava la ripetizione della scena di due giorni prima. Anche se l’ospite di martedì era li per nuocerle e la figura che vedeva in quel momento era li per proteggerla, si sentiva nello stesso modo. Inquiete e preoccupata. Cosa sarebbe successo ora?
    Garcia notò la presenza dei nuovi arrivati e si girò verso Spencer.
    - Reid! Ehm… ecco…
    - Ma insomma bambolina! – si intromise Morgan – Si può sapere cosa avete? Siete tutte lì imbambolate! Non ditemi che il bell’imbusto è tornato.
    - No… veramente… - provò a cominciare Emily.
    - Nell’ufficio di Hotch ci sono Rossi e Jason Gideon – finì per lei Sarah.
    - Tu lo sapevi? – lo sguardo di JJ andava da Sarah a Spencer – Spence, per te deve essere uno shock.
    - No, io e Gideon abbiamo chiarito ieri sera – rispose con noncuranza lui.
    - Gideon era con voi ieri sera? – chiese Morgan.
    - Si, era venuto a trovarmi su mio invito – spiegò Sarah – Lui è stato il mio istruttore e, senza offesa, è il miglior profiler che io abbia mai conosciuto… ho chiesto il suo aiuto.
    La squadra si guardò sospettosa. Da quando in qua Sarah chiedeva l’aiuto di qualcuno? I loro pensieri furono interrotti dal rumore della porta che si apriva lasciando uscire Hotch, Rossi e Gideon.
    Aaron si schiarì la voce prima di alzare lo sguardo a richiamare l’attenzione di tutti.
    - Jason è qui in veste di consulente. E’ stato l’istruttore di Collins e vuole rendersi utile. Parteciperà solo a questa indagine. Una volta risolto il caso se ne andrà di nuovo. Domande?
    L’unità guardava Gideon in silenzio. Di domande ne avevano molte ma sapevano che lui non avrebbe risposto.
    - Bene – intervenne Rossi per interrompere quel silenzio imbarazzato – credo che sia ora di mostrare a Jason i dossier e il profilo preliminare che ha stilato Sarah.
    - Tutti in sala riunioni tra cinque minuti – disse Hotch ritornando nel suo ufficio.

    Jason era andato direttamente in sala riunioni e si era piazzato davanti al tabellone. Sarah entrò e chiuse la porta alle sue spalle, poi si avvicinò lentamente fino a raggiungere il fianco di lui.
    - Come è andata? L’hanno bevuta la storia del maestro che si preoccupa per l’allieva?
    - Non so… forse. Al momento mi preoccupa di più questo tipo – si girò verso di lei e poi lentamente le scostò una ciocca dal viso – Non voglio che ti succeda niente di male.
    - Lo so. Possiamo prenderlo?
    - Si, con un po’ di pazienza. E’ un abitudinario, non cambierà mai le sue abitudine a meno che qualcosa non disturbi la sua routine.
    La mano di lui si fermò sulla guancia di lei.
    - Sarah, io…
    In quel momento Morgan aprì la porta e fece per entrare. Rimase lì immobile gli occhi sgranati e la bocca stretta in una smorfia di disapprovazione. Sarah fece un passo indietro e abbassò gli occhi in un gesto di vergogna. Chissà cosa avrebbe pensato ora Derek?
    - Morgan, vuoi rimanere li imbambolato per tutto il giorno – disse Rossi superando il ragazzo di colore.
    - Io… niente – dicendo cosi Derek si avvicinò ad una delle sedie e si mise a sedere.
    Piano piano tutto la squadra entrò in sala riunioni. Si avvertiva una tensione nuova provenire dal comportamento di Morgan, che fissava con astio Gideon e Collins che ora si erano seduti fianco a fianco.
    - Allora, Gideon, come mai ti preoccupi tanto per una tua vecchia allieva? Reid era molto più di questo per te eppure non sei mai corso da lui – cominciò Derek con fare arrogante e provocatorio.
    - Se avessi saputo che era in pericolo mi sarei precipitato qui…
    - Però non sei rimasto in contatto con noi e quindi non sapevi tutte le cose che sono successe in questi due anni… eppure sai che Sarah è in pericolo… voi due siete rimasti in contatto?
    - Sporadicamente. Sarah sa come rintracciarmi, anche se io non voglio essere rintracciato. Era preoccupata e a ragione. Questo S.I. è già sfuggito una volta alla cattura.
    - Vi dispiace rimandare i chiarimenti a dopo? – intervenne Sarah – Abbiamo meno di 24 ore per fermarlo prima che rapisca un’altra ragazza.
    - Collins a ragione – convenne Hotch – mettiamoci al lavoro.
    Proprio in quel momento il telefono di JJ cominciò a suonare e lei prese la chiamata.
    - Agente Jaraeu, si… d’accordo capisco… arriviamo subito.
    - JJ avevamo detto che non avremo preso altri casi – le ricordò Rossi.
    - Questo riguarda il “nostro caso”. Mi hanno appena informato di un altro omicidio. Sulla scena del crimine c’era una missiva della “chimera”.
    - Non è possibile – sgranò gli occhi Sarah – oggi è solo giovedì!
    - Non ha rapito un’altra ragazza – JJ abbassò lo sguardo timorosa della reazione del resto della squadra.
    - Cosa? – intervenne Jason.
    - Hanno trovato il corpo dell’agente Mark McGregor nella sua camera d’albergo circa un’ora fa.
    Sarah si alzò in piedi visibilmente scossa dalla notizia. Mark era morto! L’uomo che l’aveva stuprata e tormentata era morto per mano di uno psicopatico che le dava la caccia!
    - Forse McGregor sapeva qualcosa e l’S.I. ha voluto metterlo a tacere – ipotizzò Emily.
    - C’è un unico modo per saperlo con certezza – intervenne Hotch – dobbiamo andare lì. Collins, JJ e Morgan con me. Garcia continua le ricerche. Jason, Reid, Rossi e Prentiss rimarrete qui per studiare i dossier del caso. Muoviamoci.

    Arrivati davanti alla camera dell’albergo si divisero. Hotch e JJ andarono a parlare con i poliziotti. Morgan e Collins entrarono nella camera per studiare la scena del crimine.
    I poliziotti e la scientifica avevano finito. Cosi uscirono dalla stanza per lasciare ai federali lo spazio per muoversi.
    - Sarah, cosa c’è esattamente tra te e Gideon?
    - E’ stato il mio istruttore all’accademia.
    - Balle! Ho visto che ti accarezzava una guancia. Non mi sembra che un atteggiamento cosi intimo sia dovuto solo al rapporto maestro allievo.
    - Infatti. Per Gideon io sono più di un’allieva e lui per me è più di un insegnate – Sarah non voleva mentire a Derek, ma non voleva neanche parlargli del suo segreto – Comunque non so cosa tu creda di aver visto ma ti sbagli di grosso. Io e Jason non abbiamo il tipo di rapporto che la tua domanda sottintendeva. Ora concentriamoci sul caso.
    - E se fosse entrato Reid invece di me?
    - Lui avrebbe capito – Sarah si girò verso Morgan e gli prese una mano – Derek ti giuro che ne io ne Jason faremmo mai qualcosa che possa far soffrire Spencer.
    Derek sospirò sconfitto. Sarah non gli avrebbe detto altro. Doveva fidarsi della sua parola. Ma il modo in cui Gideon le aveva accarezzato la guancia lo aveva turbato. Era un gesto troppo intimo ed affettuoso.
    Cercarono per la stanza senza trovare indizi. La polizia aveva già portato via il messaggio della chimera e ora come unica testimonianza del suo passaggio era rimasto il corpo senza vita di Mark McGregor coperto pietosamente da un lenzuolo bianco. Sarah si chinò e ne sollevò un lembo.
    - E’ lui? – chiese Morgan.
    - Si, indubbiamente. A quanto pare anche secondo il nostro S.I. Mark parlava troppo.
    - Cioè?
    - Gli ha chiuso la bocca con del nastro adesivo. Lo ha sgozzato… le mani sono legate con altro scotch.
    - Segni di tortura?
    Lei continuò la sua indagine scostando piano il lenzuolo.
    - Non ci sono segni di morsi o di bruciature, ma non sono arrivata ancora alla zona pub… O MIO DIO!
    Sarah si era ritratta lasciando andare il lenzuolo e finendo con il sedere per terra. il volto sconvolto e bianco rivelava come fosse rimasta colpita da quello che il lenzuolo celava. Morgan la vide portarsi una mano davanti alla bocca come per reprimere un conato di vomito.
    - Cosa diavolo… - Derek si chinò per scostare il lenzuolo.
    - No! – lo ammonì Sarah – Non guardare, è meglio!
    - Perché? Cosa diavolo gli avrà mai fatto? Ne ho viste di cose in tutti questi anni.
    - Fidati e meglio che tu non lo veda… specialmente visto che sei un uomo.
    - Andiamo! Non dire assurdità! Che centra il mio sesso con un cadavere? Lo ha bruciato? Lo ha morso?
    - Credo che l’abbia sgozzato solo dopo…
    - Dopo cosa?
    - Dopo averlo evirato.

    Continua…
     
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    Capitolo XVi: Bisbigli nel buio

    Uscirono dalla camera senza dire una parola. Derek fece segno agli impiegati dell’obitorio che potevano entrare. Sarah si diresse a passo deciso verso il medico legale che stava parlando con uno dei poliziotti.
    - Dottore!
    - Si… lei deve essere una degli agenti federali… - la scrutò attentamente con interesse – Eseguirò l’autopsia solo domani mattina. Se vuole può chiamarmi verso l’ora di pranzo.
    - Cosa può dirmi per il momento?
    - La mia impressione è che… ehm…
    - L’ha evirato prima di sgozzarlo?
    - Si, dall’emorragia diffusa nella parte inguinale direi che la mutilazione è avvenuto prima della morte. Deve averlo lasciato cosi almeno venti minuti… ma è solo una mia impressione. Le saprò dire di più dopo gli esami di laboratorio.
    Sarah annuì. Poi si voltò verso Derek.
    - Credo sia meglio raggiungere JJ e Hotch. Voglio dare un’occhiata a quel biglietto.
    Morgan le fece cenno di precederlo, scrutando nervosamente intorno con gli occhi.
    - Credi che l’S.I. – cominciò Derek.
    - Sia qui a godersi lo spettacolo? Probabile.
    - Ho la macchina digitale con me.
    - Fa delle foto. Ma mi raccomando non destare attenzione. Non vorrei innervosirlo più del dovuto. Hai visto cosa è capace di fare, no?
    - Già – Morgan si girò per cercare il suo capo con gli occhi – Hotch è laggiù. Non ti perdo di vista finché non lo raggiungi.
    - Ottimo. Anche perché l’S.I. in questo modo si concentrerà su di me.
    Sarah si incamminò a passo veloce. Non le piaceva tutta quella gente nel corridoio. L’S.I. poteva essere uno di loro. Non le sarebbe piaciuto imbattersi in lui, neanche in quell’ambiente pieno di poliziotti.
    - Hotch?
    - Collins. Tu e Morgan avete finito?
    - Non c’era molto. Nessun indizio.
    - Causa della morta.
    - Si è divertito con lui. Poi l’ha sgozzato.
    - Morsi e bruciature?
    - No. Mutilazione. Quando mi manderà il souvenir non voglio aprirlo io.
    Aaron la guardò un momento. Sembrava stanca e tesa.
    - Vuoi vedere il messaggio?
    - Sono qui per questo.
    JJ le allungo il foglio racchiuso in una busta di plastica trasparente per le prove.

    “Mia dolcissima,
    lui aveva osato alzare il suo sguardo lussurioso su di te. E’ stato punito dove ha peccato.
    Non trovi che ci sia una giustizia poetica in tutto questo?
    Mia amatissima, chiunque osa farti del male se la vedrà con me. Ti proteggerò e ti vendicherò.
    Non ci sono segreti fra noi. Fare la pace con te è stato bellissimo, ma non litighiamo mai più.
    Abbandonati a me, mia principessa.
    Con amore”

    Sarah era pallida. Sembrava sul punto di sentirsi male. JJ si spostò al suo fianco e le mise una mano sulla spalla.
    - Non devi sentirti in colpa. Non hai chiesto tu che lui venisse ucciso.
    - JJ ha ragione. Il fatto che gli abbia strappato gli occhi…
    - No, Hotch, non gli ha strappato gli occhi.
    Aaron la guardò stupito e contrariato.
    - Andiamo! Sul messaggio parla di come McGregor ti abbia messo gli occhi addosso e di come l’S.I. l’abbia punito di conseguenza.
    - Infatti… l’ha evirato – Sarah cerco di riordinare le idee prima di proseguire - Hotch, devi farmi un favore.
    - Qualsiasi cosa Collins.
    - Manda una squadra a casa mia. Ho ragione di credere che lui abbia messo un microfono nel mio appartamento.
    JJ e Hotch si guardarono preoccupati, se Sarah aveva ragione nessuno di loro era più al sicuro.

    Derek osservava i tecnici dell’F.B.I. al lavoro, mentre Sarah era appoggiata allo stipite della porta. Dopo aver disattivato l’allarme era uscita dall’appartamento rimanendo nel corridoio. Non si sentiva più al sicuro nel suo appartamento.
    I suoi sospetti si rivelarono fondati quando l’intercettatore di uno dei tecnici si mise a suonare in prossimità della mantovana della tenda del soggiorno.
    Lei chiuse gli occhi cercando di combattere contro le lacrime. Lui aveva ascoltato tutto quello che si erano detti. Aveva sentito Gideon parlare del segreto. Aveva ascoltato lei e Spencer fare l’amore. Si sentiva come dopo lo stupro. Violata, abusata.
    Derek si voltò verso di lei. Intuiva lo stato d’animo dell’amica. Si avvicinò e l’abbraccio.
    - Ti giurò che prenderemo quel porco maledetto. Dovessi impiegarci dei secoli gliela farò pagare per quello che ti ha fatto.
    Sarah era rigida. Sembrava una statua.
    <<niente! Non ho più niente di mio! Neanche la mia intimità!>>
    Era grata a Derek per il conforto, ma in quel momento voleva essere stretta da Spencer. Voleva il suo ragazzo accanto. Lui avrebbe capito! Lui l’avrebbe consolata!

    La squadra era tutta radunata in sala riunioni. Sarah non aveva più aperto bocca, sembrava completamente svuotata di ogni volontà. Derek l’aveva dovuta prendere per mano per farle salire le scale. Sembrava una bambola senz’anima.
    Gideon le si era seduto accanto e le aveva preso una mano tra le proprie.
    - Posso solo immaginare come ti senti adesso, ma devi cercare di reagire. Non dargliela vinta. Tu sei più forte di lui.
    - Le ho fatto preparare i bagagli. Compresi i tuoi Reid. Non potete più tornare lì – disse Morgan cercando lo sguardo del giovane genio.
    - Verrete mandati in un posto sicuro fino alla fine delle indagini – intervenne Hotch.
    - Ma hai bisogno di me qui! – disse Spencer – Sarah deve essere messa al sicuro, io rimango.
    Finalmente Sarah sollevo lo sguardo. fece un profondo respiro e cominciò a parlare.
    - Nessuno va da nessuna parte. Dobbiamo rimanere qui. Dobbiamo fermarlo.
    - Ma Collins – provò Rossi – voi due siete in pericolo!
    Sarah annuì grave. Cercò di riordinare le idee.
    - Lui si immedesima in Spencer, ora che gli abbiamo tolto il suo giocattolo comincerà a scompensare.
    - Come fai a dire che si immedesima in Spence? – chiese JJ.
    - Il biglietto. Lui crede di avere una storia con me. Ha sentito me e Spencer litigare e nel biglietto ne parla come di una lite fra me e lui.
    Gideon sorrise. Anche ora che era cosi scossa riusciva a stilare un profilo dell’S.I. senza sforzo. In lei era un dono naturale, le riusciva facile come respirare. Un moto di orgoglio lo pervase. Aveva addestrato bene quella ragazza.
    - Potete venire a stare da me – le disse – non sa dove vivo.
    - Sa che vivi nei pressi di Dupont Circle. Ha sentito la nostra conversazione di ieri sera.
    - Già. Ma dobbiamo trovare un posto sicuro.
    Un posto sicuro? Quell’idea rimbalzava da una parte all’altra del cervello di Sarah. Ma quale posto poteva essere sicuro? Lui ormai la conosceva. Sapeva quasi tutto di lei. Come trovare un posto che lei non avesse mai nominato? Poi un lampo. Un posto sicuro! L’unico posto dove si era sentita sicura per tanto tempo!
    - So dove possiamo andare!
    La squadra la guardò con aria interrogativa.
    - Non ho mai nominato quel posto!
    - Di che posto stai parlando, Sarah? – le chiese Spencer aggrottando le sopracciglia.
    - La casa dei miei! Non l’ho mai venduta. E’ il posto perfetto. Non ci ho mai rimesso piede dopo l’incidente. E’ stata rimbiancata e ripulita da poco.
    - Se non ci vivi perché la fai pulire? – le chiese Derek.
    Sarah non rispose, ma un leggero rossore le colorò le gote. Quella era veramente una domanda imbarazzante! Dopo che la sua storia con Spencer si era fatta seria, lei aveva cominciato a fantasticare di andare a vivere insieme, di mettere su famiglia. L’unico posto dove voleva crescere i suoi figli era la casa della sua infanzia, cosi tre settimane prima aveva preso accordi con l’avvocato perché la facesse rimettere a posto. Aveva anche fatto installare un ottimo sistema d’allarme. Non ne aveva parlato con nessuno, doveva essere una sorpresa per Spencer.
    - Non ha importanza adesso – intervenne Gideon – Abbiamo un posto sicuro dove nasconderli. Quello che importa ora è concentrarsi sulla cattura di quello psicopatico.
    La squadra era d’accordo con lui. Era ora di tornare al lavoro.

    Continua…

    Edited by unsub - 23/9/2010, 21:58
     
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    Capitolo XVII: Spiraglio

    Jason e Sarah erano fermi davanti al tabellone. Gli altri si erano allontanati per il pranzo, loro aveva declinato l’invito. Erano concentrati e silenziosi. Nella stanza solo il rumore dei loro respiri.
    - Mi stavo chiedendo… - cominciò Jason – come ha fatto a piazzare un microfono nel tuo appartamento?
    - Minimo doveva sapere il codice di accesso per l’allarme – rispose Sarah. In realtà stava pensando a questa cosa già da un po’.
    - Hai usato qualche data particolare? Il tuo compleanno, il compleanno di Reid…
    - Concedimi il beneficio del dubbio. Non sono cosi sprovveduta. Era una data che nessuno poteva collegare a me.
    - Cioè?
    Sarah arrossì. Spencer sapeva il codice di accesso, ma non aveva mai fatto il collegamento mentale. Probabilmente perché fino a 24 ore prima non era a conoscenza del legame fra lei e Jason.
    - Ho… ho usato la tua data di nascita.
    Jason si voltò stupito. Allora contava ancora qualcosa nella sua vita! Se aveva usato la sua data di nascita, Sarah doveva pensare a lui, anche solo a livello inconscio. Si sentì felice al pensiero che non gli era indifferente come lei aveva sempre voluto fargli credere. Il ricordo di come lei fosse stata fredda con lui negli ultimi sei anni gli bruciava ancora. Possibile che non ci fosse modo per loro di comunicare? Era pretendere troppo chiedere una seconda possibilità?
    - Sarah…
    - Ma se è una data che non è riconducibile a me, come diavolo a fatto? Questa cosa mi macera dentro da quando hanno scoperto quel microfono. Deve essere un bel po’ che mi spia, ma come?
    - Tu vivi all’ultimo piano… il palazzo di fronte?
    - Davanti al mio appartamento c’è solo un ufficio vuoto. Sono anni che è sfitto, però…
    - Però?
    - Forse quel figlio di puttana ha commesso il suo primo vero errore! – un lampo di trionfo apparve sugli occhi della ragazza.
    - Ti è venuto in mente qualcosa?
    - Circa sei settimane fa hanno cominciato dei lavori di ristrutturazione proprio in quel locale. Gli operai stavano tutto il giorno li dentro. L’unico modo in cui lui possa aver saputo il mio codice di accesso è che mi abbia spiato da lì. Ma per farlo…
    - Doveva essere uno degli operai della ditta!
    - Abbiamo una traccia! Dobbiamo passare l’informazione a Garcia!
    Detto questo Sarah fece per andarsene, ma Jason la trattenne per un polso.
    - Sarah, finita questa storia noi due dovremo parlare.
    - Di cosa?
    - Lo sai.
    - E se io non volessi parlarne? – Sarah sollevo gli occhi su Jason – Ti sono riconoscente per l’aiuto. Hai avuto la tua possibilità, ora lasciami libera di vivere la mia vita.
    - E se io volessi di più? – negli occhi dell’anziano profiler c’era amarezza.
    - Non puoi pretendere di più. Anche la tua proposta di ospitare me e Spencer era fuori luogo – detto questo si libero della presa con uno strattone e si incamminò verso l’ufficio di Garcia.
    Gideon la guardò allontanarsi senza poter fare o dire nulla per fermarla.

    Sarah si appoggiò alla parete. Perché? Perché lui non poteva accettare che lei non lo voleva più nella sua vita? Lui voleva una seconda possibilità ora? Ora che la sua vita era perfetta? Aveva Spencer accanto che le riempiva il cuore e la mente, aveva Derek che sapeva farla ridere e la proteggeva, aveva Emily che la capiva e la consolava. Non c’era più posto per lui. Pensava a come sarebbe stata felice se lui sei anni prima avesse fatto un’altra scelta. Ora era tutto diverso, lei era diversa. Non era più una ragazzina bisognosa di sentirsi apprezzata. Aveva imparato a vivere senza aspettarsi niente dagli altri e tutto questo per il rifiuto di Jason. Ricordava ancora le parole che le aveva detto “non c’è posto per te nella squadra, sarebbe… sarebbe inappropriato. Farò in modo che tu venga presa nell’Interpool, mi sembra la soluzione migliore per tutti e due”. Già, la soluzione migliore. Lui aveva fatto una scelta precisa quando le aveva rifiutato l’ingresso nella B.A.U., tornare indietro era impossibile. Si costrinse a rimandare indietro le lacrime e a proseguire il suo cammino verso l’ufficio di Penelope.

    Garcia la accolse con quel caloroso sorriso che la distingueva. Era sempre sorridente quando Sarah entrava nel suo ufficio. La ragazza si accorse di non averci mai riflettuto sopra. Garcia era un raggio di sole nel grigiore del loro lavoro. Anche le battute che faceva quando la chiamavano non erano altro che un modo per ricordare a tutti loro che al di là degli orrori che dovevano vedere ogni giorno della loro vita c’era un mondo luminoso degno di essere protetto. Ed era questo il loro compito: proteggere quel poco di luce che ancora restava.
    - Ehi, bella bambina, sei venuta per rimanere li a contemplarmi o hai qualche novità per me?
    Sarah le si avvicinò talmente tanto che la bionda informatica fu costretta ad piegare il collo per poterla guardare in volto.
    - Grazie Penelope.
    - Grazie per cosa – rispose lei alzandosi in piedi.
    Collins l’abbracciò stretta e le rispose nell’orecchio.
    - Per essere il nostro raggio di sole ogni giorno.
    Garcia ricambiò la stretta.
    - Di niente, francesina. Quando vuoi!
    Sarah si sciolse dall’abbraccio e la guardò attentamente.
    - Ora dobbiamo pensare a prendere quel tipo prima che faccia di nuovo del male a qualcuno.
    - Sono qui per servirti. Dimmi, come posso aiutarti?
    - Mi serve che controlli la ditta che ha fatto i lavori di ristrutturazione nel palazzo di fronte al mio.
    Penelope si mise a sedere e fece correre le sue dita sulla tastiera.
    - La ditta si chiama… Erwin & Sons.
    - Controlla gli operai che hanno partecipato ai lavori. Il nostro S.I. è fra loro.
    - Ok, un minuto e… ecco! La lista completa! Trenta operai.
    - Bene, ora vedi quanti di loro sono fra i 25 e i 30 anni. Facciamo anche 35 non si sa mai.
    - Si. Bene… 10 corrispondono all’età.
    - Stampa la lista e cerca tutto quello che puoi su questi tipi. Fai un controllo incrociato con i riferimenti che ti abbiamo dato l’altro giorno.
    - Ci vorrà un po’.
    - Ci riuscirai entro stasera?
    - Sei fortunata. I miracoli sono la mia specialità – rispose la bionda con una strizzatina d’occhio.
    Sarah fece per uscire dall’ufficio, ma poi come ripensandoci si voltò verso l’informatica.
    - E… Garcia?
    - Si?
    - Ricordami di mandarti un regalo. Te lo meriti!
    - Grazie – disse Penelope tutta soddisfatta e sorridente.

    Nel frattempo Spencer era entrato in sala riunioni trovando Gideon da solo.
    - Sarah?
    - E’ andata da Garcia. Forse abbiamo una traccia.
    - Bene. La raggiungo – disse il giovane avviandosi alla porta.
    - Reid! Ti devo parlare. Chiudi la porta per favore.
    Il ragazzo obbedì aggrottando la fronte. Cosa c’era ora? Non credeva di essere pronto per altre rivelazioni.
    - Tu e Sarah… avete parlato di me?
    - Non molto – ammise Spencer visibilmente imbarazzato.
    - E’ molto arrabbiata con me?
    - No, non credo… voglio dire… non mi sembra. Non parla di te con astio.
    - E come parla di me?
    Spencer arrossì visibilmente. Non voleva ferire l’uomo che per lui era stato un padre. Ma come dire una verità del genere senza causargli dolore?
    - Reid, ti prego… credo di avere diritto di sapere.
    - Parla di te… con indifferenza. Sembra che non le importi più che tu l’abbia mandata via cosi…
    Jason annuì grave. L’aveva ferita, cosa poteva aspettarsi?
    - Promettimi che ti prenderai cura di lei.
    Reid alzò lo sguardo e vide quanta tristezza c’era negli occhi del suo mentore. Sei anni prima aveva fatto una scelta combattuta tra ciò che era giusto e ciò che voleva. Probabilmente si era pentito e ora voleva il perdono di Sarah, questo era comprensibile. Spencer conosceva la sua donna meglio di chiunque altro. Difficilmente avrebbe concesso a Jason di far parte della sua vita e sicuramente una seconda possibilità era fuori discussione. Ma questa era una verità che non voleva rivelare a Jason. Vedeva quanto l’uomo soffriva, perché aggiungere altro dolore?
    - Ti prometto che farò del mio meglio.
    - Grazie…

    Continua…

    Edited by unsub - 23/9/2010, 21:58
     
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    Capitolo XVIII: Pigiamo party

    Sarah era ferma nel corridoio. Aveva sentito le voci degli altri nell’openspace. Vide JJ avviarsi sorridente nel suo ufficio. Doveva risolvere quella faccenda seduta stante, prima che fosse troppo tardi.
    Bussò alla porta ed entrò. Jennifer era seduta davanti al computer e stava cercando qualcosa nei dossier davanti a lei.
    - Sarah! – la ragazza era visibilmente sorpresa e imbarazzata.
    - Dobbiamo parlare, JJ.
    - Si. Io volevo scusarmi per…
    - JJ, non ora!
    Jennifer sobbalzò. Non le aveva dato neanche la possibilità di spiegarsi.
    - So che sei arrabbiata con me, ma…
    - Sto cercando il modo di dirtelo più delicatamente possibile – Sarah si passò una mano sul viso e sospirò – Puoi mandare Will e Henry in un posto sicuro?
    - Per… perché? – Jennifer si allarmò a quella richiesta.
    - Non ci arrivi, eh? Se l’S.I. ha ascoltato la lite fra me e Spencer sa che tu ne sei la causa. Potrebbe decidere di agire come con Mark.
    Il viso dell’agente Jareau divenne bianco. Non aveva riflettuto su questo.
    - Allora? C’è un posto sicuro per Will e Henry?
    - Potrebbero andare dai parenti di Will a New Orleans…
    - Perfetto. Più lontano è, meglio è. Riguardo te… tu verrai con me e Spencer.
    - Sei sicura?
    La profiler alzò gli occhi. JJ non aveva mai visto quello sguardo. Un misto di rabbia, furore, preoccupazione e qualcos’altro che non riusciva a definire.
    - Risolveremo i nostri problemi personali in un altro momento. Per quanto possa essere arrabbiata con te, non si lascia un collega in pericolo. Quindi, si, sono sicura. Vado da Hotch a dirglielo. Tu chiama Will e fallo partire subito.
    - Si… Sarah un ultima cosa. Io… sono veramente dispiaciuta, non volevo mettermi fra voi due.
    Sarah era ferma con la mano sulla maniglia e aveva già cominciata ad aprire la porta. Senza guardarla le rispose con il tono più freddo di cui era capace.
    - A no? Io credo che invece tu volessi proprio quello.
    - Come scusa?
    Finalmente si girò verso la collega. I suoi occhi erano di ghiaccio.
    - Lui ha scelto me. Fattene una ragione. Se mai ti venisse in mente di provare a metterti in mezzo di nuovo… beh, rimpiangerai che io non ti abbia lasciato in mano all’S.I.
    Detto questo se ne andò dall’ufficio.

    Hotch era con il resto della squadra nell’openspace.
    - Collins, novità? – le disse appena la vide arrivare.
    - Garcia ci sta lavorando. Hotch, JJ viene con me e Spencer. Non è più al sicuro neanche lei.
    - Come? Perché? – chiese Hotch che era all’oscuro del motivo del litigio fra Sarah e Reid.
    - E’ nei guai perché ha la lingua troppo lunga e che va per i fatti suoi – intervenne Derek che invece sapeva tutto.
    - Le ho già detto di mandare Will e Henry in un posto sicuro – riferì Sarah.
    - Starete comodi? C’è spazio a sufficienza? – chiese Derek girandosi verso di lei.
    Sarah fece spallucce.
    - Quella casa è immensa… sempre stata troppo vuota. Ci sono 4 camere da letto al primo piano, più una di servizio al piano terra.
    - Allora c’è spazio anche per me – decise Derek.
    - Per te? – Spencer sembrava stupito.
    - Ho chiesto io a Morgan di venire con voi – rivelò Hotch – Vi voglio al sicuro. Il fatto di cambiare casa non vi mette al riparo dall’S.I., una pistola in più può fare sempre comodo.
    - Qualcun altro si vuole unire? – chiese Sarah con ironia.
    - Beh, visto che lo chiedi – disse Prentiss.
    Sarah mandò all’amica un’occhiata di disapprovazione, che Emily fece finta di ignorare con uno sguardo innocente negli occhi.
    - Hotch – intervenne Jason – forse sarebbe meglio che tutta la squadra si trasferisse da Sarah, fino a che non l’abbiamo preso…
    - Eh, no! Adesso basta! Non ho bisogno della balia, me la so cavare anche da sola! – Sarah non voleva che Gideon mettesse piede in quella casa, era già stata dura permettergli di andare nel suo appartamento.
    - Jason, Collins sarà anche stata una tua allieva. Ma sicuramente non conosci quel tono. Io stasera torno nel mio appartamento… - intervenne Rossi.
    - In fin dei conti io, te e Rossi non siamo in pericolo – ragionò Hotch.
    - Mi volete lasciare fuori dal pigiama party? – disse Garcia che aveva sentito la conversazione.
    - Certo che no, mia bellissima bambolina. Chi resisterebbe ad una notte in una grande casa senza te che giri con il tuo pigiamino sexy addosso? – scherzò Derek facendole l’occhiolino.
    Sarah sospirò alzando gli occhi al soffitto. Ma possibile che Derek e Penelope si comportassero sempre come due bambini dell’asilo, invece che come due agenti federali? Quella era una battaglia persa in partenza…
    - Novità, Garcia? – disse Hotch, cercando di riportare l’attenzione sul caso.
    - Si e no. Dai documenti non risulta nessuno che sia stato in Francia nel periodo dei precedenti omicidi. Almeno… niente che risulti dalla carte di credito o dalle liste dei passeggeri aeri…
    - La buona notizia? – chiese Sarah.
    - Sono riuscita a restringere la lista a tre nomi. Piccoli precedenti penali da ragazzi, vivono da soli, età compresa nei parametri.
    - Perfetto concentriamoci su questi tre – disse Rossi.
    - Ho caricato le foto sul monitor della sala riunioni – disse Garcia – Se sta seguendo Sarah, forse lei lo ha già visto… potrebbe risultargli familiare.
    - Se hanno lavorato nel palazzo di fronte, potrei averli visti tutti… comunque proviamo.

    Sarah era in piedi davanti al monitor, mentre il resto della squadra era concentrato sui dossier dei tre sospettati. Sentiva una leggera emicrania. Era stanca e preoccupata. Non certo la situazione ideale per mettere a fuoco dettagli rilevanti.
    Emise un sospiro. Derek le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
    - Non importa, ciuffo buffo, era solo un tentativo.
    - Il problema è che mi risultano famigliari tutte e tre i volti… i lavori sono durati tre settimane. Potrei averli visti tutti i giorni in quel periodo. Nessuno di loro mi fa scattare niente…
    - Tranquilla. Lo troveremo.
    Sarah cercava di concentrarsi sugli occhi dei tre uomini. Era furbo, sicuramente usava lenti a contatto colorate per nascondere la sua particolarità.
    Si allontanò dal monitor e si mise a sedere vicino a Spencer. Era visibilmente stanca. Lui allungò una mano sotto al tavolo per prendere la sua. Era un gesto inconsueto per loro. Davanti al resto del team evitavano di sfiorarsi, a volte evitavano persino di guardarsi.
    - Reid? – lo chiamò Hotch.
    - Si?
    - Portate Sarah a casa. Ormai sono le otto e lei ha bisogno di riposo.
    - Ma abbiamo solo fino a domani! – protestò lei.
    - Non siamo di aiuto a nessuno stanchi e poco concentrati. Vi voglio tutti qui domani mattina alle sette. Ora andate e cercate di riposare.
    - Prendo una copia dei dossier – provò Derek.
    - Morgan, quando dico di riposare intendo lasciare il lavoro qui e andare a dormire! – lo rimproverò Hotch.

    Arrivarono con due SUV. Quando scesero, i membri della squadra guardarono ammirati la splendida casa in stile Tudor. Era bella e grande, proprio come aveva detto Sarah. L’erba del prato era stata tagliata da poco. Sembrava una cartolina.
    - Wow! E’ una reggia! – disse Garcia sgranando gli occhi.
    - Vogliamo entrare? Oppure avete intenzione di rimanere qui tutta la notte? – chiese Sarah con un sorriso divertito.
    - Mi fai fare un giro turistico? – rincarò Penelope.
    - Certo, cosi decidiamo le sistemazioni per questa notte.
    Appena furono tutti entrati, Sarah chiuse a chiave la porta blindata ed inserì l’antifurto.
    - Fino a domattina siete tutti sotto sequestro – provò a scherzare.
    - Allora? Queste sistemazioni per la notte? – chiese Derek con un sorriso malizioso.
    - Oh, certo – rispose Sarah con uno sguardo furbo – seguitemi.
    Si avviò lungo il corridoio del piano terra e aprì sicura una porta vicino alla cucina.
    - Questa è la camera di servizio. Ci sono due letti gemelli. Il bagno di servizio è la porta a destra. Tu e Spencer dormirete benissimo qui…
    - Io e Reid? – disse Morgan con un po’ di disappunto.
    - Certo! Noi ragazze occuperemo le camere al primo piano e voi farete la guardia al piano terra. Buonanotte! – disse passando accanto ai ragazzi con un sorriso divertito sul volto.
    - Aspetta! Io non voglio dormire con Reid!
    - E io non voglio dormire con lui!
    - Beh? Avete cosi insistito per venire a stare tutti qui… dovrete accontentarvi… non avrete mica pensato di tenere compagnia a una di noi? – chiese Sarah con uno sguardo malizioso.
    - Ehi dio greco scolpito nella cioccolata, se vuoi fare un giro di sopra più tardi… la mia porta è sempre aperta! – rincarò la dose Garcia con una strizzatina di occhi maliziosa – Certo, se il piccolo federale soffre di solitudine… dovremo cercare una compagnia anche per lui…
    Spencer diventò rosso fino alla punta dei capelli. Morgan era senza parole per come le ragazze gli avessero giocato quel tiro mancino. Le quattro si avviarono verso le scale ridendo e dandosi di gomito fra loro.
    - Quelle piccole quattro…
    - Lascia perdere Morgan. Per stanotte dovremo sopportare.

    Continua…
     
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    Capitolo XIX: L’inizio della caccia

    Alle 5,30 del mattino le ragazze del team furono svegliate dal suono di un pianoforte. JJ, Emily e Garcia si affacciarono dalle porte delle loro camere e si rivolsero uno sguardo interrogativo. Chi poteva suonare il piano a quell’ora del mattino?
    La musica proveniva da una sala del piano terra. Scesero le scale e trovarono Morgan appoggiato allo stipite di una porta scorrevole. Il ragazzo si girò verso di loro e si mise un dito sulle labbra.
    All’interno del locale c’erano solo un pianoforte a coda bianco e una poltrona. Seduta al piano, Sarah teneva gli occhi chiusi mentre suonava. Sulla poltrona intento ad osservarla c’era Spencer con un sorriso beato stampato sul volto.
    Le tre entrarono e si avvicinarono ai due. Sarah suonava veramente bene. JJ si guardò intorno e notò dei trofei e alcune foto sul ripiano del grande camino. Diede una gomitata a Emily e le fece cenno di seguirla in silenzio.
    I trofei erano tutti con la scritta “Primo classificato” e riportavano i nomi di importanti concorsi per giovani talenti musicali. Nelle foto si riconosceva una Sarah bambina che suonava concentrata. In una di esse era presente anche una bellissima donna bionda che aveva la mano poggiata sulla spalla della bambina e le sorrideva teneramente.
    Garcia nel frattempo si era avvicinata ancora di più al piano e rimaneva incantata a guardare le lunghe dita di Collins muoversi sulla tastiera.
    - Questa musica è bellissima… cos’è? – chiese lei sempre più rapita dalla melodia.
    - Suonata al chiaro di luna, Beethoven – rispose Spencer.
    - Sei veramente brava Sarah. Non sapevo che suonassi il pianoforte.
    - Erano anni che non lo suonavo – rispose la ragazza senza aprire gli occhi – Sono un po’ arrugginita.
    - E questo me lo chiami essere arrugginita? Figuriamoci cosa riuscivi a fare quando eri in forma!
    - Te lo dicono i trofei su questa parete, Garcia – le rispose Emily.
    - Wow! Tutti “primo classificato”! Eri veramente brava.
    - Me la cavavo, niente di speciale – rispose Sarah con modestia.
    - Perché hai smesso? – chiese ancora Garcia.
    Sarah interruppe la sua esecuzione e si girò a guardare l’amica. I suoi occhi erano immensamente tristi.
    - Ho smesso dopo l’incidente dei miei genitori. Da allora non ho più suonato… fino a questa mattina – dicendo cosi fece un sorriso dolce a Spencer che ricambiò.
    - Con un talento come il tuo è un peccato non esibirti – le fece notare Emily.
    La ragazza fece una mezza risata.
    - Veramente se i miei non avessero avuto quell’incidente, probabilmente non ci saremmo mai incontrati… loro volevano che diventassi una concertista.
    - Beh, il talento lo hai – si intromise JJ – e anche la tecnica. Perché hai deciso di diventare una profiler?
    Collins non rispose, si limito a scambiarsi un’occhiata complice con Spencer. Il ragazzo si alzò dalla poltrona e si rivolse a tutti gli altri.
    - Non credete che sia il caso di prepararci? Hotch ha detto alle sette, ma se arriviamo prima è meglio.
    - Il ragazzino ha ragione – convenne Morgan – Signore, anche se la vista di voi tutte in pigiama è a dir poco stuzzicante credo che sia il caso che vi andiate a preparare.

    Salirono sui SUV. Spencer, Derek e Garcia partirono per primi seguiti da Emily, Sarah e JJ. Mentre sul primo veicolo le battute fra Derek e Penelope non conoscevano tregua, nell’altra macchina c’era un silenzio imbarazzato.
    Alla fine Emily decise di prendere in mano la situazione.
    - Adesso basta! Voi due chiarite ora seduta stante! Non mi costringete a prendervi a sculacciate come i bambini.
    Sarah non fece una piega e continuò a guardare fuori dal finestrino, mentre JJ si mordeva le labbra non sapendo bene cosa dire.
    - Insomma!
    - Io quello che avevo da dire lo già detto ieri alla diretta interessata – rispose Sarah.
    - Dicendo un mare di assurdità! – intervenne JJ.
    - Ah si? E quale assurdità avrei detto di grazia?
    - Che io mi sono messa in mezzo di proposito tanto per cominciare!
    - E come me lo chiameresti dare giudizi non richiesti su una relazione di cui non sai assolutamente nulla! – rispose Sarah visibilmente arrabbiata.
    - Io mi preoccupavo solo per Spence! – si difese JJ che cominciava ad alterarsi a sua volta.
    Finalmente Sarah si girò sul sedile per affrontare la sua antagonista.
    - Non ti sembra che Spencer sia grande abbastanza per prendere le sue decisioni senza che tu ci debba mettere quella lingua lunga e velenosa?
    - Io ho fatto solo una domanda ad un amico, cosa c’è di male in questo?
    - NO SIGNORINA BELLA! TU TI SEI PERMESSA DI DIRE CHE CREDI CHE IO NON SIA ADATTA A LUI! – Sarah era veramente al limite.
    JJ si zittì di colpo, non poteva replicare perché Sarah aveva detto la verità.
    - Oh, non mi dire! Miss so tutto io è rimasta finalmente senza parole!
    - Sarah – cominciò ad ammonirla Emily.
    Collins si girò nuovamente sul sedile e riprese a guardare fuori dal finestrino incrociando le braccia.
    - Ok, visto che voi due non riuscite a venirne a capo credo che sia il momento che intervenga finalmente una persona adulta!
    - Guarda che noi siamo persone adulte! – rispose piccata Sarah.
    - Certo, come no! Le persone adulte si mettono ad urlare in quel modo invece di ragionare. Ora i negoziati di pace sono stati aperti. Voi mi ascoltate e poi vedremo se va bene cosi – Emily sospirò, ma perché toccava sempre a lei fare da paciera fra quelle due? – Tu JJ giuri solennemente di non azzardarti mai più a mettere bocca nella relazione tra Spencer e Sarah. Va bene?
    JJ fece un timido cenno con la testa, poi si rese conto che Sarah non poteva vederla.
    - Si, giuro solennemente di non dare più giudizi su Spencer e Sarah o sul loro rapporto.
    - Il primo passo è fatto. Ora tocca a te signorinella – disse Emily bussando sulla spalla di Sarah.
    - Perché io che avrei fatto? Mi sono solo difesa!
    - Tu invece prometterai di non alzare più la voce in quel modo con JJ e di cercare di perdonarla e metterci una pietra sopra.
    Sarah sbuffò.
    - Sarah, sto aspettando! E lo sai che l’unica cosa che mi irrita più di Derek quando si impunta è aspettare.
    - Prometto – rispose Sarah contro voglia.
    Emily sorrise. Erano proprio due ragazzine quando c’era di mezzo Reid.
    - Ora stringetevi la mano e facciamola finita qui.
    Le due ragazze eseguirono gli ordini di Emily senza fiatare.

    Arrivarono a Quantico alle 6,45. Derek, Spencer e Garcia si diedero uno sguardo divertito. JJ e Sarah guardavano per terra con aria imbronciata, come succedeva sempre dopo che Emily le aveva costrette a chiedersi scusa a vicenda. In un anno e mezzo quella scena era diventata molto familiare, JJ e Sarah erano come cane e gatto, anche se normalmente non arrivavano mai allo scontro diretto. Di solito si tenevano il muso per un paio di giorni e poi tornava tutto alla normalità. Se la cosa era più grave Prentiss prendeva in mano la situazione e le redarguiva a dovere.
    Si avviarono tutti e sei verso l’ascensore quando Emily si fermò di colpo.
    - Cosa c’è? – chiese Sarah voltandosi verso l’amica.
    - Ho scordato il tesserino in macchina, arrivo subito.
    - Dai ti aspettiamo – le rispose Garcia.
    - No, andate avanti e chiamate l’ascensore, ci impiego un secondo.
    Detto questo si allontanò con passo svelto verso la vettura e gli altri proseguirono verso l’ascensore. Appena Garcia spinse il bottone della chiamata sentirono una macchina partire a grande velocità. Sarah ebbe un presentimento.
    - Emily? – si avviò verso il posto auto riservato alla squadra – Emily? Tutto bene?
    Poi i suoi occhi notarono qualcosa vicino al SUV. Si inginocchiò e si sentì mancare. Le chiavi di Emily erano per terra, poco più là la sua borsa era caduta riversando tutto il contenuto. Si alzò di corsa voltandosi verso gli altri che si stavano avvicinando.
    - EMILY! HA PRESO EMILY!

    Continua…
     
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    Capitolo XX: Intuizioni

    Erano tutti tesi. Morgan continuava di tanto in tanto a prendere a pugni la porta della sala riunioni. Hotch continuava a rigirarsi la penna fra le dita con lo sguardo perso nel vuoto. Spencer continuava a leggere e rileggere i dossier. Tutti cercavano di capire dove l’S.I. potesse aver portato Emily.
    L’unica che non partecipava alla tensione del resto del team era Sarah. Si era seduta e aveva chiuso gli occhi. Cercava la concentrazione necessaria per risolvere il caso. Sapeva che la risposta era davanti hai suoi occhi, ma non riusciva a vederla.
    Jason la osservava e mentalmente la incoraggiava. Se qualcuno poteva tirare Prentiss fuori dai guai quella era Sarah. Le aveva insegnato tutto quello che sapeva sul profiling e anche di più. I cinque anni in Europa avevano fatto di lei una vera professionista. Il suo intuito innato faceva il resto. Lei poteva fermarlo!
    Sarah seguiva i propri processi mentali come dentro un labirinto. A volte si spaventava da sola di dove riuscissero ad arrivare i suoi pensieri. Il suo cervello era una macchina ribelle che andava sempre per i fatti suoi. Occorreva tutta la sua autodisciplina per riuscire a canalizzare le sue idee, ma in quel momento non stava ottenendo i risultati sperati. Alla fine si arrese. C’era un particolare che le sfuggiva, ma più cercava di concentrarsi su questo fatto più il suo cervello divagava. Alla fine decise di lasciarlo correre a briglia sciolta e vedere dove la portava.
    Provò a ricapitolare il caso e gli indizi. L’S.I. aveva un SUV nero con i vetri oscurati, sapeva molte cose di lei perché l’aveva spiata mettendo un microfono nel suo appartamento, si identificava in Spencer e credeva di avere una storia con lei. Che altro? Certo, era riuscito ad avere il codice di accesso del suo sistema d’allarme. Quel codice lo sapevano solo lei e Spencer, non l’aveva mai dato a nessun altro. Qualcosa scattò in lei. Invece si che l’aveva dato a qualcuno! Non ci aveva pensato prima solo perché gli sembrava una cosa troppo ovvia e scontata. Aveva dato la colpa agli operai che stavano ristrutturando l’ufficio del palazzo di fronte. Ma forse era stata proprio lei, anche se involontariamente, a fornire all’S.I. il numero!
    Saltò in piedi e si diresse all’ufficio di Garcia senza una parola. Gli altri si limitarono a guardarsi. Quando aveva quell’espressione sul volto Sarah non rispondeva a nessuno, era troppo concentrata su quello che il suo cervello le suggeriva.
    Garcia era seduta davanti ai monitor e sentendo la porta aprirsi si girò. Aveva gli occhi lucidi, aveva pianto fino a poco prima. Sarah non la degnò di una parola. Prese la sedia dove era seduta dallo schienale e la spinse via con forza. Poi allungò la mano fino a prendere l’altra sedia e si piazzò davanti ai computer.
    - Ehi! Si può sapere cosa combini? – disse la bionda informatica allibita dal comportamento di Sarah.
    - Non ho tempo adesso, ne riparleremo un’altra volta. Ora sta buona e zitta, mentre io controllo una cosa.
    La squadra entrò nell’ufficio di Penelope e assisteva in silenzio alla ricerca di Collins. I dati scorrevano veloci sui monitor e nessuno di loro riusciva a capire cosa lei stesse cercando.
    - BINGO! – urlò infine trionfante lei.
    - Cosa? – chiese Morgan speranzoso.
    - Abbiamo poco tempo! Vi spiego mentre siamo per strada! JJ chiama la polizia e mandala all’indirizzo che ti arriva sul cellulare. Garcia mi dispiace – dicendo cosi corse fuori dall’ufficio diretta verso gli ascensori.
    - Dove stiamo andando? – le chiese Derek mentre la seguiva verso gli ascensori.
    - A casa dell’S.I., probabilmente avrà portato Emily lì o comunque troveremo qualche indizio su dove può essersi nascosto.
    Jason che li seguiva a breve distanza sorrise compiaciuto. C’era riuscita di nuovo. Aveva trovato l’S.I.

    Stavano comunicando attraverso il viva voce. Sarah era un fascio di nervi mentre spiegava concitatamente le sue deduzioni sul caso.
    - L’S.I. si chiama Marcel Brunet. Di nazionalità svizzera. Nato e cresciuto a Ginevra. Dopo la morte del padre la famiglia si trasferisce ad Annecy, in Francia, dai parenti della madre. Cittadino modello. Ho controllato la sua foto. Come sospettavo è affetto da eterocromia dovuta a chimerismo.
    - Come fai a dirlo? – chiese Spencer.
    - I suoi capelli sono striati. Lì ha biondi con striature nere. Ha un occhio verde e uno castano. Chimerismo tetragametico.
    - E questo che vuol dire? – chiese Hotch.
    - In questo caso la chimera può avere organi con differenti set cromosomici. Per capirci: può avere il fegato con un determinato DNA e un rene con un DNA del tutto diverso. Il nostro soggetto soffre anche di ermafrodismo.
    - Come scusa? – intervenne Rossi.
    - In lui sono sviluppati i genitali di entrambi i sessi, sia ovaie che testicoli. Circa un anno prima di cominciare ad uccidere in Francia è stato operato di tumore alle ovaie. Sicuramente è stato questo il fattore di stress. Rendersi conto di essere sia uomo che donna deve essere stato devastante per la psiche del ragazzo. Tanto più che in seguito all’intervento è diventato impotente.
    - Ma se le stupra! – gli ricordò Derek.
    - Probabile che usi una protesi – intervenne Jason dal telefono.
    - Circa un anno fa – riprese Sarah – è arrivato qui a Washington. Lo zio si è fatto garante per lui e l’ha fatto lavorare nella sua ditta.
    - Quale ditta? – chiese Spencer.
    - Una ditta di pulizie. Sia io che le tre vittime eravamo loro clienti. Pensavo che rivolgermi ad una ditta invece che ad una persona sconosciuta per tenere in ordine l’appartamento fosse una buona idee. Speravo di non incappare in qualche psicopatico. Invece sono finita dritta nella tana del lupo!
    - Quindi è cosi che vi spiava – riprese Derek – Aveva i codici di accesso e le chiavi di tutti gli appartamenti e poteva studiare le vite delle vittime senza problemi.
    - Già. Siamo quasi arrivati. Mi raccomando stiamo tutti attenti. Questo tipo non ha niente da perdere. Non credo che si arrenderà spontaneamente.
    - La polizia e le ambulanze stanno convergendo all’indirizzo che mi hai dato, Sarah – si intromise JJ dall’autoparlante.
    - Ok, grazie. Chiudo la comunicazione, ci vediamo lì.
    I SUV sfrecciavano a velocità sostenuta con le sirene spiegate. Era una lotta contro il tempo

    Continua…


    P.S. le informazioni sul chimerismo sono state prese da Wikipedia
     
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    Capitolo XXI: La resa dei conti

    Sarah guidava in modo spericolato premendo sempre più sull’acceleratore. Per una volta Spencer e Derek non le dicevano di rallentare. Erano tutti tesi come corde di violino. Sapevano cosa sarebbe successo ad Emily se non fossero arrivati in tempo.
    Sarah sperava di arrivare prima che lui cominciasse. Non le bastava salvarle la vita. Lei voleva impedire che la sua migliore amica subisse uno stupro. Nessuno meglio di lei sapeva cosa questo comportava. Per più di un anno le era risultato impossibile anche solo pensare ad avere una qualche sorta di intimità con un uomo. Poi c’era stato Spencer e lei aveva finito con il dimenticare. Pensava che fosse stata una fortuna aver incontrato Reid solo molto dopo, probabilmente la loro storia non sarebbe mai nata se lei avesse avuto ancora vivido il ricordo di quello che Mark le aveva fatto.
    Emily e Derek vivevano la loro storia fra alti e bassi, ma una cosa del genere poteva porre la parola fine al loro legame. Non perché Morgan fosse cosi sciocco da dare la colpa a Prentiss, ma perché lei dopo non sarebbe stata più la stessa in molti sensi. Per quanto Sarah amasse Derek non lo riteneva all’altezza di una situazione delicata come quella.
    Continuava a premere sull’acceleratore e imprecava fra se. Perché la macchina non andava più veloce? Poi dopo una curva vide la loro metà, le auto della polizia cominciavano ad arrivare. Un SUV nero uscì di retromarcia dal vialetto urtando una delle auto e cominciò una folle corsa.
    - Maledizione! – impreco Sarah – Chiama Hotch digli di cercare Emily dentro la casa. Noi inseguiamo l’S.I.
    Derek annuì deciso, anche se aveva voglia di correre dentro a cercare Emily. L’S.I. poteva averla caricata in macchina! Compose il numero di Hotch e mise il viva voce.
    - Agente Hotchner.
    - Sono Morgan. L’S.I. sta fuggendo a bordo di un SUV nero. Lo stiamo inseguendo.
    - Veniamo a darvi man forte.
    - No! Entrate nella casa. Forse Prentiss è lì!
    - Può pensarci la polizia.
    - No, Hotch – intervenne Sarah – Ho bisogno di sapere se Emily è sul SUV o meno! Non si fermerà facilmente. Credo che dovrò mandarlo fuori strada. Non voglio correre rischi se Emily è con lui.
    - State attenti! Vi mandiamo rinforzi. Se la troviamo vi richiameremo subito!
    - Grazie, Hotch – Derek stava per chiudere la telefonata – Hotch?
    - Non preoccuparti, lei capirà perché non sei entrato a cercarla.
    Derek sospirò. Sperava che lei non la prendesse troppo male. Aveva paura che fosse sulla macchina che stavano inseguendo. Ma aveva ancora più paura che fosse dentro quella casa. Erano arrivati in tempo?

    L’inseguimento continuava. Brunet aveva preso l’autostrada. Sarah non lo mollava, stringeva il volante talmente forte che le nocche erano bianche. Morgan non l’aveva mai vista cosi concentrata. Si chiedeva se Sarah avesse mai un cedimento. Poi notò le gocce di sudore che le imperlavano la fronte. <<allora è umana dopo tutto>>.
    Spencer dietro di loro continuava a fissare la nuca di Sarah. Sapeva che la ragazza si sentiva in colpa per Emily. Anche se capiva di non essere responsabile per le azioni di uno psicopatico questo non alleggeriva il senso di colpa. Avrebbe voluto dirle qualcosa, ma ora era troppo concentrata nella caccia.
    Continuavano a zigzagare nel traffico con manovre spericolate. Sentiva in lontananza le sirene delle pattuglie che li stavano raggiungendo.
    La squillò del cellulare fece saltare tutti e tre.
    - Morgan!
    - Morgan, sono Rossi. Emily è qui! Sta bene è solo un po’ scossa. Siamo arrivati in tempo.
    Sarah si sentì sollevata alla notizia. Ora poteva concentrarsi su quel bastardo.
    - Rossi, di a Hotch che stiamo per entrare in azione. Vi richiamiamo appena possibile – detto questo fece segno a Morgan di riattaccare.
    Superò ancora due vetture e si avvicinò al SUV nero. Scalò all’improvviso e si accostò al veicolo.
    - Tenetevi!
    Sterzò di botto andando a colpire l’altra macchina che cominciò a sbandare ma non rallentò.
    - Il tipo tiene duro – intervenne Derek.
    - Vedremo… io sono più dura di lui!
    Sarah eseguì ancora la medesima manovra mandando l’altro SUV fuori strada. Videro il veicolo cappottarsi e finire la sua folle corsa contro il guardrail. Sarah frenò mettendo la macchina di traverso ed impedendo agli altri automobilisti di avvicinarsi all’incidente. Scesero tutti e tre insieme. Non c’era stato il tempo di mettersi i giubbotti antiproiettile.
    - State attenti, non abbiamo le protezioni – disse Morgan mentre estraeva l’arma.
    - Con un po’ di fortuna avrà perso i sensi – disse Reid speranzoso.
    Sarah si avvicinò lentamente seguita dagli altri due e si mise in posizione. Derek e Spencer la superarono andando a posizionarsi al lato del SUV.
    - Marcel Brunet! F.B.I. esci con le mani bene in vista – i tre si scambiarono un occhiata, nessuna risposta da dentro al SUV.
    All’improvviso videro qualcuno cercare di uscire dal finestrino ormai rotto. Aveva lunghi capelli biondi con striature nere. Era molto esile, aveva la stessa fisionomia di Spencer. Si tirò su incerto, sembrava intontito.
    - F.B.I. mani in altro Brunet.
    Guardò i due agenti come se non li vedesse veramente, era visibilmente confuso. Poi il suo sguardo si spostò su Sarah e un largo sorriso si aprì sul volto dell’uomo.
    - Amore mio! Sei venuta finalmente!
    - Si, sono venuta a prenderti. Metti le mani bene in vista!
    - Perché di comporti cosi? Non sei felice di vedermi?
    - Falla finita! Alza le mani e arrenditi – lo sguardo di Sarah trasudava odio.
    - Sei ancora arrabbiata? Ma… avevamo fatto pace…
    Sarah non gli rispose nemmeno. Quello era ormai viveva nelle sue fantasie, aveva completamente perso il contatto con la realtà circostante.
    - Sarah, amore… - disse ancora Brunet mentre faceva un passo nella sua direzione.
    - Non provarci nemmeno! Sta lontano da lei! – Spencer sentiva la voglia di premere il grilletto, non avrebbe tollerato che lui osasse sfiorarla.
    Brunet si voltò verso di lui e fu come se lo vedesse per la prima volta.
    - Chi sei tu? Non ti intromettere, capito! Lei è mia! – cosi dicendo tirò fuori una pistola e la puntò contro Spencer.
    - No! – Sarah era terrorizzata per la prima volta in vita sua – non è lui che vuoi! Tuo vuoi me!
    L’S.I. non si girò a guardarla era tutto concentrato su Reid.
    - Non puoi avermi!
    - Cosa dici mia amata! Certo che posso averti, noi siamo una coppia.
    - No – Sarah fece appello a tutte le sue conoscenze della psiche umana, doveva distrarlo – non puoi avermi, ti ricordi? Fra noi è finita. Ti ho lasciato per quello che mi hai detto!
    - No, noi abbiamo fatto la pace – ancora non spostava la sua attenzione e la sua pistola da Spencer.
    - Ti ho mentito! Io… io… ho fatto sesso con Hotch!
    Finalmente l’S.I. si voltò verso di lei. Era una maschera di puro odio mentre volgeva la pistola nella direzione di Sarah. Derek premette il grilletto, ma non abbastanza in fretta.
    Si sentirono distintamente due detonazioni. Spencer vide Brunet cadere a terra privo di vita. Girò lo sguardo a cercare Sarah. Lei era stesa per terra in una pozza di sangue. Il mondo cominciò a muoversi a rallentatore mentre correva verso di lei. Vedeva la labbra di Morgan muoversi ma non riusciva a capire cosa stesse dicendo. Sarah era stata ferita al lato sinistro del petto e lui cominciò a premere con forza per fermare l’emorragia. Vedeva tutto annebbiato, non si rendeva conto di stare piangendo. La chiamava ma lei non rispondeva.
    Morgan si chinò accanto a lui mentre continuava ad urlare qualcosa ai soccorritori. Sarah non riapriva gli occhi nonostante sia lui che Derek continuassero a chiamarla. Una paura profonda attanagliava il cuore dei due profiler. Avevano visto altre volte ferite del genere, sapevano tutte e due quante possibilità rimanevano che sopravvivesse ad un colpo del genere.

    Continua…
     
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    Capitolo XXII: Frammenti

    Erano tutti stretti intorno a Spencer, nella sala d’attesa dell’ospedale. Sarah era in sala operatoria di più di due ore. Hotch andava di tanto in tanto a chiedere se c’erano novità, ma le infermiere gli rispondevano sempre di attendere che il dottore uscisse.
    Derek stringeva a se Emily che aveva la testa poggiata sulla spalla di lui. Sul suo volto, oltre le lacrime, erano visibili i segni delle percosse ricevute. Kevin stringeva a se Penelope che non faceva altro che piangere. Rossi guardava fisso di fronte a se perso nei suoi pensieri, avrebbe voluto essere rassicurante ma non trovava parole di consolazione per il team. Jason era seduto vicino al ragazzo e continuava a sfregare fra loro le mani senza proferire parole, il suo era lo sguardo di un uomo perso.
    JJ era seduta di fronte a Spencer e teneva in mano un bicchiere di caffè ormai vuoto da cui non staccava gli occhi, come se contenesse le risposte a tutte le domande.
    La Strauss apparve sulla porta della sala d’attesa e senza proferire parola si era seduta accanto a Reid. Aveva gli occhi lucidi, sembrava sul punto di crollare. I membri della squadra si resero conto di non averla mai vista in quelle condizioni, ma loro la vedeva solo sul posto di lavoro.
    Spencer dal canto suo sembrava non accorgersi di nessuno di loro. Il suo volto era inespressivo. Sembrava non riuscire a trovare la forza di reagire in quella situazione. Si alzò e si diresse verso i bagni. Nessuno voleva seguirlo, perché nessuno sapeva bene cosa dirgli.
    Il primo che si decise ad andare a vedere come stava fu Derek, il suo migliore amico.

    Entrò nel bagno degli uomini e trovò Reid in piedi davanti al lavabo. Riusciva a vedere la sua espressione attraverso il riflesso dello specchio. Non c’erano lacrime nei suoi occhi, solo il vuoto. Si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla.
    - Reid, non riesco neanche ad immaginare come tu debba sentirti adesso,ma… so una cosa. Sarah è una donna forte e ce la farà.
    - E se non ce la facesse? – Spencer non aveva neanche alzato gli occhi per guardarlo.
    - Ce la farà!
    Solo allora alzò gli occhi ad incontrare quelli di Derek. Quello che Morgan vi vide gli fece paura, era lo sguardo di chi aveva perso tutto.
    - E se non ce la facesse? – ripeté Reid.
    Morgan afferrò il ragazzo per tutte e due le spalle e lo scosse leggermente.
    - Devi essere forte per lei! Sarah non vorrebbe mai vederti in questo stato! Adesso è il momento di reagire!
    Reid abbassò di nuovo lo guardo e si incamminò verso la porta liberandosi dalla stretta di Derek come se niente fosse.

    Spencer si appoggiò alla parete di fronte all’uscita della sala operatoria. Per tutta la vita aveva cercato di fermare il suo cervello in costante movimento e si rese conto che solo quella tragedia era riuscita a congelare tutti i suoi pensieri. Non riusciva a pensare a niente. Alzò gli occhi verso la porta, desiderava che si aprisse e che il dottore dicesse che erano riusciti a salvarla. Ma qualcosa dentro di lui gli diceva che stavolta non ci sarebbe stato il lieto fine.

    Jason prese la mano della Strauss.
    - So come ti senti adesso.
    - Non credo, Gideon. Se io non l’avessi fatta tornare dall’Europa tutto questo non sarebbe mai successo! Sono responsabile – aveva la voce rotta dal pianto trattenuto cosi a lungo – Io non avrei dovuto darle ascolto. Anche se lei era contraria l’avrei dovuta far mettere sotto protezione!
    - Lei non te lo avrebbe permesso. Quando vuole sa essere testarda in una maniera irritante – Jason sorrise al ricordo di tutte le discussioni che aveva avuto con Sarah.
    - Già, proprio come me.
    Ma Jason lesse qualcos’altro negli occhi di Erin, una frase non pronunciata che gli fece abbassare lo sguardo. Anche lui era responsabile di quella situazione, non avrebbe dovuto lasciarle fare a modo suo, avrebbe dovuto insistere. Ora l’unica cosa che poteva fare era stare lì e aspettare, pregando che lei combattesse abbastanza per farcela.

    Derek rientro in sala d’attesa.
    - Dov’è Spence? – chiese JJ allarmata.
    - Fermò lì davanti alla porta delle sale operatorie – rispose il ragazzo con sguardo triste.
    Sapeva che non poteva fare niente per lui. Si sentiva responsabile. Se avesse premuto prima il grilletto… Se avesse avuto i riflessi più svelti… Si rese conto che ora era inutile stare lì a rimuginare. Prese Emily per mano e si diressero verso la cappella dell’ospedale. Sentiva la necessità di pregare per la sua amica.

    JJ si alzò e raggiunse Spencer. Le faceva tenerezza e pena, lì tutto solo a guardare quella porta nella speranza e nel dimore che il dottore si decidesse ad uscire di là.
    - Spence, la colpa non è tua, non è di Morgan, non è di nessuno. Sappiamo che il nostro lavoro comporta dei rischi – JJ si fermò per riprendere fiato ma vedeva che le sue parole non sortivano alcun effetto su Reid – Sai, Sarah forse aveva ragione.
    - Su cosa? – si voltò lui stupito.
    - Io… credo di averlo fatto a posta a mettermi fra voi due. Non fraintendermi, tu per me sei un amico, ma… ero gelosa. Voglio dire… prima che lei entrasse nella tua vita tu ti confidavi con me… poi dopo la sua comparsa tutto è cambiato, io e te non parliamo quasi più. Sono stata egoista, io rivolevo il mio amico… non pensavo che ti stavo facendo del male. Perdonami.
    Spencer si girò e l’abbraccio.
    - Ho paura JJ. E se le non ce la facesse? Io non so immaginare una vita intera senza di lei.
    - Andrà tutto bene, Spence.

    Il tempo scorreva a rilento, sembravano passati secoli di attesa. Finalmente dopo più di quattro ore di sala operatorie il dottore uscì.
    - Chi è qui per Sarah Collins?
    Si alzarono e si avvicinarono tutti insieme. Sui loro volti un misto di speranza e paura.
    - Ci sono dei parenti?
    - Io sono sua zia – si fece avanti la Strauss.
    - Signora… sua nipote ha perso molto sangue, per il momento siamo riusciti a stabilizzarla però le prossime ventiquattrore saranno cruciali. Non sappiamo se abbia riportato anche danni cerebrali dovuti alla carenza di ossigeno. Questo lo sapremo solo se e quando si sveglierà.
    - Se e quando? – chiese Spencer sconvolto.
    - Non voglio darvi false speranze. E’ in terapia intensiva. La situazione è critica… potrebbe non farcela a superare la notte.
    Un silenzio di piombo cadde fra quelle persone. La paura aveva avuto il sopravvento sulla speranza.
    - Posso vederla? – chiese Spencer.
    - Veramente… può entrare solo una persona. Presumo che la zia voglia vederla.
    La Strauss guardò il giovane, combattendo una lotta interiore. Alla fine si girò verso il medico.
    - Lui è il fidanzato, credo che sia più giusto che entri lui.
    Per la prima volta in vita sua la Strauss aveva lasciato l’intera squadra a bocca aperta, ma non in senso negativo.

    Spencer entrò titubante e si accostò al letto. Sarah era molto pallida e era intubata. Lui le strinse la mano e si mise a sedere. Rimase in quella posizione per più di un’ora. Le parlò dei progetti che aveva per loro due. Di come sognava che sarebbe stato il giorno del loro matrimonio. Di quanti figli avrebbe voluto. Parlò dei sogni di qualsiasi ragazzo innamorato. Ma sentiva che quei sogni non si sarebbero mai realizzati. Alla fine decise di dirle l’unica cosa che sentiva veramente.
    - Sarah, ti ho amato tanto. Mi hai riempito la vita più di chiunque io abbia mai conosciuto. Grazie del tempo che abbiamo trascorso insieme – detto questo si sollevò e le bacio delicatamente la fronte – Spero di sbagliarmi ma credo che questo sia un addio.
    Pianse come un bambino mentre cercava la forza di staccarsi da lei.

    Finalmente uscì dalla stanza. Erano tutti lì fuori e gli si fecero intorno. Non c’erano parole da dire. Improvvisamente sentirono un allarme provenire dalla terapia intensiva e un’infermiera gridare “Codice blu”. Spencer sapeva cosa significava, lei lo stava lasciando per sempre. Tutto si fece nero intorno a lui e Derek lo prese al volo prima che toccasse terra.

    Continua…
     
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    AVVERTENZA: da qui spoiler 5^ stagione

    Capitolo XXIII: La spirale del tempo

    Spencer si svegliò. Aveva avuto ancora lo stesso incubo. La morte di Sarah. Si girò nel letto. Sapeva che lei non c’era, non c’era più da tanto tempo ormai. Poi ricordò che doveva alzarsi. Avrebbe fatto darti e questo non doveva succedere.
    Hotch aveva bisogno di tutti loro lì con lui. Si alzò di mala voglia, come oramai succedeva tutte le mattine da quando Sarah non faceva più parte della sua vita. Allungò la mano verso il comodino e prese l’orologio per metterlo. Gli occhi gli caddero sulla custodia di velluto blu. Il simbolo di tutto quello che aveva perso.
    Mentre finiva di vestirsi pensò che se le cose fossero andate in modo diverso, se Sarah fosse stata ancora con loro, Haley sarebbe stata ancora viva e Hotch non sarebbe stato aggredito dal mietitore. A Sarah sarebbe bastato uno sguardo a Foyet per capire che era lui l’S.I. a cui davano la caccia. Senza di lei la squadra non era più la stessa, tutti loro non erano più gli stessi.
    Lui aveva rischiato la vita già due volte e solo il pensiero che Sarah avrebbe voluto che lui continuasse a vivere l’aveva spronata a lottare. Ma ormai il suo mondo non aveva più senso. Prese il bastone e si avviò alla porta.

    Spencer era più partecipe degli altri al dolore di Hotch, capiva cosa voleva dire perdere la persona che ami. Ma sapeva anche che lui sarebbe tornato, come aveva fatto Spencer. Come gli aveva detto Sarah una volta, quando sei un profiler lo sei per tutta la vita. Era qualcosa che faceva parte di ognuno di loro
    Scortarono la bara di Haley e assistettero al funerale ognuno rannicchiato nel proprio dolore. Durante la veglia funebre erano stati costretti a partire per un caso urgente a Nashville e ora erano di ritorno a casa.

    Entrarono nell’openspace tutti insieme. Spencer e Emily si diressero alle loro scrivanie ma si fermarono di colpo. Sulla scrivania di Sarah (non riuscivano a definirla in altro modo) c’erano una borsa da viaggio e uno scatolone per gli effetti personali.
    Un nuovo profiler si sarebbe unito alla squadra e avrebbe rimpiazzato Collins. Spencer abbassò il capo e andò a sedersi alla propria scrivania, non c’era nulla che lui potesse fare.
    Morgan corrugò la fronte.
    - Nessuno mi ha parlato di un nuovo membro della squadra. Questo è un altro tiro mancino della Strauss. Ma io non l’accetto!
    - Morgan ragiona – intervenne Rossi – ormai sono passati otto mesi, cos’altro poteva fare la capo sezione? Pensi che per lei sia facile rimpiazzare sua nipote, viste le circostanze?
    - Almeno avrebbero potuto avere il buongusto di lasciare libera la sua scrivania, non ti sembra? Un rimpiazzo per Collins e gli danno la sua scrivania? Ti sembra una cosa ben fatta? Ma ora la Strauss mi sentirà.
    Detto questo partì di gran carriera verso l’ufficio della capo sezione. Spencer non disse nulla. Non importava che al nuovo venuto assegnassero quella o un’altra scrivania. Ormai non importava più. Lei non sarebbe tornata e quello era un dato di fatto. Ricordava ancora le ultime parole che gli aveva detto il dottore quattro mesi prima… cosa cambiava quella o un’altra scrivania?
    Non avrebbe mai dimenticato le parole del dottore ne il momento in cui il suo cervello le aveva elaborate, capendone il significato profondo.

    A volte basta un attimo per scordare una vita ma a volte non basta una vita per scordare un attimo
    Jim Morrison


    Fine


     
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