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    Un piccolo omaggio a Purisuka: ho usato il soprannome che hai coniato tu per Chris XD

    Capitolo XXX. Conversations

    Aaron e Jack erano seduti su due poltrone davanti al camino. Era la loro tradizione personale, quando arrivava la prima nevicata dell’anno stavano insieme a guardare il fuoco mentre fuori il mondo veniva coperto da una soffice coltre bianca. Era un appuntamento irrinunciabile per entrambi, era il momento di consolidare il loro legame.
    - Allora, Jack, come va il lavoro? – Aaron continuava a fare girare il cognac nel suo bicchiere.
    - Non hai sentito Prentiss e Morgan? – il ragazzo non voleva rivangare quella vecchia storia.
    - Sì, me l’hanno detto. Pensano tutti che per me sia stato diverso visto che non facevo più parte della squadra all’epoca. Ero sinceramente affezionato a Cameron, era una brava profiler. Una vera testa calda, ma una brava profiler – l’uomo alzò lo sguardo verso le fiamme – A volte mi chiedo: se fossi stato lì con loro, avrei potuto evitarlo? Ma conoscevo troppo bene Leane, era imprevedibile. Quando si metteva in testa una cosa…
    - Non me ne hai mai parlato.
    - Te la dovresti ricordare, eri già grande quando è successo.
    - Non mi hai mai detto cosa hai provato tu.
    Aaron sospirò. Cercò di raccogliere i pensieri e sperò di riuscire a far capire al figlio tutte quelle emozioni.
    - Io e Collins ne parlammo tanto, ma non siamo mai venuti a capo di niente. Lei si è sempre sentita in colpa perché era stata la sua insegnante – un sorriso inarcò le labbra dell’attempato profiler – Ricordò come se fosse ieri quando si è presentata con il dossier di Ronnie nel mio ufficio, non riuscivo a credere con un tipo come lei caldeggiasse l’ingresso di quella bomba a orologeria nella squadra. Eppure… credo che il mio senso di colpa derivi dal fatto che chinai la testa difronte alle insistenze di Collins. Se avessi trovato la forza di opporre un rifiuto deciso…
    - Ho notato che non la chiami mai per nome – intervenne Jack fissando un punto del pavimento.
    - Come scusa?
    - La chiami sempre Collins, mai Sarah.
    - Vecchie abitudini – Aaron era visibilmente contrariato.
    Jack si guardò in torno e poi alzò gli occhi al soffitto.
    - Christine non c’è. La tua matrigna è andata a trovare la sorella – lo prevenne il padre.
    - Tu eri innamorato di lei? – meglio andare al nocciolo.
    Hotch senior rimase con il bicchiere a mezzaria nell’atto di portarselo alla bocca. Quella era l’ultima domanda che si sarebbe aspettato di ricevere dal figlio.
    - Che differenza fa? Lei ha sposato Reid.
    - Neanche lui chiami mai per nome – Jack cominciava a sentirsi in imbarazzo.
    - Ho sposato Christine – come se quella risposta chiarisse tutto.
    - Non ti ho chiesto questo, ti ho chiesto se eri innamorato di Sarah.
    - Sì – la voce salì leggermente.
    - La ami ancora?
    - Non sai di cosa stai parlando – non voleva toccare quel tasto ancora dolente.
    - La ami ancora? – suo figlio non demordeva.
    - SI! – si passò una mano fra i capelli ormai bianchi – Mi ha spezzato il cuore quando ha sposato Reid, ma l’ho accettato. Christine è una brava persona ed io le sono molto affezionato, ti è stata vicina.
    - Elizabeth somiglia molto a Sarah, non è vero?
    Hotch guardò suo figlio perplesso, chiedendosi dove volesse andare a parare.
    - Devi dirmi qualcosa?
    - Hai ancora l’anello di fidanzamento della mamma?
    - Sì, certo – era confuso dal cambio di argomento.
    - Io voglio chiedere a Lizzy di sposarmi – cercò di nascondere l’imbarazzo buttando giù il cognac tutto di un colpo.
    Aaron guardò Jack sbalordito, mentre una sfilza di domande gli rimbalzavano in testa.


    Kathy continuava a guardare Isabel che invece cercava di concentrarsi sulla sua cioccolata calda. Doveva comunicare all’amica di aver troncato la sua relazione con Mac, ma aveva paura che l’altra cominciasse a scavare sui motivi. Alla fine decise che era inutile tergiversare.
    - Io e Mac ci siamo lasciati.
    - Ecco spiegato perché sei in casa di venerdì sera – continuava a guardarla aspettando il seguito.
    - Tutto qui? – Irons sollevò un sopracciglio perplessa.
    - Voglio godermi la spiegazione – rispose la rossa lasciandosi andare contro i cuscini del divano.
    - Non stavamo andando da nessuna parte, eravamo troppo diversi…
    - Balle – la interruppe – Problemi con il sesso?
    A Isabel andò di traverso lo saliva e cominciò a tossire in modo convulso.
    - Bingo!
    - Non essere assurda! Non ci siamo neanche arrivati a quello.
    - Visto che il problema era il sesso – affermò Kathy sorseggiando tranquilla la cioccolata.
    - Non è questo…
    - Allora cos’è?
    - Sia mantenerlo un segreto?
    - Sarò una tomba. Spara.
    - Beh, ecco… - divenne tutta rossa solo al ricordo – Reid mi ha baciata.
    - Come, come, come? – la ragazza si rizzò a sedere stupefatta – Mister Macho ti ha baciata? E quando?
    - Eravamo sull’aereo per San Francisco. Ma non è stata una cosa romantica…
    - Il single più bello dell’Accademia di Quantico ti bacia e non è una cosa romantica?
    - Guarda che è stato solo un bacio. Da come ne parli tu, sembra chissà cosa sia successo.
    - Isabel Irons, sei la mia migliore amica e ti conosco come le mie tasche. Se fosse una cosa da nulla come cerchi di farmi credere, non ne staremo neanche parlando.
    - Credo che abbia una ragazza adesso e anche se non l’avesse… andiamo, sarei solo una delle tante.
    - Lo sciupafemmine più famoso dell’F.B.I. ha una ragazza? Questa si che è una novità… Comunque tu parti dal presupposto sbagliato.
    - Cioè?
    - Non tutte le storie sono fatte per durare più di una notte – ammiccò Kathy – Io uno sfizietto con quel perfetto esemplare di maschio me lo toglierei…
    - Sei sempre la solita – Isabel rise per la prima volta da giorni.

    JJ continuava a guardare Puka sbattendo gli occhi. Non riusciva a capire di cosa parlasse l’amica.
    - Una rimpatriata?
    - Già – rispose la punk tutta soddisfatta – Credo sia proprio quello che serva in questo momento: una bella rimpatriata.
    - Non capisco cosa vai blaterando.
    - Il caso del “creatore di bambole” – per lei era ovvio, anche se Jasmine non afferrava.
    - L’abbiamo appena risolto.
    - Ma non siamo la prima squadra che ci ha lavorato. Non sarebbe bello fare una rimpatriata?
    - Intendi con i vecchi membri del team? – chiese JJ sempre più perplessa.
    - Esatto. So come rintracciarli e potrebbe essere una buona occasione per conoscere il mio idolo.
    - Tu hai un idolo? La grande Puka? La superdonna?
    - Spiritosa. Parlo di Penelope Garcia, il genio dell’informatica che ha portato la squadra nel ventunesimo secolo – rispose tutta gongolante – Si mormora che fosse una vera forza della natura. Estrosa, anticonformista, bizzarra…
    - Sembra il tuo ritratto – commento la ragazza mulatta sorseggiando la propria birra.
    - Ci stai?
    - Se si tratta di festeggiare, io ci sto sempre – rispose convinta.
    - Bene. Direi di allargare l’invito ai compagni degli invitati.
    JJ si voltò lentamente verso l’amica e cercò tracce d’ironia sul suo viso costellato da piercing. Non ne trovò.
    - Come mai allargare l’invito ai rispettivi compagni?
    - Beh… interesse personale – disse l’informatica bevendo a sua volta.
    - Non dirmi che…
    - No, figurati – sospirò in modo tragico – A quanto pare tutti gli esseri di razza umana interessanti sul pianeta non sono disponibili.
    - Allora perché?
    - Garcia è sposata con Kevin Lynch.
    - Il creatore di videogiochi?
    - Il mio secondo grande idolo – ammise Puka con una risata.

    Continua…
     
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    Capitolo XXXI. That “Thing”

    Isabel assisteva ai festeggiamenti della squadra alla notizia che Hotch si sarebbe sposato. Si era congratulata con il suo collega e poi, a differenza degli altri, era tornata alle scartoffie. Ormai da una settimana che era tornata al lavoro, ma tutti avevano notato quanto fosse distante e persa in un mondo tutto suo.
    Prentiss aveva detto al resto del team di darle tempo, che le rivelazioni sul passato di suo padre e il fatto di aver dovuto uccidere il proprio fratello avrebbero scosso chiunque. Inoltre era stato il suo primo caso, una coincidenza infelice. Ma ora Chris la guardava di sottecchi chiedendosi quando sarebbe tornata la ragazza insopportabile di sempre.
    Jack le si avvicinò con aria complice e le posò una mano sulla spalla.
    - Allora, Irons, che ne pensi della mia scelta? – le chiese facendogli l’occhiolino – Ragazza veramente eccezionale Elizabeth, non trovi?
    - Non saprei che dirti. Non la conosco.
    - Già, il vostro incontro in ospedale è stato alquanto fugace. Quando siamo rientrati nella stanza, eri già andata via.
    Irons sollevò lo sguardo perplessa. Allora, si disse, la bella ragazza mora è la famosa Elizabeth, la sorella di Reid. Quel pensiero la sollevò, anche se non sapeva dire perché. Cose le interessava se Reid aveva la ragazza o meno? Aveva preso la decisione di chiudere definitivamente quella “cosa” fra loro, che senso aveva rimuginarci ancora sopra?
    - Posso dirti che è veramente bella – si decise a rispondere in fine.
    - Quella è una caratteristica di famiglia – si pavoneggiò Chris dando una pacca sulla spalla a JJ.
    - Anche la faccia di bronzo e l’essere superficiale lo è? – Isabel era di nuovo sul piede di guerra.
    - Invece, immagino che la caratteristica della tua famiglia sia di essere irritanti e spacconi – la rimbeccò Reid.
    - No. Ci limitiamo a essere pazzi psicopatici.
    La risposta di Isabel gelo l’atmosfera, la ragazza si alzò e si diresse verso i corridoi interni lasciandosi alle spalle i suoi colleghi allibiti.

    Si era rifugiata nel vecchio archivio cartaceo, l’unico posto dove nessuno andava se non la donna delle pulizie. Sospirò mettendosi a sedere per terra appoggiata a uno degli scaffali. Si ritrovò a chiedersi quante altre persone, durante tutta la storia dell’unità, si fossero rifugiate in quel posto in cerca di tranquillità.
    Rimuginava sulla risposta che le era appena uscita di bocca. Aveva sorpreso persino se stessa, non aveva riflettuto quelle parole le erano uscite così, senza un perché. Un sorriso amore le piegò le labbra. Un perché c’era, era la pura verità. Quante famiglie potevano vantare addirittura tre serial killer? Il dottor Reid avrebbe saputo risponderle, ma ora neanche il ricordo del suo vecchio professore riusciva a tirarle su il morale.
    Si circondò le ginocchia con le braccia e poi vi poggiò sopra la testa. Tante cose continuavano a passarle per la mente e non erano tutte spiacevoli. Certo aveva scoperto che suo padre era un assassino, che suo zio aveva deciso di far partecipare anche il nipote maschio più piccolo al loro “gioco”, che suo fratello aveva deciso di ucciderla. Tutte cose che dicevano molto sulla sua famiglia, ma che non dicevano niente di lei come persona.
    Aveva sparato senza esitazioni, il suo unico pensiero coerente nel momento in cui aveva puntato la pistola era stato che non poteva permettere a Patrick di far del male a Reid. Lui aveva detto che si fidava, che aveva fiducia in lei e Isabel non voleva deluderlo. Ma c’era anche altro dietro quel pensiero. Non sopportava l’idea di far soffrire Sarah Collins e Spencer Reid, le uniche due persone che avevano creduto in lei, che avevano visto le sue potenzialità. Non era solo quello, dovette ammettere con se stessa.
    Mentre stava per formulare un nuovo pensiero, sentì qualcuno che si sedeva vicino a lei, per terra, e le passava un braccio intorno alle spalle. Non aveva bisogno di alzare gli occhi, aveva riconosciuto l’odore del dopobarba. Chris la strinse fino a farle poggiare la testa sulla sua spalla e quindi le posò il capo sui capelli. Rimasero così per un tempo indefinito, lui non le parlava, non la consolava. Si limitava a starle vicino e tenerla stretta a se. Fu Isabel la prima a riscuotersi.
    - Questo non cambia niente, lo sai vero?
    - Non riesco neanche a immaginare cosa tu stia passando. Credo che per il momento si possa mettere da parte le nostre dispute e pensare a come rimetterti in carreggiata. Non mi piace vincere se l’antagonista non è al pieno delle sue forze.
    - Reid, non è più un gioco – Irons si scostò da lui – Non m’interessa più questa stupida battaglia fra di noi. Se vuoi che me ne vada, fai del tuo meglio. Io non ho intenzione di scendere in campo.
    - Non è questa la ragazza che ho conosciuto e che mi rimette al mio posto con due parole – sorrise lui carezzandole piano la testa.
    - Te l’ho detto. Non voglio più litigare con te.
    - Perché? Era divertente.
    - Perché… perché…
    - Problemi di connessione? – la prese in giro lui.
    - Sai cosa succede quando litighiamo, no? Beh, non deve più accadere.
    - Cioè non vuoi più litigare con me, perché altrimenti diventi tutta rossa in faccia? – Chris faceva finta di non capire.
    - Non dovrà più succedere – Isabel si alzò di scatto e si avviò verso la porta.
    - Altrimenti il tuo ragazzo mi picchia? – la provocò ancora lui.
    - Non è più il mio ragazzo.
    Uscì dalla stanza senza aspettare la risposta del suo collega. Aveva paura dello sguardo di lui, aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere ora che erano entrambi due adulti liberi. Mentre camminava sentì di nuovo i brividi lungo la schiena al ricordo del loro ultimo “scontro”. Decisamente non era salutare quella strana “cosa” fra di loro.

    Reid entrò a precipizio nell’ufficio di Puka, che era tutta intenta a cercare qualcosa sui suoi monitor. La ragazza non si girò neanche presa com’era dal suo lavoro.
    - Allora, dongiovanni? Cosa ti porta a entrare come un tornado nel mio antro?
    - Si sono lasciati – disse Chris con uno sguardo trionfante sul viso.
    - Chi? – Puka si girò incuriosita – Hotch e Lizzy?
    - Figurati, quei due sono decisi a sposarsi il prima possibile. Cioè, ordine tassativo di mio padre, dopo che lei si sarà laureata a giugno.
    - Allora di chi diavolo stai parlando?
    - Isabel e il cretino – risposa lui gongolante.
    - Sai che questo non vuol dire che lei ricambia i tuoi sentimenti. Cerca di restare con i piedi per terra, amico.
    - Ma ora ho una possibilità, no? – Chris si sentiva come un palloncino a cui qualcuno stava facendo uscire l’aria a poco a poco.
    - Dipende da te. Credo che Isabel non sia una ragazza da una notte e la tua fama non la invoglierà certo a prenderti sul serio.
    - Allora? Cosa mi consigli di fare.
    - Non farle fretta, non starle troppo addosso, riga dritto e falle vedere che sei cambiato. Cerca di diventare una persona di cui lei si possa fidare. Insomma, Chris! Possibile che tu non sappia da che parte si comincia a corteggiare una donna?
    - So corteggiarle per portarmele a letto, ma non è questo quello che voglio da lei.
    Puka lo guardò sorridendo.
    - Siamo finalmente cresciuti, eh ragazzino?


    Continua…
     
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    Capitolo XXXII. Fighting for you

    Dalla loro ultima conversazione erano passate già due settimane. Isabel faceva di tutto per evitarlo, riusciva sempre a non rimanere sola con lui e quando Chris le rivolgeva la parola si limitava a rispondergli a monosillabi. Non era mai sgarbata o scortese, semplicemente lo trattava come un collega con cui non aveva il minimo rapporto. Per Reid, abituato a ricevere mille attenzioni dal gentil sesso, era una situazione frustrante. Nonostante provasse in tutti i modi a essere gentile con lei, l’unico risultato che otteneva era un sorriso a mezza bocca e occhi che sfuggivano ai suoi.
    Puka gli aveva detto che avevano organizzato una “rimpatriata” con il vecchio team e che erano tutti invitati, con rispettivi compagni. La festicciola si sarebbe svolta di lì a due settimane, in modo che anche sua madre, ormai sulla via della guarigione, potesse parteciparvi. Sorrise ricordando il gesto teatrale dell’amica nel portarsi una mano alla fronte.
    - Mi sono completamente dimenticata di dirlo a Irons e pensare che ho detto a JJ di non farne menzione davanti a lei perché volevo invitarla io stessa. Che sbadata che sono! Non è che potresti dirglielo tu? – Cassandra non era una brava attrice e si vedeva lontano un chilometro dove stesse andando a parare – Certo bisogno sbrigarsi a dirglielo in modo che non prenda altri impegni… Puoi passare da lei? Ti do io l’indirizzo.
    Il monologo di Puka si era concluso circa due ore prima. Lui aveva preso subito la macchina e si era diretto all’indirizzo datogli, non aveva impiegato più di venti minuti nel tragitto. Aveva parcheggiato con calma e poi si era lasciato andare sul sedile osservando quella finestra illuminata. Era rimasto così a rimuginare su tutto quello che era cambiato in lui dal momento in cui Isabel Irons era entrata prepotentemente nella sua vita e nella sua mente.
    Chiuse gli occhi cercando di evocare l’immagine della ragazza. Il modo in cui sorrideva, il tono della voce, quel suo giocare costantemente con la penna. Tutte cose che lui notava e che lo facevano sentire strano. Cercava di non pensare mai a quei baci di fuoco che si erano scambiati sul jet e si vergognava ogni volta che si trovava a fantasticare sulla pelle di lei, su quei capelli biondi arruffati dalla foga di quell’abbraccio, su quella bocca così dolce e provocante.
    Sbarrò gli occhi rendendosi conti di trovarsi ad un passo dall’essere di nuovo risucchiato in quel vortice di emozioni. Sperava di non essersi sbagliato, voleva con tutto se stesso che non fosse mera attrazione sessuale. Desiderava, per la prima volta in vita sua, un rapporto che andasse oltre il semplice sesso. Qualcuno di cui prendersi cura e che lo facesse sentire importante e appagato.
    Il motivo per cui non aveva fatto scenate a Jack e Lizzy era che invidiava la loro relazione, un rapporto profondo e sincero. Fantasticava di avere quel tipo di rapporto con Irons. Arrossì come uno scolaretto al pensiero di lei che si lasciava abbracciare e che si stringeva a lui.
    - Isabel – sussurrò per la prima volta il nome di lei e un sorriso gli arricciò le labbra.
    Aveva un suono dolce, non aveva mai sperimentato quel senso di pace e tenerezza che il nome di lei gli evocava. Quando si fissava con una ragazza di solito era una specie di sfida e sentiva tutta l’eccitazione della battaglia, quando pensava alla bionda e impertinente profiler si sentiva stranamente sereno, come se non ci fossero più prove da dare o esami da superare. Il pensiero di lei era un mare placido e tranquillo.
    Sapeva di dover scendere da quella macchina e andare a bussare a quella porta, doveva almeno tentare. Si mise eretto e tolse le chiavi dal quadro, era giunto il momento di prendere in mano le redini della situazione.

    Irons sussultò nel sentire quei colpi decisi percuotere la porta del suo appartamento. Guardò l’ora. Le dieci passate, orario insolito per una visita di cortesia. Si chiese chi poteva essere e una serie di nomi le affiorò alla mente. Kathy era uscita con la sua ultima conquista, Mills era a Las Vegas per un congresso, Mac aveva cominciato a frequentare un’altra ragazza. Aveva scartato tutti quelli che normalmente l’andavano a trovare e si sentì inquieta.
    Dallo spioncino vide l’ultima persona che si sarebbe aspettata potesse farle visita. Sospirò appoggiando la fronte alla porta. Non voleva farlo entrare, aveva paura di quello che sarebbe potuto succedere. Era incredibile che lui non si fosse arreso alla sua strategia del silenzio e dell’indifferenza, era testardo come un mulo! Decise che poteva almeno aprire la porta e sentire cosa aveva da dirle. Socchiuse la porta e rimase lì a fissarlo aspettando una spiegazione.
    - Buonasera Irons. Scusa l’ora, ti ho disturbato?
    Isabel non si degnò neanche di rispondere continuando a fissarlo con indifferenza.
    - Posso entrare? – chiese Chris con il suo sorriso più accattivante.
    - Sarebbe inappropriato. Cosa volevi?
    - Ehm… Puka e JJ hanno organizzato una festa tra due venerdì, volevamo essere sicuri che tu non prendessi impegni.
    - Perché non mi hanno invitato loro? – Isabel sollevò un sopracciglio perplessa.
    - Puka voleva avvisarti oggi me le è sfuggito di mente, così mi ha chiesto di avvisarti. Spero che ti unirai a noi.
    - Una bevuta con la squadra? Cosa c’è di così eccezionale? Mi sembra che lo facciate spesso.
    - Questa volta ci saranno anche i vecchi membri della squadra e quindi…
    - Sì, capisco. Grazie per avermelo detto, cercherò di venire. Buonanotte – dicendo così fece il gesto di chiudere la porta, ma Chris allungò una mano e glielo impedì.
    - Non credi che possiamo parlarne come persone civili?
    - Mi sembrava di essere stata chiara l’ultima volta – cominciava già a perdere le staffe per quell’intrusione nella sua vita.
    - Cosa ci sarebbe di male nell’ammette che fra noi…
    - FRA NOI NIENTE! – chiuse gli occhi e cercò di riprendere il controllo di sé – Ci vediamo domani in ufficio.
    - Sei solo una ragazzina capricciosa e testarda! – Chris non era disposto a umiliarsi per lei.
    La guardò un momento ancora e poi si girò lasciandola sola con la sua cocciutaggine.

    Sbatté la porta del suo appartamento in preda alla frustrazione. Si era presentato a casa sua nella speranza di poter parlare, di chiarire, ma lei era stata un blocco di ghiaccio. Reid aveva la voglia matta di prendere a pugni qualcosa, qualsiasi cosa, per di sfogarsi.
    Camminava avanti e indietro percorrendo il salotto di casa con lunghe falcate, apriva e chiudeva i pugni cercando di calmarsi e riacquistare la padronanza di sé. Voleva disperatamente che lei gli permettesse di provarci, di dimostrarle che era migliore di come lei lo aveva dipinto. Voleva stringerla a sé e perdersi nel profumo dei suoi capelli.
    Si chiese per l’ennesima volta se Irons sarebbe mai riuscita ad ammettere con se stessa che era inutile negare quello che stava nascendo fra loro. Si fermò improvvisamente al ricordo di come lei era si era lasciata abbracciare e consolare da lui dopo che l’aveva lasciata sfogare. Si rifugiò nel ricordo del tepore di quel corpo esile che gli aveva trasmesso emozioni mai provate.
    Sentì bussare alla porta e aprì senza esitazioni, preso com’era da quel turbine di pensieri. Irons era lì ferma davanti a lui con uno sguardo furente negli occhi. La vide prendere slancio per spingerlo con quanta forza aveva in corpo. Erano fermi sulla soglia e si fissavano con rabbia.
    - Chi credi di essere per venire a casa mia e darmi della ragazzina capricciosa e testarda? – Isabel era veramente alterata.
    - E tu chi ti credi di essere per potermi trattare come un lebbroso?
    Irons fece un passo avanti e chiuse la porta alle sue spalle senza smettere di guardarlo negli occhi. Poi improvvisamente gli fece penzolare davanti alla faccia la polsiera colorata che lui gli aveva comprato.
    - Trattarti come un lebbroso? Non ti viene in mento un buon motivo per cui io dovrei evitarti come la peste? Siamo di memoria corta, vero animale?
    - Smettila di rinfacciarmelo, ti ho chiesto scusa!
    - E pensi che possa bastare? Tu non cambierai mai, sei solo un prepotente, arrogante…
    - Cosa? Sentiamo cosa sarei? Piccola mocciosa indisponente!
    - Stronzo! – dicendo cosi gli allungò un sonoro schiaffo.
    Quello che seguì era prevedibile da entrambe le parti. Chris l’afferrò per il polso e costrinse il corpo di lei contro la porta. Le afferrò l’altro braccio e glieli portò al di sopra della testa. Li sbatté con forza contro il legno per un paio di volte senza staccare gli occhi da quelli di lei.
    - Smettila di esasperarmi! Smettila di provocarmi!
    Stava succedendo di nuovo e Reid se ne rese conto. Stava per lasciarla andare quando finalmente lo vide. Quel bagliore negli occhi di Irons era inconfondibile. Le pupille dilatate, il fiato corto, le labbra socchiuse come un invito irresistibile. Le lasciò i polsi e le sue mani scesero fino a fermarsi a poca distanza dal viso di lei, tremando leggermente.
    Continuava a guardarla e sentiva il desiderio di carezzarle il viso, di scostarle i capelli dalla fronte e baciarla. Si chiese se sarebbe stato sempre così fra loro, quel continuo litigare per non dover affrontare quello che provano. Finalmente una mano le si posò sul viso, mentre l’altra si poggiava contro il legno della porta alle sue spalle.
    Il pollice di Reid disegnò lentamente le labbra di Irons che rimaneva ferma con il fiato sospeso e gli occhi leggermente appannati. I loro visi era vicini e i loro respiri s’infrangevano contro le guance dell’altro.
    - Isabel – un sussurrò sulle labbra della ragazza.

    Continua…
     
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    Ecco il nuovo capitolo (corto corto). Buon Natale^^

    Capitolo XXXIII. What’s going on?

    - Isabel.
    Irons era come impietrita. No, così non poteva andare. Aveva deciso di seguire il consiglio di Kathy e togliersi “lo sfizio”, sperava che una volta appagato la sua attrazione per Reid tutto sarebbe finito. Sentirsi chiamare per nome non era previsto, mentre lei aveva previsto tutto.
    Dopo che Chris era andato via, era rimasta a rimuginare sul suo collega e su quello che provava per lui. Doveva ammettere di non essersi mai sentita viva come quando si erano baciati con foga sul jet. Quelle sensazioni la facevano ancora vibrare, ma lei aveva cercato di soffocare quel desiderio che provava di avere ancora un contatto fisico con lui.
    Poi, ripensando alle parole di Kathy, aveva deciso il suo piano di attacco. Si sarebbe recata a casa di lui, l’avrebbe spintonato, provocato, stuzzicato fino a fargli di nuovo perdere il controllo. Avrebbe ottenuto quello che voleva: sesso selvaggio senza complicazioni. Reid l’avrebbe gentilmente messa alla porta il mattino dopo, ma lei aveva tutta l’intenzione di andarsene molto prima del mattino. Appena avessero finito, avrebbe raccattato i suoi vestiti, che sarebbero sicuramente stati sparsi in giro per l’appartamento e se ne sarebbe andata senza una parola. Sarebbero stati entrambi appagati e fine della questione.
    Ora lui l’aveva chiamata per nome e quello la turbava, non era nel programma. Era qualcosa che sfuggiva alle sue previsioni, qualcosa che doveva stroncare sul nascere.
    - Niente nomi – gli ingiunse.
    Chris si scostò leggermente da lei continuando a tenere la mano sul suo viso e la guardò perplesso. Si chiese cosa diavolo stesse succedendo nella mente di quella ragazza imprevedibile e decise di approfondire l’argomento prima di proseguire. Accostò di nuovo le labbra a quelle di lei e rimase fermo così a pochi millimetri dalla sua ossessione personale.
    - Cosa ti frulla in testa ora? Vuoi che mi fermi?
    - No, ma niente nomi. Non prendiamo questa cosa troppo sul serio, in fin dei conti è solo sesso.
    Reid si scostò da lei come se si fosse bruciato e la guardò allibito. Quello che lei gli stava proponendo era qualcosa che lui assurdamente non voleva più. Una notte di solo sesso, senza coinvolgimenti di alcun tipo. Prima di conoscerla, quella sarebbe stata la sua serata tipo. Una ragazza che non chiedeva di meglio che rotolarsi con lui sotto le coperte e che poi se ne sarebbe andata senza fare troppe storie. Si sentiva male all’idea che era questo che Irons era venuta a cercare.
    - Vattene – si voltò per non vederla e sconfiggere il desiderio di stringerla a se.
    - Come scusa? – Irons era sorpresa dal cambiamento improvviso di Chris – Non dirmi che non è quello che vuoi, una notte di sesso selvaggio.
    - No, non è questo quello che voglio. Io voglio che tu te ne vada.
    - Bene, bene. A quanto pare la tua reputazione di casanova è ingiustamente meritata – Isabel era pronta ad andarsene dopo la sua ultima stoccata.
    Reid invece reagì a quelle parole in modo violento. Si voltò di scatto e sbatté i pugni con violenza contro la porta.
    - Io voglio che tu ora te ne vada – sentiva la propria voce tremare – Se sei venuta solo per fare sesso vattene e non tornare.
    - Ma si può sapere che ti prende? – Irons lo scostò da se e aprì la porta pronta ad andarsene.
    - Non sono il tuo giocattolo! – la afferrò per un gomito e la mise fuori dalla porta – Mi prende che ti amo, stronza!
    Chiuse la porta lasciandola lì sul pianerottolo con la bocca aperta.

    Si appoggiò alla porta e lentamente scivolò verso il pavimento. Si sentiva da schifo. Non si era mai permesso il lusso di provare qualche tipo di sentimento verso una ragazza e ora che si era finalmente innamorato lei, voleva usarlo solo per il sesso. Forse, si disse, era questo quello che avevano provato le ragazze con cui aveva fatto sesso, quel senso di sporcizia attaccato addosso come se invece di una persona fosse un mero oggetto.
    Provava vergogna per come Isabel avesse pensato di usarlo, chiarendo che non doveva usare il suo nome perché era una cosa troppo intima. Lo considerava uno stallone da una botta e via, giusto per togliersi la curiosità di sapere com’era a letto, se la sua reputazione era meritata. Si sentì morire dentro e abbandonò la testa all’indietro mentre lacrime amare solcavano le sue guance.

    Isabel era uscita dalla stabile come una sonnambula. L’ultima cosa che le aveva detto Chris l’aveva lasciata di sasso. Lui aveva detto di amarla, di amare una ragazzina insignificante come lei. Entrò in macchina ancora stordita e si abbandono sul sedile.
    - E brava Isabel, mi congratulo con te.
    Pensava di divertirsi con Reid e che la cosa sarebbe finita lì, invece si rendeva conto di averlo fatto soffrire ammettendo che per lei era solo sesso. Non aveva capito minimamente che per Chris le cose si erano spinte fino a quel punto e cominciò a dirsi che come profiler faceva schifo visto che non si era accorta di niente.
    Mise in moto e si avviò verso casa mentre continuava a rimuginare su quello che le era appena stato confessato. Decisamente Mac e Reid avevano due stili completamente diversi. Mac le aveva confessato di amarla con tenerezza e dolcezza, Reid aveva chiuso la propria dichiarazione con uno “stronza”. C’era da congratularsi con il suo collega per le parole romantiche che aveva scelto, sentiva un furore cieco cominciare a farsi strada in lei. Chi si credeva di essere per supporre che lei fosse interessata in quel senso? Come osava anche solo pensare che lei potesse innamorarsi di un perdigiorno come lui?
    Arrivata nel suo appartamento un nuovo sentimento aveva preso il posto di tutti i precedenti. Non avrebbe mai creduto di sentirsi in colpa per Reid e il duro colpo che aveva inferto al suo amor proprio dicendogli che lei cercava solo sesso. Eppure il senso di colpa non la lasciava in pace. Si chiese cosa stesse facendo l’oggetto delle sue elucubrazioni in quel momento. Sperò che Reid riuscisse a dimenticarla, in fin dei conti lei era solo un disastro ambulante e non certo il genere di donna che uno così si meritava accanto.
    Si trovò a tirare le somme su quel ragazzo che la irritava all’inverosimile. Era superficiale, arrogante, irritante. Ma era anche un bellissimo ragazzo, pieno di fascino, intelligente e un ottimo profiler. Decisamente poteva avere di più dalla vita che non una come lei. Sospirò guardandosi allo specchio.
    Era insignificante e niente avrebbe cambiato quel dato di fatto. Aveva anche un pessimo carattere e l’aveva dimostrato abbondantemente con lui, eppure lui l’amava. Si chiese se il mondo non fosse impazzito del tutto.

    Continua…
     
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    Capitolo XXXIV. An old new thing

    Il locale che avevano scelto era un pub tranquillo, frequentato per lo più da agenti federali. La musica di sottofondo era gradevole e le luci tenui aiutavano a creare un’atmosfera intima e accogliente. Puka era estasiata mentre ascoltava Penelope Garcia parlare delle nuove scoperte tecnologiche e di come suo marito avesse intenzione di usarle all’interno dei suoi video giochi. Prentiss guardava la giovane punk con un sorriso divertito, certamente la ragazza “adorava” Garcia e Kevin, che a loro volta erano felici di parlare con qualcuno che lì ascoltavano con quell’aria rapita.
    Morgan si era seduto in fondo al tavolo tra Hotchner e Rossi. I tre, come ai vecchi tempi, parlavano di football e del campionato di basket, discorsi da “uomini veri” come li definivano loro. Chris era stato chiamato a sedersi vicino a loro, ma non sembrava prestare molta attenzione ai discorsi dei tre uomini più anziani.
    Emily si voltò con aria interrogativa verso Spencer e Sarah che si limitarono a fare spallucce. Era evidente che tutta l’attenzione di Chris era calamitata da Jack che teneva un braccio intorno alle spalle di Lizzy, mentre spiegava a Jennifer e Will che avevano deciso di sposarsi a giugno, subito dopo la laurea della ragazza. I due giovani erano visibilmente felici e innamorati, mentre Reid Jr li osservava con un misto d’invidia e incredulità.
    Irons era seduta vicino a loro e continuava a evitare lo sguardo del suo affascinante (e affascinato) collega. Sembrava molto interessata alla spiegazione di Lizzy di come intendeva organizzare “il giorno più importante della sua vita”, come l’aveva definito con un sorriso dolce e un’aria trasognata.
    Gideon da parte sua era tutto preso ad ascoltare Elle che chiacchierava del più e del meno con Seaver, un’altra ex agente. All’appello mancava solo JJ, che per qualche strano motivo era in ritardo. Come leggendole nel pensiero qualcun altro diede voce ai suoi dubbi.
    - Ma Jordan che fine a fatto? – Isabel si guardava intorno preoccupata – Di solito è puntualissima.
    - Già – convenne Jack – Quella ragazza sembra un orologio svizzero.
    - Vista la quantità di muscoli, io la paragonerei a una pendola – ammiccò Puka.
    Come si suol dire, parli del diavolo e…. JJ fece il suo ingresso nel locale proprio in quel momento, ma non era da sola. La squadra al gran completo la vide entrare mano nella mano a un’esile ragazza bionda. Tutti si guardarono leggermente stupiti, ma nessuno proferì parola.
    - Buonasera, scusate il ritardo – JJ sembrava veramente nervosa mentre spostava una sedia e faceva accomodare la sua “amica” – Lei è Michelle.
    - Piacere di conoscervi – disse timida la bionda.
    - Piacere nostro – risposero quasi in coro.
    - Vedo che avete già preso da bere – Jasmine cercò di rompere il ghiaccio – Allora vado a prendere qualcosa anche per noi due.
    - Per me… - provò Michelle.
    - Una birra chiara, lo so, amore – dicendo cosi si chinò a baciare la ragazza sulla fronte e poi si sollevò indicando Puka e Chris – Voi due tenete le mani a posto e le bocche sigillate. Chiaro?
    I due annuirono con gli occhi sgranati. Sicuramente quella era una novità.
    - Bene, agente Jordan – intervenne Emily con un sorriso – Mi stava giusto chiedendo quando ci avresti presentato la tua fidanzata.
    - Ehm… - certamente JJ era rimasta senza parole.
    - Lavorare con dei profiler ha i suoi inconvenienti, mia cara – le fece notare Morgan strizzandole l’occhio – Bene, Michelle, lo sai che ora sarai sottoposta a interrogatorio?
    La ragazza si guardò intorno allarmata, rendendosi conto che tutti la guardavano con il chiaro intento di porle delle domande. Ingoiò a vuoto cercando lo sguardo della sua donna, che stava tranquillamente a braccia conserte e si avviava placida verso il bancone.
    La stravagante ragazza con i capelli verdi si sporse attraverso il tavolo verso di lei con uno sguardo che non presagiva niente di buono. Michelle si disse che comunque era pronta a qualsiasi tipo di domanda, probabilmente l’avrebbero sommersa d’interrogativi sul tipo di relazione che lei e la ragazza mulatta avevano. Si rese subito conto che Puka, come più volte sostenuto da JJ, era imprevedibile.
    - Allora, signorinella… qual è il tuo film preferito?
    La bionda rimase con la bocca aperta e gli occhi spalancati, chiedendosi da che mondo venissero quelle strane persone.

    Erano ormai tutti presi conoscere Michelle e a farle domande assurde, cercando di mettere a proprio agio quella ragazza dal sorriso dolce e i lineamenti delicati. Jasmine non smetteva un momento di stringerla a sé con fare protettivo, mentre rideva alle battute dei suoi colleghi.
    Isabel si era allontanata dal resto del gruppo e rimaneva al bancone sorseggiando l’ennesima birra della serata. Improvvisamente qualcuno prese posto accanto a lei, la giovane si rassegnò a girarsi e trovarsi vicino a Reid che la guardava come un cane bastonato. Invece quello che incontrarono i suoi occhi furono due labbra fucsia arricciate all’insù, Penelope si era messa a fissarla con uno sguardo divertito.
    - Allora, Irons, ho saputo che ti stai inserendo molto bene nella squadra.
    - Sì, pare di sì – si chiese cosa effettivamente sapesse l’ex informatica – Ho un buon rapporto con quasi tutti.
    - “Quasi”, interessante scelta di parole – meditò la frizzante rossa al suo fianco.
    - Pensavo che lei non fosse un profiler – Isabel si girò di nuovo a osservare la bottiglia che aveva in mano.
    - No, ma a forza di lavorare con loro qualcosa di psicologia l’impari comunque. Mettici che conosco Christopher e Jack da quando sono nati e trai le dovute conclusioni.
    - Qualcuno ha parlato con lei. Chi?
    - Lo sai bene anche tu chi – il sorriso di Garcia si stava lentamente spegnendo – A volte è difficile fare i conti con i propri sentimenti.
    - Parla per esperienza personale?
    - Sono stata con loro per tanti anni. Ho visto storie d’amore morire sul nascere e altre diventare sempre più forti. Lui è il mio piccolo cucciolo adorabile, non farlo soffrire più dello stretto necessario. Ignorarlo peggiora solo le cose.
    Detto questo, si alzò e raggiunse il tavolo, dove il marito si era girato a guardarla. Isabel era di nuovo solo con i suoi pensieri e i suoi dubbi. Era imbarazzata quando incontrava Chris, non riusciva neanche a guardarlo. Si rendeva conto che lui stava soffrendo e che la causa del dolore del suo collega era proprio lei. Sospirò incerta sul da farsi. Scese dallo sgabello e si diresse alla porta infilandosi la giacca. Per quella sera ne aveva avuto abbastanza.

    Il parcheggio era buio, qualcuno che conosceva e che aveva visto prima all’interno del pub era appoggiato a una macchina. Lei si diresse verso la propria auto senza prestargli attenzione, l’aveva visto bere pesante per tutta la sera ed era quasi certa che fosse ubriaco. Meglio stargli alla larga, maschio alfa ubriaco voleva dire solo una cosa: guai in arrivo.
    Infatti, prima che potesse far scattare la serratura, sentì una mano afferrarla e costringerla a girarsi. I suoi occhi incontrarono quelli grigi di Mac che la guardava con aria arrabbiata. Lei gli scostò il braccio con decisione e rimasero lì fermi a guardarsi.
    - Perché sei qui? – l’alito di lui le confermò l’ipotesi formulata poco prima, era ubriaco.
    - Una bevuta con i miei colleghi e i vecchi profiler dell’unità. Tu, invece, come mai proprio questo pub?
    - Ti ho seguita. Non ci credo a quello che mi hai detto.
    - Su cosa esattamente? – Isabel cominciava a essere nervosa.
    - Quel tuo collega, il dongiovanni, non mi piace come ti guarda.
    - Ancora con questa storia? Senti, ci siamo lasciati un mese fa, non c’è nessun altro ed io non voglio tornare con te. Pensavo che fossimo tornati amici.
    - Amici? Tu mi tratti in quel modo e poi vuoi che torniamo amici? – Mac cominciava ad alzare la voce in preda ai fumi dell’alcool – Ti ho dato tempo, perché speravo che rinsavissi. Cavoli, Isabel! Non puoi dirmi certe cose.
    - Mi dispiace, io ho solo cercato di essere onesta. Non ci saranno altri ripensamenti, mi dispiace Mac – si rese conto che la sua specialità era far soffrire quelli che le volevano bene.
    - Ti dispiace? – lui l’afferrò per un braccio – Mi tratti da schifo e poi mi dici che ti dispiace?
    Irons ora cominciava ad avere paura, non era da lui comportarsi in quel modo. Stava cercando un modo per chiudere quella conversazione e far stare calmo il suo ex ragazzo, ma non riuscì a trovare un piano adatto. Fu interrotta quando sentì Mac che era strascinato lontano da lei, alzò gli occhi di scatto per rendersi conto di cosa stava avvenendo.

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    Capitolo XXXV. Between me and you

    Chris stava trascinando Mac per la giacca e lo strattonava.
    - Non ti azzardare mai più a metterle le mani addosso! – Reid spinse via il suo antagonista.
    - Io e Isabel stiamo parlando, non t’intromettere – Mac tornò alla carica spintonando l’altro.
    - Non mi sembra che lei ti voglia stare a sentire – Chris fece un passo avanti.
    - Fatti i fatti tuoi, altrimenti…
    - Cosa mi fai? Mi aggredisci come stavi facendo con lei? – come al solito il tono era ironico e irritante.
    - Ti faccio vedere io bell’imbusto – Josh lo colpì con un pugno in pieno viso.
    Chris non si scompose più di tanto, si portò una mano al labbro che sanguinava e rimirò la macchia rossa sul suo indice.
    - Tutto qui quello che sai fare?
    Si avventò come una furia su Mac e lo colpì un paio di volte, poi lo rimise in piedi e tenendolo per il bavero della camicia lo sbatté con forza contro un SUV parcheggiato vicino.
    - Se ti vedo di nuovo importunarla in quel modo giuro che non ti permetterò di andartene sulle tue gambe. So chi sei: Joshua McArthur, sezione colletti bianchi. Beh, se vedo Irons presentarsi anche con un capello fuori posto, saprò che non mi hai dato retta e ti verrò a cercare. Ora vattene, coglione! – dicendo così lo scaraventò per terra e si frappose fra lui e Isabel in un gesto protettivo.
    - Tienitela pure, non fai questo grande affare. Tanto la signorina non è mai contenta, vuole sempre qualcosa di più di quello che le viene dato! Ti scaricherà appena troverà un altro da torturare.
    Mac si allontanò barcollando visibilmente ubriaco. Appena lo vide lasciare il parcheggio, Chris si girò preoccupato verso Irons.
    - Ti ha fatto male? – si sporse verso di lei con fare protettivo.
    Isabel scosse la testa in segno di diniego, era ancora stordita da quella scenata senza preavviso da parte del tranquillo e pacato Mac. Si abbracciò le spalle e rimase lì tremante cercando di riprendere il controllo. Finalmente riuscì a formulare un pensiero coerente.
    - No, non mi ha fatto niente. Sono semplicemente scossa, ecco tutto – non riusciva a guardarlo negli occhi – Grazie per l’aiuto, è stata una fortuna che anche tu stessi andando.
    - Veramente… - Reid si frugò nelle tasche della giacca – Avevi lasciato le chiavi di casa sul tavolo. Ti sono corso dietro per dartele.
    Così dicendo le porse le chiavi. Isabel allungò la mano per prenderle e la poggiò su quella aperta del collega lasciandola lì, indecisa sul da farsi.
    - Reid io… Mac ha ragione non fai questo grande affare a venirmi dietro. Sono un disastro ambulante e finisco sempre con il ferire le persone che mi stanno vicino – sentì una lacrima percorrere lentamente la guancia.
    - Chiacchiere di un ubriaco, nient’altro – Chris, con la mano libera, le asciugò delicatamente quella lacrima – Non si decide di chi innamorarsi, non è una cosa che puoi programmare.
    Dicendo così chiuse le mani di lei attorno alle chiavi e si girò per tornare nel locale. Si fermò dopo pochi passi e senza voltarsi le disse un’ultima cosa.
    - Non sei un disastro, Isabel. Non lo sei assolutamente. Ora è meglio che tu vada, prima che il tuo amico decida di tornare indietro.
    La lasciò lì sola nel parcheggio. Una volta arrivato sulla porta del locale si girò a guardarla aspettando pazientemente che lei si decidesse a salire in macchina e andarsene. Irons salì in auto e uscì dal parcheggio, guardando continuamente nello specchietto retrovisore per dare un’ultima occhiata al suo collega. Decise che in fin dei conti non voleva andare a casa, aveva bisogno di parlare con qualcuno.

    Kathy aveva ascoltato il racconto dell’amica con gli occhi sempre più sgranati. Alla fine aveva emesso un fischio e si era lasciata andare sui cuscini del divano.
    - Due splendidi ragazzi fanno a pugni con te e tu finisci qui sul mio divano? Ragazza mia c’è qualcosa che non va in te!
    - Spiritosa! Cosa avrei dovuto fare? Io non voglio tornare con Mac e Reid… beh lui è stato chiaro. Non vuole una botta e via – ripensò a come era sembrato dolce il suo nome pronunciato da lui – Quindi dove potevo andare? A casa a torturarmi da sola? Preferisco sfogarmi con te, anche se i tuoi commenti non aiutano.
    - Mister Macho vuole una storia con te e tu lo lasci tutto solo in un parcheggio? – Kathy scosse la testa incredula – Sei da ricovero! Io al posto tuo non ci penserei un attimo prima di fiondarmi su quell’esemplare di maschio perfetto. Siamo proprio diverse noi due.
    - Come faccio a fiondarmi su di lui? Lavoriamo insieme e proviamo cose diverse. Lui è innamorato e passare la notte con lui non farebbe che accrescere le sue aspettative. Tanto fra noi non durerebbe, ha ragione Mac. Io finisco per rovinare sempre tutto.
    - Tu di Mac non eri innamorata, ci passavi il tempo e basta.
    - E tu che ne sai?
    - Vi conosco entrambi, ma soprattutto conosco te e lo sguardo delle ragazze innamorate. Tu non pensavi continuamente a lui, scommetto che durante il caso a Bangor non l’hai chiamato neanche una volta.
    Isabel grugnì infastidita dai commenti della sua amica. Era vero, lei non aveva chiamato mai Mac durante il suo soggiorno a Bangor.
    - Erano successe un sacco di cose, cose relative alla mia famiglia e al mio passato. Era presa da tutt’altro – provò a giustificarsi.
    - Balle! Se sei innamorato di qualcuno lo chiami anche otto volte al giorno come faceva Mac con te. Scommetto che non gli hai mai parlato del tuo passato, di tuo padre e del “creatore di bambole”.
    - No – ammise lei riluttante – Per me è sempre stato difficile instaurare una relazione.
    - Non hai mai trovato nessuno che ti facesse sentire al sicuro?
    - Non mi sono più sentita al sicuro dopo la morte di mio padre. Grazie per avermi ascoltato, ora si è fatto tardi. Buonanotte.

    Era tornata nel suo appartamento e continuava a girarsi nel letto. Ripensava alla conversazione avuta con Kathy. Non era stata del tutto onesta, c’era stata un’occasione in cui si era sentita di nuovo al sicuro e protetta. Era successo sul volo di ritorno da San Francisco, quando Reid l’aveva fatta sfogare e lei si era addormentata fra le sue braccia.
    Continuava a pensare al suo collega, a quello che era successo sul jet, alla scenata di Mac. Ma più di tutto il suo pensiero tornava alla sera in cui si era presentata a casa di Chris per litigare con lui. Rievocò ogni dettaglio di quella scena, compresa la fine ingloriosa del suo piano per trastullarsi un po’ con quel maschio così affascinante.
    Il ricordo di come lui avesse pronunciato il suo nome le martellava in testa. Rabbrividì al pensiero di quanto fossero vicini in quel momento e di come lui l’avesse chiamata con dolcezza.
    - Mi prende che ti amo, stronza!
    Sorrise nel buio.
    - Mi prende che ti amo anch’io, stronzo!

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    Capitolo XXXVI. More fronts attach

    Non sapeva cosa fare e continuava a camminare su e giù per il soggiorno. Sbuffò spazientita, se c’era una cosa che detestava, era non avere un piano, non essere preparata. Doveva uscire subito, altrimenti avrebbe fatto tardi al lavoro, ma era terrorizzata all’idea di andare in ufficio e ritrovarsi Chris davanti. Aveva passato il fine settimana a fare i conti con i propri sentimenti e il risultato era sempre lo stesso. Analizzando il proprio atteggiamento, i pensieri che aveva avuto e quello che aveva provato non c’erano dubbi: si era innamorata del suo collega farfallone.
    Si diceva che era una stupida, un tipo del genere non le sarebbe mai stato fedele, non avrebbe mai resistito alla tentazione di correre dietro qualche gonnella. Le aveva detto di amarla, ma sicuramente si sarebbe stufato presto di una relazione con lei. L’unica soluzione per non soffrire era cercare di ignorare i propri sentimenti, accantonarli e comportarsi in modo normale con lui.
    La tecnica del silenzio e l’ignorarlo ostentatamente non avevano funzionato, forse se fosse tornata la Irons dei primi tempi, quella con cui litigava sempre, lui si sarebbe rassegnato alla fine e l’avrebbe lasciata in pace. Sperava solo che non la guardasse più in quel modo, con quello sguardo dolce che le faceva provare mille brividi lungo il corpo.
    Sospirò e si decise ad afferrare il proprio giubbotto. La decisione era stata presa, la strategia pianificata, era arrivato il momento di affrontare il nemico e sconfiggerlo.

    Era arrivata prima di lui e si era preparata spiritualmente all’incontro. Faceva finta di essere concentrata sul fascicolo che aveva davanti, mentre, in realtà, la sua attenzione era focalizzata sulle porte dell’ascensore. Quando lo vide uscire da lì il cuore manco un battito, sembrava così serio. Parecchie stagiste si erano fermate per salutarlo, ma lui non le aveva degnate di un’occhiata, limitandosi a salutarle cortesemente e a proseguire dritto per la sua strada. Un sorriso involontario arricciò le labbra di Isabel, certamente si era calato nel ruolo dell’innamorato rifiutato.
    Arrivato in prossimità delle loro postazioni, cominciò a salutare i colleghi. Per Jack una pacca sulle spalle seguita da un “buongiorno cognato” che fece scoppiare a ridere JJ.
    - Ehi, bellissima – la apostrofò girandosi nella direzione della ragazza mulatta – siamo di ottimo umore stamattina.
    - Potrei dire lo stesso di te, se non fossi una brava profiler – rispose Jasmine con un sorriso comprensivo.
    - Irons – per lei solo un cenno del capo, niente battute spiritose.
    - Buongiorno Reid – perché diavolo si sentiva in colpa adesso?
    Chris si mise a sedere alla propria scrivania e cominciò a controllare il proprio I-pad. Isabel continuava a far finta di concentrarsi su quel rapporto che avrebbe dovuto consegnare a Prentiss il prima possibile. Sembrava una battaglia persa cercare di concentrarsi sul lavoro, che oltretutto era noioso e ripetitivo. Improvvisamente si rese conto che mancavano delle informazioni sul caso e che non poteva finire il suo lavoro senza.
    Sicuramente era stata una svista, ma non era da Puka perdersi in sciocchezze simili. Si alzò per andare a chiedere il materiale mancante alla stravagante informatica dell’unità. Camminava svogliatamente lungo i corridoi rimuginando su quel sentimento di cui aveva preso coscienza. Sarebbe stato cosi terribile permettersi di sognare? Conosceva già la risposta, lei non sognava ad occhi aperti, era sempre stata con i piedi ben piantati a terra e questo l’aveva salvata da molte delusioni. Non si era mai innamorata prima e non voleva trovarsi a raccogliere i pezzi del proprio cuore con Reid seduto alla scrivania vicina.
    Entrò nell’ufficio di Puka con lo sguardo di una condannata a morte e attese pazientemente che la punk le prestasse attenzione. L’attesa non durò a lungo, Cassandra si girò verso di lei con un largo sorriso e un’espressione allegra stampata sul volto.
    - A quanto pare siamo tutti di ottimo umore, stamattina – constatò Irons.
    - Non si direbbe che tu lo sia, mia cara – Puka la scrutò attentamente dall’alto in basso – Sembri una che è passata sotto uno schiaccia sassi. Brutto week-end?
    - Pessimo. Comunque sono qui perché mancano delle cose dal fascicolo su cui sto lavorando.
    - Fammi vedere – Puka prese sicura l’I-pad nelle proprie mani e annuì – Sì, hai ragione. Colpa mia, una piccola svista, rimedio subito.
    Le mani della stramba ragazza si muovevano veloci sullo schermo mentre il congegno di Irons mandava dei sommessi bip di risposta alle manovre che avvenivano sui monitor.
    - Già che ci sono ti faccio anche l’aggiornamento del software. Mettiti seduta, ci vorranno pochi attimi.
    Isabel si mise a sedere continuando a guardare annoiata un monitor dove scorrevano le notizie in tempo reale.
    - Hai litigato con Reid? – chiese Puka evitando di guardarla.
    - Ho notato che siete tornati grandi amici. Avete fatto pace, giusto?
    - Una piccola incomprensione – la punk fece spallucce.
    - Fare sesso con un collega non la chiamerei piccola incomprensione – Isabel era infastidita, anche se non capiva perché.
    - Te lo ha detto lui?
    - No, sono una profiler. L’atteggiamento di Reid e il tuo commento la prima volta che ci hanno presentate, beh… è facile fare due più due.
    - Il risultato non è sempre quattro. Non è stato niente di romantico. Eravamo entrambi ubriachi, ecco tutto. Niente di che, cose che succedono.
    - Se lo dici tu.
    - Scommetto che con te sarebbe diverso.
    Isabel si girò scioccata.
    - Come scusa?
    - Si vede lontano un chilometro che è innamorato perso di te. Con te sarebbe diverso, non sarebbe solo sesso.
    - Te lo ha detto lui?
    - No. Non sono una profiler ma ho gli occhi per guardare – dicendo così le allungò l’I-pad – Tutto a posto, puoi tornare a lavorare.
    - Grazie, Puka – Irons era già sulla porta.
    - Un’ultima cosa – Puka si girò nuovamente a guardarla – Non ti fare ingannare dalla sua reputazione, è un bravo ragazzo.
    - Se lo dici tu, sarà così – Isabel sbatté la porta senza salutare.

    Mentre tornava alla scrivania si accorse che Reid era sparito. Posò l’apparecchio sul tavolo e guardò l’orologio. Era quasi ora di pranzo, decise di scendere alla mensa e che avrebbe pensato dopo a finire quel maledetto rapporto. Nell’atrio fuori dall’openspace si trovò davanti ad una scena già vista, ma che ora la irritava ancora di più. Chris era in piedi vicino a una ragazza con i capelli biondo miele e gli occhi nocciola, una ragazza molto carina e che lo guardava con adorazione. Stavano scherzando e la ragazza rideva visibilmente contenta delle attenzioni che stava ricevendo.
    Isabel pensò che non ci aveva messo poi tanto a tornare alle vecchie abitudini e che quella era senz’altro una delle nuove stagiste che sbavava dietro al macho della sezione. Allungò il passo contrariata, passando accanto ai due, quando si sentì chiamare.
    - Irons – Chris le stava sorridendo – ti posso presentare una persona?
    Isabel si avvicinò controvoglia. Conoscere l’ultima conquista del ragazzo che amava, non rientrava nelle sue priorità.
    - Questa è un’altra delle mie sorelle – disse il ragazzo orgoglioso – Crystal.
    - Piacere di conoscerla agente Irons. Chris e Jack ci hanno parlato molto di lei.
    - Piacere mio signorina Reid.
    - Crystal, la prego.
    - Solo se tu mi chiami Isabel.
    Irons si sentiva il cuore leggero. Nonostante le sue funeree previsioni, Reid non era tornato il dongiovanni di sempre, stava semplicemente passando un po’ di tempo con la sorellina minore. Si disse che quello che aveva detto Chris sul fatto che la bellezza fosse una dote di famiglia era vero.
    - Stavamo andando a mangiare qualcosa – la informò Reid – Vuoi unirti a noi?
    In quel momento Prentiss si affacciò dalla vetrata dell’openspace.
    - Reid, puoi venire nel mio ufficio? Dovrei discutere con te di quel profilo preliminare – poi notando la ragazza che stava insieme con lui, aggiunse – Ciao Crystal, ti rubo tuo fratello.
    - Certo zia Emily.
    - Mi dispiace piccola, ti devo mollare senza pranzo – poi parve illuminarsi per un’idea – Irons ti dispiace portarla giù a mensa, se mai io vi raggiungo dopo.
    - Non c’è problema Reid – Isabel s’incamminò seguita dalla ragazza.

    Il silenzio nell’ascensore era palpabile e Isabel continuava a dirsi che doveva cercare di intavolare qualche tipo di conversazione, non voleva essere scortese.
    - Tu… studi a Georgetown come Elizabeth? – era la prima cosa che le era venuta in mente.
    - No, io studio a Harvard. Sai anche mia madre ha studiato lì.
    - Una specie di tradizione di famiglia, quindi.
    - Quasi, Susan, la mia gemella, invece studia a Yale come nostro padre.
    - Hai già deciso l’indirizzo di studi?
    - Ho scelto Harvard nella speranza di poter entrare alla scuola di legge, vorrei diventare avvocato.
    - Famiglia eterogenea – commentò Irons – Tuo fratello è un profiler, Elizabeth studia scienze delle comunicazioni, tu legge. Tua sorella?
    - Susan adora la chimica, credo che voglia diventare ricercatrice.
    - I vostri genitori devono essere orgogliosi di voi.
    La ragazzina non rispose, limitandosi a sorridere in modo dolce e annuire.
    - Mi dispiace tuo fratello sia stato richiamato in ufficio. Devi essere delusa.
    - Non c’è problema, è mio fratello, lo posso vedere quando voglio. Non credo che mi capiterà di nuovo di poter studiare da vicino la ragazza che gli ha fatto perdere la testa.
    La saliva le andò di traverso e Isabel cominciò a tossire in modo convulso.
    - Scusami, questo lo preso dalla mamma. Siamo troppo dirette. Tu sai che mio fratello è innamorato di te vero?
    - Ci avete fatto su una riunione di famiglia?
    - No, ma potremmo – due occhi nocciola continuavano a guardarla divertiti – Sai una cosa? Mi piaci, credo proprio che tu sia quella giusta per quella testa dura di Chris.

    Continua…


     
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    Capitolo XXXVII. Battle Field

    Isabel continuava a piluccare il cibo, mentre Crystal non la smetteva di cicalare. Dopo l’uscita della ragazza in ascensore, non erano più tornate sull’argomento “indelicato”. Si sentiva come in una zona di guerra, aveva già subito due attacchi su due fronti. Prima la migliore amica, poi la sorellina minore e invadente. Si domandava annoiata che sarebbe stato il prossimo a tentare di fiaccare le sue difese: Jack, JJ o Lizzy? Sempre che Chris non tirasse fuori dal magico cilindro Susan, l’altra gemella.
    Sicuramente era una specie di congiura per farla capitolare. Non riusciva a essere arrabbiata, era solo più confusa. Se Chris non era chi lei credeva che fosse, allora cosa nascondeva dietro la maschera? Si era innamorata di qualcuno che non esisteva? Una volta scoperto il “vero” Christopher Reid, avrebbe continuato a provare quei sentimenti per lui?
    Vide il fulcro delle sue elucubrazioni mentale fare il suo ingresso nella mensa. Come da copione le matricole e le stagiste lo guardavano adoranti, sembravano fameliche quando poggiavano gli occhi su di lui. Ma come dare loro torto? Era bello, decisamente sexy e incredibilmente sicuro di sé. Isabel ebbe un travaso di bile pensando che nessuno avrebbe mai detto lo stesso di lei. Sarebbero stati ridicoli insieme.
    - Scusate il ritardo – disse mettendosi a sedere – Irons, spero che mia sorella non ti abbia importunato troppo.
    - Figurati. Sono abituata a te – rispose lei posando la forchetta – Tu sai essere molto più irritante.
    - Che vuoi che ti dica? – il sorriso sornione di lui le stava facendo saltare i nervi – Riesci a tirare fuori il peggio di me.
    - Forse perché non sono una di quelle stupide ragazzine che ti mangiano con gli occhi. Se cerchi qui in torno, ne è pieno, sicuramente troverai qualcuna che ti sappia apprezzare.
    Appallottolò il tovagliolino di carta e fece per alzarsi. Fu trattenuta dalla presa sicura di Reid sul suo braccio.
    - Permetti che ti offra almeno il caffè? Mi sembra il minimo dopo averti costretto a fare da babysitter.
    - Guarda che io sono grande ormai, non ho più bisogno della babysitter – rispose Crystal piccata.
    - Visto come ti guardano i maschietti qui dentro, credo che tu abbia più bisogno di una guardia del corpo – Chris si sporse e diede un buffetto sulla guancia alla ragazza – Signore, con il vostro permesso vado a comprare i caffè.
    Suo malgrado Isabel si trovò a osservare il collega che si allontanava. Arrossì vistosamente quando si rese conto di stare fissando il didietro di Reid.
    - Non pensi che sia adorabile? – Crystal la stava fissando divertita – Quando vuole sa essere molto galante.
    In risposta Irons grugnì contrariata. Non voleva che fosse galante, non voleva che fosse gentile o adorabile, cavolo! Voleva che la afferrasse di nuovo e la baciasse con passione. Si stupì dei suoi stessi pensieri, stava perdendo la battaglia contro se stessa. Si alzò visibilmente turbata e se ne andò senza salutare.

    Aveva trovato rifugio nel bagno delle donne. Era corsa trafelata a prendere l’ascensore e appena si era avvicinata all’openspace aveva visto Jack fissare la sua scrivania. Sapeva che ci sarebbe stato un altro attacco e preferì battere in ritirata. Sicuramente non era la sua giornata.
    Si guardò per l’ennesima volta allo specchio. Alcune ciocche di capelli erano sfuggite alla coda e le ricadevano scomposte sul viso. Perché diavolo non riusciva a tenere in ordine quegli spaghetti che aveva in testa? Sbuffò contrariata mentre si sistemava.
    Gli occhi le caddero sulla propria figura a mezzo busto e sentì una lacrima scenderle lungo il viso. Voleva essere bella, avrebbe ucciso per essere come Lizzy o Crystal. Invece era solo una ragazza scialba e senza attrattive particolari. Cercò di immaginarsi entrare in qualche locale al braccio di Chris e scoppiò a piangere al solo pensiero di come si sarebbe sentita umiliata dagli sguardi delle altre donne.
    Appena riuscì a dominarsi di nuovo, si sciacquò il viso e cominciò ad asciugarsi con una salviettina. La porta alle sue spalle si aprì e vide entrare il suo superiore. Emily Prentiss era ancora una bella donna che aveva sposato un bell’uomo. Si maledisse per quei pensieri, ma era più forte di lei.
    - Tutto bene, Irons? – chiese il supervisore visibilmente preoccupato – Se ti servono altri giorni o hai bisogno di un sopporto psicologico non hai che da chiedere.
    - Non è per quello – si morse le labbra, ma ormai era in ballo – Scusi la sfacciataggine, ma… ho sentito delle voci.
    - Che tipo di voci?
    - Il capo sezione Morgan, prima di sposarla era…
    - Come Reid, sì, pressappoco. Era un dongiovanni – Emily si avvicinò tranquillamente al lavabo e cominciò a insaponarsi le mani.
    - Come ha fatto a cambiarlo?
    - Non l’ho cambiato, nessuno può cambiare una persona. Semplicemente è lui che ha deciso di essere diverso.
    - Come si è potuto fidare? Voglio dire, con il suo passato… non ha avuto paura che la stesse solo usando? – poi la guardò meglio e si diede della stupida – Certo lei è molto bella…
    - Credi che sia questo? Credi che la bellezza sia una garanzia di fedeltà? – si girò a scrutare la ragazza con piglio deciso – Io ho avuto paura, ma ho deciso di rischiare. Quando lui mi ha detto che non voleva solo sesso, ho capito che era cambiato.
    Isabel rimase colpita da quelle parole. Anche Chris le aveva detto che non voleva solo sesso, ma lei non era sicura di potersi fidare. Non voleva ritrovarsi con il cuore in frantumi. Sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla.
    - A volte non si può giocare sul sicuro – Emily la guardava con un sorriso dolce – A volte devi mandare al diavolo le regole e correre qualche rischio.
    - Ma…
    - Non tornerò più sull’argomento, anche perché non sono fatti miei. Non si può decidere di chi innamorarsi e l’aspetto fisico di quella persona non c’entra niente. Guarda i genitori di Christopher.
    - Come scusi? – la ragazza non capiva il nesso.
    - Reid era un carissimo ragazzo, ma imbranato come pochi. Sarah, al contrario, era una donna bellissima, sicura ed estroversa. Quando si sono messi insieme molti pensarono che non sarebbe durata, troppo diversi. Ho sentito qualcuno dire che lei poteva avere di meglio – fece una breve pausa – Ora guardali, venticinque anni di matrimonio e si comportano ancora come due fidanzati. Nessuno può sapere cosa succede dietro una porta chiusa, se capisci cosa intendo.
    Isabel annuì e uscì dal bagno meditando su quello che aveva appena sentito. Troppe informazioni e tutte insieme. Sentiva il cervello andare in tilt alla ricerca di una spiegazione logica per quello che stava succedendo nella sua vita. Si fermò di colpo in mezzo al corridoio e sgranò gli occhi. Cavoli! Aveva appena subito un’altra incursione nemica e stavolta le sue difese avevano subito ingenti danni.

    Continua…


     
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    Capitolo XXXVIII. Meet me in the dark

    Hotch continuava a guardarla di sottecchi, ma lei dissimulava perfettamente. Dopo l’incontro “accidentale” con Prentiss nel bagno delle signore, non aveva proprio voglia di un’altra ramanzina su come dovesse “buttarsi”. Sembravano tutti convinti che quella fosse la soluzione, nessuno si era preoccupato di chiederle cosa ne pensasse, perché avesse tutti quei dubbi, se Reid era quello che lei voleva. Davano tutti per scontato che lei fosse interessata o disponibile, senza rendersi conto che lei era una persona con un cervello e che le decisioni preferiva prenderle da sola.
    Inoltre il gioco si stava facendo pesante, se Chris aveva intenzioni serie, avrebbe potuto benissimo provare di nuovo a parlare con lei. Invece mandava avanti i suoi amici e la sorellina dalla lingua lunga, meditò che quello era un comportamento da codardo.
    Non sembrava nell’indole di Reid abbassarsi a chiedere agli altri di intercedere in suo favore, forse, in fin dei conti, non era l’uomo che lei credeva e questo la deludeva immensamente. Non aveva lasciato Mac per ritrovarsi con un tipo del genere accanto, lei voleva un “uomo”, quell’uomo che non aveva esitato a prendere quello che voleva quando erano sul jet.
    Si rimproverò di indugiare ancora su quei ricordi che le facevano avvampare le guance. Meglio focalizzare l’attenzione su qualcos’altro, magari quel dannato rapporto che non riusciva a terminare. Sbuffò continuando ad andare avanti e indietro con le dita sul touch-screen, mordendosi le labbra nervosa. Si stava facendo tardi e JJ era già pronta a uscire, mentre Chris sembrava ancora molto concentrato sul profilo preliminare che Prentiss gli aveva chiesto di rivedere.
    Hotch si alzò di scatto appena JJ s’infilò il giubbotto.
    - Vieni via anche tu? – gli chiese la ragazza mulatta guardandolo perplessa – Non è un po’ troppo presto per uno stacanovista come te?
    - Ho un impegno, quindi vado anch’io. Se mai recupererò domani.
    - Ehi Jack – Reid non alzò neanche gli occhi dal suo lavoro – Non deve fare tardi, domani ha lezione presto.
    - Parola di scout, la riporto al dormitorio prima delle undici – Hotch fece un sorriso furbo e s’incamminò fuori dall’openspace con JJ.
    Isabel decise di concentrarsi sul lavoro, era improponibile continuare a distrarsi per occuparsi dei suoi colleghi. Si concentrò talmente tanto che non si rese conto di quello che stava succedendo.

    Fu riscossa improvvisamente da un rumore che non le era famigliare. Alzò la testa rendendosi conto che non c’era praticamente più nessuno a parte lei e gli addetti alle pulizie. Sospirò rassegnata, aveva di nuovo saltato la cena. Fece spallucce e si consolò pensando che, a differenza di molte altre, per lei non era un problema mantenere la “linea”. Da quando lavorava all’unità, il salto del pasto era diventato il suo sport quotidiano.
    Sistemò la sua scrivania e prese la giacca pronta ad andarsene. In quel momento vide Reid uscire dall’ufficio di Prentiss e chiudere la porta, mentre scendeva le scale le indirizzò un sorriso.
    - Siamo rimasti solo noi, Jack ha due avversari per il titolo di “stacanovista” dell’unità – si avvicinò alla propria scrivania e afferrò la giacca.
    Isabel s’incamminò verso l’ascensore senza rispondergli, era troppo stanca per fare finta che non fosse successo niente o che il comitato pro-Reid non le desse fastidio. Erano fianco a fianco mentre aspettavano l’ascensore, nessuno dei due sembrava intenzionato a rompere il silenzio per primo. Ognuno perso nei propri pensieri entrarono nella cabina e fecero simultaneamente l’atto di premere il pulsante.
    Reid era stato più lesto e aveva effettivamente premuto il pulsante, mentre Isabel rimaneva con la mano allungata che toccava quella di lui in modo delicato.
    Mentre le porte si chiudevano trovò la forza di alzare lo sguardo e incontrare quei due occhi verdi che la guardavano in modo così dolce da farle venire un groppo alla gola. Chris mosse lentamente la mano fino a coprire quella di Irons che non sembrava intenzionata a ritrarsi, troppo persa in quello scambio silenzioso.
    Il silenzio che c’era tra loro permetteva di sentire i respiri che si facevano via via più incerti e affannati. Stavolta fu Isabel a spostarsi lentamente fino a poggiare l’altra mano sul petto del ragazzo, che a quel contatto trattenne il respiro. Continuavano a non parlarsi, come timorosi che una singola parola potesse rompere l’incanto di quel momento. Qualcos’altro ruppe l’incanto…

    Improvvisamente l’ascensore ebbe un sussulto e si fermò. Al posto della luce chiara del neon, si accese la luce azzurrina della lampada di emergenza. I due si staccarono spaesati, guardandosi intorno.
    - Cavoli! Deve essere mancata la corrente – disse Reid provando a premere il pulsante dell’allarme.
    - Si vede che sei un genio, io non ci sarei mai arrivata – rispose acida Irons.
    - Ehi, mica è colpa mia! Stavolta non ho fatto niente – provò a difendersi Chris.
    - E immagino che la situazione ti dia parecchio fastidio – Isabel si spostò all’angolo e incrociò le braccia, mentre sentiva i primi sintomi arrivare.
    - Ammetto che stare solo con te non mi dispiace, ma non penserai che io l’abbia programmato.
    - Non so cosa tu abbia programmato o no. Certo non mi meraviglio più di niente dopo oggi! – sentiva che stava per perdere il controllo, cominciava a mancarle l’aria.
    - Non so di cosa tu stia… - Chris si fermò a osservarla, c’era qualcosa che non gli piaceva – Stai bene?
    - NO! CAZZO! NON STO BENE! – ormai era andata in iperventilazione e cominciò a scivolare lungo la parete.
    - Isabel! – le fu accanto in un attimo scuotendola delicatamente – Cos’hai?
    - Cleisiofobia – la ragazza cercava di recuperare il controllo – FAMMI USCIRE DI QUI!
    Si aggrappò alla giacca di Chris e cominciò a strattonarlo, era in preda al panico. Lui trasse un profondo respiro e fece l’unica cosa sensata, le diede un sonoro ceffone. Isabel rimase stupita e si portò la mano sulla guancia per poi scoppiare a piangere e rifugiarsi fra le braccia di lui.
    - Ci tireranno fuori, cerca di calmarti – le carezzava lentamente la schiena cercando di calmarla – Certo che trovarsi in una situazione del genere con una che ha paura di rimanere intrappolata è il massimo.
    - Stronzo! – continuava a singhiozzare, ma almeno la crisi isterica era passata – Non è divertente e non l’ho chiesto mica io di rimanere intrappolata qua dentro!
    Erano seduti per terra, Isabel abbandonata contro il petto di lui e Chris che la stringeva a sé mormorandole parole di conforto. Improvvisamente il ragazzo si rese conto che Irons non piangeva più, rimaneva semplicemente abbracciata a lui mentre faceva scorrere una mano sul petto scolpito da anni di esercizi.
    - Isabel…
    - Perché invece di venire a parlare con me, hai convinto gli altri a farti da supporters?
    - Di che parli?
    - Puka, Crystal, Prentiss… tutte a farmi capire che dovrei… sì, insomma… - non sapeva neanche lei cosa cercava di dire.
    - Non ho chiesto a nessuno di parlare con te – dalla sua voce traspariva fastidio – Non sono così patetico da avere bisogno che gli altri provino a convincerti. Ho capito perfettamente e non farò nulla per farti cambiare idea.
    - Cosa hai capito? – lei si scostò per cercare di guardarlo in volto.
    - Tu non contraccambi i miei sentimenti e probabilmente non lo farai mai. Fine della discussione – sembrava triste e la scostò da se tornando in posizione eretta – Non t’importunerò mai più, pensavo che l’avessi capito dopo quello che era successo in quel parcheggio.
    - Non sei più interessato? – lei si alzò a sua volta completamente dimentica della paura che l’aveva attanagliata poco prima.
    - Possibile che tu non capisca? – si girò verso di lei afferrandola per le spalle – Io ti amo, ma non voglio solo sesso e non voglio costringerti a fare o dire qualcosa che non senti.
    - Davvero? – fece un passo verso di lui posandogli le mani sul petto – Davvero mi ami?
    - Isabel… - si chinò verso di lei per baciarla.
    In quel momento ci fu un altro scossone e la luce si accese di nuovo. L’ascensore ricominciò la sua corsa verso il garage, mentre i due ragazzi si guardavano cercando di capire le reciproche intenzioni.

    Continua…


     
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    Capitolo XXXIX. Say my name

    Le loro labbra erano sempre più vicine mentre le porte dell’ascensore si aprivano sul parcheggio sotterraneo.
    - Christopher Gideon Reid! Mi meraviglio di te.
    I due giovani si staccarono facendo un piccolo balzo indietro. Una signora dai capelli bianchi e gli occhi azzurri e gelidi, li osservava visibilmente contrariata. Batteva il piede in segno di disapprovazione e guardava in modo torvo Reid che suo malgrado abbassò lo sguardo fino al pavimento e cominciò a spostare il peso da un piede all’altro visibilmente a disagio.
    - Io non ci posso credere. Un simile comportamento non è accettabile.
    Dicendo così la donna si spostò in avanti evidentemente intenzionata a prendere l’ascensore. I due ragazzi uscirono titubanti, mentre la donna li superava continuando a scuotere la testa. Si voltò ancora verso di loro, mentre allungava un braccio per premere il pulsante.
    - Credevo che tu fossi più accorto di così. Possibile che da quando tua madre entrò nella squadra il protocollo non interessi più a nessuno – improvvisamente la donna fece accenno di sorriso – Comunque l’hai saputa scegliere bene, mi congratulo.
    Le porte dell’ascensore si chiusero, mentre Isabel confusa continuava a guardare Chris. Le labbra del ragazzo cominciarono ad arricciarsi lentamente, fino a quando scoppiò in una sonora risata.

    - Si può sapere perché ridi adesso? – Irons era sbalordita – E chi diavolo era quella donna?
    - Quella donna è Erin Strauss, ex capo sezione dalla B.A.U., nonché mia prozia – Chris si passò una mano fra i capelli visibilmente divertito – Di tutte le persone che ci potevano vedere…
    - Divertente, molto divertente – sibilò Isabel – Sai che ci può fare rapporto?
    - Non lo farà, anche perché Morgan farebbe semplicemente spallucce ricordandole che anche lui e Prentiss sono contravvenuti al protocollo, per non parlare dei miei genitori.
    - Mi ha messo una fifa blu addosso – riconobbe la ragazza tornando a guardare le porte dell’ascensore come aspettandosi che la donna comparisse di nuovo – Lo sguardo di ghiaccio è una caratteristica di famiglia, eh?
    - Perché io ho lo sguardo di ghiaccio? – l’aveva sussurrato avvicinandosi di nuovo a lei e carezzandole una spalla.
    - No, certamente no – socchiuse gli occhi.
    - Ti da fastidio il mio sguardo? – sempre più vicino.
    - Vorrei non smettessi mai di guardarmi – rapita da quelle labbra che si avvicinavano pericolosamente alle sue.
    - Bene, bene, bene – una voce che Isabel conosceva le fece gelare il sangue – Quindi non c’era nessuno, eh? Che bugiarda che sei.
    Mac era fermo a pochi passi da loro e guardava Isabel con astio. Chris istintivamente si frappose fra i due spostando leggermente la ragazza dietro di se, quel tipo non gli piaceva, gli ricordava un serpente.
    - Che fai? Proteggi la tua bella? – il tono sarcastico era chiaramente una provocazione – Dovevo immaginarlo che eri tu, il bell’imbusto dell’accademia. Sai, Isabel, ti facevo più intelligente.
    - Lasciala in pace – Chris era sul piede di guerra – Ti ha lasciato ed è libera di fare quello che vuole.
    - Soprattutto con chi vuole, eh? – fece un passo avanti incrociando le braccia sul petto – Non ti scaldare tanto, Reid. Lei è solo il divertimento della settimana o forse solo di questa sera… non dovresti farne un dramma – guardò Isabel – E tu, signorina? Con me facevi tanto la preziosa e ora sei diventata la sgualdrina di questo dongiovanni da strapazzo.
    Aveva ottenuto il suo scopo. Chris gli si avventò contro come una furia, mentre Isabel gli diceva di non farlo. I due si avvinghiarono nella lotta, scambiandosi pugni e spintoni. Irons assisteva alla scena come impietrita, non sapeva come fare a dividerli e i due sembravano sordi ai suoi richiami.
    Aveva paura che Mac facesse del male a Reid, non aveva mai visto il ragazzo cosi cattivo e arrabbiato. Si sentiva in colpa, la responsabilità era sua e ora Chris doveva fare a pugni per tirarla fuori da un casino in cui si era messa lei stessa.
    - Smettetela! – non la sentirono neanche – Christopher, ti prego!
    Reid riuscì ad atterrare il suo avversario, lo prese per il colletto e gli assestò un altro pugno. Josh rimase in terra tramortito, il duello era arrivato al termine.
    - A tutto quello che ti ho detto l’altra sera, aggiungi che non le devi più rivolgere la parola – lo aveva afferrato camicia e lo scuoteva adirato – E se ti sento ancora dire certe cose su di lei ti faccio saltare tutti i denti. Capito imbecille?
    - S… sì – Mac si abbandono sull’asfalto mentre il suo antagonista tornava in piedi.
    - Lasciala stare, devi dimenticare che lei esiste. La prossima volta non ti andrà così bene.
    Abbracciò Isabel che stava piangendo e poi si girò a osservare Josh che si tirava su e s’incamminava lungo il garage. Continuò a tenerla stretta a sé finché l’altro non lasciò il parcheggio con la sua macchina.
    - Ti sei spaventata? – le scosto dolcemente i capelli dal viso.
    - Ti sei fatto male? – lo guardava preoccupata, notando il sangue che gli usciva da un labbro.
    - Niente di che, picchia come una femminuccia – le prese le mani con le proprie.
    - Devi disinfettare quei tagli. Guarda le tue nocche! Sono sbucciate.
    - Non è niente.
    Irons non voleva sentire storie, lo trascinò fino alla sua macchina e poi lo fece salire.

    Era seduto sul divano mentre sentiva Isabel trafficare nel bagno alla ricerca del necessario. Continuava a guardarsi intorno, non era mai stato nel suo appartamento e si sentiva a disagio. Aveva avuto la netta impressione che lei cercasse di dirgli qualcosa, ma erano stati interrotti più volte e sempre in modo sgradevole. Specialmente l’ultima volta.
    Sentiva ancora il sangue ribollire al ricordo di come quell’idiota l’avesse definita “il divertimento di una settimana o di una notte”, aveva completamente perso il controllo di sé quando l’aveva apostrofata in quel modo ingiurioso. Cercò di scacciare dalla mente quel ricordo, ma sentiva che durante la lotta era successo qualcosa. Qualcosa di importante che non riusciva a mettere a fuoco.
    Irons finalmente ritornò nel soggiorno e si mise a sedere sul tavolo basso di fronte a lui. Poggiò delicatamente gli oggetti che teneva in mano accanto a sé e cominciò a medicarlo con delicatezza.
    Gli prese le mani una alla volta passando sopra le sbucciature del cotone imbevuto nell’alcool e soffiandoci sopra perché non bruciasse troppo. Chris continuava a fissarla rapito, avrebbe voluto ricominciare da dove si erano interrotti.
    Eppure, adesso, vedendola così dolce che si prendeva cura di lui, non voleva rovinare tutto provando a parlarle. Rimase in silenzio durante tutta l’operazione di disinfettazione delle nocche. Poi lei mise da parte il cotone e prese delle salviettine disinfettanti monouso, sembrò riflettere un attimo mentre lo guardava e poi lasciò Reid senza fiato.
    Delicatamente si mise in ginocchio in mezzo alle gambe di lui e cominciò a passare la salvietta sui graffi che aveva sul collo. Lentamente e dolcemente continuava a medicarlo fermandosi ogni tanto per guardarlo negli occhi. Si girò per posare anche la salvietta e prese un fazzolettino. Delicatamente cominciò a passarglielo sul labbro rotto e gli fissava la bocca rapita.
    - Ti ha spaccato un labbro, non potrai ridere per un po’.
    - Sopravvivrò.
    - Le stagiste saranno tremendamente deluse se non gli regalerai un sorriso tutte le mattine.
    - Loro non m’interessano. Forse se smetto di sorridergli tutti i giorni, la finiranno di ronzarmi attorno, anche se non sono più disponibile.
    A quelle parole Isabel s’interruppe di colpo e tornò a guardarlo negli occhi. Sembrava volergli dire qualcosa mentre si mordeva le labbra nervosa.
    - Il fatto che tu non ricambi non cambia le cose. Non sono più sul mercato, anche se tu non mi vuoi.
    - Cosa ci trovi in me? – le tremava la voce.
    - Che vuoi dire?
    - Potresti avere qualsiasi ragazza, perché…
    - Perché ti amo? – chiuse gli occhi e le prese una mano – Non riesco a non pensare a te. Quando ti ho urlato quelle cose sul jet… beh erano vere. Vorrei non pensarti, vorrei non provare quello che provo.
    - Non vorresti amarmi? – di nuovo quel tremore nella voce, Chris era interdetto.
    - Mi fa male, Isabel. Io vorrei… quello che veramente voglio, non posso averlo.
    - Cos’è che vorresti? – chiuse gli occhi e voltò il capo.
    - Te. Sei tutto quello che voglio. Non si decide di chi innamorarsi. Quelle sull’aspetto fisico, sul fatto che potrei avere tutte le ragazze che voglio… sono cavolate. Tu mi piaci proprio come sei, non cambierei una virgola.
    - Sicuro? Non mi vorresti meno acida, sempre pronta a litigare?
    - Adoro litigare con te – le carezzò piano il viso – Quando litighiamo vorrei tapparti la bocca… con un bacio. E poi, sei l’unica che riesce a tenermi testa.
    Lei lo guardò di nuovo, aveva una luce nuova nello sguardo. Lentamente mise le mani ai lati delle gambe di lui e si sollevò con il busto fino a sfiorargli il viso. Si accostò all’orecchio di lui e rimase lì ferma come indecisa su cosa dire.
    - Ho paura.
    - Anch’io – Chris le posò una mano sulla nuca e la strinse a sé – Isabel.
    - Perché continui a pronunciare il mio nome?
    - Mi piace. E’ il nome più bello che abbia mai sentito.
    Sorrise fra i capelli di lei, pensando a quanto fosse fragile e dolce in realtà. Così timorosa di quello che c’era fra loro, così insicura. Gli piaceva quel lieve rossore che le appariva sulle guance quando la chiamava per nome. Improvvisamente riuscì a mettere a fuoco quel dettaglio che gli sfuggiva. Nel garage lei lo aveva chiamato per nome.
    - Prima… mentre lottavo con McArthur… tu hai chiamato il mio nome.
    - Sì – ammise lei nascondendosi nel suo collo.
    - Fallo ancora – la mano di lui scese ad accarezzarle la schiena – Chiamami ancora.
    - Christopher – si scostò leggermente per riuscire a guardarlo negli occhi – Christopher.
    Le posò un bacio delicato sulla tempia mentre la guardava con tutto l’amore che sentiva dentro.
    - Chris me lo faresti un favore? – una luce divertita le brillava negli occhi.
    - Tutto quello che vuoi – era completamente perso in lei e in quelle sensazioni così nuove.
    - Litiga con me – un sorriso malizioso le arricciò le labbra.


    Fine?
     
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