Ritorno Alla Vita

Emily†

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  1. Emily†
     
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    Note: Piccolo riferimento a ‘Letter’


    Capitolo 29

    30 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    Garcia digitò con insistenza sulla tastiera senza accorgersi che alle sue spalle Rossi la stava osservando. Era da tempo che la vedeva irrequieta, ma non aveva mai provato a proferire parole per via della perdita di Emily, ognuno reagisce al dolore in maniere diverse, però in quel momento gli parve che la situazione stesse degenerando.
    - Ehy, Garcia. – le posò una mano sulla spalla e la massaggiò pian piano.
    Lei si voltò spaventata nascondendo lo schermo del pc dove stava trafficando su qualcosa di poco legale ed iniziò a balbettare cose assurde – E beh, beh, io… non… non sto facendo nulla!
    - Calmati, Penelope. Non ti sto accusando di nulla. – mormorò bonariamente facendola sedere e prendendo una sedia per affiancarla. Si mise di fronte a lei, poco interessato da ciò che compariva sul pc: lui non era per nulla aggiornato sulle nuove tecnologie.
    - Cosa volevi dirmi?
    - Ecco, Garcia… arriverò subito al punto: che cosa ti sta succedendo? – chiese senza troppi preamboli, non amava girare intorno alle cose, soprattutto se era sera e se avevano passato una giornata tutt’altro che leggera.
    - A me? Nulla! Sono sempre io, solare ed allegra… beh, un po’ pazza, ma questo si sa.
    Lui sorrise e le accarezzo la guancia. – Parlo del fatto che sei spesso distratta sul lavoro, che vedi cose che non esistono.
    - Non è vero! L’ho vista! – esclamò, lasciandosi sfuggire parole di troppo. Abbassò lo sguardo vedendo che l’espressione di Rossi s’incupiva.
    Sospirò mestamente. – Penelope, manca a tutti noi. Non credi sia arrivato il momento riparlarne? Dimmi cosa provi… sono qui, per te…
    Scosse violentemente il capo. – No. Tu non capisci, Dave. L’ho vista davvero ed ho fatto una sacco di indagini. Non ho nulla da dire perché Emily è viva!
    - Che dici, Garcia? – incredulo la guardò trafficare velocemente fra delle carte impignate sulla scrivania. Le prese fra le mani e le fece vedere e frettolosamente all’agente Rossi.
    - Vi siate chiesto perché non ci hanno mostrato il corpo? Nemmeno alla madre! La signora Prentiss ha fatto fuoco e fiamme eppure non le hanno mostrato il corpo di sua figlia morta! – iniziò con agitazione. – Credevo fosse solo un caso, invece anche Morgan mi ha detto che è stata vietato anche a voi vederla. Anche al funerale, nessuno ha potuto dirle addio accarezzandole la pelle fredda!!
    - Garcia…
    - Lasciami finire. Poi l’altro giorno a Santa Monica. – si sedette agitando i fogli. – Sono pronta a dare la vita giurandoti che quella donna era lei. Emily Prentiss, la nostra Emily Prentiss. Così ho fatto alcuni controlli incrociati…
    - Cosa dici? – Rossi la guardò crucciandosi piuttosto violentemente.
    - Sono entrata nel database dell’ospedale di Quantico ed ho trovato alcuni documenti che riguardavano Emily. La cartella clinica di Emily è stata modificata da qualcuno il giorno della sua morte segnalando il decesso alle 00.31. – gli mostrò il foglio che aveva stampato e Dave lo analizzò attentamente. – Com’è possibile? Noi siamo stata avvisati soltanto alle 00.30, un minuto prima?
    - Garcia, cosa vuoi che cambino uno o due minuti? Chi è morto è morto per sempre! – le disse cercando di farle capire le sciocchezze che stava dicendo.
    Lai, però, non volle ascoltare e scosse il capo. – Allora mi spieghi perché nello stesso minuto in cui è stata modificata la cartella di Emily è comparsa un’altra donna – prese un altro foglio e glielo passò – Cassandra Parker, ricoverata nello stesso reparto, alla stessa ora e con una ferita all’addome? Quando siamo arrivati al pronto soccorso c’era soltanto Emily come paziente grave, nessun altro è arrivato dopo! Hai visto qualcuno entrare? Eh??
    Lui scosse piano la testa continuando a fissare quei documenti che parvero usciti dal nulla. Chiuse gli occhi massaggiandosi la tempia, si alzò in piedi e gettò i fogli sulla scrivania – Basta. Può significare tutto, come può non significare nulla, Garcia! Credi davvero che Emily potrebbe essere ancora viva??
    - Si. – rispose secca.
    Lui sospirò – Mi dispiace non essere riuscito a farti capire che, in questo stadio del dolore, si ha bisogno di parlare con qualcuno. Tu vivi ancora nel passato e pensi che lei sia ancora con noi, ma non è così. Emily Prentiss, la nostra Em, è morta dopo averci scritto una lettera meravigliosa d’addio.
    - Non posso non sperare in lei, perché sono convinta che lei ritornerà da noi. Presto o tardi ritornerà perché noi le manchiamo.
    - Non ho mai detto a nessuno. Ma credi di essere più sposato con questa famiglia che con le mie tre ex mogli. Emily era come una figlia, la mia bambina. Mi sento come un albero che ha perso un braccio…
    - Non devi… lei tornerà.
    A Rossi fece quasi tenerezza la tenacia della donna – Anch’io la vorrei qui con noi, ma non è possibile. – lasciò l’ufficio lasciando Penelope da sola.
     
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  2. Emily†
     
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    Capitolo 30

    31 giugno 2011
    Camera di Alex, Los Angeles, California




    Erano le quattro del mattino, ma lei non riusciva a dormire. Sedeva nel mezzo del letto vestita solo di una camicia da notte di seta bianca ed osservava nella penombra il vestito posato sulla sedia accanto a lei. Era un vestito nero, lungo e svasato fino alle ginocchia, era l’abito che avrebbe indossato all’auditorium quella sera infausta. Avrebbe portato la collana di perle di sua madre e nascosto nel reggiseno il ciondolo con le foto della sua famiglia. Un paio di tacchi avrebbe contornato il tutto.
    Sospirò nella semioscurità posando lo sguardo sulla luna, una sottile falce d’argento che la vegliava dal cielo stellato. Era sereno il cielo, ma nel suo cuore pioveva.
    Allungò il braccio verso il comodino e raccolse il lettore mp3 con dentro quelle musiche che l’avrebbero sospesa a mezz’aria; riuscivano sempre a farla smettere di pensare, tranne quella notte di luna calante.
    Accese il lettore cliccando un minuscolo tastino bianco e provò una sensazione di dolore infinito non appena udì l’inizio di quella mesta melodia.


    ‘Hold on to me love
    you know I can't stay long
    all I wanted to say was I love you and I’m not afraid
    can you hear me?
    can you feel me in your arms?’




    Quella voce delicate le riempì l’animo di ricordi lontani.
    Il ricordo del suo viso chiaro e limpido, un’espressione dura e vigile, severa e meticolosa che la guardavano con dolcezza dall’alto della vetrata del suo ufficio.
    Tutto ciò che avrebbe voluto dirgli era quanto lo amava, quanto le mancava la sua pelle ruvida che sfiorava con passione e delicatezza la sua.
    Alex chiuse gli occhi – Puoi sentirmi, Aaron? Puoi sentirmi fra le tue braccia, amore mio? – si strinse forte sdraiandosi sul letto e lanciandosi cullare dalla melodia.


    ‘Holding my last breath
    safe inside myself
    are all my thoughts of you
    sweet raptured light it ends here tonight’




    Trattenne il respiro nel ricordare le sue labbra sulle sue. Rivisse quel giorno di pioggia, quando senza ombrello, le aveva offerto un passaggio a casa; l’aveva accompagnata fino alla porta, le aveva preso la testa fra le mani calde senza dirle nulla e si era avvicinato piano, con una dolcezza squisita, posando le sue labbra virili sulle sue.
    Quel bacio durò a lungo come quel ricordo che non voleva allontanare da lei. Sentì il cuore palpitare ed un calore intenso prenderle il petto. Si strinse forte in se stessa reprimendo le lacrime, non poteva piangere, non in quel momento, non al preludio della fine.



    ‘I’ll miss the winter
    a world of fragile things
    look for me in the white forest
    hiding in a hollow tree (come find me)
    I know you hear me
    I can taste it in your tears’





    In quell’istante, quando lui si staccò da lei, lacrime di gioia le bagnarono le guance facendola tornare un’adolescente innamorata alla prima cotta. Si chiese più volte se fosse un sogno, se avesse immaginato tutto, ma quando glielo domandò e lui la baciò nuovamente, tutto ebbe un senso. Anche sul suo viso di disegnò un lieve solco di rugiada, poi quel ‘ti amo’ detto a fior di labbra e fu allora, proprio allora, che tutto seppe di felicità, una felicità che sarebbe dovuta durare in eterno.



    ‘Holding my last breath
    safe inside myself
    are all my thoughts of you
    sweet raptured light it ends here tonight’





    Ma tutto era destinato a non durate.
    Fu un temporale, un uragano a ciel sereno a distruggere tutto ciò che avevano creato con fatica e tenacia, tutto ciò che avevano costruito assieme con affetto e dedizione, un rapporto saldo fatto di amore e fiducia.
    Aveva dovuto fuggire un’altra volta, fuggire ancora dalla sua vita e nascondersi sotto mentite spoglie. Come in un libro di Pirandello aveva dovuto indossare una maschera e scappare lontano, lontano da lui, dall’uomo che amava che avrebbe voluto al suo fianco in quell’istante di solitudine.



    ‘Closing your eyes to disappear
    you pray your dreams will leave you here
    but still you wake and know the truth
    no one's there’





    Chiuse gli occhi per cercare di annebbiare quel ricordo che le pulsava nella testa facendola soffrire, avrebbe voluto non sognare più nulla, ma era inevitabile. Il sogno ci caratterizza, come avrebbe ditto Reid, è qualcosa di naturale, fisiologico, eppure tutto questo rivivere il passato non faceva altro che colmare la sua sofferenza.
    Si mise a sedere e si guardò attorno.
    Il bruto dei sogni è che poi ti svegli e ti accorgi che tutto attorno a te non è mai esistito. E così ripiombi nella solitudine e ti domandi se qualcuno ti pensa.



    ‘Say goodnight
    don't be afraid
    calling me
    calling me as you fade to black





    - Buona notte Aaron… – mormorò nella notte buia. -Non ho paura. Non posso più perderti…
    Socchiuse gli occhi cercando di non fare sbiadire il suo ricordo e si lasciò andare in un sogno senza fine fatto di fumo e mera illusione.



    Holding my last breath
    safe inside myself
    are all my thoughts of you
    sweet raptured light it ends here tonight’




















    *La canzone è My Last Breath degli Evanescence
     
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  3. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 31

    31 giugno 2011
    Hotel , Los Angeles, California




    - Sorpresa!!!! – urlò a squarciagola non appena fu davanti al suo team dopo aver posato le valige per terra alla reception.
    Tutti si voltarono e nel vedere la presenza abbronzata di Ronnie sorrisero di felicità e si alzarono per andare a salutarla.
    - Cammy, bentornata!! – esclamò Garcia abbracciandola con foga e rischiando quasi di soffocarla.
    Dopo che fu passata in rassegna da tutto il team e, stranamente, anche da un Hotch che le sorrise, si sedette per bere un caffé al tavolo della squadra.
    - Come mai già di ritorno?
    - Non potevo lasciarvi sola, ragazzi! – sorrise a Morgan – Allora ho deciso di prendere il primo volo per L.A. e venire a darvi una mano nel nuovo caso. Ho saputo che stasera entreremo in azione!
    - Esatto. – annuì Hotch. – Ho chiamato JJ e non ha saputo darmi ulteriori informazioni su questi individui. Non hanno avuto l’avviso di nessuno dei sospetti. Abbiamo un identikit, ma non sappiamo che aspetto abbiano gli altri.
    - Allora come fate sapere che sono loro?
    Fu Reid a risponder dato che fu lui stesso a scoprire il codice – Per avvisare i tre uomini, ad Arthur Filips è stato commissionato un codice: 009VH da pronunciare a microfono. Non appena ebbi detto queste parole, cinque uomini si sono alzati in piedi e hanno lasciato la sala. Le stesse parole sono state usati per un codice cifrato in un annuncio del giornale.
    - Beh, effettivamente è credibile… ma siamo certi che possano essere davvero loro e non ci siano altri criminali in giro per L.A.?
    - Ronnie, non siamo fantastici, è inutile! – Garcia le diede una pacca sulla spalla. – Abbiamo le nostre fonti! Io sono una fonte, ad esempio.
    La ragazza scoppiò a ridere. – Si, certo. Fonte di tramezzini e cornetti alla nutella. – poi tornò al caso. – Come faremmo a scovarli?
    - Abbiamo assoldato diversi agenti di polizia. Questa sera ci sarà una serata in onore della filantropica della zona e parteciperanno diverse persone… non ci sarà invito, per cui potremmo entrare senza problemi.
    - Un lavoro sotto copertura…
    - No, Cameron. Saremmo agenti federali. Nulla di strano. Perlustreremo la stanza dell’edificio e controlleremo che Irina non sia nei paraggi, se così fosse non arrestatela, avvisate gli altri ed aspettiamo che ci conduca dagli altri S.I.
    - Se non lo farà? – Morgan espose il vero problema.
    - L’arresteremo e la interrogheremo come abbiamo fatto con Filips. Dovremmo torchiarla per bene, da profilo è una donna forte e decisa.
    - Meno di Veruna Ulijanov. L’hanno descritta come gelida e bella con gli occhi di ghiaccio. – disse Rossi – Tutti sono rimasti affascinati da dal suo silenzio misterioso. Non sarà facile trovarla.
    Redi aprì il giornale: ormai era un’ossessione per lui aprire sulla pagina degli annunci e cercare nuovi codici ma, quella volta, per suo sfortuna, non riuscì a trovare nulla. Lo richiuse e lo ripose dinanzi a se depresso. – Non possiamo avere la certezza della sua presenza.
    - Hanno sempre lavorato assieme, ricordalo. – intervenne Ronnie – Ditemi se sbaglio, ma sono stati visti all’hotel, alla sera della convention e alla sera dell’asta. Tutti i quattro assieme, mai soli. Significherà pur qualcosa.
    - Ronnie ha ragione – annuì Morgan. – Lavorano assieme, dove va uno va anche l’altro. Si separeranno nella sala, ma saranno presenti tutti.
    - La donna alfa è sicuramente Veruna Ulijanov. – Reid ne era quasi convinto. – Da ciò che abbiamo visto nei video, Irina Kornikova segui sempre una donna castana. È lei che è andata alla reception a riprendere le carte di identità ed è stata lei a presentare tutti alla convention. È come se fosse comandata da qualcuno.
    - Mettiamo che Veruna sia la donna alfa. Cosa vuole da questi trafficanti?
    - Forse anche loro trafficando in qualcosa, Reid. Magari diamanti. È diffuso questo tipo di traffico, soprattutto in Russia.
    - No, non sono d’accordo. – protestò Ronnie – Secondo me c’è sotto qualcosa d’altro, ma al momento non so che cosa. È come se ci fosse qualcuno alle loro spalle, quattro uomini soli che cosa possono fare? Dove hanno portato le persone rapite?
    - Hai esposto un buon problema. Il dilemma è che non abbiamo in mano nulla… - Rossi guardò Hotch che, senza dir nulla, annuì. Anche Morgan fece lo stesso, poi aggiunse – Prepariamo ci per stasera.
    - Se entro stasera non risolviamo il caso dovremmo ritornare a Quantico.
    - Cosa stai dicendo, Hotch??
    - La Strass ha chiamato un’ora fa. Era inviperita. – rispose a Garcia. – Dobbiamo farcela e mettercela tutta.
    - Quella donna è proprio una palla al piede – borbottò Morgan bevendo in un sorso il suo caffé al ginseng.
     
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  4. Emily†
     
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    Capitolo 32

    31 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    Pioveva a dirotto quel giorno. Le previsioni meteo davano schiarite nel pomeriggio, ma il cielo non pareva essere d’accordo sul loro giudizio, anzi sembrava piuttosto propenso a spargere tempesta per l’intera giornata.
    L’aria profumava di pioggia e, nonostante il mal tempo, la calura estiva non dava tregua un istante e le percentuali di umidità superava le massime stagionali. Nate era con i gomiti appoggiati al davanzale della finestra ed il mento sul dorso delle mani: guardava fuori con aria sognante come se, nei suoi più arditi pensieri, si vedesse correre e giocare nell’erba del giardino con un pallone ai piedi.
    Si sentiva imprigionato in un castello dorato dove tutto era attorniato da oggetti preziosi ed intriganti, ma che lui non poteva conoscere. Sospirò ricordando i giorni in cui viveva a Torino, nella sua vecchia casa, quando suo padre era in carcere e la sua vita al sicuro.
    Non appena vide un fulmine spezzare in metà il cielo si buttò sul letto e fissò un libro thriller che stava leggendo e che giaceva abbandonato sul cuscino. Ne aveva abbastanza di gialli, così voltò il capo e giocherellò con il copriletto.
    Il letto era stato fatto da poche ore da Alex, avrebbe dovuto alzarsi per non render vano il suo lavoro, ma non ne aveva voglia. Ciò che avrebbe voluto era ritornare indietro nel tempo, quando aveva sei anni e giocava sereno con la madre e con Lauren.
    Ricordava quando giocavano a rincorrersi nel salotto della casa in Toscana, erano ricordi lontani, ma lui li conservava ugualmente nella sua mente giovane. Si mise a sedere e ricordò il viso di sua madre che gli sorrideva e gli baciava la fronte… gli mancava, gli mancava così tanto…
    Toc Toc, qualcuno bussò alla porta.
    - Avanti…
    - Posso? – la vocina esile e carina di Karinna si fece largo nella stanza. – Mi chiedevo come mai non fossi uscito dalla camera oggi…
    Nate alzò le spalle passivo. – Volevo stare da solo. Alex dov’è?
    - È di là con Clyde, stanno stendendo le ultime cose per stasera… vuoi venire a fare una partita a carte? Con questo tempo non si può prenderei il sole.
    Scosse il capo sconsolato. – No, grazie Karinna. Dì ad Alex che sto bene e non ho bisogno di nulla, so che ti ha mandata lei…
    Karinna restò in silenzio facendo una smorfietta di disappunto: non si sentì per nulla brava nel lavoro di spia e questa, per lei, era la conferma. Voltò il capo dietro di lei e fece un cenno ad Alex che stava passando per il corridoio – Mi ha scoperta.
    - È più sgamato lui di te, agente Sanders? Come la mettiamo? – posò le mani sui fianchi e fissò con sguardo accusatore la ragazza rossa. – Credo che dovresti fare qualche aggiornamento a Praga, magari col mio allenatore personale. Winnie Pooh non ti ha aiutato molto in quanto a segretezza.
    Nate scoppiò a ridere contorcendosi sul letto, mentre Karinna ammutolì rimanendo visibilmente offesa. Fissò Alex negli occhi per qualche istante, poi distolse lo sguardo di scatto come nelle migliori sit com americane.
    Coburn sospirò entrando nella stanza del ragazzo e storcendo il naso quando vide il letto sfatto. Indossava un top giallo ed un paio di short di jeans, Nate iniziò a capire come mai Clyde stava sempre appiccicato ad Alex.
    - Se volevi parlarmi potevi venire di persona, mamma… - la prese in giro.
    - Eh, ma che super io spigoloso che abbiamo oggi. Dormito male?
    - Già.
    Alex si sedette accanto a proprio come qualche giorno passato quando l’aveva consolato per la perdita di Lois. – Nate, l’agente Larry Privets arriverà fra poco.
    - …
    - Nate, avanti. Sei grande, non fare i capricci.
    - Sono settimane che vengo trascinato a destra e a manca, settimane che conosco gente nuova e sono stanco. Voglio tornare a casa mia, voglio tornare alla mia vita, voglio…
    - Nate. – lo fermò posando una mano sulla sua caviglia e stringendola amorevolmente – Voglio essere franca con te.
    - Lo voglio anche io.
    - La tua vita non sarà più come quella di prima, lo sai, vero?
    Annuì piano. – Lo so. Mia madre mi ha lasciato, non ho più una famiglia… sono solo e non voglio una famiglia affidataria. Preferisco tornarmene da mio padre piuttosto.
    Alex sospirò. – Sai bene che quello che dici è una sciocchezza. Purtroppo è quello che accadrà: verrai affidato ad una famiglia normale, che ti amerà e ti darà tutto l’affetto che hai bisogno per crescere sano e farti una tua vita. – gli sorrise tristemente, ben sapendo che, una volta salutato, non l’avrebbe rivisto mai più.
    - Io so già cosa voglio nella mia vita, non mi interessano altri genitori. – si sdraiò sul letto e le diede la schiena come fanno i bambini arrabbiati.
    - E che cosa vorresti fare?
    - Voglio essere una spia.
    - Ne abbiamo già parlato. Sai che è impossibile.
    - No, non lo so. – iniziò a fare i capricci. – Voglio essere come voi! Tu a quanti anni hai iniziato a lavorare per la CIA?
    - Sono cosa che…
    - …non puoi dirmelo, lo so. – finì lui la frase. – Vedi? Per cui avresti potuto iniziare anche alla mia età, chissà quante spie ci sono al mondo più giovani di me! – esclamò eccitato e con gli occhi che gli brillavano dall’emozione. – Chissà quanti agenti segreti ci stanno attorno, ma essendo segreti non lo sappiamo! Che figo!
    Alex scoppiò in una tenera risata nel sentire le parole del ragazzino che si animavano per cose così strane per un ragazzino – Ti rendi conto del lavoro che facciamo? Sei ancora un bambino, dovresti pensare a diventare un calciatore e non un’agente segreto!
    - Non sono un bambino – esclamò imbronciato. – Sono più grande della prima volta che mi hai visto!
    - Vero, prima ti prendevo in braccio, adesso sei cresciuto e sei troppo pesante! – il suo sguardo passò da sereno a serio in pochi istanti – Nate… mi prometti una cosa?
    Lui annuì velocemente guardandola negli occhi marroni.
    - Mi prometti che vivrai la tua vita dimenticando tutto questo? Qualsiasi cosa accada?
    Lui al primo momento non seppe che cosa dire, poi però si crucciò e si domandò mentalmente come mai lei gli stesse facendo promettere una cosa simile. – Alex, vedo tanti telefilm e quando le persone dicono così significa che sta succedendo qualcosa…
    - Non succederà nulla… - gli accarezzò il viso e le passò una mano fra quei capelli del colore del grano. – voglio solo che tu dimentichi tutto questo…
    - Non posso, mi dispiace. Dimenticare tutto questo significa dimenticare anche te e non voglio, non l’ho mai fatto. Mi hai ridato la vita non una sola volta, bensì due. Per me è come se fossi una terza mamma.
    Lei sorrise – Hai detto una cosa molto bella, Nate… grazie…
    Si abbracciarono.
    - Adesso ritorno di là dagli altri, tu vedi di uscire dal guscio e tornare a distruggere la sala, non voglio vederti rintanato in questa cameretta tutto solo. – gli disse scompigliandoli i capelli sulla testa.
    Lui si mise in piedi e seguì la donna nella sala, lo lasciò sul divano a diversi con la play station che James aveva appena montato. Alex, invece, si diresse in cucina e si risedette al tavolo dove il team CIA stava confabulando per organizzare la serata.
    - Il messaggio è stato pubblicato per entrare in azione alle 10 e 30 di questa sera, noi entreremo in azione alle 9 entrando nella sala grande assieme ai partecipanti al galà – espose Clyde – entreremo senza nomi, non ci fermeremo a parlare con nessuno. Resteremo fra gli ospiti, mi raccomando occhi su tutti, voglio che controlliate le persone una ad una. Alex – si voltò verso di lei giungendo le mani davanti a sé – tu e Karinna dovrete fare molta attenzione per cui dovrete travestirvi. Sapete già come fare?
    Alex annuì – Ci penso io ai travestimenti.
    - Staremo sotto copertura ed in gran silenzio confondendoci con la gente, al mio segnale ci ritroveremo all’ala ovest dell’edificio dove ci sono le scale che conducono alle balconate. Cecchini professionisti saranno già appostati, le task force aspetteranno un ulteriore segnale per intervenire. Ci aspettiamo diversi uomini e armi da parte sua, ma non dovremmo arrenderci.
    - È una missione suicida. – esclamò James tamburellando le mani sulla superficie liscia del tavolo.
    - Non c’è scelta. Solo noi possiamo uccidere Doyle. – mormorò Alex – La Sicurezza Nazionale e la CIA lo vogliono morte, non vivo. Pensavo che questo concetto fosse arrivato.
    - È arrivato perfettamente, Coburn. Il problema è: non è uno sprovveduto, se i suoi uomini saranno più dei nostri e se saranno mimetizzati come noi alla serata?
    - Sicuramente accadrà, Cooper, ma non dobbiamo temere. Chi teme è perduto. – Clyde posò una pistola sul tavolo – Queste sono le nostre fedeli compagne, teniamole ben nascoste. Sono la nostra unica salvezza.
     
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  5. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 33

    31 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    - Ronnie e Morgan, voi due vi posizionerete all’ingresso. – ordinò Hotch segnando il programma della serata con un pennarello nero su una lavagna bianca – Io e Dave resteremo nel mezzo della sala. Garcia e Reid, voi resterete nel furgone della SWAT e…
    - Neanche per idea! – protestarono. – Noi veniamo assieme a voi. Non siamo le ruote di scorta, è solo una serata di gala, quali problemi dovrebbero esserci? In caso ve ne fossero io sparirò dalle vostre belle faccine, promesso! – Garcia insistette. – E poi voglio vestirmi anch’io elegante per la serata!
    - Abbiamo pareri contrastanti sull’eleganza, Penny… non offenderti. – Ronnie fece la sua frecciatina sorridendo e l’amica capì che la stava solo prendendo in giro. – Per me non ci sono problemi a riguardo, credo che potrebbe essere un ottimo diversivo per lei, poi potrebbe riconoscere Irina Kornikova, lei è quella con la memoria fotografica fra di noi…
    - Ehi, ed io?
    - Si, genietto. Anche tu hai la memoria fotografica – Ronnie alzò gli occhi al cielo – Chiedo venia.
    Morgan scoppiò in un risolino che tentò di reprimere immediatamente – Hanno ragione, Hotch. Non ci sono rischi al momento e se scoppiasse qualche sparatoria, Garcia si volatizzerebbe. Vero? – le fece un occhiolino allegro.
    - Parola di scout – alzò tre dita.
    - Va bene, allora Reid e Garcia vicino al tavolo del rinfresco, vi voglio attenti e vigili. Niente girate di testa, non fate come vi pare e se accade qualcosa voglio che avvisiate gli altri, mandate il segnale e vi raggiungeremo. – continuò duro e acido. – Sono stato abbastanza chiaro?
    - Certo. – incorarono tutti sorpresi da tanta meticolosità, più di quella che caratterizzava Hotch. Detto ciò si alzò e sparì dalla circolazione.
    Ognuno, in poco tempo, prese destinazioni differenti e, nella sala riunioni, rimasero soltanto Ronnie e Derek avvolti da un lieve silenzio che non riuscivano a districare.
    - Non abbiamo ancora avuto tempo di parlare, noi due… dal.. si, dal tuo ritorno. – prese parola l’agente Morgan passandosi una mano sulla testa.
    - Già, è vero…
    - A dire il vero, Ronnie, noi due non parliamo da tanto… ci stavo pensando giusto l’altra sera, è da quando…
    - … è morta Emily che non ci prendiamo qualche minuto per noi. – concluse senza guardarlo in faccia. – Derek non ho nulla da dire.
    - Sono come sei fatta. Tu ed Em siete simili, entrambe siete… - si bloccò un istante riflettendo sul verbo da utilizzare ed un senso di malinconia gli pulsò nel cuore – eravate due cocciute, nessuna delle due parlava mai di sé ed alla fine hai visto cos’è successo? Non voglio ritrovarmi ad un altro funerale perché tu non mi hai rivelato i tuoi problemi…
    Ronnie scoppiò in una piccola risatina. – Non è bello che tu parli in questa maniera. Non so quando morirò, Derek, ma so quando non morirò e quel giorno è oggi.
    - Consolante! – ironizzò.
    - Smettila di fare lo stupido. Avete preso in considerazione il fatto che in tutto questo potesse rientrare Doyle?
    Lui annuì con forza e rabbia. – Quel bastardo… si. Alla scomparsa di Asgaror abbiamo pensato ad un coinvolgimento di Valhalla, ma nessuno ha trovato prove od altro.
    Ronnie si scurì in viso. – Voglio quello stronzo morto, Derek. Tu non sai quanto lo detesti… incommensurabilmente… passavo le ore a guardare il mare e pensare ‘ chissà dove sarà adesso, chissà se qualcuno l’ha ucciso per noi ‘ eppure nessuno rispondeva alle mie domande. – confessò in un mormorio sommesso la giovane brunetta.
    - Mi piace che tu mi abbia detto questa cosa. Sai… - posò lo sguardo sulla superficie del tavolo mattone come se volesse disegnare sopra il volto di una donna che gli ricordava tanto Emily. – anche io spesso mi fermo a pensare quanta rabbia ho dentro ed altre volte mi dice ‘ma è vero?’ Ronnie – la fissò negli occhi – è vero? È vero tutto quello che stiamo vivendo? Forse non riesco ad accettarlo, ma mi sembra impossibile che non ci sia più.
    - Ti capisco e da quanto ho potuto vedere anche Garcia è nella medesima situazione.
    Allargò le braccia esasperato – Non so più come fare ad aiutarla, bambolina. Per me lei è molto importante, ma ultimamente è come se stesse trascurando il suo lavoro per rincorrere dietro ad un delirio.
    - Per lei non lo è…
    - Ma in realtà lo è, Cameron. Emily è morta e più noi ci pensiamo, più l’idea ci sembra assurda.
    - Era giovane, troppo per morire ed è per questo che nessuno ci può credere. Sono passati solo tre mesi Derek. Io stessa mi sveglio la notte dopo averla sognata…
    - Le sue mani erano calde, erano ancora calde sull’ambulanza… le stringevo e lei…sessanta secondi prima… se solo fossi arrivato prima Ronnie… sessanta secondi…

    - Sono fiero di te, piccola. Fiero di te perché sei mia amica e mia partner – ripetè in continuazione tenendole le mani seduto accanto a lei in quell’ambulanza che sfrecciava frenetica per le vie di Boston. I paramedici si spostavano avanti ed indietro parlando di cose che lui non riusciva a comprendere. Farmaci, fleboclisi, … tante cose che gli stavano scivolando addosso come acqua gelida.

    I monitor erano accesi e suonavano all’impazzata: il cuore di Emily era in fibrillazione atriale di 159 battiti al minuto e altre complicanze rendevano la situazione critica.

    - Perde troppo sangue – urlò un paramedico. – Avvisate chirurgia e dite di preparare una sala operatoria!

    - Digli di chiamare la banca del sangue! È 0 negativo! – gridò un altro mentre Morgan continuava a stringerla la mano fra il panico più totale.

    - No, Emily! Andiamo, resta con me! Avanti piccola – le accarezzò febbrilmente il viso scostandole i capelli sporchi di sangue dal viso pallido – Stringi la mia mano, piccola… ti scongiuro, non lasciarmi… - continuò a ripeterle mentre il suo viso giaceva inerte su un lato e la sua pelle iniziava a raffreddarsi.

    Derek continuò a stringerle la mano, ad un certo punto, un impeto di collera lo percosse e non poté far altro che colpire lo specchietto che separava il retro dell’ambulanza con l’autista ed urlargli disperato – Più veloce! Più veloce!!

    Sapeva che Hotch e gli altri li stavano seguendo con i SUV, ma al momento la cosa gli stava sfuggendo di mente. Tornò a fissare il volto pallido della sua amica con una mascherina che le copriva naso e bocca per farla respirare.

    Ad un tratto, in un istante percepito a rallentatore, suo monitor si percepì un suono continuo ed i paramedici le corsero addosso facendo spostare Derek da un lato.

    - Cosa succede?? Cosa succede??

    - Dobbiamo rianimarla! – disse un volontario piuttosto grande dai capelli biondi. Prese in mano le piastra e le strofinò velocemente l’una con l’altra – Carica a due e settanta! – ordinò. Posò le piastre sul petto di Emily e disse: - Libera!

    Derek chiuse gli occhi quando vide che il corpo di Emily ebbe un sussulto. Dopodichè poté lasciarsi andare in un respiro di sollievo udendo il battito del suo cuore tornare a pulsare.

    - Deve andare il sala operatoria, subito! – disse l’uomo alto ad una donna che si sporse verso l’abitacolo dell’autista. – Quanto manca?

    - Ci siamo! – rispose mentre frenava davanti al pronto soccorso dove tre medici e delle infermiere aspettavano il loro arrivo.

    Derek vide le porte dell’ambulanza aprirsi e due dottori precipitarsi verso di loro per prendere la barella.

    - Donna. Bianca. Ferita all’addome da un legno ancora in sede. Trattata con epinefrina. Ha avuto un arresto ma siamo riusciti a ristabilire un buon battito. – espose la donna scendendo con Derek dall’ambulanza e seguendo i dottori dentro l’ospedale – Tachicardia e pupille in midriasi. Parametri rilevati sul posto, pressione 50 su 30, saturimetria 80, pulsazione 180; è tachicardia.

    Derek seguì Emily continuando a tenerle la mano, ora libere dalle manette, e stringendogliela con tutta la sua forza per spronarla a vivere. Gli fu imposto di restare nella sala d’attesa e vide le porte della sala operatorie richiudersi davanti a lui come un muro di cemento che gli impediva di vedere il futuro.
    Dovette lasciarle la mano… - Emily… Dio, ti prego… - pianse lacrime amare seduto nella solitaria sala d’attesa. Si guardava le mani intrise di sangue e cercava di ripulirle con un fazzoletto senza trovare la forza di guardarle. Il fazzoletto, ormai sporco di sangue, non riusciva più ripulirlo e con uno scatto lo lanciò a terra e si prese la testa fra le mani – Fanculo! – strillò ed i suoi occhi si riempirono di lacrime fredde. – Maledetto! – imprecò nuovamente ripensando a tutto quello che era accaduto in quella giornata. Avrebbe voluto tornare indietro, ad un’ora prima ed arrivare sessanta secondi prima che lui la colpisse: avrebbe potuto salvarla.
     
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  6. robin89
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 34

    8.00 p.m., 31 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    Alex stava indossando gli orecchini di perle quando Karinna varcò la soglia della sua stanza bussando leggermente contro il muro. La brunetta si volse prendendo in mano la collana e le sorrise – Sei pronta? – la guardò per poter vedere il suo abito turchese risplendere alla luce del lampadario acceso.
    - Si. Tu?– aveva i capelli biondi quella sera, li aveva tinti nel pomeriggio per mascherarsi meglio agli occhi della polizia e dei partecipanti al Galà della società filantropica di Los Angeles.
    Alex, invece, aveva lasciato il colore dei suoi capelli del classico nero senza ritoccarlo in alcun modo. Li aveva lasciati sciolti e le toccavano le spalle delicatamente. La frangetta le incorniciava il viso chiaro ed il rossetto rosso Dior le risaltava le labbra carnose. Gli occhi erano azzurri – Sai… - mormorò – queste lenti mi permettono di vedere se hai addosso pistole…
    - Stai scherzando, vero? – stupefatta fece qualche passo verso di lei poi, quando la vide ridere, capì che era soltanto uno scherzo. – Come sei sciocca, scherzare in un momento come questo! Sei matta?
    - Perché? – fece spallucce rigirandosi verso la specchiera per indossare la collana – Che momento è?
    - Il momento in cui torneremo in vita.
    - Vacci piano bellezza. Mai troppo ottimismo nella vita, potresti ritrovarti fregata. – agganciò la collana e si guardò allo specchio. L’abito le calzava a pennello ed il coltello nascosto nel reggiseno con si vedeva nemmeno da vicino. Altri coltelli ed una pistola erano affrancate alle sue cosce e l’anello che portava al dito possedeva uno smeraldo che, se ruotato ad una certa angolatura, liberava un potente sonnifero, una polverina biancastra che avrebbe portato fra le braccia di Morpheo persino un rinoceronte.
    - Non si può vivere di solo pessimismo, però.
    - Sbagli. Meglio vivere nel pessimismo ed avere ragione che vivere nell’ottimismo e scoprire di aver fatto un buco nell’acqua. È per l’autostima, fidati.
    - Se parli così… - le si avvicinò per chiuderle la cerniera del vestito - ..significa che la tua vita non è stata per nulla serena. È come se avessi vissuto in un incubo, Alex.
    Lei non rispose, fece una smorfietta e la ringraziò per averle sistemato l’abito. – Armi?
    - Cariche.
    - Coltelli?
    - Solo tu li sai usare.
    - Vero. Veleno?
    - Le mollette che reggono la mia pettinatura sono intrise di veleno, paralizzano qualsiasi cosa feriscano. – sorrise – direi può bastare.
    - Per Valhalla non basta mai. – mise nella borsetta un rossetto contenete una piccola lametta al posto del cosmetico e la richiuse prendendola sotto braccio. – I cavalieri si devono far attendere ancora per molto?
    - Si stavano finendo di sistemare le cravatte.
    - Avvisali che questa volta non mi basterà vedere sangue, voglio i cadaveri. Ca-da-va-ri – scandì guardandola negli occhi con un sguardo tremendamente arcigno.
    - Credo che lo sappiano. Larry è giù in salotto con Nate, ma lui non pare molto soddisfatto della sua guardia del corpo. Tra noi – sussurrò pii – nemmeno io lo sarei.
    - non lo sarebbe nessuno con lui, ma Doyle sarà all’auditorium per l’incontro. Non lo cercherà stasera, è troppo preciso negli appuntamenti di lavoro.
    - La cosa ammetto mi preoccupa.







    9.00 p.m., 31 giugno 2011
    Auditorium, Los Angeles, California



    Karinna scese dalla vettura, una coupé rossa fiammante che Clyde lucidava ogni giorno con dedizione ed amore sostenendo che gli donava più sicurezza ed amore di una donna in carne ed ossa, e si avvicinò a James prendendolo sotto braccio. Lui glielo porse gentilmente e le sorrise.
    - Avanti, amoreggerete più tardi. – commentò Clyde prendendo Alex per un braccio.
    - Potresti essere un po’ gentile. <i>caro<i>! – si lamentò dandogli una sberla sulla spalla, dopodichè fu lei a prendere le redini della situazione e passò il suo braccio sotto quello di lui – Ecco, così va meglio.
    Lui alzò gli occhi al cielo e chiuse la coupé rossa con le chiavi della macchina.
    S’incamminarono lentamente verso l’auditorium da dove provenivano una melodia suonata a pianoforte e dove decine e decine di persone si stavano dirigendo. Si unirono alla folla cercando di non dare troppo nell’occhio e salirono le scalinate.
    Entrando nell’immensa sala dove centinaia di persone erano già dentro chiacchierando animatamente, poterono vedere camerieri in maniche bianche e cravatte in seta nera. Portavano degli asciugamano color crema sul braccio ed attendevano che gli ospiti prendessero posto ai tavoli allestiti per la serata.
    - Sicuramente chi ha organizzato tutto ciò dev’essere piuttosto ricco.
    - Clyde, cerca di smettere di fare certi commenti. – lo fulminò Alex con lo sguardo raggiungendo un tavolo per quattro con una tovaglia celeste affrancate ai lati. Un centrotavola, un cesto di rose, padroneggiava nel mezzo.
    - Gli altri? – chiese James spingendo sotto il tavolo la sedia di Karinna come un vero gentiluomo.
    - Sono già dentro. – rispose Easter guardansi attorno con lo sguardo. – Mimetizzati fra la folla. Basterà un segnale per farci raggiungere.
    - Adesso basta. – ordinò Alexandra – niente altre informazioni qui. C’è troppa gente che ama ascoltare le conversazioni altrui.
    Proprio in quell’istante, a qualche metro di distanza il team della BAU stava entrando nell’auditorium in abiti eleganti. Anche Garcia era stata convinta di Ronnie a vestire un’elegante camicia bianca ed una gonna a tubino nero. Lei, invece, aveva preferito optare per un paio di pantaloni di raso nero ed una camicetta alla coreana acquistata al mare durante le vacanze.
    - Che cosa facciamo? – domandò Penelope appena si fu sistemata il collo della camicetta che le pizzicava la pelle.
    - Ci separiamo come abbiamo stabilito. Ronnie e Morgan, io e Dave, tu e Reid. Niente girate di testa ragazzi. – chiarì Hotch guardando negli occhi uno per uno. – ci ritroviamo al tavolo del bouffe non appena qualcuno lancerà l’avviso. Voglio tutto perfetto per questa sera.
    Nessuno osò replicare, quel giorno era troppo nervoso per farlo arrabbiare così, tutti si misero sulla difensiva ed ognuno si diresse nella posizione prestabilita. Hotch e Dave si avviarono nel mezzo della sala prendendo un tavolo in disparte ed ordinando due gin tonic, erano in servizio e non avrebbero potuto bere, ma se non l’avessero fatto avrebbero dato troppo nell’occhio.
    - Credi che riusciremo a prenderli?
    - Non lo so, Dave. La SWAT è di fuori in un furgone anonimo, ne hanno preso uno dal catering, dunque basterà un segnale per farli intervenire.
    - Beh, per adesso rilassiamoci e godiamoci questa nenia musicale… - propose poggiandosi allo schienale e giungendo le mani davanti a se, sul tavolo. – Allora, Aaron. Vuoi parlarmene?
    Lui lo guardò sorpreso senza capire dove volesse andare a parare.
    - Avanti, lo so bene che da qual giorno non hai parlato con nessuno. Questo è il momento di tirare fuori tutto… nessuno ci sta ascoltando e manca ancora tempo prima della retata.
    - Non ho nulla da dire.
    - Nemmeno su quanto Emily ti manca? – sorrise – Sono vecchio, non stupido. Vedo che ogni volta che si parla di lei tu cambi discorso o guardi da un’altra parte.
    - Non farmi il profilo, Rossi. – rispose freddo. – Non ho nulla da dire. - terminò restio.
    - Aaron, da quanto ci conosciamo?
    - Senti, Dave. Sì, hai ragione, mi manca e tanto. Spero tutti i giorni di rivederla, ma non è possibile. C’è Jack che mi domanda sempre di lei ed io non so più che cosa fare. Ti basta?
    - No, non basta. Noi siamo stati obbligati ad aprirci con te, a svelarti ciò che provavamo. Ma tu dove andavi? Ti stai tenendo tutto dentro come fa Garcia…
    Hotchner lo guardò negli occhi ricordando la pazzia che stava facendo Penelope. – So già cosa sta combinando. Non c’è bisogno che tu me ne venga a parlare. Non sono pazzo e non sto impazzendo.
    - L’amavi.
    Aaron non rispose. Abbassò lo sguardo e ricordò il fermacapelli che aveva tenuto fra le mani e, subito, un flash lo colpì alla mente. Finalmente ricordava dove l’aveva visto: affrancato ai capelli di Emily alla loro prima cena, quando le aveva chiesto di cominciare una storia con lui. Come aveva fatto a scordarsene? Scosse il capo – Dave, cambiamo discorso. – proseguì intimorito e continuando a domandarsi cosa mai ci facesse in quella stanza quel monile tanto prezioso per lei.
    - Va bene, come vuoi.
     
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  7. robin89
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 35

    10.15 p.m., 31 giugno 2011
    Auditorium, Los Angeles, California




    - Questa musica mi sta facendo venire sonno – mormorò James sbadigliando mentre il pianista continuava a suonare Mozart, cosa piuttosto piacevo se udita durante una sera di relax, ma piuttosto complicate durante una sera in cui bisogna prestare la massima attenzione a tutto ciò che si muove.
    - Abbiamo un problema, Alex – sussurrò, ad un tratto, Clyde avvicinandosi a lei dopo aver letto qualcosa sullo schermo del cellulare.
    Alex si sporse verso di lui – Cosa succede?
    - Hanno intercettato Doyle nei sotterranei dell’auditorium.
    James e Karinna corrugarono la fronte mentre Alex prese il cellulare per rileggere il messaggio di uno degli agenti sotto copertura che erano nella sala. – Impossibile. L’appuntamento è alle balconate fra un quarto d’ora.
    - Cosa si fa? – chiese Sanders preparandosi ad alzarsi in piedi.
    - Entriamo in azione con la massima prudenza. – mormorò Clyde guardando attorno per controllare se qualcuno li osservava. Nessuno li stava calcolando e questa, per loro, era una fortuna. Si alzarono in piedi mentre la musica e gli altri ospiti chiacchieravano e sorseggiavano champagne e si avvicinarono alle porte posteriori per dirigersi nei sotterranei.
    Alex passò accanto ad un ragazzo di spalle. Il suo profilo le parve assomigliare a Reid e distolse velocemente lo sguardo per non ricordare il suo volto: in quel momento era l’ultima cosa che voleva, ricordare la sua squadra l’avrebbe resa meno lucida del solito.
    Il ragazzo, non appena Alex si fu allontanata, voltò il capo e si crucciò in viso – Penelope, hai visto quei quattro? – domandò dopo aver osservato bene il viso della bionda ed aver fatto qualche piccolo ragionamento logico.
    - Si, li ho visti… la bionda sembrava proprio…
    - Kornikova… - prese in mano l’I-phone per avvertire il loro supervisore – Sono Reid, zona ovest dell’auditorium. Io e Garcia abbiamo visto una donna bionda molto somigliante ad Irina Kornikova, la seguiamo.
    - No, voi non fate nulla. Aspettate lì il nostro arrivo. – e richiuse la comunicazione. Reid si voltò verso Garcia che era rimasta silenziosa per tutta la durata della telefonata. – Che succede?
    - Quella donna castana, l’hai vista?
    - Veruna Ulijanov. Sicuramente sono loro, Penelope.
    - Somigliava ad Emily.
    - Ma non dire sciocchezze!!
    Nel frattempo, Alex, Karinna, James e Clyde stavano scendendo le scalinate che conducevano allo scantinato con alla mano le pistole. Alex stringeva assieme alla sua browning una torcia per illuminare la strada e gli altri seguivano Clyde.
    - C’è qualcosa che non va.
    - Sembra una trappola, James. – sussurrò Karinna avvicinandosi a lui – Come se volessero trascinarci nei sotterranei per qualche motivo.
    - Impossibile. Dal messaggio non si poteva capire che erano i mittenti, è un codice che non esiste. Doyle l’ha capito certamente, ma non sa chi ci potrebbe essere dietro – Easter illuminò una porta chiusa non appena ebbe messo piede sulle piastrelle del sotterraneo.
    - Invece potrebbe avere capito che dietro c’è la polizia, sicuramente non pensa alla CIA, ma all’FBI, gli ultimi che gli hanno dato la caccia. – lo corresse Alex posizionandosi accanto a lui.
    - Dividiamoci.
    - Clyde uniti siamo più forti!
    - No, James, uniti siamo più deboli! Dobbiamo dividerci, noi andremo a destra – prendendo Alex per un braccio, voi a sinistra. – Qualunque cosa accada chiamare subito i soccorsi e gli aiuti. Sono stato chiaro?
    Tutti annuirono e si divisero prendendo due corridoio diversi. Clyde condusse Alex in quello di destra, una corsia piuttosto stretta dove erano stati posizionati i contatori del gas e della luce.
    Passarono davanti ad una finestrella che dava sul giardino e videro che il sole era ormai tramontato e poterono sentire che il pianista non aveva ancora terminato di suonare Mozart. Alex ebbe un sussulto quando una gocciolina d’acqua le cadde sulla schiena. Si voltò di scatto illuminando il soffitto e notando un tubo arrugginito che perdeva acqua.
    - Tutto bene?
    - Solo un tubo che perde. – mormorò continuando a camminare ed illuminando ogni angolo del corridoio. – Dove l’hanno visto?
    - Scantinato, entrata sotterranea. Forse non poteva entrare dalla principale.
    - Mi pare ovvio. Non dovevano venir qui, ma trovarci alle balconate.
    - Prendiamolo alle spalle.
    - Facendo così saremo noi presi alle spalle, stupido! – gli urlò con un filo di voce inviperita.






    9.20 p.m., 31 giugno 2011
    Auditorium, Los Angeles, California



    - Reid – esclamò Aaron raggiungendo lui e Garcia assieme agli altri. – Dove si sono diretti?
    - Nei sotterranei.
    Garcia si avvicinò a Ronnie e la prese per un braccio, Ronnie la guardò e le disse: - Tu resta qui, noi scendiamo. Avvisa la SWAT e falli intervenire in caso di un nostro segnale. Fa evacuare l’edificio soltanto in caso di pericolo.
    - Ma io…
    - Ubbidisci, Garcia. – disse freddo Hotch estraendo una pistola e precipitando con Rossi e Morgan verso la porta che conduceva ai sotterranei. Ronnie, armata fino ai denti, li seguì assieme a Reid e cominciarono un’oscura ricerca già per le scale.
    - Ci sono due vie.
    - Abbiamo controllato la cartina dell’auditorium prima di venire. Tutti i corridoi portano in un unico punto. – spiegò Reid con suo fare intellettuale. – Qualsiasi strada prendiamo torneremmo sempre qui.
    - Ci dividiamo, Hotch? – chiese Ronnie accendendo la torcia che Derek le aveva passato. – Non possiamo restare uniti.
    - Se ci dividiamo saremo soli. È troppo rischioso, loro sono in quattro, noi in cinque.
    - Siamo in vantaggio di uno. – esclamò Reid, positivo.
    - Non basta il vantaggio di una sola pistola. Restiamo uniti.
    Detto ciò si diressero verso il corridoio di destra controllando ogni minimo angolo illuminandolo con le pile e puntando le pistole in ogni area buia.
    Erano in assoluto silenzio e nessuno parlava. Fu in quell’istante, quando udirono il rumore di uno sparo che Hotch e Dave si misero in posizione di tiro – Fermi tutti. – dissero puntando le armi a vuoto.
    - Cos’è stato?
    - Uno sparo.
    - Chi avrà sparato?
    - Non lo so, Morgan. Ma non mi piace. Ronnie avvisa Garcia, fa intervenire la SWAT!
    - Subito! – estrasse il cellulare e mandò un sms all’amica che, prontamente lo ricevette in pochi istanti, rinviando la conferma di lettura. – Fatto. Adesso avviserà le unità d’intervento.
    - Le hai detto di non far evacuare la sala per ora?
    - Si.
     
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  8. robin89
     
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    Capitolo 36

    10.30 p.m., 31 giugno 2011
    Auditorium, Los Angeles, California




    - Karinna!- l’urlo di terrore che uscì dalla bocca della ragazza squarciò l’aria della notte assieme a quel terribile boato metallico; un fragore freddo prodotto dal colpo di una pistola che, echeggiando, le riempiva crudelmente la testa.
    La ragazza si guardò attorno con occhi pieni di orrore e paura di quell’oscurità che circondava quel sotterraneo, da cui si alzava un acre fetore di marcio.
    Aveva i capelli castani appiccicati al viso chiaro, magro, scarno.. gli occhi azzurri stanchi che si guardavano freneticamente attorno, i vestiti sudati attaccati alla pelle che, per via di quella oscurità avevano assunto un colorito pallido, quasi plumbeo. Il cuore le batteva così forte da non riuscire più a percepire il punto da cui si diramavano i battiti frenetici e se avesse dato retta al suo cervello avrebbe creduto di avere un cuore pulsante nello stomaco.
    Ansia, paura, terrore le offuscavano la mente.. dov’era? Dov’era la compagna con cui aveva condiviso la morte?
    Angoscia, confusione e quel tremore febbrile dettato dalla paura che non riusciva ad imbavagliare; eppure poco tempo prima, avrebbe sostenuto di non avere paura ed era stata pronta a giurarlo dinanzi a Dio. Perché ora quel timore?.
    - Clyde…- Alex si voltò di scatto verso il Easter mentre i suoi capelli cadevano sulle sue spalle nude. -Clyde…- sussurrò nuovamente - Hanno sparato.
    L’uomo si guardò attorno senza riuscire a vedere nulla fuorché la donna che aveva accanto. I suoi occhi si posarono nel buio illuminato solo da piccole torce.
    Gli occhi della brunetta lo guardarono con un terrore, quel bel faccino delicato, ora lasciava lo spazio solo ad un fremito di panico.
    Anni di esperienza nell’Interpol e, poi, nella CIA gli avevano insegnato che il boato prodotto da una pistola non portava nulla di buono, soprattutto in una notte senza luna, dove tutto attorno a loro era ricoperto dell’oscurità.
    Goccioline d’acqua provenienti da tubi perdenti, riso ghiacciato, ricadevano sulla pavimentazione ormai corroso dal tempo.
    I due agenti si guardarono attorno, nonostante la penombra impedisse loro di guardare più in là di qualche metro.
    Poi, ad un tratto, un altro sparo: Alex tremò di nuovo. Un altro fragoroso colpo tuonò nell’aria come un fulmine che squarciava il cielo.
    - Vai dai nostri, Alex!! - le urlò spingendola bruscamente con una mano contro il muro – Vattene prima che ti trovi!
    Alex non si mosse. Fissò i suoi piedi, mentre l’agente Easter estraeva una Smith nera dalla tasca, era piccola, lucida e pareva essere molto leggera. Tolse velocemente la sicura poi, con l’altra mano estrasse un cellulare della tasca del tailleur nero e compose un numero, poi lo lanciò ad Alex.
    Lei lo prese velocemente e lo portò all’orecchio – Ho bisogno di rinforzi nei sotterranei, mandate una squadra! Qualcuno ha sparato due colpi dei pistola.
    Alex, poggiata al muro, chiuse la comunicazione.
    - Vattene Emily!! - l’urlo di Clyde, chiamandola per nome, la terrorizzò. L’uomo aveva ragione, se Doyle l’avesse trovata in un luogo simile dove la loro squadra era in svantaggio, sarebbe stata uccisa di certo ed il piano sarebbe saltato.
    Le sue gambe cominciarono a muoversi senza aspettare il comando del cervello, non stava ragionando su cosa stava facendo, su dove stava andando e, soprattutto da chi. Il cuore sembrava dovesse scoppiare nel petto da un momento all’altro ed avrebbe tanto voluto piangere ed urlare se solamente il panico non glielo avesse impedito.
    Si bloccò di scatto non appena si rese conto della sciocchezza che stava facendo: non poteva avere paura.
    Respirava a pieni polmoni per la mancanza di fiato. Alzò il volto al cielo ed i suoi occhi si posarono su una piccola luce che illuminava il corridoio, una luce fioca, tetra e spettrale che le colpiva il viso.
    Impiegò qualche secondo per ritrovare quella concentrazione e quella lucidità che una spia della CIA doveva avere, si guardò insistentemente intorno. Karinna. Dov’era?
    Strinse i pugni. Si voltò e riprese a correre, nel tentativo di ritrovare il luogo dove aveva lasciato Clyde. Ma, arrivata in quello spiazzo, non trovò più l’agente. Era di nuovo sola. Tutto era scuro, buio.
    Dal piano superiore si sentirono dei passi veloci che correvano avanti ed indietro: avevano dato l’allarme e la task force stava intervenendo. Ansimò, respirando a pieni polmoni.
    - Vai…via - una voce debole e lieve la colpì alle spalle di soprassalto. Sentì dei passi venire verso di lei.
    Alex, lentamente, si voltò. I capelli biondi erano sciolti alle spalle e lievemente mossi. Un viso in ombra, un corpicino esile di giovane donna, era poggiata con la schiena al muro freddo e grigio e si reggeva in piedi a fatica mentre, con una mano, copriva una macchia di un violento vermiglio che le trapelava da sotto il vestito turchese sporco di terra.
    -Karinna…- Alex consumò una frazione di secondo per controllare le sue condizioni poi, si portò le mani tremanti alla bocca.
    -Vai… vat...tene…lui…è qui…- fece qualche passo in direzione di Alex ma, senza forze, cadde rovinosamente sulle ginocchia e si poggiò debolmente alla parete ossidata. I suoi occhi si chiusero per la loro pesantezza poi, si riaprirono e tentarono, con grande sforzo, di focalizzare lo sguardo di Alex: la sua figura sfocata stava correndo verso di lei.
    Coburn le si inginocchiò dolorosamente davanti guardando l’impressionante quantità di sangue che perdeva dalla ferita prodotta dalla pallottola che l’aveva colpita allo stomaco. Si guardò in giro e, chiedendo aiuto a quella poco lucidità che ritrovava ancora nella sua testa, estrasse il cellulare. Karinna non comprese bene ciò che disse o forse, non gliene importava. La voglia di ascoltare e comprendere stava venendo meno, voleva solo chiudere gli occhi ed allontanarsi dal dolore. Aveva raccolto solo alcune parole indistinta da quel discorso teso e agitato della collega.. il suo nome, sangue, ferita… Doveva aver chiamato Clyde.
    - Che cos’è successo??- le domandò la brunetta con un filo di voce, dopo aver lasciato cadere il telefonino.
    -Vai via… se dovesse tornare… e vederti… ucciderebbe anche te...- Karinna scivolò in avanti cadendo fra le braccia della giovane. La fragranza di vaniglia emanata dal suo corpo si mischiò all’odore di muffa, polvere e di sangue che la circondavano. I capelli della donna, appiccicati al suo viso, erano intrisi di quella linfa che lentamente se ne andava dal suo corpo che, attimo dopo attimo, perdeva il suo colore naturale per lasciare spazio ad un orribile grigio spento.
    Alex le baciò freneticamente la fronte; una ferita, una sola ferita provocata da una pallottola la stava uccidendo… l’ansia le attanagliava il cuore che pulsava all’impazzata e le pressava la testa, tormentandola: non era una finta questa volta.
    Con le mani aiutò Karinna a poggiare la testa sulle sua ginocchia mentre, con orrore, guardava quella pozza di sangue accanto alla ferita.
    Sgranò gli occhi – Com’è successo?
    Karinna ansimò faticosamente, poi voltò la testa verso la terra e tossì forte: gocce di sangue uscirono dalla sua bocca e macchiarono il pavimento.
    - Karinna! Andrà tutto bene! Sta arrivando l’ambulanza!!
    - È… troppo tardi…-
    Gli occhi della ragazza, che prima erano riusciti a trattenere il pianto, si riempirono di lacrime e, tentando di evitare che la voce gli si spezzasse in gola, respirò a pieni polmoni - No… andrà tutto bene!!
    - Alex… lui non è più qui… ci sta… aspettando sulla…balconata… lui…Perdonami… non ce l’ho fatta…
    - Perché? Perché dovrei perdonarti? Di cosa Karinna? Non lasciarmi ti scongiuro!- dopo tutti quegli anni di conoscenza, non si era mai resa conto di quanto fosse legata a quella collega con cui aveva trascorso centinaia di missioni. Le prese la mano sporca di terra e sangue. Era fredda, tanto fredda e grigia, non più rosa e morbida come un tempo.
    Il respiro di Karinna si faceva sempre più corto e faticoso, il sangue che cadeva a terra assieme alla pioggia era sempre più liquido e scuro. Gli occhi di Alex si posarono prima sulla ferita mortale, poi attorno a sé, per ritornare, infine, a focalizzare lo sguardo sul volto della giovane -Karinna…? – la chiamò.
    La bionda aprì lentamente gli occhi e guardò, attraverso l’amica, il soffitto nero -Alex… sorridi e dì aufidernen…- le sue labbra si colorarono di un rosato intenso.
    - Sei tedesca - si morse il labbro inferiore e strinse la sua mano percependo immediatamente la differenza di temperatura dei due corpi. Lei era gelida.
    -Nella mia lingua… significa… ‘Addio’…- fissò i suoi occhi azzurri cercando di allontanarsi dal dolore del corpo. – Nessuno…ha mai saputo…che sono tedesca…
    - No. No non posso dirlo.
    -Perché…?... non fare quella faccia Alex… altrimenti… sarò triste…- si sentì le palpebre pesanti e percepì una grande debolezza dentro di sé.
    - Perché non voglio perderti…
    Karinna sembrò non ascoltarle -Alex… quando rivedrai… James… voglio che gli racconti… che non ho…sofferto…me lo prometti?- cercò di respirare profondamente, ma il tentativo fallì miseramente con il rivoltarsi su un lato a tossire violentemente sangue.
    L’altra scosse la testa immersa nel silenzio rotto solo da dei passi veloci che si percepivano in lontananza, deboli e freddi.
    - Fai…che i tuoi ricordi di me siano…per sempre… felici…ti prego…
    Infine, Alex si decise ed abbozzò un -È una promessa…
    Nel volto perfetto di Karinna si disegnò in lieve sorriso caldo e dolciastro. Chiuse gli occhi. Non riusciva più a vedere. Tutto era buio ed aveva freddo. Poteva solamente sentire il tremore della dolce amica e ricordare le fattezze del suo viso dipingendoli nel buio della sua mente -Stai sorridendo, Alex?
    Alex ansimò per qualche secondo, poi, stringendo forte i denti, abbozzò un sorriso amaro e senza lacrime e mugugnò in segno di assenso.
    - Non mollare mai… ti… prego… Alex…uccidilo…uccidilo per Nate…- ci fu un lungo silenzio… Aufidersen.
    - Karinna…- singhiozzò violentemente.
    La mano della brunetta non resse più la presa, il suo viso scivolò sul fianco con delicatezza, mentre una ciocca di capelli le incorniciava il viso.
    Alex la strinse forte a sé in silenzio. Qualche secondo dopo, comparve Clyde, affannato e con al seguito i rinforzi ed una squadra di soccorsi. Ormai era tardi.
    - Aufidersen Karinna…
     
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  9. robin89
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 37

    10.40 p.m., 31 giugno 2011
    Auditorium, Los Angeles, California




    Non c’era più nulla che potessero fare per lei. Alex si alzò in piedi con l’abito nero macchiato di sangue e fissò Clyde con occhi duri, rabbiosi, non aveva la forza di piangere e non sarebbe riuscita a farlo nemmeno se avesse voluto con tutta se stessa.
    La sala era stata evacuata e gli agenti sotto copertura della CIA si erano raggruppati attorno al corpo esanime di Karinna. I soccorsi erano arrivati ma, ormai, non c’era più nulla da fare.
    - Svegliati… ehi, sveglia… - le sussurrò James sedendosi accanto a lei e prendendole il viso fra le mani.
    - James – mormorò Alex prendendogli il braccio. Lui la guardò con un sorriso malinconico, ma negli occhi si lesse la fiducia e la speranza che lei si svegliasse. Dovette distogliere lo sguardo per non sentire il cuore stringersi nel petto.
    - Vediamo… - continuò a sussurrarle mentre i paramedici osservano la scena con le lacrime agli occhi – Ti farò mangiare ogni giorno una mia specialità. Non ne potrai più di mangiare! Ma tanto, tanto tu non ingrassi mai! Karinna – la chiamò – Karinna… ehi, svegliati… hai sentito? – le lacrime gli sgorgarono a rigogli dagli occhi – Karinna andiamo!! – cercò di strattonarla per svegliarla.
    Alex fece qualche passo in dietro, verso Clyde.
    - Non puoi lasciarmi così, Kary. Avanti! Karinna, devi dire ancora tante cose ed io sono qui ad ascoltarti!! Allora? Dimmi qualcosa? – un paramedico lo prese per un braccio e con forza lo tirò in piedi. James osservò un altro paramedico coprire il corpo con un telo bianco e rimase in silenzio ad osservarla.
    - Alex, Doyle sarà ormai in terrazza.
    - Andiamo. – rispose fredda.
    Si allontanarono con la promessa che sarebbero tornati il prima possibile e corsero a perdifiato per i bui corridoio fino all’inizio delle scale quando qualcosa li fermò.
    - Fermi e mani in alto! –Alex si sentì raggelare il sangue non appena ebbe udito la voce urlare. La riconobbe immediatamente e non poté far altro che indietreggiare di qualche passo dietro a Clyde per nascondersi dalla luce che proveniva dal piano superiore. Sapeva che erano armati ed oramai era tardi per fuggire.
    Morgan puntò loro la pistola mentre Hotch, Dave, Reid e Ronnie si avvicinavano a piccoli passi facendo attenzione alle mosse dei due SI. Videro le figure nella penombra senza riuscire a vedere i loro volti che erano mascherati dall’oscurità.
    Fu Ronnie a parlare per prima – Gettate le pistole. Ora!
    - State intralciando un’indagine…
    - Hai sentito cos’ha detto la mia collega!! – Morgan interruppe l’uomo urlando – Getta la pistola!!
    Clyde non aggiunse altro. Gettò la pistola che ricadde a terra vicino alle scale e fece un passo avanti in modo che almeno Hotchner potesse vederlo e, dunque, riconoscerlo. –Agente Clyde Easter. CIA. Adesso siete più tranquilli?
    L’espressione del team si congelò all’istante non appena videro il volto conosciuto dell’agente Easter. Era stato lui ad aiutarli, qualche mese prima, a ritrovare Emily; lo ricordavano tutti quanti molto bene, soprattutto Hotch che ebbe un sussulto dopo aver spostato il suo sguardo sulla sagoma scura della donna al suo fianco, non vide il suo viso, ma non avrebbe potuto sbagliare, l’avrebbe riconosciuta fra mille. Avrebbe dovuto intervenire, avrebbe dovuto aiutarla, ma le parole e le gambe non volevano rispondere ai comandi dettati dal suo cervello.
    - Gettate le pistole. – ripeté Ronnie puntandola contro di lui. – So che hai altre armi e con te la tua amichetta.
    - Alex resta lì. – disse lui senza muoversi allungando un braccio in sua difesa. Anche Clyde sapeva bene il disastro che sarebbe scoppiato se l’avessero riconosciuta in quel momento e in quel luogo incriminato.
    Fu Derek a puntare la pistola alla figura femminile davanti a sé – Ti chiami Alex, dunque. - teneva il revolver stretto tra le mani mirando il petto della donna dove una collana di perle luccicava sotto il fascio chiaro della luce che proveniva dalle scale. - Butta a terra la pistola e tieni le mani in vista! Non farmelo ripetere un’altra volta.
    La donna lasciò cadere la pistola sul pavimento senza abbassarsi e rimase immobile per qualche secondo.
    - Avanti, fatti vedere. – le disse Derek avvicinandosi e lo sguardo freddo di Clyde lo bloccò all’istante.
    - Sta indietro da lei!! – strillò l’agente mettendosi davanti.
    - No, Clyde. – la voce di Alex fece rabbrividire tutti i presenti – ormai è tardi. - e fece qualche passo verso l’agente Morgan mostrando il suo viso chiaro ed i suoi due occhi azzurri lucidi, ma freddi quanto il gelo d’inverno.
    Derek ritrasse la pistola con una tale confusione in testa da non saper cosa dire. - Emily? – poté soltanto mormorare mentre le sue mani tremavano.
    Ronnie, che era la più vicina a Derek, abbassò leggermente la pistola perdendo la mira e squadrando dall’alto al basso quella donna che appariva dinanzi a loro con tutta la sua eleganza. Scosse piano il capo senza credere ai suoi occhi e trattenendo le lacrime. – No...
    Reid e Dave si guardarono increduli e senza sapere che cosa fare, aspettavano una parola, una reazione, una spiegazione che, però, non arrivò da nessuno. Increduli, posarono lo sguardo su una Emily viva ed in piedi davanti a loro con le mani alzate che li fissava con occhi spenti, privi di anima. Sbatterono più volte le palpebre, smarriti e senza la ragione giusta per poter parlare.
    Derek rivolse lo sguardo ad Hotch che rimase in silenzio abbassando lo sguardo a terra. Si sentiva colpevole, ma ancora nessuno poteva esserne a conoscenza.
    - State mettendo a repentaglio un’indagine della CIA. – ripeté Clyde.
    Nessuno gli diede retta, erano troppo occupati a riprendersi da quella visione che aveva spezzato un equilibrio già precario. Non bastarono pochi secondi perché si riprendessero, ma Dave, con grande titubanza si portò alle spalle di Easter e gli puntò una pistola alla schiena continuando a lanciare sguardi perplessi alla donna.
    - Sta zitto. – ordinò Dave rompendo il silenzio spettrale che circondava il team.
    Ronnie, nella sua incertezza, non disse altro e seguì Dave che spinse su per le scale Easter per portarlo alla stazione di polizia. Non ebbe la forza per posare nuovamente lo sguardo sull’amica, provava troppa rabbia per poterla guardare.
    Derek, nonostante una lunga esitazione, si avvicinò ad Emily mentre Hotch trascinava su per le scalinate Reid immerso in un silenzio religioso; l’agente Morgan non disse nulla, si limitò a prenderla per un braccio e condurla al piano superiore.
    Aveva la testa piena di parole che non riusciva a riordinare per formulare una vera frase. Avrebbe voluto una spiegazione immediata, ma comprendeva che quello non era il momento, né il luogo adatto per avere certe risposte.
    Non poteva ancora credere di stare sfiorando il braccio caldo di quella donna che ricordava di aver visto morire poco alla volta dinanzi a lui; quella donna che credeva di aver perso e che ora era lì davanti a lei in carne ed ossa. Perché tutte queste menzogne? Per quale motivo aveva mentito alla sua famiglia? ’Ma allora, Garcia aveva ragione…’, rifletté nei suoi più intimi pensieri.
    Camminava dietro di lei su per le scale in un silenzio dettato probabilmente dall’imbarazzo, dall’incertezza e dalla paura di dire cosa di cui ognuno di loro si sarebbe pentito, in seguito.
    Arrivati al piano si avvicinarono alla porta d’entrata; Clyde lanciò uno sguardo d’intesa ad Alex che, lentamente e senza farsi vedere dagli altri membri del team, annuì. Non avevano tempo da perdere in quell’istante, l’ora dell’incontro era passato da diverso tempo e non potevano farsi scappare Valhalla per un passo falso, altrimenti il Generale avrebbe certamente incolpato l’FBI mettendo in seria difficoltà l’intera squadra.
    - Derek… - sussurrò senza voltare il capo, ma continuando a fissare dinanzi a sé: non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.
    Lui le strinse il polso e lei percepì il contatto con la sua pelle calda, lui la guardò da dietro le spalle senza proferire parole: la rabbia che sentiva dentro era troppo forte per poter dire qualcosa.
    - Mi dispiace… perdonami… - disse solo, poi con un gesto veloce si liberò dalla presa dell’amico, recuperò la pistola che teneva nella mano sinistra con agile movimento e lo colpì allo stomaco con il gomito. Il ragazzo cadde a terra ansimante e lei non poté far altro che sentire un senso di soffocamento che le prendeva il petto. Vide Clyde fare lo stesso con Dave il quale scivolò a terra accanto a Reid. Il ragazzino si chinò per controllare come stava ed Alex non poté far altro che guardare Derek e poi Ronnie negli occhi per poi sfuggire dalle loro viste assieme a Clyde per raggiungere le scalinate che li avrebbero condotti alle balconate.
    Ronnie dopo un istante di smarrimento ed incredulità, si avvicinò subito a Derek – Morgan!! Tutto bene?
    - Va tutto bene. Sto bene! – gridò guardando Hotch, rabbioso. – Dimmi che non lo sapevi!! Dillo!!!
    Lui non parlò, abbassò nuovamente lo sguardo e Morgan capì tutto quanto.
    - Bastardo!! Lo sapevi!! – strillò con tutta la voce che aveva in petto. – Lei era viva e tu lo sapevi, Hotchner!!! Come hai potuto farci questo?!
    Nessuno ebbe il coraggio di interrompere le grida dell’uomo, persino Reid iniziò a scuotere il capo chiedendosi come avesse potuto tenere nascosta una cosa tanto importante come la vita di un’amica.
     
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  10. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 38

    11.00 p.m., 31 giugno 2011
    Auditorium, Los Angeles, California




    Drake Person osservava il panorama dalla balconata dell’auditorium. Sapeva bene che qualsiasi cosa sarebbe accaduta, qualcuno era pronto a ricevere la sua chiamata e correre in suo soccorso. Era un trafficante, ma non solo, era un ottimo trafficante che sapeva come gestire non solo le armi, ma anche la gente. Sapeva che cosa voleva e sapeva come averla.
    Attendeva il suo arrivo con impazienza: sapeva bene chi stava aspettando, aveva fatto le sue ricerche e ne era convinto, non poteva essere che una persona.
    Dopo avere udito dei passi veloci, sorrise. Erano passi ben distinti, uno era quello di un uomo, agile e scattante e l’altro quello di una donna che calzava tacchi alti, il suono dei tacchi sui gradini era chiaro al suo udito.
    Attese solo pochi secondi, poi la porta della balconata di aprì picchiando fragorosamente contro il muro e percepì la sensazione di essere sotto il mirino di armi da fuoco.
    Lui si schiarì la voce roca e, dando le spalle ai due agenti che gli puntavano contro le pistole, fissava il paesaggio illuminato di una Los Angeles notturna e non riusciva far altro che contemplarlo con amorevolezza, lo rilassava talmente tanto che avrebbe potuto restare in quella posizione per lungo tempo. – Sapevo che era tu.
    - Non sei contento? Sono venuta a trovarti. – rispose Alex posando il dito sul grilletto e preparandosi a sparare. Ne era certa: lui stava sorridendo ed il suo era il sorriso del lupo poco prima di chiudere le sue fauci affamate sul coniglio in trappola.
    - Com’è stato il tuo viaggio all’inferno?
    - Caldo. Preferisco i paesi freddi, dovresti saperlo bene, Doyle.
    Piano si voltò mostrando il suo viso sbarbato ed i suoi capelli grigi e fece qualche passo verso di lei. – Si, un uccellino me l’aveva detto. Forse me ne sono solo dimenticato.
    Lei rise. – Davvero? Il grande Ian Doyle che dimentica qualcosa? Dove sei stato tutto questo tempo?
    - A cercarti negli inferi. Sapevo che una piccola ferita non ti avrebbe uccisa.
    In quell’istante esistevano solo loro due, la presenza di Clyde era quasi irrilevante per entrambi anche se sentivano il suo corpo fremere dall’eccitazione di eliminare senza scrupoli il trafficante.
    In quel momento tutto il mondo parve andare a rallentatore. Ogni secondo sembrava un minuto interminabile. Lei lo guardò avvicinarsi, come se fosse il mostro partorito da un incubo, come se l’atmosfera fosse diventata talmente densa da potersi tagliare con un coltello.
    Accadde tutto in così poco tempo che quasi nessuno se ne accorse: lui che estrasse la pistola puntandola contro Alex, Clyde che prendeva il secondo revolver tirandolo fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni ed il team della BAU che correva verso di loro armati fino ai denti.
    - Andate via!! – gridò Alex e fece qualche passo verso la loro direzione posizionandosi davanti per proteggerli. – Fuggite!
    - Emily! – gridò Hotch estraendo la sua pistola e mirando a Valhalla.
    - Ecco in arrivo la cavalleria. Ma che carini. Il team BAU che corre in soccorso di una puttana. non sono adorabili, agente Easter?
    Clyde non rispose, guardò con la coda dell’occhio il team, ma rimase in silenzio.
    - Doyle! – urlò Derek ringhiando dalla rabbia. Non sarebbe riuscito a lungo a trattenere la rabbia.
    - Allora, Emily o forse dovrei chiamarti in qualche altro modo? Sai, appena ho letto l’annuncio sul Times ho creduto che fosse stato scritto dai tuoi amici dell’FBI, ma poi mi sono detto ‘ Ma com’è possibile che conoscano questo trucchetto? Lei è morta prima di poterlo rivelare’. – sogghignò arcigno – Ed ecco che mi sono risposto da solo: tu non era morta. – posò il dito sul grilletto.
    - Hai visto che brava? Sono tornata dal regno dei morti apposta per te.
    - Credevi di fregarmi? Ci sei riuscita una volta, ma non ci riuscirai per la seconda.
    - Se non sbaglio, invece, ti ho battuto anche questa volta. Sbaglio o sei arrivato in ritardo?
    - Vero. Hai ragione, ma dimmi se non è vero: chi è riuscito ad eliminare uno di voi?
    - Brutto schifoso bastardo! Hai ammazzato Karinna!! – gli urlò Clyde rabbioso.
    Il team guardò l’agente in preda ad un impeto di rabbia e si chiese che cosa stessa dicendo. Probabilmente era accaduto qualcosa a loro sconosciuto, ma nessuno avrebbe saputo fino alla fine di quella drammatica storia.
    - È stato facile ucciderla, era di spalle.
    - Vigliacco!! – ringhiò Alex stringendo più forte la pistola rubata a Derek.
    - Ridammelo. – ordinò ad Alex con freddezza guardandola negli occhi azzurri e sostenendo il suo sguardo.
    - Uccidimi piuttosto.
    Doyle alzò la pistola verso il cielo e sparò un colpo a vuoto. – Ridammelo!
    - Non mi hai spaventato tre mesi fa quando mi hai rapita; se questo era il tuo intento, non ci sei riuscito nemmeno ora!
    - Puttana! Dov’è Declan! Dov’è mio figlio!! Lo so che è con te!! Ridammelo!!
    - Mai!
    Scoppiò in una risata – Ora so che è con te. Lo cercherò, lo cercherò in lungo ed in largo e lo troverò, stanne certa!
    Alex corrugò la fronte davanti a quello che parve un saluto per sceneggiato. In lontananza il suono delle eliche di un elicottero che giravano si fece sempre più intenso e veloce. Alex alzò lo sguardo verso il cielo illuminato solo da stelle orfane di una luna spettrale e vide un punto grigio con due fari accesi farsi sempre più grande e vicino.
    Riconoscendolo come un elicottero armato, indietreggiò indicando l’oggetto in avvicinamento che si apprestava a sparare, dopodichè si voltò prendendo per un braccio Derek e trascinò tutti quanti in direzione delle scale. L’elicottero si avvicinò alla balconata e cominciò a far fuoco con colpi di mitragliatore.
    - Giù!!! – strillò portandosi le mani alle orecchie e nascondendosi con gli altri dietro al muro che cingevano le scalinate. Gli spari erano sempre più intensi. Clyde si sporse verso l’uomo che sparava e premette il grilletto ferendolo alla spalla destra.
    Ronnie si coprì la testa al fianco di Derek, Hotch coprì con una mano la testa di Reid e Dave, paternamente, si affiancò ad Emily proteggendola col suo corpo. Gliel’avevano sottratta una volta, non sarebbe capitata una seconda.
    Il suono continuo delle pallottole sparate diminuì, ma non cessò completamente. Con la coda dell’occhio Alex vide Ian Doyle salire sull’elicottero e volare via assieme ad altri uomini. Si mise in piedi divincolandosi da Rossi ed uscì dal nascondiglio – Bastardo! – urlò sparandogli contro ma, ormai, era troppo lontano per poterlo colpire. Buttò con uno scatto d’ira la pistola. Clyde mise la sicura alla pistola e le si avvicinò posandole una mano sulla spalla.
    - L’ha uccisa! – gridò lei fuori di sé e tutti poterono udirla – L’ha uccisa sparandole alle spalle!!
    - Lo troveremo.
    - Deve morire!! – urlò, poi fece un respiro profondo cercando di trovare un po’ di calma dentro di se.
    Ronnie si diresse verso di loro con passo veloce e deciso. Arrabbiata e delusa guardò Emily.
    Fu un secondo, un secondo e basta ma bastò a Ronnie per prendere coraggio, alzare il braccio destro e tirare uno schiaffo alla cara amica. – Tu… - iniziò disperata – Tu… eri morta! Morta! Ti rendi conto di quanto ci hai fatto soffrire?? Come hai potuto?!?!?
    Emily rimase immobile posando una mano sulla guancia arrossata, socchiuse gli occhi e corrugò la fronte: non poteva dire nulla, aveva ragione.
    Gli occhi di Ronnie si bagnarono di lacrime – Perché non ci hai detto la verità?? Perché? Non ti sei fidata di noi, non hai pensato ai nostri sentimenti, a quanto noi potremmo aver sofferto!! Ti piaceva quando te lo scopavi, almeno lui non ha tradito nessuno, invece tu ci hai preso gusto a essere una bugiarda e a deludere chi ti sta intorno. Preferivo tu fossi morta!! Ti odio!! – finì voltandosi ed andandosene della balconata nascondendo il viso dalla vista dei suoi colleghi.
    Reid fu l’unico ad avvicinarsi a lei e fare quello che nessuno era riuscito a fare sino a quel momento. Non importava quello schiaffo, era dettato dalla rabbia e dalla tensione accumulata, Reid sapeva che questo significava che l’incubo era finito e che Garcia aveva ragione.
    Le si avvicinò guardandola negli occhi, dopodichè le sorrise mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia – Emily – mormorò e subito l’abbracciò con tutta la forza che aveva in corpo.
    Alex non poté far altro che lasciarsi andare all’abbraccio e, con grande stupore generale, scoppiò in lacrime stringendosi forte a Spencer.
    Le lacrime le solcavano sul viso e la nostalgia che fino ad allora aveva provato erano diventati insostenibili. Liberò finalmente la sua angoscia – Mi dispiace, mi dispiace… - pianse lacrime di gioia stringendo quel ragazzo fra le braccia. Dopo mesi era finalmente riuscita a rivedere i loro visi.
    - Ssth, Ciò che importa è che tu sia qui. Il resto non conta.
     
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  11. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 39

    00.00 p.m., 1 luglio 2011
    Auditorium, Los Angeles, California




    Aveva appena ripreso a piovere e le stelle nel cielo erano scomparse in pochi secondi dietro ad un mantello di nubi scure che lasciavano intravedere, ogni tanto, lampi chiari che guizzavano qua e là.
    L’ambulanza stava caricando la barella dove giaceva il corpo di Karinna ed Alex e Clyde assistevano in disparte alla scena sotto la tettoia dell’entrata dell’auditorium lontano dagli agenti della CIA che parlottavano sottovoce dell’accaduto increduli di quanto era capitato alla loro collega. La SWAT era intervenuta sotto l’ordine della CIA che aveva preso il comando in pochi secondo ed aveva fatto sgomberare la sala del galà evacuando i civili.
    Dopo l’abbraccio familiare che Reid le aveva donato, Emily ed il team si erano completamene persi di vista a causa della confusione provocata dall’intervento della squadre speciali arrivate per controllare che non ci fossero pericoli in agguato. Si erano ritrovati nuovamente sotto la tettoia, lontani diversi metri ad osservarsi a vicenda.
    - Emily… - Aaron la chiamò con un’esile voce avvicinandosi a lei sotto lo sguardo attonito del gruppo e quello arrabbiato di Derek. Garcia, che nel frattempo era stata richiamata sul campo saltellava allegra come una cavalletta piangendo di gioia per la sua amica ritrovata. – Posso chiamarti ancora così?
    Lei annuì con un triste sorriso nel ricordo della sua vecchia se stessa, ma Clyde s’intromise piuttosto arcino e puntiglioso. – Per adesso è soltanto Alexandra Coburn, Agente Hotchner. – dopodichè estrasse il cellulare dalla tasca della giacca che stava trillando all’impazzata e rispose – Generale! – si allontanò velocemente verso l’entrata dell’auditorium lasciando soli Aaron ed Alex.
    - Sono felice di rivederti… Alex… - le disse dopo qualche secondo di silenzio in cui si era messo ad ascoltare la pioggia battere sulla tettoia.
    Lei continuò a fissare l’ambulanza che percorreva il vialetto a sirene spente, non c’era più nessuna fretta oramai. – Hai visto il corpo coperto da quel telo bianco? Era della CIA – continuò senza dargli tempo di rispondere. – Era una dei nostri. Era un’agente segreto come me e Clyde. È stata uccisa a sangue freddo in un istante da Doyle, non le ha dato nemmeno il tempo di dare addio come con Tsia e Sean. Per cui no, non sono felice di rivederti, Aaron.
    - Emily…
    - Dovete tornare a Washington. Domani stesso. – disse fredda con un distacco che poteva essere tangibile.
    - Dobbiamo chiudere il caso – insistette: non l’avrebbe lasciata sola un’altra volta.
    - Il caso te lo chiudo io in un istante se stai ad ascoltarmi.
    - Il caso non lo chiude nessuno – s’intromise nuovamente Clyde tornando accanto ad Alex e muovendo il cellulare dinanzi al volto della donna. – Agente Hotchner, - lo guardò – avvisi il suo team e preparate le auto, riunione d’emergenza al castello – terminò riportando lo sguardo su Alex.
    - Castello? – Aaron parve sorpreso, quasi basito dalla notizia.
    - La nostra base. – spiegò brevemente Emily – Cos’è successo?
    - Il Generale Backman è furibondo, vuole anche il team della BAU in riunione, il loro capo dipartimento verrà avvisato immediatamente.
    - Come mai?
    Scosse il capo. – Top secret per ora.
    - Con James?
    - È in ospedale col colonnello Rockly, devono occuparsi dell’improvviso decesso di Karinna.
    Hotch passò lentamente lo guardo da uno all’altro non riuscendo a comprender bene quello che stavano dicendo ma, certamente, avrebbe avuto un riscontro negativo sulla sua squadra.
    - Loro non centrano nulla! – esplose ad un tratto la ragazza.
    - Il Generale vuole la loro collaborazione.
    Emily sbiancò. – Non può farlo!
    - Alex, lo so! Ma p un ordine. – l’interruppe – Vi aspettiamo all’uscita nord del parcheggio. Abbiamo una coupé rossa. Prese Alex per il braccio e la trascinò con sé sotto la pioggia battente.
    Hotch la guardò allontanarsi sotto l’acqua, poi si voltò e raggiunse il suo team che aveva continuato a fissarli senza sosta – Dobbiamo seguirli.
    - Perché? – chiese rabbiosa Ronnie.
    - Io non seguo proprio nessuno. Chi ci dice che questo non è un’altra balla, Hotch? – rispose sprezzante Derek – Non mi pare di esser stato un buon supervisore mentendo al tuo team.
    - Non è questo il momento per mettersi a discutere!
    - Calma bambolini, l’importante è che Em sia viva, no? – intervenne sprezzante di gioia Garcia con un sorriso dipinto sul volto a ventiquattro carati.
    - Penelope, per favore. Ci hanno mentito! – continuò Derek – Non ho intenzione di fidarmi ulteriormente di quest’uomo che sosteneva di essere nostro amico!
    - Adesso basta. – Rossi aveva sentito già troppe assurdità – Capisco come vi sentiate, traditi, offesi, umiliati, presi in giro… io mi sento così. Ma se Hotch ed Emily hanno ritenuto opportuno tenerci all’oscuro, è stato per il nostro bene.
    - Non me ne frega un cazzo! Io non vi seguirò!
    - Lei mi seguirà, agente Leane! È un ordine!! – rispose secco Aaron prendendo le chiavi della macchina – Cercate di comprendere quanto è successo ed il motivo per il quale è stata organizzata una cosa simile!! Esigo che la smettiate con queste scenate, siete in servizio! Ricordatevelo.
    Nessuno osò replicare, nemmeno Ronnie che si sentiva presa in causa più di chiunque altro. Vedere il volto finalmente felice di Garcia e quello sereno di Reid la aiutava soltanto a provare più rabbia; o forse non era rabbia? Si sentiva tradita dalla sua amica, umiliata dalla sorella che non aveva mai avuto e tutto questo la distruggeva intimamente.
    Mezzora più tardi, le due auto sfrecciavano sotto l’acqua battente per le strade deserte di Los Angeles.
    Clyde guardò nello specchietto retrovisore per assicurarsi che gli agenti dell’FBI lo seguissero e premette l’acceleratore.
    - Rallenta. Sei a 120 all’ora. Qui il limite è di 90.
    - Non fare la rompi palle.
    - Non faccio la rompi palle, ma se ci arriva la multa a casa oltre alla Backman incazzata avrai anche me!!
    - Perché? Non sei già incazzata?
    All’alba delle 00.30, Clyde parcheggiò nel vialetto dell’abitazione ed Alex scese di corsa dalla vettura bagnandosi completamente e si precipitò ad aprire la porta di casa. Il SUV guidato da Aaron Hotchner fece lo stesso.
    Quando tutti furono in casa, Clyde serrò la porta a chiave e si sprimacciò gli abiti.
    Mentre Derek ci toglieva la giacca bagnata e la poggiava su una sedia incontrò lo sguardo di Alex. Rimasero ad osservarsi per qualche istante durante il quale tutta la sua rabbia venne meno e sentì una forte voglia di stringerla a sé ed urlarle – Che diavolo credevi di fare da sola? – ma non lo fece. Socchiuse gli occhi e le si avvicinò. – Perché? – ebbe solo la forza di domandarle.
    Lei fece un sorriso malinconico e guardò uno ad uno i membri del team – A tempo debito saprete tutto, ve lo prometto… però.. – fissò Hotch nonostante stesse parlando con tutti quanti – Lui non centra nulla. Non è colpa sua se vi è stata taciuta questa operazione.
    - ALEX!!!! – si sentì strillare dalle scale. Tutti si voltarono e videro un bellissimo ragazzino biondo correre nella loro direzione in maglietta azzurra e pantaloni del pigiama e lanciando le braccia al collo ad Emily – Alex, Alex! Sei tornata! Meno male ero così preoccupato! Larry non voleva dirmi nulla e così mi sono messo a vedere la tv, però poi lui si è addormentate e…
    - Calma calma, 007 in erba! Staccati perché non sei più leggero come una volta! – si lamentò lei che stava rischiando di essere soffocata dal suo abbraccio intensivo. Derek li guardò sorpresi come del resto Dave e Reid, Garcia invece scoppiò a ridere assieme ad Hotch mentre Ronnie rimase impassibile voltando il capo dall’altra parte.
    - Loro chi sono?
    - Sono amici di Alex. – rispose Clyde guardando l’amica negli occhi.
    - Siete amici davvero? – chiese a Derek staccandosi dalla donna ed avvicinandosi all’agente.
    - Si, certo. Mi chiamo Derek e tu?
    Lui sorrise mentre Alex gli scompisciava la chioma bionda sulla testa. – Mi chiamo Nate Hope, piacere!
    - Aspetta un momento!! – Alex fu presa dal panico – Cos’hai detto che sta facendo Larry??
    - Si è addormentato sul divano, perché?
    Clyde e Alex si guardarono e corsero in salotto sotto lo sguardo attonito di tutti, persino quello del ragazzino.
    - Larry!! – sentirono urlare dalla ragazza – Dovevi fare sorveglianza, non dormire!!!!
     
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  12. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 40

    01.00 p.m., 1 luglio 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - L’operazione di questa sera è stata un vero disastro! – urlò il Generale Backman ai due agenti della CIA, in video conferenza, non badando alla presenza del team BAU che era rimasto sconvolto dalla tecnologia sofisticata contenuta in quella base.
    - Siamo desolati, Generale. – incorarono Alex e Clyde abbassando lo sguardo verso il pavimento.
    Derek guardò il comportamento di Emily e gli parve, quasi, di non riconoscerla. Aveva un atteggiamento del tutto differente, più militarizzato di quanto non lo fosse prima.
    - Esigo di conoscere le motivazioni di questo fiasco colossale! Avevamo Valhalla su un piatto d’argento!
    - Abbiamo avuto un contrattempo a causa di una segnalazione di Doyle nei sotterranei… - rispose Emily cercando di tenere fuori dai guai la sua vecchia squadra. – Ci siamo recati nel luogo indicato ed una volta lì, ci siamo separati. Appena abbiamo sentito i colpi di pistola abbiamo inviato il messaggio d’allerta, ma per Karinna – la sua voce si fece tremante e Aaron lo notò immediatamente – … era troppo tardi.
    - L’agente Sanders è caduta con onore per difendere la sua patria. È stato inserito nel database ospedaliero un decesso fittizio, il corpo verrà cremato e non sarà lasciata traccia di Karinna Sanders. Potrà realmente riposare in pace.
    - Si, Generale… - mormorarono tristemente i due agenti.
    - Nessuno reclamerà il corpo, in quanto era già stata data per morta da mesi. Per quanti riguarda l’FBI – cambiò discorso con freddezza sistemandosi la cravatta e sedendosi sulla sedia mentre Garcia fissava quelle apparecchiatura sofisticate con occhio impressionato ed eccitato al tempo stesso. – ho preso contatto con il supervisore capo Erin Strass ed ho ricevuto la conferma in questo istante: avete il consenso di partecipare a questa operazione come informatori. Non parteciperete attivamente in quanto privi di addestramento sul campo. Le vostre capacità deduttive mi hanno affascinato, avete scoperto cose che la CIA aveva creduto cancellate. I miei complimenti, agente Hotchner, per la sua squadra.
    Aaron Hotchner si alzò in piedi – Grazie Generale, faremmo il possibile per aiutare la CIA a catturare Ian Doyle.
    - Bene. Agente Clyde voglio un rapporto dettagliato su quanto accaduto questa sera. Agente Coburn, pretendo il vostro ritorno a Langley entro domani sera.
    - Generale, cosa facciamo di Nate? – domandò restando in piedi dinanzi allo schermo.
    - Declan Jones verrà con voi. Anche gli agenti dell’FBI.
    Fu in quell’istante che Derek capì tutto: aveva finto la sua morte per proteggere quel ragazzo una seconda volta. Una fitta al cuore lo trafisse.
    - Per quanto riguarda la richiesta del ragazzo?
    - Ne parleremo una volta raggiunto Langley. L’aereo verrà a prendervi domani pomeriggio. Passo e chiudo.
    La comunicazione terminò e la tensione che avevano accumulato durante la giornata venne lasciata libera da un sospiro. Alex osservò Clyde che, dal canto suo, non era affatto contento di ritornare a Langley, perché significava riunione generale con i superiori. Cosa che non lo allettava affatto soprattutto dopo il fiasco di quella sera.
    - Toglietemi una curiosità. – li interruppe Reid girovagando incuriosito per la base ed osservando le armi nella vetrina di sicurezza. – Irina Kornikova…
    - Era Karinna. – disse ferma, quasi fredda, Emily. – Gli S.I. che stavate cercando eravamo noi. Gli uomini scomparsi sono stati presi sotto custodia dalla CIA per essere interrogati. Fanno tutti parte dell’organizzazione di Valhalla.
    - Anche i tre uomini prelevato alla convention?
    Clyde annuì. – Al Joint security summit hanno partecipato delegati di tutte le organizzazione terroristiche del mondo, fra di esse c’erano i cinque anziani che comandano la società di traffico di Doyle.
    - Ed anche Ásgarðr, allora…
    - Si, Reid. – annuì Alex – Era uno dei trafficanti nordici di Doyle. L’abbiamo arrestato la sera dell’asta creando un po’ di confusione, purtroppo. Non abbiamo potuto fare altrimenti, dovevamo agire il più presto possibile.
    - Sapevate che noi… - Rossi si sistemò il colletto della camicia.
    Clyde ed Emily annuirono e lei continuò. – Sì, abbiamo degli informatori all’FBI e ci hanno avvisati del vostro arrivo e, chiaramente, a che punto erano le indagini.
    - Chi sono?
    - Non abbiamo il permesso di fare nomi. – rispose Clyde ad Hotch.
    - Dunque tutto questo casino è stato messo in piedi da te. – aggiunse gelida Ronnie guardando la vecchia amica con cattiveria.
    Emily stava per dirle qualcosa, ma si limitò ad annuire.
    - Bene. Vado a dormire sul divano. Ho sonno e sono stanca. Saluti. – disse la ragazza salendo le scale per recarsi nel salotto.
    Emily rimase scoraggiata da quando era accaduto, anche quella volta non era riuscita a parlarle. Sospirò tristemente guardandosi le mani dalle unghie smaltate di bianco e, non appena Derek le fu a fianco, iniziò ad attorcigliare nervosamente una ciocca di capelli attorno all’indice.
    - Lasciala stare, è arrabbiata… come noi del resto, ma le passerà. – le sorrise. - Adesso hai tempo? – le disse cercando di appare meno arrabbiato di prima, d'altronde, anche se lei non aveva ancora spiegato nulla a nessuno, lui avevano compreso perfettamente il motivo di quel comportamento.
    Emily alzò lo sguardo incontrando quello di Dave che la fissava come se fosse la sua bambina ritrovata dopo tanto tempo. Garcia continuava a saltellarle intorno avvolta dalla sua camicia bianca e la gonna nera, Alex non era affatto abitata a vederla vestita in quel modo e quando l’abbracciò le sembro di ritornare fra il caldo tepore di casa, nell’open spaces.
    - Oh, Em… sono così felice che tu sia qui. Lo sapevo, lo sapevo…
    - Lo sapevi? – la guardò perplessa, ma poi si ricordò che lei era il genietto del pc, a lei non sfuggiva nulla.
    Alzò il viso verso Derek che parve più rasserenato – Mi dispiace per … prima… stai bene?
    - Ah, chiaramente senza rimorsi, Rossi! – aggiunse Clyde.
    Subito Dave e Derek scoppiarono finalmente a ridere e Morgan le si avvicinò e la prese fra le braccia – No, idiota. Sei un’idiota! Sei una grande idiota, Emily!! – la strinse così forte da toglierle il respiro, ma lei non disse nulla. Lo lasciò fare, infondo era quello che desiderava da mesi.
    - L’ho fatto per liberarvi dal pericolo, Morgan. Mi dispiace! Non potevo lasciarvi alle prese con Doyle, è troppo pericoloso per poterlo battere senza abbassarsi al suo livello e voi siete troppo buoni per poterlo fare!! – strillò scoppiando a piangere.
    - Adesso siamo qui e non ce ne andremo – disse Aaron avvicinandosi ed accarezzandole i capelli. Tutti sapevano quello che c’era tra di loro ed adesso non c’era più bisogno di nasconderlo. – Adesso lotteremo tutti assieme e tu non sarai più sola, Emily o Alex, come vuoi essere chiamata.
    Scosse il capo asciugandosi le lacrime restando fra le braccia forte di un Derek commosso – Per voi… sono sempre Emily, Aaron. Sempre. Potrò avere cento nomi, ma per voi sono solo me stessa.
    - Oh, mi fate venire le carie ragazzi, vado di sopra a telefonate al mio dentista. Spero non mi uccida data l’ora. – e sparì dalla circolazione dando una pacca sulla spalla a Dave in segno di remissione.
     
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  13. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 41

    08.30 p.m., 1 luglio 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - Allora, ci devi spiegare ancora tutto Emily, non ci scappi. – rise Garcia che già alle otto e mezza saltellava felice e piena di vita attorno ad Alex.
    Tutto il team, tranne Ronnie che giaceva ancora addormentata sul divano, Nate che dormiva nella sua camera e Clyde che al momento era svanito dalla circolazione, si era riunito nella cucina della casa, una grande stanza dove padroneggiava un lungo tavolo di marmo scuro.
    - Non riesco a pensare a un riassunto tanto breve da non avere bisogno di un caffé.
    - Se vuoi ti preparo il mio nuovo caffé al ginseng! – propose Garcia avvicinandosi ai fornelli e tirando fuori dalla borsa una confezione di moka che tutti, stupefatti, si domandarono dove l’avesse presa.
    - Evitiamo, Alex ha già complicazioni con il cappuccino normale – la schernì Clyde comparendo all’improvviso nella stanza e sedendosi accanto a Dave. Ultimamente stavano spesso assieme e la cosa cominciava ad insospettire Emily.
    - Che cosa avete da confabulare voi due?
    - Confabulare? Nulla, Alex, assolutamente nulla. – ed entrambi scoppiarono a ridere.
    Scosse la testa e lasciò perdere. Lei e Clyde erano in disaccordo su talmente tante cose che avrebbero potuto scrivere un volume intero. L’aroma del caffé invase la cucina non appena si udì il borbottio della caffettiera. Sarebbe stata una bella cucina se mai avesse ospitato qualcuno. Era arredata con mobili di legno scuro in contrasto con le pareti dipinte di chiaro.
    Aaron sedeva in mezzo a Reid e Derek e Garcia continuava a restare incollata ad Emily quasi avesse paura di perderla di visita un’altra volta. La sera precedente, quando si era recata nella sua stanza per cambiarsi, Penelope aveva avuto una crisi di nervi ed aveva iniziato a correre per la casa alla sua ricerca.
    Alex recuperò alcune tazzine dalla credenza e le posò sul vassoi, prese poi la tazza da tè di Clyde e la posò danti a lui. Era un tazza piuttosto grossa e blu con scritto: SCOCCIARMI PRIMA DI AVER BEVUTO IL CAFFÉ PUÒ NUOCERE GRAVEMENTE ALLA VOSTRA SALUTE. Gliel’aveva regalata Alex per il suo compleanno di dieci anni prima, ma non poteva usarla in ufficio perché tutti sostenevano che spaventasse i cadetti.
    - Allora – iniziò servendo il caffé ai ragazzi – Dell’intervento non ricordo nulla, so che quando mi sono svegliata nella stanza accanto a me c’era il Generale Backman. Era stato il mio supervisore durante il periodo nella JTF-12 e mi propose di lavora in incognito per trovare Doyle. – versò il liquido nero nella tazza di Clyde che le sorrise sornione. – Ho accetto senza pensarci. Sapevo che sarebbe tornato da voi e non potevo permettere che accedesse. Come ho già detto non vi abbasserete mai al suo livello per eliminarlo, io si.
    - Hai sbagliato…
    - Per oggi eviterei le prediche, Derek. – si accomodò sulla sedai, accanto alla finestra.
    Il campanello suonò. Alex fece per andare ad aprire, ma Clyde la fermò – Lascia che ci vada, Larry. Così si sveglia un po’.
    Infatti, pochi istanti dopo, il ragazzo gridò dal corridoio – Vado io! – svegliando la povera Ronnie che dormiva pacifica sul divano.
    - Chi potrebbe essere? Non conosciamo nessuno. – fece notare Alex alzandosi in piedi. Raccolse la browning baby che aveva abbandonato sul mobile della cucina e, tenendola nascosta dietro al fianco, si recò in soggiorno facendo cenno a Clyde di seguirla ed agli altri di restare dov’erano, cosa che non fecero. Clyde l’affiancò – Non state sulla linea di tiro. – protestò a bassa voce al team che si sistemò nel salotto vicino a Ronnie che li guardava arrabbiata e con i capelli scompigliati dopo essere stata svegliata talmente bruscamente.
    Easter si distanziò da Emily. - Non ho la pistola.
    - La Firestar è nella mia giacca. – lo avvertì Derek.
    Aveva il respiro un po’ affannato, ma annuì e andò a prendere l’arma.
    Larry la osservò con sguardo interrogativo ed occhi sgranati, ricevette un suo segno d’assenso e guardò dallo spioncino – È un fattorino che consegna dei fiori.
    - Aprì – ordinò Clyde.
    Facendolo, Larry nascose Alex dalla vista dell’uomo, che parlò a voce troppo bassa perché potessero udirlo. – Dice che devi firmare per avere i fiori – riferì Larry girandosi a guardarla.
    - Chi li manda?
    L’uomo si fece vedere e alzò la voce – Timothy Murphy.
    - Un momento… - quindi si recò alla porta tenendo la browning dietro la gamba in modo che non si vedesse. Quel nome le era famigliare, ma non rientrava nell’elenco dei suoi amici preferiti, bensì fra i cattivi.
    Il fattorino era un ometto magrolino che reggeva un mazzo di lilium violacee, proprio come quelli che, tempo addietro, coglieva in Toscani nella villa di Doyle.
    Larry si scostò dalla soglia per permetterle di avvicinarsi e le permise di vedere meglio il mazzo di fiori. Si fermò e cercò di sorridere – Che carino. Merita una mancia. Aspetti che vado e ritorno in un attimo!
    Il fattorino guardò dentro, notando Clyde che si avvicinava da sinistra e Larry sulla destra. Alex si fece da parte per non stargli davanti e lui la seguì con il mazzo di fiori che gli nascondeva la mano destra.
    Easter aveva la visuale migliore, per cui Alex non poté far altre che domandare: - Clyde?
    Si limitò ad un fievole – Si. - Ad Alex fu sufficiente.
    - Non importa la mancia, sono in ritardo. – riprese l’ometto – Può firmare, così me ne vado?
    - Certo. – rispose.
    Clyde aveva capito, ma Larry la guardava perplessa. Vide Ronnie muoversi dietro le sue spalle da qualche parte. Senza guardarla, Emily si spostò, il fattorino la seguì con la mano nascosta, la stessa con cui brandiva la pistola, come confermato da Clyde.
    Fu Ronnie a risolvere il problema senza troppe cerimonie, si vedeva lontano un miglio quando aveva la luna storta e quello non era un buon giorno per lei. – Getta la pistola o ti stendo in un colpo! – voce risoluta e sicura. Emily pensò che avrebbe avuto un grande futuro nella CIA. Lanciandole un’occhiata, Alex la vide a gambe divaricate, la pistola impugnata a due mani puntata contro l’ometto.
    Clyde gridò – Alex!!
    Lei si girò puntando la browning. Dave e gli altri afferrarono le loro armi, tranne Derek che aveva ceduto la sua a Easter.
    Il fattorino aveva già sollevato la mano ed il mazzo di lilium era precipitato al suolo. Puntava l’arma contro Emily senza curarsi di Ronnie e degli altri compagni armati.
    Larry reagì proprio quando avrebbe dovuto stare alla larga, soprattutto per via della sua inesperienza, dimostrando che la forza e la velocità di un giovane ragazzo non bastavano. Bisognava anche saperle usare.
    Il primo colpo del fattorino si conficcò nel pavimento e quello di Ronnie nella cornice del quadro. Non potendo sparare perché Larry le stava dinanzi, Alex vide la pistola del fattorino che si sollevava verso Ronnie.
    Larry afferrò la pistola di Clyde facendogli andare a vuoto anche il secondo colpo. Poi fu colto da un sussulto e cadde al suolo rantolante. Il secondo colpo di Ronnie prese il fattorino alla spalla. Lui sparò ad Alex mentre si afflosciava sulla soglia e sbagliò. Ma lei no.
    Col sangue gli si allargava sul petto, la fissò a occhi sgranati, quasi perplesso e, nonostante il colpo, cercò di sollevare la pistola prendendo la mira, ma morì prima di poter premere il grilletto.
    Larry rimase sdraiato sanguinante mentre Clyde gli controllava il polso. – È debole. Sta morendo.
    - Che cosa sta succedendo? – chiese Nate scendendo dalle scale ed assistendo alla scena. Subito si deterse il volto ed uscì fuori in giardino, Clyde si alzò e lo seguì, sapeva bene che aveva visto troppo.
    Alex osservò il torace di Larry riempirsi di sangue e gli toccò il polso. – Chiamate un’ambulanza. Presto!
    Fu Derek a raggiungere il telefono per primo e Dave glielo dovette strappare di mano quando iniziò a sentirlo urlare al ricevitore: l’ambulanza non poteva arrivare subito perché c’erano troppe emergenze.
    Ronnie si avvicinò ad Alex piuttosto taciturna, ma prima che avesse il tempo di dire qualcosa, Emily la zittì troneggiando su Ronnie: - Senti, personalmente non me ne frega niente di quello che pensi di me, in questo momento. Và in cucina e prendi una busta di domopac, un nastro adesivo ed un paio di forbici.
    Senza perder tempo sia Garcia che Cameron corsero in cucina a prendere l’occorrente che Emily recuperò prontamente e posò sul pavimento. Non avevano idea di cosa stesse facendo, ma quando Clyde all’entrata, mentre teneva la testa a Nate che vomitava, le avvisò che avevano seguito un corso di primo soccorso, tutto fu più chiaro.
    Emily tagliò velocemente la maglietta con l’aiuto di Morgan e applicò il domopac sul petto di Larry lasciando aperto un piccolo angolo e bloccando il tutto con il nastro adesivo. Garcia, fra le lacrime, non riuscendo a capire il ragionamento che l’amica aveva fatto, chiese: - Perché il buco?
    - L’angolo gli permette di respirare. – spiegò – ma quando c’è l’inspirazione la busta aderisce alla ferita. Si chiama: bendaggio compressivo.
    - Lo terrà in vita fino all’arrivo dell’ambulanza?
    - Lo spero.
     
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  14. Emily†
     
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    Note: Dato che domani non potrò postare lo farò adesso!!
    Baci a tutte!!





    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 42

    08.30 p.m., 1 luglio 2011
    CIA’s private jet, Los Angeles, California




    -Non vorrei interrompere la tua contemplazione del panorama – Clyde la scosse prendendola per una spalla – ma mi chiedo: perché la tua amica Ronnie è ammutolita, Nate è pallido come un cencio e, soprattutto, chi era il tizio morto di questa mattina che ha cercato di ammazzarti? – chiese come una furia avvicinandosi alla donna che sedeva comodamente vicino al suo vecchio team a bordo del jet della CIA che li avrebbe ricondotti a Langley.
    - Non so chi sia – replicò.
    - Neanche io lo conoscevo prima che qualcuno mi prenda in causa – alzò una mano Nate continuando a fissare un punto davanti a lui per evitare di sentirsi male nuovamente.
    - Ehi, 007 in erba, non eri quello che voleva diventare una spia?
    Nate emise un gemito e corse in bagno.
    - È la prima volta che vede qualcuno… morire? – domandò Dave guardando il ragazzo scappar via.
    - Credo che sia stato il polmone perforato di Larry a farlo sentir male. L’importante è che si riprenderanno entrambi. – mormorò Emily posando la testa allo schienale.
    - Credi che sia stato Doyle? – domandò ad un tratto Garcia ad Alex.
    - A fare cosa?
    - A mandare il sicario.
    Alex annuì. – Ovvio. Timothy Murphy è uno dei suoi pseudonimi. Non era un sicario, comunque.
    - Come no? Perché? – intervenne Reid, piuttosto scioccato dall’affermazione.
    - Non era abbastanza bravo per essere un sicario di Doyle.
    - Forse era la prima volta. – ipotizzò Clyde posando un braccio al sedile di Dave.
    - Può anche darsi… in questo caso ha sbagliato mestiere.
    Derek parve piuttosto sconcertato da quelle affermazione, ma rimase in silenzio. In quel momento tornò Nate che, passando accanto a Ronnie, le colpì per sbaglio la gamba. – Scusa. – mormorò.
    - Sta più attento. – rispose fredda come si era abituata a fare nelle ultime ventiquattrore.
    Emily corrugò la fronte e si alzò andando verso di lei. Scostò Nate da un lato e la guardò strappandole gli auricolare dalle orecchie – Senti un po’, se ce l’hai con me dillo e piantala di fare l’offesa! Non prendertela con un ragazzino di sedici anni che non centro nulla!
    Ronnie la guardò per qualche secondo, poi si rimise le cuffie e tornò ad ascoltare la musica. Emily ebbe la voglia di prenderla a sberle, ma Nate la trattenne – Non litigate per colpa mia…
    Lei gli sorrise mentre il cuore di Dave si allargava sempre di più. – Nessuno litiga per causa tua, tranquillo…
    - E invece si… - disse piagnucolando – è causa mi se i tuoi amici ce l’hanno con te. Tu mi hai protetto per tutto questo tempo e per farlo sei stata lontana da loro. È colpa mia se adesso litigate…
    Fu Derek ad alzarsi in piedi e raggiungere il ragazzo. Gli si inchinò davanti e le prese per le braccia – Ascolta, ragazzino. Nessuno qui ce l’ha con Alex. Noi tutti siamo orgogliosi di lei per quello che ha fatto e che sta facendo, non potremmo mai essere arrabbiati con lei. Capito?
    Nate annuì e tornò a sedersi al suo posto. Derek, invece, si mise in piedi e sorrise ad Emily – Capito, bambolina?
    Lei annuì felice. Finalmente si sentiva a casa. – Grazie. – poté soltanto dire.
    Tornarono tutti alle loro postazione, Derek accanto a Garcia ed Emily vicino ad Aaron. Avevano tanto da dirsi e poco tempo per poterlo fare, una volta giunti a Langley avrebbero potuto stare soli almeno per qualche ora ed era quello che entrambi speravano.
    - Com’è andato l’intervento di Larry? – chiese Garcia – cioè il nostro intervento.. no, il tuo intervento l’ha salvato?
    - Certo, è andato bene. È uscito dalla sala operatoria poco prima che noi partissimo. Adesso arriveranno a Los Angeles degli agenti della CIA a prelevarlo e riportarlo nei nostri ospedali a Langley. Ed una volta là ho una sorpresa per voi, per farmi perdonare.
    - A me basta aver avuto finalmente ragione.. sai, ti avevo visto… - Garcia ricordò quel giorno a Santa Monica. – Stavamo prendendo un gelato quando ti ho visto con un ragazzo, è stato lì che ho iniziato a credere alla tua sopravvivenza, Em.
    Lei ricordò molto bene quella giornata – Avevo avuto la sensazione di essere osservata, per questo ho portato via Declan. Era troppo rischioso uscire per lui. Mi dispiace…
    - Smettila di scusarti! – la sgridò Dave.
    - Come hai fatto a capire che ero viva?
    - Nessuno ha visto il tuo corpo. – intervenne Derek. – Garcia andava tutti i giorni al cimitero ed io anche. Mi continuava a ripetere che nessuno, nemmeno tua madre, aveva potuto vedere il tuo corpo e così si è messa in testa che tu eri viva. Non le ho creduto, sono io che dovrei chiedere scusa.
    - Che impressione… - rabbrividì Alex tutto ad un tratto.
    Tutti la guardarono. – Perché?
    - L’idea di avere una tomba col mio nome mi mette i brividi, Hotch. È terrificante, credetemi. – estrasse dalla tasca dei pantaloni due ciondoli. Uno conteneva la loro foto e l’altro era d’oro ed era una targhetta con inciso un nome: Dorotea. Sorrise leggermente.
    - Cosa sono?
    - Questa – mostrò la loro foto – la portavo sempre con me, sai Garcia? E questa – posò l’altra sul tavolino dinanzi a loro – era di Karinna. Stasera verranno celebrati i funerali privati alla CIA. Non riusciremo a partecipare. Era suo.
    - Anche lei.. come te…
    - Si, Reid. Anche lei si è finta morta, ma lei è morta davvero alla fine. – osservò quella collana con tristezza.
    Ricordò qualche giorno prima – Lei aveva paura… aveva paura ed io non le ho creduto…

    - Devo dirti la verità – Karinna abbassò la testa e fissò il pavimento.

    - Dimmi…

    - Dopo questa missione ho deciso di chiedere il congedo, sono stanca di lottare… voglio una vita dove veramente io possa vivere la mia vita e non quella di un’altra persona. Voglio tornare ad essere Dorotea Gigs e ritornare dalla mia famiglia, sposarmi ed avere dei figli. Non voglio più combattere…

    Alex chiuse gli occhi: si aspettava da tempo una confessione simile – Credo che sia un ottimo modo per ricominciare a vivere. Però… prima dobbiamo uccidere Doyle…

    - Allora perché ho così tanta paura di non riuscire a vedere una nuova vita? È come se questa fosse davvero la mia ultima missione. Come se dovessi morire domani.

    - Non possiamo morire, Karinna. Siamo già morte, ricordalo sempre…

    - Eppure… tu non hai paura?


    - A quella domanda avrebbe dovuto rispondere di sì. Ora, però, era troppo tardi. – si rammaricò tornando a fissare il vuoto fuori dal finestrino.
     
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  15. Emily†
     
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    Rating: Giallo




    Capitolo 43

    08.30 p.m., 1 luglio 2011
    Alex’s Apartment, Langley, Virginia




    Il jet atterrò soltanto verso le otto di sera nella deserta vallata dove l’aeroporto della CIA era nascosto da occhi indiscreti. Il team e Nate erano piuttosto stanchi ed essere convocati immediatamente alla presenza del Generale Backman aveva devastato il loro stato fisico ed emotivo. La riunione davanti ai superiori della CIA era ditata due ore nelle quali erano stati esposti i dubbi e le perplessità riscontrate durante la missione a Los Angeles ed erano state assegnate le nuove destinazioni.
    Sarebbero partiti per Boston entro un giorno per recarsi nella villa di Gregory Anderson, vecchio colonnello dell’esercito morto per la patria diciassette anni prima che aveva donato la sua dimora al dipartimento governativo della CIA. Clyde non fu molto felice quando seppe che Nate avrebbe dovuto seguirli nuovamente e, al posto di James, si sarebbe unito alla squadra il team della BAU. Alex non ne fu particolarmente felice, non deliberò positivamente durante la votazione dell’operazione, non voleva che il suo vecchio team si scontrasse con Valhalla, ma non poté opporsi al volere della commissione di superiori. Sarebbero partiti il 2 luglio alle sei e mezza del mattino. Destinazione: Boston. Luogo in cui era cominciato tutto.
    - Non ti vedo felice… - le disse Hotch sedendosi sul letto dell’appartamento di Alex. Gli altri membri del team, assieme a Nate alloggiavano in un residence poco distante.
    - Non lo sono infatti.
    - Perché? Potremmo stare assieme…
    - Sai bene perché, Aaron. È rischioso.
    - Emily devi capire che non siamo sprovveduti come pensi. Sappiamo come affrontarlo, siamo profiler non dimenticarlo.
    Lei sospirò amaramente sedendosi accanto a lui per guardarlo meglio negli occhi.
    Era una camera spaziosa con un letto rotondo che dava su una balconata immensa affacciata su un giardino piuttosto ampio. Tutto era dipinto di colori chiari e, ai muri, alcune stampe di paesaggi erano incorniciate ed appese per dare più luminosità e vivibilità all’ambiente.
    - Lo so…
    - Hai paura, ma non devi averne…
    Lei scosse il capo di scatto. – Non capisco.
    Lui la prese fra le braccia, le sue dita passarono fra i capelli e gli occhi di Emily si posarono su quelli del supervisore. – Non ti lascerò mai più da sola, Emily Prentiss. Perché io ti amo. - Posò le sue labbra sul collo della donna e cominciò a baciarle la pelle che profumava di vaniglia. Sentiva il suo respiro farsi più veloce ed affannato, chiuse gli occhi, poi li riaprì prendendo fra le mani il viso di Aaron e baciandolo sulle labbra morbide. Fu un bacio lungo, delicato e ricco di sentimenti.
    Quando si staccarono lui lo guardò in viso cercando di capire cosa lei provasse e riuscì a leggere nei suoi occhi scuri tutto l’amore che sentiva nei suoi confronti.
    - Anch’io ti amo, Aaron Hotchner.
    La mano di Hotch le accarezzò il viso, per poi scendere verso il collo e si fermò sopra al seno sinistro coperto da un leggera camicetta dove un quadrifoglio marchiato a fuoco risaltava sulla sua pelle chiara. Piano sfiorò il contorno sentendo le pelle leggermente in rilievo poi, con un gesto lento e lieve, si chinò a baciarlo. – Questo tatuaggio non rovinerà la tua bellezza. – le sussurrò all’orecchio. Riprese a baciarla scendendo poco alla volta; fino a che non incontrò la stoffa della camicia che la copriva.
    Lentamente cominciò a sbottonare i bottoni mentre il respiro di Emily si faceva sempre più affannato. Cominciò dall'ultimo bottone e lei arrossì. – Sei bella quando arrossisci… - le sorrise.
    Lei rise. – Che stupido!
    Lui scoppiò in una risata liberatoria e con un gesto veloce iniziò a solleticarle i fianchi facendola sdraiare sul letto. La sentì gridare mentre ridacchiava, era sempre più bella, ogni minuto che passava. Tornò a baciarla delicatamente e senza fretta: quella doveva essere la loro serata.
    Mentre la baciava aprì l’ultimo bottone e le tolse la camicetta facendola cadere a terra e lui si levò la sua. Si misero sotto il lenzuolo e Aaron le fece poggiare delicatamente la testa sul cuscino – Non voglio che ti faccia male il collo.
    - Come siamo premurosi…
    - Sempre… - e riprese a baciarla con più foga di prima cingendole i fianchi e massaggiandole la pelle delicata e liscia. Lei posò le mani sulla sua schiena nuda sentendo il tepore della sua pelle sopra le sue mani fredde. Restarono assieme per tutta la notte, uniti come due amanti che si erano persi e ritrovati. si unirono in un abbraccio profondo senza mai avere paura di ferirsi l’un l’altro, la paura, la tensione di quei mesi erano scomparsi come polvere al vento; tutto attorno a loro era silenzioso e potevano udire solo i loro respiri.
    Si addormentarono ad ora tarda, lui cinse le spalle di lei senza più permetterle di allontanarsi e, ai primi raggi di luce, quando lui riaprì gli occhi la ritrovò ancora fra le sue braccia: una sensazione di gioia immensa gli allargò il cuore.
    - Hai ancora tanti segreti? Quello della spia era l’ultimo?
    Lei mugugnò un: - Che segreto?
    - Non so, qualcosa che non mi hai mai detto e che mi hai tenuto nascosto… voglio sapere tutto di te…
    - Mi pare di no… tranne…
    - Tranne?
    - Il mio secondo nome, ma è orribile e preferirei andare all’anagrafe a depennarlo piuttosto che dirtelo. – si accoccolò ad occhi chiusa fra le sue braccia sprofondando la testa nell’incavo della sua spalla.
    - Nemmeno se prometto di non dirlo a nessuno? Dopotutto, me lo devi…
    - Oh, e va bene. Jane, il mio secondo nome è Jane. Ma ti avviso: se provi soltanto a chiamarmi così te ne farò pentire!
    Lui rise. – Stai tranquilla, è un nome bellissimo. – la baciò le guance – Come mai questa scelta?
    - Mamma, fin da giovane, è sempre rimasta affascinata della composizioni delle sorelle Brontë, per mia disgrazia, il giorno in cui sono nata, aveva appena terminato di leggere Cime tempestose e così, fra i dolori del parto che, personalmente, le hanno dato alla testa, ha avuto la geniale idea di chiamarmi Jane come secondo nome.
    - Ma allora Emily…
    - Si, si! – lo accontentò – Emily Jane Brontë. Prendo il nome proprio da lei.
    - Ma allora hai un nome famoso! – rise Hotch.
    - Ecco! Lo sapevo che avresti riso! – si mise a sedere coprendosi il seno col lenzuolo bianco – Giuro che se lo dici a Derek ti accoltello e sono piuttosto brava con le lame, chiedi in giro! – braccia conserte e viso collerico.
    - Tranquilla amore mio – la prese per la vita e la riportò fra le tue braccia – Amo immensamente il tuo nome, ti dona moltissimo ma, ancora di più, amo te stessa.





    Emily Jane Brontë ha detto:

    ‘Non gli dirò quanto lo amo, e non perché sia attraente,
    ma perché è per me più di quanto lo sia io stessa.



     
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