Ritorno Alla Vita

Emily†

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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 44

    2 luglio 2011
    Directorate of CIA, Langley, Virginia




    - Soltanto una volta. – tono deciso, Alex sedeva composta e vestita con un tailleur nero al tavolo degli interrogatori davanti ad Ásgarðr, ammanettato e vestito con una tuta arancione. – Ti farò questa domanda ancora un’altra volta, una sola: dov’è la base di Valhalla?
    Lui sorrise arcigno rivedendo la donna che l’aveva fatto arrestare. Aveva un livido violaceo ed un taglio al labbro inferiore: gli agenti della CIA non avevano mezze misure con chi non collaborava. Posava le mani imprigionare dalle manette sul tavolo di metallo grigio.
    - Ti ricordo che rischi l’ergastolo nelle celle di massima sicurezza della CIA, non sarà una permanenza molto confortante e tranquilla. Ti conviene aiutarci.
    Rise nuovamente. – Perché me lo chiedi tu? Sei una bastarda come tutti gli altri.
    - Perché potremmo scendere a patti.
    - Sarebbe?
    - Tu ci aiuti a trovare Doyle e non metteremo una buona parola sul tuo conto. Forse potremmo farti entrare in un programma di protezione se inizi a parlare e dirci tutto.
    - Forse non voglio scendere a compromessi con voi.
    - Come preferisci. – riprese i documenti che aveva sparso sul tavolo con le prove della sua colpevolezza e si alzò in piedi strisciando la sedia metallica dietro di lei ma, mentre lo faceva, lui la fermò.
    - Aspetta.
    Lei lo guardò con la coda dell’occhio lanciando poi uno sguardo alla vetrata accanto a lei dove Clyde li stava osservando assieme al team. Si mise a sedere nuovamente.
    - Va bene, ma voglio che non mi interroghino i gorilla della CIA. Ho la pelle delicata io. – rispose esponendo la sua vanità. Era rinomato il suo egocentrismo.
    - Basta che parli con me. Non ti verrà fatto alcun male. – lo assicurò guardandolo negli occhi chiari.
    Lui non disse nulla e continuò a fissarla.
    - Dov’è la base di Valhalla.
    - Non lo so.
    - Ásgarðr non andiamo bene così. – scosse il capo. – Dove si nasconde il tuo capo? Eh? – alzò la voce apparendo piuttosto incollerita. – Sono stanca di giocare, vuoi vedere come riduciamo le tue visite da una al mese a zero! E sai bene di che visite mi riferisco!
    - Lasciate stare mia sorella!
    - Nessuno toccherà tua sorella, ma possiamo impedire di fartela vedere per i prossimi ventanni! – iniziò Alex a ricattarlo dopo aver visto che l’accordo di prima non era servito a nulla. Sapevano bene, sia lei che Clyde, che Ásgarðr conosceva bene tutte le basi di Ian Doyle. Forse non vi era mai stato, ma erano certi che sapesse qualcosa.
    Dall’altra parte dello specchio Clyde incrociava le braccia osservando la scena. Si dondolava da un piede all’altro attendendo finalmente una risposta dal trafficante che, però, non avvenne tanto facilmente.
    Hotch era in piedi dinanzi a lui mentre gli altri sedevano dietro di loro assistendo al colloqui.
    Dov’è Valhalla? – gli urlò irritata alzandosi in piedi e picchiando le mani sul tavolo in metallo.
    - Non so dove sia, lo giuro! So che ha una base a Los Angeles, un albergo o un residence dove alloggia spesso. Paga in contanti e non so che nome utilizzi.
    - Abbiamo già mandato qualcuno a perquisire quella zona e lui, guarda un po’, se n’era appena andato! Parla Ásgarðr, non farmi perdere la pazienza!
    - Boston! Boston! Ha una base anche a Boston!
    - Dove?!
    - Non lo so!!
    - Tua sorella…
    - Ok, ok. L’unica cosa che so è che ha una base vicino al fiume Mystic, non so dove di preciso è tutto quello che so te lo giuro! – piagnucolò come un bambino.
    - Non sei poi tanto tremendo come vorrei far credere. Sei uno stupido ometto che ama uccidere e trafficare in armi. Non sai niente di come funziona la vita. Tua sorella farebbe bene a starti lontano piuttosto che venire a portarti il suo sostegno.
    - Potrò rivederla?
    Lei non rispose, prese nuovamente le carte ed uscì abbandonando Ásgarðr nella stanzetta attigua dove due agenti in divisa della CIA entrarono per fare la guardia.
    - Sentito? – chiese a Clyde buttando sul tavolo davanti a Ronnie i fogli. Lei li guardò, poi distolse lo sguardo, non voleva sapere nulla di tutta quella storia, era ancora piuttosto arrabbiata con Emily per poter dare una mano con lucidità.
    Easter ed Hotch annuirono. – Sul Mystic c’è il porto di Boston. Se ha qualche aggancio al porto è a cavallo con il traffico. – disse Aaron guardando la sua donna negli occhi.
    - Preparatevi. Partiamo stasera per Boston. – disse verso i suoi amico, poi posò lo sguardo su Clyde – Andiamo dal Generale. Dobbiamo aggiornarla.
    - Ci deve anche dire dove dobbiamo metter Nate, non me lo voglio portare dietro anche questa volta. È una palla al piede.
    - È solo un ragazzino, Clyde. Lo sei stato anche tu.
    - Non così stupido.
    - Ha perso tutto ciò che aveva. Abbi pazienza, vuole solo distrarsi per non pensare…

     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 45

    00.00 a.m., 4 luglio 2011
    CIA’s private jet, Boston, Massachusetts




    Il jet che li stava conducendo a Boston era diverso dal precedente. Sembrava un uomo munito pinne. Ronnie sedeva sul sedile reclinabile e girevole con le unghie conficcate nel bracciolo per la tensione. Emily era girata con le spalle al finestrino, non aveva buoni ricordi di Boston, l’ultima volta era stata rapita e quasi uccisa da Valhalla e la voglia di rivivere quell’esperienza era del tutto priva di esistenza.
    Nate si lasciò cadere sul sedile accanto al suo e rise del piccolo strillo strappato a Ronnie dal suo improvviso passaggio accanto a lei. – Non riesco a credere che tu abbia tanta paura di volare, Ronnie. Eppure con la BAU voli ogni giorno! – le disse Emily mentre Nate si divertiva a girare sulla poltrona come un bimbo nell’ufficio di papà. Dopo qualche istante, data che la risposta di Ronnie non arrivava e il team le aveva puntato gli occhi addosso, Nate saltò giù dal sedile per inginocchiarsi davanti a lei. – Andiamo Ronnie! Perché sei così preoccupata?
    - Lasciamo in pace. – mormorò lei mentre Derek corrugava la fronte: stava esagerando con la rabbia.
    Nate non ci fece caso e balzò in piedi con un’agilità magica – Siamo perfettamente al sicuro! – cominciò a saltellare su e giù.
    - Nate! – gridò lei all’esasperazione.
    Clyde comparve accanto ad Alex. – Richiama 007 o rischia di trovarsi con un occhio nero.
    - Vieni qui, Nate. – lo richiamò Alex picchiando il sedile vuoto accanto a lei per dirgli di sedersi tranquillo. Lui obbedì con un bravo segugio e si zittì – Bravo. Ecco. Vedi che quando vuoi sai essere ubbidiente?
    Rossi fece un risolino mentre Reid aveva appena vinto la partita a poker con Derek. Quest’ultimo, ormai senza speranze di vittoria contro il ragazzino, si mise in piedi e, stando attento alle turbolenze, si avvicinò al sedile di Ronnie lontano circa due metri dal team e le si sedette accanto togliendole le cuffie dalle orecchie con uno scatto veloce del braccio.
    - Che cosa vuoi?
    - Ehi, che caratterino. Ma si può sapere che cosa ti prende, Ronnie? – chiese alzando le mani e mostrandosi in posizione di difesa.
    - Sono fatti miei.
    - No, sono anche nostri perché è da giorni che oramai non ti si può rivolgere la parola! Vedi di darti una regolata. – esclamò indispettito e piuttosto alterato. Era da giorni che non la si poteva nemmeno guardare che rispondeva male e si girava dall’altra parte per non rispondere e la cosa stava diventato insostenibile. Immaginava il motivo per cui Ronnie potesse essere arrabbiata e distante dal team, ma l’esagerazione stava distruggendo i limite della convivenza.
    - Allora non rivolgermi la parola.
    - Sentimi bene, Leane. Non sei l’unica ad essere arrabbiata. Non sei l’unica che è stata presa in giro, a cui hanno mentito per mesi. Chiaro? Anche io mi sento furente, ma non è questo il momento adatto per creare scompiglio! – la prese per un braccio stringendola con forza. Lei lo fulminò con lo sguardo staccandosi di colpi ed alzandosi in piedi dirigendosi verso la toilette. Derek, ancora più seccato da quella scenata infantile, la seguì sotto gli occhi sorpresi ed agghiacciati dei compagni. La bloccò prima che potesse chiudere la porta del bagno e la guardò negli occhi. – So bene che ce l’hai con Emily.
    - Che cosa te ne frega?
    - Me ne frega perché così la fai soffrire inutilmente e soffri di conseguenza anche tu! Non capisci che stai distruggendo un’amicizia meravigliosa? E per cosa? Per una bugia?
    - Ah sì? E tu la definiresti una semplice bugia?? Morgan – fece un passo verso di lui e posò le mani sui fianchi isterica – si è finta morta!! Morta! Capisci! – strillò con tutta se stessa. Lo guardò come per cercare conferme di quello che stava per dire - Derek, ti rendi conto? Ci ha preso in giro, ci ha tradito, ha tradito la sua unica famiglia... ha calpestato la nostra fiducia e amicizia!
    Dall’altra parte, nell’abitacolo tutti stavano ascoltando quella litigata, ma nessuno ebbe il coraggio di intervenire. Nemmeno Alex che rimase con il viso spento dalla sua solita luce allegra che aveva appena ritrovato e guardava il pavimento imbarazzata.
    - Smettila di urlare! – la interruppe Derek –Non ho voglia di compromettere il mio udito per i tuoi isterismi, vedi di comportarti da adulta prima di pentirtene e cerca di capire che l’ha fatto solo per proteggerci!
    - Non m'interessa! L'ha fatto e basta! Si è dimenticata di noi! Ha preferito combattere con loro che con noi.. -gli occhi si gonfiarono di lacrime e di rabbia verso quella che aveva sempre considerato la sua migliore amica. - Ci ha fatto soffrire mentre lei era a divertirsi a Santa Monica con quelli della CIA, ci ha ucciso lentamente mentre lei si costruiva un altra falsa vita come Alexandra Coburn, è una cosa che fa schifo. Mi disgusta! - Derek le era già andato incontro quando le lacrime presero a scendere nelle guance.
    - Per noi dovrà sempre essere Emily, non dimenticarla tu adesso.
    - Vedi di farti gli affari tuoi prima di pentirtene tu, Derek Morgan. Nessuno ti ha chiesto nulla, quindi lasciami in pace e vattene! – gli rispose asciugandosi le lacrime ed accorgendosi di stare parlando troppo.
    Lui non l’ascoltò e prima che potesse sbattergli la porta in faccia la prese fra le braccia e l’abbracciò teneramente – Smettila… fidatiti di me… smettila di tenere il broncio… anche io ero arrabbiato, ma ho capito che non dovevo… lei è viva, è viva ed è qui con noi…
    Lei rimase immobile assaporando il tepore delle sue braccia e ricordando i dolci ed allegri momenti trascorsi in loro compagnia, poi si riscosse, si divincolò dalla sua braccia e chiuse la porta del bagno davanti al suo viso.
    Lui sospirò ritornando a piccoli passi dal team che fece finta di nulla – Tranquilla, si calmerà… - si rivolse ad una Emily sconsolata ed afflitta. Annuì senza troppo entusiasmo, infondo non aveva tutti i torti ad avercela con lei.
     
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    Capitolo 46

    4 luglio 2011
    Base CIA, Boston, Massachusetts




    Poco prima della sei del mattino varcarono la cancellata della villa di Gregory Anderson, la loro nuova base, con un agente della CIA arrabbiato, un Nate ed una Garcia che continuavano a lamentarsi della stanchezza e del caldo, una Ronnie ammutolita ed irascibile, un Derek molto taciturno, tre agenti dell’FBI arzilli ed attenti e una pernice sopra ad un albero che li osservava titubante come se si stesse chiedendo da dove potessero saltare fuori quei tizi tanto strani.
    La villa era molto grande e chiedeva a gran voce una famiglia che abitasse le sue innumerevoli camere e un cane che corresse allegro nell’immenso giardino che la circondava. La villa aveva un parco esposto al sole per quasi tutto il giorno, colmo di roseti e aiuole di narcisi bianchi che venivano curati da un giardiniere che lavorava per l’agenzia di spionaggio.
    - Bei fiori. – commentò Reid non appena li vide.
    - Si, bellissimi per la mia allergia al polline – starnutì Clyde per la quinta volta di seguito. – Maledizione ai pollini!
    - Mamma mia, Clyde. Ma quanto sei noioso?
    - Te l’ha mai detto nessuno che mi stai sullo stomaco, Alex? – la stuzzicò lui.
    - Si, tu adesso.
    - Non mi stupisco che Doyle abbia tante difficoltà a trovare una sostituta. Sei una tostissima stronza rompipalle. - Guardandola, Nate scoprì che Alex sorrideva.
    Il team rise, tranne Ronnie che diede loro le spalle rimanendo in silenzio. Alex incontrò lo sguardo di Aaron e si sorrisero. In quel momento il suono del telefono all’interno della villa li prese alla sprovvista. Alex estrasse le chiavi di casa dalla borsa ed andò ad aprire, appena la porta fu spalancata Clyde corse dentro come un fulmine e prese il ricevitore. – Pronto? – rimase al telefono qualche istante poi riappese.
    - Chi era?
    - Ted Roger. Dice che si tratta di lavoro. Richiamalo dal cellulare.
    Aaron e Derek videro Emily sgranare gli occhi mentre entravano in casa.
    - Chi è Ted Roger? – domandò Clyde che era la prima volta che sentiva quel nome.
    - È il falso nome di un informatore di mia conoscenza di Boston, un sicario specializzato. Un doppiogiochista della CIA. Un cacciatore di taglie, diciamo. – rispese senza troppi problemi. Era molto conosciuto all’interno della CIA come doppiogiochista, ma non tutti avevano avuto il piacere di poterlo incontrare e lavorarci assieme. Emily era riuscita a lavorare assieme a lui ai tempi in cui era Lauren Reynold.
    - Doppiogiochista? – la squadrò Derek.
    - Si, a volte lavora per noi a volte per i nostri avversari… è bravo.
    - Ah. – Derek rimase senza parole.
    Lei posò le chiavi di casa accanto al telefono e mise a terra la sua borsa. Aaron chiuse la porta dietro le spalle di Nate e gli sorrise paternamente. Aveva nostalgia di Jack ed avrebbe voluto averlo con lui; Declan gli ricordava talmente tanto il suo bisogno di essere padre.
    - C’è qualche problema?
    - Non lo so Derek, ma spero di non dover lavorare questa mattina dato che vorrei dormire. – poi prese il cellulare, un sofisticato I-phon donato dalla CIA che non poteva essere intercettato e ricercò velocemente un numero, poi portò il cellulare all’orecchio destro. – Ciao Ted.
    - Ehi, Coburn! – si sentì dopo che la donna ebbe messo in vivavoce. Aveva delle cose da fare mentre parlava al telefono ed oramai, il team era immerso fino al collo nella missione e senza via di fuga. Quindi avrebbero potuto ascoltare una conversazione tranquilla e pacifica come quella.
    - Come diavolo hai fatto ad avere questo numero!
    Un breve silenzio mentre Reid iniziava a consultare il suo I-phone con connessione a internet per scoprire se il telefono della villa era sull’elenco. – Un giochetto da ragazzi. – Nate, divertito, fece una linguaccia a Clyde che lo squadrò con disappunto dopo l’ennesimo starnuto.
    - Perché mi hai stanata questa volta?
    - Interessante scelta di vocabolario, Reynold – commentò. – Ah, già. Scusa, Coburn. – si corresse con una risata. – Hai più identità tu di me, pensa un po’.
    - Non ne vado fiera come te. Comunque, mi vuoi spiegare di che cosa stai parlando? – accesa la luce del salone portandosi dietro il telefono e si fece aiutare da Garcia ad aprire le imposte della stanza.
    - Mi è stato appena offerto un contratto per farti fuori e la paga è piuttosto alta perché ne vaga la pena.
    Toccò ad Alex ed al team restare in silenzio. – Hai accettato?
    - Credi che sarei qui a parlartene se avessi accettato?
    - Mah, non lo escluderei. – tolse il telo bianco ricoperto di polvere dai divani e dal tavolino e li buttò a terra. Ci sarebbe stato parecchio da pulire ed il suo sonnellino avrebbe dovuto aspettare, per sua disperazione.
    Rise. – Hai ragione bellezza, ma non intendo accettare.
    - Perché?
    - Amicizia.
    - Ritenta.
    - Ricordo dei vecchi tempo trascorsi da falsi trafficanti?
    - Inutile. Non mi inganni.
    - Credo possa essere più vantaggioso proteggerti. Potrei ammazzare parecchia gente e sai che l’odore del sangue mi eccita. – ridacchio mentre la faccia di Derek sbiancava e l’espressione di Aaron si faceva sempre più incredula e preoccupata. Alex gli lanciò uno sguardo come per dirgli ‘Ehi, va tutto bene!’
    - Confortante. Proteggermi?
    - Sarò in città domani.
    - Sei così sicuro che qualcun altro accetterà? – chiese Emily per sicurezza mentre cercava di tranquillizzare Garcia massaggiandole una spalla.
    - Per meno di duecentomila dollari non mi alzo nemmeno dal letto. Qualcuno accetterà di farti secca e sarà bravo. Non quanto me, però bravo.
    - Consigli?
    Nate si fece piccolo piccole dietro le spalle di Rossi. Sapeva bene che tutto quel trambusto era causato soltanto da lui.
    - Tranquilla. Respira, Alex. Non ho ancora risposto per cui possiamo temporeggiare. Per oggi dovresti essere al sicuro, quindi goditi la giornata di sole.
    Emily e Garcia lanciarono un’occhiata al cielo dove una palla infuocata stava già illuminando la villa. – Sei sicuro che posso rilassarmi?
    - Niente c’è di certo nella vita. Pensa, tu saresti dovuta essere morta due volte, ironia della sorte sei ancora fra le palle. Prima o poi dovranno farti secca.
    Alex fissò il telefono sprezzante. – Fai fuori parecchia gente?
    - No comment. – replicò.
    - Dunque ho ancora una giornata di vita sicura.
    - Probabile.
    - Indovino chi mi vuole morta o me lo dici direttamente tu?
    - Indovina, mi piace quando cerchi di fare Sherlock Holmes. –ammise.
    - Ok. Abbiamo capito chi mi vuole uccidere… nemmeno si sporca le mani quel bastardo… - mormorò fra sé e sé. - Comunque bella consolazione!
    - Non era per consolarti – ribatté mentre Rossi piegava i teli bianchi con l’aiuto di Reid che si sentiva sprecato come domestico. – Sai bene chi è il pazzo psicopatico che hai fatto incazzare, che può odiarti talmente tanto da ucciderti, che rivuole qualcosa che gli hai portato via e, infine, ma non per ultimo, che ha tanti soldi da sbatter via.
    - Doyle. – rispose Clyde al posto di Alex.
    - Bingo. Il tuo compagno Easter ha vinto un viaggio per Toronto, sola andata. – scherzò – Corre voce che faccia tuo marito sotto copertura.
    - Già… - mormorò sprezzante nel frattempo che Clyde la lanciava uno sguardo indispettito.
    - Non volevo crederci. Avevo bisogno di una conferma. – le sembrò quasi di poterlo vedere scuotere la testa.
    - Ottimo. Alex, prenditi il tuo finto uomo o cercatene uno vero in pochi minuti e spassatela per oggi perché da domani dovremo comunicare a darci da fare per tenerti viva… stavolta. – riagganciò.
    Alex sbuffò come una caffettiere e guardò Clyde che la fissa. – Non voglio commenti!!
    - Ma non stavo dicendo nulla!!!
    - Io ti ho avvisato! – spense il cellulare e si diresse al piano di sopra imbufalita.
    Rossi seguì Emily su per le scale aiutandola ad aprire le finestre del piano e levare le stoffe bianche che ricoprivano i mobili e i letti per evitare che si impolverassero troppo. Alex aprì le persiane della camera matrimoniale lasciando la finestra socchiusa, il sole filtrava allegro e forte nonostante fossero solo le sei del mattino.
    Rossi, invece, piegò i teli e li ripose per terra uno sopra all’altro per poi recuperarli e portarli di sotto. Si sentiva piuttosto a suo agio assieme ad Emily nonostante tutto quello che era successo. Ai padri non importano le bugie dette dai figli, si arrabbiano, ma poi lasciano libera la felicità del ritrovamento.
    - Sei tranquilla. – disse ad un tratto mentre lei sistemava il copriletto ed i cuscini.
    Si voltò per guardarlo meglio negli occhi e scrollò le spalle. – Certo! Perché?
    - Qualcuno ha cercato di assoldare Ted Roger per ucciderti. Io stesso avrei paura. – quando un’espressione di sbalordimento totale lo colse Alex si sentì sciogliere. chiuse la bocca, la riaprì e disse: - Ti vuole proprio morta.
    - C’è un sacco di gente che mi vuole morta, Dave, ma solo lui ha tutti quei soldi che sono stati offerti a Ted.
    - Come fai ad essere così calma?
    - Risolverei qualcosa se mi lasciassi prendere da un attacco isterico? Spaventerei Nate e basta.
    Scosse la testa. – Non è questo – rimase un po’ in silenzio pensoso – Insomma, Doyle sta cercando di ucciderti e tu lo accetti come se fosse una cosa normale. Beh, non è affatto normale!
    Alex fece un lieve sorriso. – Credimi, avere gente alle calcagna che mi vuole morta è l’ordine del giorno. Hai visto a Los Angeles, no?
    Lui fece qualche verso di lei e l’abbracciò – A volte volerti bene mi fa davvero paura.
    Emily rise. – Sistemiamo la casa visto che da domani sarò nei guai fino al collo, non voglio trascorrere il resto dei miei giorni a pulire una villa.
     
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    Capitolo 47

    5 luglio 2011
    Base CIA, Boston, Massachusetts




    Ted Roger era alto un metro e novanta. Con occhi azzurri e capelli champagne che portava cortissimi, era la personificazione di un perfetto principe anglosassone ed anche l’uomo più pericoloso che Emily avesse mai conosciuto, vivo o morto. Al suo arrivo sedettero tutti attorno all’enorme tavolo della cucina, l’unica zona rinfrescata dal condizionatore che andava ventiquattrore su ventiquattro, Alex, il team e Ted sorseggiarono un caffé, Nate e Clyde un the. Uno dei difetti di Clyde era che non gli piaceva il caffé, per Nate invece, l’unico difetto era l’età troppo giovane per iniziare a drogarsi di caffeina, così Alex gli aveva proibito di avvicinarsi al liquido nero che lei reputava come la manna dal cielo.
    - Cos’hai scoperto? – domandò Easter.
    Ted appoggiò la tazzina fumante e scosse la testa – Non molto. Il contratto è stato accettato.
    - nonostante la scadenza? – chiese Aaron.
    Lui accennò un sì.
    - E quando scadranno le ventiquattrore? – chiese ancora Emily.
    - Direi… - si guardò l’orologio – verso le due.
    - Verso le due… - ripeté Garcia, in tono quasi sarcastico – Cioè sono l’unica qui ad essere preoccupata per la tua incolumità, biscottino? Ti ho già visto morire una volta, la seconda volta ti resuscito e ti ammazzo con le mie mani e poi ti farò molto, ma molto male!
    - Il panico non aiuto, Penelope.
    Ronnie si alzò, vuotò la tazza nel lavandino, la pulì, poi si voltò e incrociò la braccia sul petto. – Bisogna mantenersi lucidi per progettare una difesa e lei non ha problemi in questo. – mormorò sprezzante riferendosi alla vecchia collega.
    Lei fece una smorfia. – Già.
    Si scrutarono un attimo, poi distolsero li sguardi.
    - Non capisco come fai a restare calma – ripeté Garcia – Io sono sconvolta dall’idea che Doyle abbia assoldato un sicario per ucciderti!
    - Invece ne tu, ne Clyde parete turbati! Non credevo che papà fosse così cattivo! Cioè, lo sapevo.. ma tra il dire e il fare… - intervenne Nate guardando Alex.
    Emily scambiò un’occhiata con Ted e tutti videro la sintonia che, in quel momento, c’era fra di loro. Hotch si sentì lasciato in disparte ed un piccolo senso di gelosia gli prese lo stomaco.
    - Sono sopravvissuta tanto a lungo perché non reagisco come le persone comuni.
    - Sei sopravvissuta per sei una stronza rompipalle – rinfrancò Clyde.
    - Anche per questo. – annuì lei.
    Erano serissimi, ma a Reid non interessava – Ti piace uccidere? – domandò a Ted.
    Lui rimase immobile sulla sedia a bere il suo caffé con estrema calma, gli occhi azzurri inespressivi e impenetrabili parevano quelli di un vampiro. Alex si chiese se, alle volte, aveva anche lei quell’espressione, ma preferì non sapere la risposta. Essere considerata la femmina alfa, gelida e impassibile, del branco era bastato a renderla nervosa.
    - Perché vuoi saperlo?
    - Semplice curiosità. Ti piace uccidere? Hai detto che difendendo Emily, ehm, Alex avresti più opportunità per uccidere…
    Lui annuì.
    Dalla faccia di Reid si capì che pretendeva una spiegazione.
    - Reid, basta domande. L’interrogatorio è terminato – dichiarò Alexandra alzandosi in piedi e posando la sua chicchera accanto a quella di Ronnie. – Qual è il piano? – cambiò discorso facendo arrabbiare Reid che si mise a borbottare qualcosa assieme a Nate.
    - Impedire al sicario di ucciderti.
    - Tutto qui?? – chiese Aaron Hotchner esterrefatto.
    - E, ovviamente, uccidere il mittente. – aggiunse Ted – Alex non sarà al sicuro finché ci sarà qualcuno disposto a pagare tanti soldi per vederla morta.
    - Qualche idea per come riuscirci? – richiese ancora Hotch, piuttosto preoccupato.
    Ted annuì, terminando il suo caffé.
    Tutti rimasero seduto ad attendere una sua reazione – Allora? – chiese infine, dopo troppo silenzio, Rossi.
    Ted sorrise come sempre – Il nostro sicario agirà oggi.
    Alex si guardò attorno. La cucina pareva tranquilla, ma sentì un improvviso prurito alla schiena – Pensi che sia qui?
    - Può darsi. – non parve preoccupato – Credo ci proverà stanotte. Ma lasceremo che il sicario faccia la sua mossa.
    - Poi?
    - Lo eliminiamo.
    - Ehi, ehi!! – Derek si affrettò a fermare la conversazione – State scommettendo di essere migliori di un sicario professionista??
    Clyde, Alex e Ted annuirono.
    - E se non foste migliori di lui?
    Ted guardò Derek Morgan come se avesse appena detto che il giorno dopo sarebbe scoppiata l’apocalisse. – Sono il migliore. – assicurò con egocentrismo.
    - E sei pronto a scommettere la vita? – insistette Morgan.
    - Ci sto già scommettendo la vita – precisò Ted sempre con un tono molto tranquillo. – un po’ di aiuto però ci faciliterebbe il lavoro – squadrò il vecchio team da cima a fondo con i suoi occhi attenti e meticolosi. – Potreste essere ottima carne da cannone!
    -Ehi! Loro li lasci fuori! – protestò Emily non appena Ted ebbe tirato in mezzo i suoi compagni.
    - Siamo tutti carne da cannone, cara. – mormorò Garcia annuendo assieme a Nate. – E non è bello.
    - comunque ti ho portato qualche giocattolo nuovo per stanotte. Usciremo assieme in modo di essere in mezzo ad una folla nel caso in cuoi lui attaccasse.
    - Mettereste in pericolo della gente! – Derek si alzò in piedi.
    - Ripeto: riamo tutti carne da cannone.
    Alex guardò Ted – Giocattoli pericolosi?
    - E perché?? Da quando giochi con quelli sicuri??
    - Possiamo farcela, credo. – mormorò Emily annuendo.
    Clyde sedeva davanti a lei con sguardo di disappunto.
    - Non ti vedo sicura.
    - No. Infatti.
    - Non sei sicura?? – insistette lui alzandosi in piedi.
    - No.
    - Cazzo, Coburn!
    - Non prendertela con me. Possiamo farcela.
    - Ma non ne sei sicura.
    Tutti fissarono i due ragazzi scambiarsi piccole battutine.
    - Non sono sicura nemmeno quando esco di casa, però vado lo stesso a fare la spesa se no non si mangia!
    - E questo dovrebbe confortarmi?
    - Ovvio.
    - Beh, non ci sei riuscita!
    - Spiacente, ma non ho di meglio da offrire. Se vuoi certezze, và a fare il contabile!
    - Non sono bravo in matematica!
    - Io sì. Ma di che state parlando?? – Reid fece capolino nel discorso mentre Nate trangugiava un panino imbottito di bresaola, pomodoro, insalata e formaggio appena preparato dalle materne mani di Penelope Garcia.
    - Ecco il QI elevato… - ironizzò - Del fatto che la vostra cara Alex non riesce a confortarmi sull’azione di stasera e, in più, sul fatto che lei stessa non è in grado di confortarsi da sola.
    - Wow. – esclamò alquanto meravigliato dalla lunga frase di Clyde espressa senza una piccola pausa. – Bene, capo.

     
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  5. Emily†
     
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    Capitolo 48

    01.45 a.m, 6 luglio 2011
    Moonlight, sexth street, Boston, Massachusetts




    Nel bel mezzo del tragitto che li stava riportando a casa dopo una serata trascorsa al Moonlight, un piccolo locale frequentato da gente come Ted Rogers, udirono un rumore sospetto che fece drizzare i peli delle braccia ad Alex. Rogers sosteneva che non ci fosse miglior posto per essere al sicuro come quello. Insomma, Alex non ne era molto convinta date le ottime facce, i bei visi e le dolci espressioni che circolavano in quel posto. Andavano dal nero arrabbiato che picchiava i pugni contro il muro al bianco psicolabile che giocherellava con sette coltellini alla volta scambiandoli per freccette. Alex non si era sentita molto confortata da quella protezione, per lo meno aveva al seguito l’intero team escluse Ronnie e Garcia che erano rimaste a casa a fare da balia al piccolo Nate, il quale, chiaramente, non fu molto felice.
    Passeggiando al fianco di Ted, tenendolo sotto braccio come una coppietta qualsiasi, e pur sapendo che il team assieme a Clyde erano dietro di loro ad un raggio di sicurezza, colse un movimento con la coda dell’occhio che la insospettì.
    La cameriera bionda era al bordo della strada. Si chiamava Dolores. Indossava tacchi alti come Emily e portava un vestitino aderente nero. L’aveva incontrata più volte quella sera, serviva ai tavoli e si era avvicinata un po’ troppe volte al loro soffermandosi ad osservare l’abbigliamento di Emily, sosteneva Ted.
    Ted ed Alex di lanciarono un’occhiata e si voltarono alle loro spalle per dare un segnale al team che venne avanti armato fino ai denti e pronto a proteggere la loro amica.
    Emily gettò a terra la borsetta prendendo la pistola e Dolores si lanciò verso di lei a tale velocità da essere a stento visibile. La violenza dell’impatto fece scivolare dalle mani la browning baby ad Alex che non fece in tempo a premere il grilletto. Sbatté la testa all’asfalto tenendo fra le dita soltanto una manciata d’aria.
    Dolores si rizzò in piedi.
    Reid gridò agghiacciato – Emily!!
    Da terra, con la testa intorpidita, sentì una pistola che sparava e vide un proiettile colpire la bionda a una spalla. Lei parve non essere spaventata e si girò nuovamente verso di lei, le affondò le dita nel suo collo e strinse sino a farla rimanere senza fiato.
    - Se non butti via quel giocattolo le spezzo il collo! – minacciò lanciando un’occhiata a Ted che le stava puntando la pistola addosso. Poi osservò l’intero team che stava facendo lo stesso e posò lo sguardo, sorridendo, su un Hotch agitato ed incapace di restare fermo sulla sua postazione.
    - Non farlo! Mi ucciderà comunque!
    - Emily… - mormorò Rossi abbassando la pistola.
    - Subito, o l’ammazzo sotto i vostri occhi! – con un malevolo gesto fece alzare Emily da terra e, stringendole un braccio attorno al ventre, la utilizzò come scudo.
    - Spara!! – ma Ted non poteva sparare. Per non rischiare di colpire anche l’amica avrebbe dovuto girarle attorno e fare fuoco a bruciapelo. Ma prima che lui potesse anche solo muovere un passo, Dolores avrebbe potuto ammazzarla due volte.
    La bionda si avvicinò al muro in modo che potesse essere sicura anche alle spalle. Qualcosa colpì il suolo con un tonfo sordo e Alex vide la pistola di Ted a terra. Lo stesso fecero i componenti del team.
    - Posso romperti un braccio, se preferisci.
    Quando Dolores le ebbe afferrato il braccio, Emily ebbe un’idea. Si lasciò cadere addosso alla donna prendendola alla sprovvista. Entrambe caddero a terra e Dolores perse la pistola. Le ci vollero pochi secondi per sfuggirle e per permettere agli agenti di recuperare le pistole.
    A carponi, Emily si avvicinò ad Aaron che si chinò per prenderla fra le braccia – Emily!! – l’abbracciò con tutte le sue forze mentre udiva il suono di uno sparo fuoriuscire dalla canna della pistola di Ted. La pallottola fu conficcata proprio fra le costole, perforandole un polmone.
    Alex si alzò lentamente nell’aria opprimente e che profumava di sangue fresco e guardò Dolores. Il suo copro era inerte, poggiato senza vita al muro che cingeva l’entrata di edificio. Era finita.
    - E questa doveva essere migliore di me? – ironizzò Ted ritirando troppo presto la pistola.
    Alex lo guardo inarcando le sopracciglia – Ma se stava per farmi secca!
    - Oh, dettagli.
    - Ehi voi! – una voce rabbiosa e da bulletto li colpì alle spalle. Tutti si girarono per vedere quattro ragazzi piuttosto robusti e ben messi, con tanto di mazza da baseball, farsi avanti a camminare spediti verso di loro. – Siete sul nostro territorio. Levatevi dai piedi! – disse un ragazzo di colore con il cappellino sulla testa.
    Se fossero stati in un posto molto più intimo, Alex ebbe la sensazione che Ted ne avrebbe ferito uno o due, tanto per farsi rispettare e per ottenere l’attenzione meritata. Non parve molto preoccupato, ne intendo ad evitare la rissa che si sarebbe venuta a creare a breve. Il team, e soprattutto Hotch, parve invece piuttosto ostile verso quel gruppo di ragazzi, avevano appena rischiati di perdere ancora la loro collega e volevano ritornare a casa prima che capitasse qualcosa d’altro.
    - Chi diavolo siete voi?
    - Beh, di certo tu non sei Mr Gentilezza.
    Avanzarono minacciosi inarcando le sopracciglia quando Alex sorrise loro. – Rispondi a questa cazzo di domanda, puttana. Chi siete?
    - Non importa chi sono. – replicò un bianco con in mano un coltellino svizzero. – Sono sul nostro territorio. Andatevene se non volete vedervi morti. Ti diamo il tempo di scappare bellezza, prima che succeda qualcosa.
    Reid indietreggio, mentre Morgan fece un passo avanti piuttosto arrabbiato ed innervosito dal comportamento di quattro ragazzini di ventanni, all’incirca.
    - Cioè posso aiutare i miei amici a farvi il mazzo? – replicò – Figo!
    Tutti e quattro i ragazzi corrugarono la fronte, fissando Emily. Tutto il team era perplesso, tranne Clyde che rise, ormai la conosceva più che bene e sapeva quanto poteva essere tosta.
    - Che cazzo ha l’inglese da ridere?
    - Inglese?? – ripeté Rossi. Alex non ebbe bisogno di guardarlo per sapere che stava ridendo.
    - Non molto originale, eh? – commentò Emily.
    - Neanche un po’. – Ted le diede un colpetto al braccio.
    - Ci state prendendo per il culo?? – uno dei quattro ragazzetti si girò nuovamente verso Rogers e Coburn, imitato da un compare.
    - Oh, sì – si diverti ad annuire Alex che si strofinava già le mani all’idea di sfogare i suoi nervi tesi su quattro buffoni come loro.
    - Non ti illudere che non ti picchi soltanto perché sei una donna!
    Prentiss fu tentata di rispondere – No, credo che non mi toccherai perché ho una pistola -, ma decise di restare in silenzio, almeno per quella volta. Sapeva bene che se c’è uno scontro in cui si destreggia fra armi da fuoco, il livello di violenza s’innalza a tal punto da rendere assai probabile una morte e, per quella sera, ne aveva avuto abbastanza.
    Anche se Clyde era cintura nera di Judo, uno dei quattro ragazzi era piuttosto ben messo per poterlo atterrare senza troppa difficoltà. Pesava certamente quaranta chili in più di Alex.
    Lei arretrò verso Reid ed il team quando vide che Easter si stava preparando a combattere.
    - Non ammazzare nessuno – raccomandò tranquillamente Emily restando al proprio posto.
    Più che sorridere, Clyde snudò i denti, cosa alquanto inquietante secondo il pensiero di Reid. – Cacchio! Con te non ci si può proprio divertire!
    Uno del quartetto avanzava rozzamente, in maniera che evidenziava la totale mancanza di addestramento; era soltanto grosso. All’improvviso si fermò – Cosa diavolo era?? – esclamò non appena un coltello gli sfiorò la guancia lasciandogli un lieve graffio sulla pelle. Alex aveva sfoderato le sue armi che teneva saldamente affrancate alla sua coscia.
    - Chi diavolo è … cosa diavolo era… - replicò poi – Devi fare domande più originali.
    - Vaffanculo, puttana! – inveì bruscamente.
    Partì di corsa con un ruggito, dritto verso Alex, ma venne intercettato da Clyde che, abbassandosi per schivare le braccia protese, gli afferrò il braccio sinistro e simultaneamente lo fece cadere in ginocchio. Poi fece leva, gli bloccò il braccio ancora indeciso se spezzaglielo o meno. La presa al gomito era abbastanza dolorosa per convincere la maggior parte degli avversari ad arrendersi, ma lui non gli diede tempo di farglielo capire che aumentò leggermente la pressione. Il luccichio di una lama che usciva dalla sua tasca suggerì a Easter di spezzargli il braccio che, con uno schiocco denso, si afflosciò come un ala di gallina piegata all’indietro.
    - Butta il coltello e voi restate immobili. – ordinò Clyde.
    Lui obbedì e gli altri membri del gruppo di bulli indietreggiarono non appena videro il cadavere di Dolores afflosciato al muro accanto.
    - Ecco, così va meglio.
     
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  6. Emily†
     
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    Capitolo 49

    6 luglio 2011
    Base CIA, Boston, Massachusetts




    Erano più o meno le cinque del mattino quando entrarono in casa. Alex si levò la scarpe sul pianerottolo lasciandole senza guardarle all’angolo della porta. Camminò scalza fin su per le scale e si buttò sul letto al piano superiore. Il team la osservò vacillare stancamente su per le scale e, cercando di non svegliare Garcia, Ronnie e Nate, chiusero la porta e si sistemarono per la notte, o quel che ne rimaneva.
    Ted si sistemò comodamente sul divano incrociando le braccia dietro la testa brandendo un revolver lucida nera. Dormiva sempre con un occhio aperto, una pistola in mano ed una sotto al cuscino.
    Aaron Hotchner salutò i colleghi e si avviò verso la camera di Emily. Bussò e vi entrò. La vide sdraiata sul letto con la testa fra i cuscini, ancora vestita e vedeva sul suo viso la poca voglia che aveva di spogliarsi.
    - Ehi su… devi mettere il pigiamino… non fare come Jack che vuole andare a letto vestito.
    Lei mugugnò qualcosa. – Col caldo che fa potrei dormire nuda.
    - Beh io non mi lamento. – scherzò baciandole la testa.
    Lei ridacchiò e si mise a sedere. Era stanca. L’orologio sul comodino segnava le cinque e due minuti ed il sonno stava bussando alla porta da diverse ore. Doveva smettere di fare le ore piccole, prima o poi l’avrebbe pagata cara, il karma si sarebbe ribellato contro di lei. Si mise in piedi e si levò il vestito rosso posandolo sullo schienale di una sedia antica che c’era davanti al letto. Si avviò in bagno per lavarsi il viso con gli occhi arrossati dalla stanchezza e per lavarsi i denti, poi ritornò fra le coltri abbastanza fresche per permetterle di coprirsi ed aspettò che Aaron la raggiunse.
    Considerando che era piuttosto lento, quando toccò il letto erano già le cinque e venti e la voglia di chiacchierare con lui stava pian piano lasciando spazio alla culla di Morpheo. Nel giro di pochi minuti, Emily si addormentò lasciando Hotch in contemplazione del suo viso. Rimase ad osservarla per una mezz’oretta, poi si sdraiò accanto a lei, le passò un braccio dietro la schiena e chiuse gli occhi.
    Li schiuse soltanto verso le otto del mattino quando un raggio di luce gli colpì il viso trafiggendolo con violenza.
    - Buongiorno amore mio… - disse alla donna che si stava stropicciando il viso.
    - Mamma mia che sonno… - guardò l’orologio che puntava le otto e venti e si girò dall’altra parte. – Abbiamo dormito tre ore. Non posso andare avanti così. Collasserò prima o poi…
    Hotch rise e le baciò la spalla nuda. – Non ti preoccupare. Tu continua a dormire. Io scendo di sotto a preparare la colazione a Nate. Nel frattempo chiamerò Jessica per sapere come sta Jack. Sono certo che quando ti rivedrà farà i salti dalla gioia.
    Lei mugugnò un qualcosa di incomprensibile. – Sì… - e ritornò a sonnecchiare come una bambina.
    Aaron si mise in piedi vestendosi con una paio di pantaloni scuri ed una camicia. Tirò le tende per evitare che i raggi del sole la infastidissero e scese al piano di sotto.
    Una volta in cucina la trovò deserta. Accese il fornello per preparare le uova a Nate e, nel frattempo, prese il cellulare dalla tasca e telefonò al suo bambino.
    - Jessica, sono io. Jack è già sveglio?
    - Ciao Aaron. Sta facendo colazione prima di andare a scuola. Oggi è in gita.
    - Me lo passi?
    - Certo. – si allontanò dal ricevitore mentre la vocina dolce ed esile del bambino si sentiva in sottofondo mentre rideva con lo zio.
    - Papà, papà!! – esultò non appena raggiunse la cornetta. – Mi manchi tanto!!
    - Campione!! Mi manchi e tu!
    - Quando torni?
    - Presto Jack, presto. Sei pronto per la gita? Dove vai di bello?
    - Allo zoo! Voglio fare la foto alle scimmie così poi le faccio vedere a Derek. Sul volantino ce n’era una che li somigliava!
    Sotto sotto Aaron represse un risolino. – Va bene, campione, ma fammi un favore: non dirglielo che gli somiglia!
    - Perché?
    - Fidati del tuo papà. Va bene?
    - Allora torni presto?
    - Te lo prometto, Jack e ti porterò una bella sorpresa.
    - Davvero!?!? E che cos’è?? – esclamò entusiasta.
    - Se te lo dico non è più una sorpresa, no? – rise. – Fai una buona gita e chiamami se succede qualcosa. Ok?
    - Va bene papà e tu chiamami se ti fai male così vengo lì e ti faccio un bacino così guarisci subito.
    - Oh, grazie campione! – si salutarono e richiuse la comunicazione proprio quando Nate varcò la soglia della cucina sbadigliando copiosamente.
    Salutò l’agente con la mano ed un sorriso e si mise a sedere al tavolo. Aveva condiviso la camera con Garcia ed era andato a letto tardi, verso mezzanotte, perché la donna gli voleva insegnare a craccare alcuni programmi. Sosteneva che sarebbe stato interessante anche se lui si era piuttosto annoiato.
    - Alex è tornata sana e salva, sono passato a vedere come stava, però dormiva e non ho voluto svegliarla. Deduco che sia andato tutto bene! – esclamò il ragazzino mentre l’agente rompeva le uova.
    - Tutto bene, Nate. Uova strapazzate o frittata?
    - Strapazzate. Certo che voi americani siete strani. Io per colazione prendo brioche e cappuccino o il tè mentre voi vi date alle uova. – rise stranito. – Chissà se gli irlandesi fanno cose diverse. Mi sarebbe piaciuto domandarlo a mia madre. – terminò con tristezza.
    - Non saprei. Però credo che ognuno di noi abbia abitudini diverse.
    - Mi piace stare con Alex. Anche se è diversa.
    - Diversa? – Hotch gli posò il piatto davanti e si appoggiò alla finestra. – Cosa intendi?
    - Ne ho già parlato con lei, ma non è cambiato nulla. Vedi, quando ero piccolo, lei era Lauren, era… era allegra, sorrideva spesso e mi faceva giocare come se fosse una mamma. Ricordo che mi prendeva in braccio ed uscivamo nel giardino per correre all’aperto. Ora… ora invece è tutto diverso. – mormorò – io sono cresciuto, è vero, e lei è diventata silenziosa. Di rado la vedo ridere veramente perché è contenta. Quando voi non c’eravate era sempre triste, adesso è più allegra, ma sempre cupa.
    - Sai, Nate… - Hotch abbassò la sguardo sorridendo – ci sono momenti nella vita in cui bisogna renderci conto che non c’è tempo per sorridere. Alex è preoccupata per te. Vuole che tu sia finalmente libero e, credimi, non la vedrai ridere con faceva Lauren, finche tutto ciò non sarà finito.
    Un rumore improvviso fece sussultare i due uomini. Aaron si avvicinò alla porta mentre Nate si nascondeva dietro di lui.
    Ted, con velocità inaudita, si era svegliato ed brandiva le due pistole dritte davanti a lui mirando alla porta d’ingresso dove qualcuno si era avvicinato. – Silenzio voi due. – disse fermo e conciso con sguardo fisso dinanzi a sé.
    Qualcosa di chiaro e sottile venne fatto passare sotto la porta. Hotch indietreggiò portando con sé il ragazzino per proteggerlo in caso di aggressione che, fortunatamente, non avvenne.
    L’individuo che aveva portato la sua presenza davanti alla porta si era allontana. Ted, con piccoli passi e scrutando attentamente le ombre sotto la porta, si chinò per raccogliere la busta. Non c’era alcun mittente. Solo un destinatario: Alexandra Coburn.
     
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  7. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 50

    6 luglio 2011
    Base CIA, Boston, Massachusetts




    - È la scrittura di Doyle. – disse sicura Emily dopo aver letto la lettera. – Hai vinto la battaglia, ma non significa che vincerai anche la guerra e, questa volta, la guerra sarà contro di me. Un ultimo scontro fra me e te, domani, ore due a.m., alla zona industriale c’è un edificio abbandona. – lesse infine dando una cadenza monotona ed alquanto nervosa. Era alquanto sorpresa, Doyle era uscito allo scoperto.
    - Abbiamo la certezza che sa dov’è la base. Non c’è via di scampo, anche allontanare Nate è rischioso ora come ora. – espose Ted Rogers accendendosi una sigaretta e cominciando a fumare. – Cos’hai intenzione di fare?
    - Andare all’appuntamento. Sono stufa di fuggire.
    - Stai scherzando?? – urlò Derek prendendola per una braccio. Per un istante i loro occhi si incontrarono, subito Emily distolse lo sguardo e con uno strattone si liberò il braccio. – Passami una sigaretta, Ted. – disse poi rubandogli il pacchetto di sigarette dalla tasca.
    Aprendo il gas accese la sigaretta e si avvicinò alla finestra. Aveva smesso di fumare anni prima e si era subito sentita più leggera, ma adesso ne aveva proprio bisogno per calmare i suoi nervi troppo tesi. – Non c’è scelta, Morgan. Se non vado ai magazzini domani sera, sarà lui a venire fino qui e non basteremo noi per batterlo.
    - È una missione suicida.
    - Vero, Reid. – rise Ted. – Ma ci saranno tanti cadaveri! È una cosa allettante… potrei allungare il mio carnet e tentare di iscrivermi al Guinness dei primati. Guadagnerei tanti quattrini.
    - E finiresti in un carcere in mezzo all’oceano. Alcatraz potrebbe essere riaperta solo per te.
    - Oh, cara Alex. Senza di me il mondo finirebbe alla deriva. Sono io che libero l’universo dai cani assassini.
    - E chi ci libera di te? – mormorò lei spegnendo la sigaretta. Aveva un leggero senso di nausea e, forse, non avrebbe dovuto fumarla.
    - Adesso basta discutere voi due, mi sembrate due bambini! – impreco Clyde trangugiando un pezzo di panino.
    - Senti chi parla!
    - Alex, lo sai che oggi sei più rompi palle del solito! Quando sei esaurita, fammi il piacere, stai a letto!
    - E così però non posso farti innervosire… - sorrise gettando la sigaretta nel cestino e lanciando uno sguardo a Nate che stava guardando la tv in soggiorno. Pareva sereno e non preoccupato.
    Garcia era con lui. Avevano deciso che, per la sua sicurezza, lei sarebbe sempre stata assieme al ragazzo per non lasciarlo mai solo così avrebbe potuto tenere d’occhio entrambi. Ronnie era ancora arrabbiata, ma sia Emily che Derek la lasciarono stare. Infondo, prima o poi le sarebbe passata, non poteva di certo tenere il broncio ancora per lungo tempo.
    - Alex – Clyde la guardò fissa in folto – Sai che hai un aspetto di merda? – commentò acido.
    Lei quasi sorrise. – Grazie. Avevo proprio bisogno di sentirmelo dire… - si sedette e cercò di rilassarsi allontanando da dinanzi a sé la lettera di Doyle.
    - Allora Emily, come ti senti? – domandò quasi scioccamente Reid mentre le si sedeva accanto.
    - Esclusa la spada di Damocle che mi sta per cadere in testa? Bene, direi.
    - Essere perfetti è dura, mia cara Reynold. È un fardello che ho imparato a portare, ma tu hai ancora qualche problema.
    - Ted, vuoi vedere come ti saldo la bocca? Adesso vediamo di parlare dell’operazione e smetterla di dire cavolate. Grazie. – esclamò con poca cortesia, la sua scorta di gentilezza era terminata da qualche giorno. – Andrò all’appuntamento, che vi piaccia o no. Ted tu resterai qui con Declan, Garcia e Ronnie.
    - Tu sei matta. – protestò acidamente Leane. – Non se ne parla. Non prendo ordini da una come te! Non resterò qui con le mani in mano ad aspettare la tua favolosa vittoria!
    - Ronnie, adesso smettila! – urlò Emily alzandosi in piade. – Sono stanca di essere trattata così da te! Ok, ho sbagliato a non dirvi la verità, ma mi sembra assurdo continuare con questo discorso! Non ti chiederò ancora scusa, l’ho già fatto per cui accontentati!!
    Derek corrugò la fronte ed Hotch e Rossi si guardarono quasi spaventati. Si alzarono e divaricarono le gambe nel tentativo di intervenire in caso le due ragazze si facessero del male. Non che non fosse già accaduto, però si stavano ferendo psicologicamente e non fisicamente. Questo li stava piuttosto preoccupando.
    - Ah certo! Lavatene le mani! Intanto ti sei divertita con Doyle ai tempi!
    - Sei veramente una stupida se lo credi sul serio! Era il mio lavoro! Anche tu hai lavorato per l’Interpol ed avresti dovuto capire che esistono operazioni di spionaggio, ma forse sei troppo presa a sentirti tradita per pensarci! – la situazione stava lentamente sfuggendo loro di mano. Hotch prese Emily per un polso cercando di calmarla e Derek fece lo stesso con Ronnie.
    - Lasciami in pace tu!
    - Perché litigate? – la voce di Nate spezzò il battibecco con il suo tono adolescenziale, piuttosto malinconico e colpevole. – Siamo qui. Stiamo bene. Perché dovete litigare?
    - Fatti gli affari tuoi!
    - Ti ho già detto di smetterla di trattare così Nate!
    - Ah sì? E perché? Perché è il figlio di Doyle?
    Nate indietreggiò di qualche passo e, senza pensarci due volte, camminò velocemente fin fuori dalla porta. Iniziò a correre percorrendo il giardino per poi uscire in strada e sparire fra la folla che occupava i marciapiedi.
    - Nate!! – urlò Alex uscendo di casa nel tentativo di fermarlo, ma appena vide la luce del sole, lui era già sparito. Si guardò attorno mentre il suo cuore batteva all’impazzata, girò per due o tre volte attorno alla casa mentre Hotch, Derek e Rossi setacciavano meticolosamente il quartiere. Ronnie era rimasta con Garcia e Ted, nella cucina. Non aveva detto alcuna parola finché Clyde era rimasto con loro e parve essere ripugnata dal conversare anche in presenza di Ted Rogers.
    Lui, dal canto suo, non si mosse e non disse nulla. Li limitò ad accendersi una sigaretta e ricominciare a fumare, questa volta con più grinta. Sapeva bene che se non avessero trovato Nate, sarebbe stato un problema, ma non poteva allontanarsi ed andare in giro per le strade come nulla fosse. D’altro canto, lui era un doppiogiochista di fama mondiale.
    - Ronnie…
    - Fatti i fatti tuoi, Penelope. Non voglio parlare con nessuno.
    Ted rise. – Complimenti ragazzina, sei davvero tosta. Però hai scelto il momento sbagliato per esserlo. Magari, la prossima volta, se davvero vuoi farti vedere arrabbiata, fallo in una situazione meno complicata… così, tanto per evitare spiacevoli avvenimenti.
     
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  8. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 51

    7 luglio 2011
    Base CIA, Boston, Massachusetts




    Nate rincasò soltanto verso l’una di notte quando Emily, oramai, aveva percorso centinaia di volte il perimetro del salotto, fumato un pacchetto di sigarette e bevuto una ventina di tazze di caffé fumante.
    Hotch era rimasto con lei e, assieme a lui anche Derek, Reid e Rossi. Ted si era sdraiato sul divano e si era addormentato russando come una caffettiera senza ritegno.
    - Nate! – esclamò Alex vedendo il ragazzino rincasare con il volto stanco e scuro. Gli corse incontro e lo abbracciò forte mentre cercava di non bagnargli la maglietta con le lacrime. – Dove sei stato? Credevo…
    Scosse il capo. – Avevo bisogno di uscire. Ho fatto un giro al parco e sono andato al cinema. Ho visto la replica del Dottor Divago, alla mamma piaceva tanto… poi ho preso un gelato e sono tornato a casa. Scusa.
    - L’importante è che tu stia bene. – lo strinse ancora e lui fece lo stesso. Avrebbe tanto voluto tornare bambino e farsi piccolo piccolo fra le sue braccia, ma comprendeva non essere possibile. – Adesso resterai con Ted e Garcia. Va bene?
    Nate fissò l’uomo che si era svegliato e mugugnava qualcosa di incomprensibile mentre sbadigliava. Si metteva seduto e si stiracchiò allungando le braccia. – Perché?
    - Perché io… io devo andare vie con Hotch e gli altri. Mi prometti che farai il bravo?
    Lui non disse null’altro. Annuì piano e la baciò sulla guancia. Si incamminò verso la cucina ed aspettò che Ted lo seguisse. Si misero ai fornelli e cucinarono qualcosa: Ted era certo che il ragazzino non avesse ancora mangiato.

    - Ti affidò Nate… posso fidarmi di te?

    - Sai che puoi farlo.

    - No che non lo so. Infondo, hai tentato più volte di fregarmi.

    - Vero. – asserì Ted sgranocchiando un’arachide. – Ma non scherzo quando devo proteggere un bambino o una donna. Baderò io a loro due in tua assenza, tu, però, promettimi che ritornerai. – Era la prima volta che pronunciava quelle parole. Doveva proprio essere legato ad Emily. – Non ho voglia di partecipare ad un altro tuo funerale.

    - Hai partecipato al mio funerale?

    Annuì nuovamente. Questa volta senza guardarla. – Certo. Sia alla morte di Lauren Reynold, sia alla morte di Emily Prentiss. Vediamo di non uccidere anche Alexandra Coburn. Non facciamo il terzetto dell’oltretomba. L’inferno è già pieno zeppo di rompi ciglioni.

    Lei rise. – Aspettano soltanto te.

    - Prometti.

    Lei si limitò a sorridere.


    - Emily, siamo pronti. – disse Aaron sistemando la pistola dietro la cintura. Derek le sorrise, era finalmente certo che questa volta sarebbe andata bene e tutto si sarebbe concluso per il meglio.
    Rossi, invece, parve preoccupato, ma non volle dire nulla per non inquietare nessuno. Reid sedeva ancora sul divano quando Ronnie scese dalle scale con un paio di pantaloni militari, un top verde marcio ed un fucile a canne mozze a tracolla. – La prudenza non è mai troppa. – spiegò senza tanti problemi vedendo i suoi compagni guardarla piuttosto male - ho anche qualche bomba a mano.
    - Dove le hai prese? – chiese Clyde alle sue spalle mentre caricava la Firestar.
    - Nel tuo cassetto.
    - Adesso non ne ho più una da tenere a bada. Ne ho due. – commentò, ma lasciò stare.
    Ted sbucò dalla cucina con in mano un coltellino dalla lama foderata e lo lanciò ad Alex. – Attenta. La lama è fatta con uno speciale metallo che tagliando sprigiona del veleno. Paralizza l’avversario. Sei piuttosto abili nel lancio dei coltelli, potrebbe servirti questo giocattolo.
    Emily sorrise in segno di ringraziamento. Caricò la Browning baby e il revolver pur sapendo che non ce n’era bisogno. Aveva bisogno di un solo proiettile. L’unico che avrebbe dovuto colpirlo al cuore e ucciderlo per l’eternità privando finalmente il mondo di un altro assassino.
    - Questa volta staremo al tuo fianco. – disse Derek, ma le scosse il capo.
    Lei annuì. – Va bene. Sarà una trappola. Ci circonderanno, dunque, Clyde, tu resterai fuori ad aspettare di intervenire. Non abbiate timore. Siamo più forti i loro.
    Easter annuì poco contento di prendere ordini da una donna.
    - Noi entreremo dell’edificio ed aspetteremo una loro mossa. – continuò. – restiamo uniti.
    - Tu cosa farai? – domandò Reid con lo sguardo preoccupato.
    - Io aspetterò la mossa di Doyle. Lascio tutto nelle mani di Ronnie. – le due donne si guardarono. Questa volta Leane parve meno scontrosa, ma non disse nulla in risposta limitandosi ad annuire. Mise la sicura al fucile e lo sistemò a tracolla più comodamente per evitare che le segnasse il collo nudo.

     
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  9. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 51

    7 luglio 2011
    Industrial zone, Boston, Massachusetts




    L’edificio puzzava di marcio e dell’acqua ristagnante sgocciolava dal soffitto dove tubi arrugginiti serpeggiavano in un groviglio senza precedenti. Era pieno di mobili vecchi e pieni di tarme, probabilmente era un vecchia rimessa lasciata in disuso. Era complessa, sporca ed, a tratti, puzza di bruciato infastidiva le loro narici.
    Derek brandì la pistola a due mani restando sull’attenti.
    - Che nessuno si muova. – intimò una voce nel semi buio. In quel istante, la luce si aprì e tutto fu leggermente più chiaro.
    Aikesen, lo scagnozzo di Doyle che Emily riconobbe all’istante, sbucò da una porta accanto a loro, impugnando una Magnum enorme. Davanti a loro altri tre uomini armati li stavano circondando. Tutti, BAU compresi, afferrarono le pistole senza troppi preamboli.
    - Le comprate all’ingrosso? – domandò Aelx notando che tutti possedevano la stessa arma.
    - Mi piacciono le tue battute. Mi eccitano, Lauren.
    Senza volerla, lei avanzò di un passo.
    - Ti prego… - disse Aikesen puntando la grossa rivoltella al petto. Uno dei tre uomini teneva sotto tiro Aaron e gli altri due Reid e Rossi. Derek e Ronnie erano scoperti. Alex pensò fosse proprio una bella festa.
    Reid era dietro di lei. Riusciva quasi a sentirla mentre calcolava le possibilità di sopravvivenza. Lo schiocco dell’otturatore di una delle Magnum fece trasalire tutti. Sulla porta, dietro di loro, c’era un uomo con i capelli grigi, minacciati dalla calvizie. Puntava un fucile alla testa di Alex. Se avesse fatto fuoco, non ne sarebbe rimasto molto per un funerale adeguato.
    - Mani in alto. Tutti quanti.
    Ubbidirono. Alex sapeva che sarebbe successo, ma non aveva avuto scelta. O avrebbero partecipato all’invito o sarebbero venuti alla base a prendersi Nate.
    - Intrecciate le dita dietro la testa. – disse Doyle.
    Di nuovo ubbidirono senza fiatare. Aaron fu più lento.
    - Voglio solo Emily.
    - Smettila con questo teatrino. Sei ridicolo.
    - Dov’è Nate!
    - Nel biglietto non mi dicevi di portarlo con me, quindi è andato a letto a dormire. Ah – aggiunse – ti consiglio di stare lontano da casa mia se non vuoi che i tuoi agenti perdano qualche arto.
    - Ted Rogers?
    - Ha abbastanza armi per ucciderne mezza dozzina e mutilarne il doppio. Vedi tu. – gli fece un sorrisino mentre Aikesen le si avvicinava per toglierle la pistola.
    - No. Fermo. – lo bloccò Doyle. – Lasciale l’arma. Voglio uno scontro leale, questa volta.
    - Ian Doyle che parla di lealtà? Wow, siamo in un film della Walt Disney e non me ne sono accorta?
    Lui le si avvicinò e le prese per i capelli strattonandola leggermente. – Sei troppo vivace per i miei gusti, puttana.
    - Ferito nell’orgogli?
    - Emily – la riprese Derek guardandola torvo.
    - No, Emily – enfatizzò parecchio il suo nome – Vai avanti. Come mai sarei ferito?
    - Ti ho battuto Doyle. Prima che tu potessi accorgertene, ti ho battuto sette anni fa, ti ho battuto sei mesi fa ed anche oggi.
    Con un gesto di rabbia le afferrò il braccio e lo ripiegò all’indietro facendo presa sul gomito. Dopodichè iniziò a camminare verso delle scalinate portando con se la donna.
    - No! – urlò Aaron facendo qualche passo, ma subito venne broccato dalla Magnum di Aikesen che lo puntava. – Bastardo! – poté soltanto dire mentre vedeva la donna che amava sparire su per le scale.
    Aikesen rise imitando il verso di una iena, si leccò il labbro inferiore e fece cenno ad suoi uomini di avvicinarsi. – Come li facciamo? Al sangue o ben cotti? – chiese con una cantilena.
    - Vaffanculo! – urlò Ronnie stringendo i pugni.
    - Non c’è bisogno di offendere.
    - Oh, forse. Ma sicuramente posso spararti un colpo in mezzo alla fronte!
    - Potresti farlo, però i miei amici ti avrebbero già impallinato per bene.
    Ronnie fece un piccolo sorrisetto furbo e lanciò un’occhiata attorno a sé vedendo dei mobile che avrebbero potuto proteggerla. Guardò Derek, Hotch, Rossi e Reid e tutti capirono all’instante ciò che la donna voleva loro dire. In più, Clyde era rimasto nascosto all’ingresso dell’edificio. Lora erano in sei. I nemici in quattro. La statistica diceva che potevano farcela.
    - Prenditi questo bastardo! – premette il grilletto mirando alla spalla dell’uomo e fuggi dalla loro vista nascondendosi dietro ad uno dei mobili della stanza.
    Dopo pochi secondi fu un susseguirsi di spari e detonazioni che invasero l’aria per minuti interi. Hotch sparò due colpi di pistola consecutivi a quelli di Ronnie ad un uomo che non fece in tempo a reagire e che cadde a terra privo di coscienza; Derek colpì un altro all'arteria femorale uccidendolo, il terzo di loro correva per trovare riparo trovandolo dietro un mobile mentre all'interno dell'edificio sembrava scoppiata la guerra tra piccole esplosioni e spari in mezzo all'odore di polvere da sparo.
    Ronnie si mosse velocemente mentre gli altri le guardavano le spalle, si rifugiò dietro dei bidoni scuri e sporchi d’olio guardando i buchi che si creavano intorno a lei, a pochi centimetri dalla testa. In un attimo di silenzio in cui entrambe le squadre aspettavano una mossa dell'altro, Ronnie udendo un rumore provenire da uno dei nascondigli, uscì allo scoperto buttandosi sulla spalla sinistra, sparò due colpi davanti a lei colpendo l'uomo in mezzo alla fronte.
    Tornò con un sorrisino verso i compagni dopo aver controllato che tutti furono al tappeto - Io faccio sempre quello che dico.
    Clyde la scrutava rinfoderando le pistole fumanti dopo essere intervenuto sentendo la confusione venuta a crearsi all’interno dell’edificio- Erano solo in quattro, non mi sono divertito per niente. – mormorò infine. – Ci sarebbe voluto un po’ più di movimento per divertirmi.
    - Ma piantala!! – risero tutti allentando la tensione. Oramai avevano capito com’era fatto l’agente Easter.
     
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  10. Emily†
     
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    Capitolo 51

    7 luglio 2011
    Industrial zone, Boston, Massachusetts




    Il bambino corse allegro e vivace fra i roseti del giardino che circondava la grande villa toscana. Sprizzava gioia come un piccola fontana d’acqua fresca. Correva e correva senza mai stancarsi. Ad un tratto, si avvicinò alle gambe di una donna e allungò le braccia verso lei. La donna, chinandosi, lo prese fra le braccia e gli sorrise.

    - Come siamo pesanti! – rise baciandogli la testolina bionda. – Eppure sei magrolino! – si andò a sedere sotto il gazebo bianco riparati dai roventi raggi del sole.

    Il bambino si mise seduto sulle gambe della donna e iniziò a disegnare su un foglio bianco una casa. I pastelli colorati profumavano d’infanzia, la donna ricordò la sua fanciullezza quando anche lei si sdraiava a terra e scarabocchiava divertita i ritratti della madre. – Cosa disegni di bello?

    - La mia casa!

    - Ma la tua casa è più grande! Perché l’hai fatta piccola?

    - Perché la mia casa va bene anche piccola così la mia famiglia è più vicina! – mormorò continuando a disegnare mentre sorrideva allegramente. – questo è il mio papà – disse indicando un omino stilizzato dai capelli grigi – E questa è la mia mamma – ed le mostrò una donna dai capelli mossi castani. – Ah! C’è anche Louis! Se no mi sentirei solo quando papy non è a casa!

    La donna scoppiò a ridere – E come mai vorresti questa famiglia?

    - Perché così non sarei più solo! Avrei una bella mamma e il mio papà starebbe di più con me. Così tu mi faresti da mamma! – si girò con l’ingenuità di un bambino e l’abbracciò – Ti piacerebbe fare la mia mamma?

    - Oh, Declan. Sarebbe bellissimo, ma Louis non si offenderà? – gli domandò mentre, in lontananza, la sagoma di un uomo si avvicinava lentamente.

    - No. Non si offenderà. – una mascolina e virile si udì in lontananza. Un uomo dai capelli grigi sorrise al bambino e baciò la testa della donna – Lauren ne sarebbe felice.

    Il bambino, felice e giocondo, scese dalle gambe della brunetta e saltò fra le braccia del padre – Papà! Sei tornato!! – posò la testa sulla sua spalla e rimase con le gambe ciondolanti mentre l’uomo lo cullava ridendo.

    - Ne abbiamo già parlato, Ian.

    Lui fece spallucce. – Sei in trappola. Vorresti dire di no ad un bambino di sei anni, per caso? – scoppiò a ridere sornione. D’altro canto, Lauren non poté far altro che imitarlo; si mise in piedi e passò una mano fra i capelli del bambino, biondi e belli come il grano dei campi.

    - Ehi Declan, se ti dicessi di sì? – gli sussurrò all’orecchio e lui alzò la testa. – Però non diciamolo a papà – continuò facendo l’occhiolino a Ian.

    Il piccolo annuì ed allungò il mignolo verso la sua nuova mamma. – Promesso?

    La donna fece lo stesso – Promesso! – il vento soffiò leggero portando con se le ultime gocce di felicità.


    Il vento soffiò allontanando il passato dalla sua mente. Si trovava sul tetto di un edifico abbandonato, sperduto chissà dove e lontano dal mondo. Si sentì improvvisamente sola e tutte le sue barriere di difesa stavano cedendo. – Uccidimi. Non di consegnerò mai Declan.
    - È mio figlio, Lauren. Ricordi? Quel bambino biondo che voleva chiamarti mamma. È mio figlio! – le rispose rabbioso indietreggiando verso la porta mentre osservava la donna contro la ringhiera della balconata. Un colpo e sarebbe morta precipitando nel vuoto per sempre. Un ghigno gli si disegnò sul volto. – Appena sarai morta, andrò da mio figlio.
    - Ted te lo impedirà.
    - Credi davvero che Ted sia dalla tua parte? Ted! – chiamò ad un tratto lanciando un’occhiata verso la porta alle sue spalle. Con grande stupore sul volto di Emily, l’uomo si fece avanti portando con se un ragazzino.
    Gli puntava alla testa un fucile e teneva il dito sul grilletto.
    Gli occhi di Alex si spalancarono increduli per ciò che vedevano mentre le sue orecchie udivano colpi di sparo provenienti da qualche piano sotto di loro.
    - Bastardo!! – strillò. – Nate!!
    - Alex!! Alex!! – gridò il ragazzino impietrito dalla paura mentre il padre si avvicinava a lui pian piano.
    - Declan… - allungò una mano, ma il ragazzino indietreggiò.
    - Non mi toccare! Non mi toccare; hai ucciso la mia mamma!! – i suoi occhi si riempirono di lacrime e si accostò al corpo di Ted piuttosto che farsi sfiorare da lui.
    - Doyle, lascialo stare! Lo stai terrorizzando! – esclamò Emily facendo qualche passo verso di loro, ma lui non le diede tempo di avvicinarla che premette il grilletto colpendo la ringhiera a pochi centimetri dal suo braccio destro. Emily contrasse il viso dal dolore e barcollo leggermente sentendo l’orecchio fischiarle per via della detonazione. Si portò una mano alla guancia per sentire il sangue bagnarle la mano. Non era profondo, ma bruciava dannatamente tanto.
    - Non-ti-muovere. – ordinò categorico. – Declan… sono tuo padre…
    - Sei un assassino! – strillò nuovamente.
    - Oh, su su. Quante scenette drammatiche. Fate venire l’angoscia. – mormorò Ted grattandosi l’orecchio – Adesso uccido tutti senza troppi problemi e vediamo un po’ chi la fa finita per primo.
    - Non osare. – lo fulminò Doyle.
    - Altrimenti? Paghi bene, ma non sei così spietato come vuoi far credere a tutto l’universo. Ti sciogli davanti un bambino e non hai il coraggio di uccidere una donna senza troppe cerimonie.
    - Ma bravo… vedo che hai cambiato parte un’altra volta. Mi fai schifo! – disse sprezzante Alex rivolta a Rogers.
    Lui fece spallucce – Capita a tutti di essere confusi.
    Alex infuocò dentro ricordando la promessa che Ted gli aveva fatto. Si maledì per essersi fidata di lui e rimase immobile, ferita nell’orgoglio e nell’anima. Si erano sempre considerati buoni amici, non poteva credere in quel tradimento. Adesso capiva cosa stava provando Ronnie e si sentì morir dentro. – Nate… - sussurrò con un sorriso malinconico. La fissò ed il ragazzino ricambiò lo sguardo.
    Sapeva che gli stava dicendo di restare tranquillo, ma era difficile non essere terrorizzati quando qualcuno ti punta un fucile alla testa e potresti aspettarti da un momento all’altro di ritrovarti frantumato a terra e senza vita. – Voglio stare con Alex. Non ti voglio!
    - Invece vedrai che mi vorrai bene! Dobbiamo solo passare un po’ di tempo assieme!
    - NO! Sei un assassino!
    Doyle si voltò verso Emily rabbioso più che mai puntandole di scatto la pistola. – Cos’hai detto a mio figlio?!? Cosa gli hai raccontato!!!
    Lei rise. – Chi sei. Ian Doyle.
    Lui sparò un colpo graffiandole il viso. Un sottile striscia di sangue si divincolò sulla sua pelle.
    - Cosa gli hai detto??
    - Ha saputo ciò che hai fatto a sua madre, Ian. Credevi ti avrebbe amato dopo che gli hai portato via sua madre? Che ingenuo.
    Lui scoppiò a ridere – Lui mi amerà. Con le buone o con le cattive e tu morirai, e questa volta voglio vederti morire davanti ai miei occhi, lentamente. Almeno non avrò dubbi questa volta.
    - NO! NO!! Non farle del male!! No!! – strillò il ragazzino mentre Ted lo teneva per un braccio.
    - Ragazzino! – lo avvisò con uno strano sguardo d’intesa. Alex lo notò e vide che il ragazzino si calmò e, stringendo i pugni, rimase accanto a Rogers osservando la scena. Lei corrugò automaticamente la fronte.
    - Andrà tutto bene Nate. – gli sussurrò Emily come se lo volesse cullare. – Credimi, andrà tutto bene…
    - Non mentirgli. Tu morirai e lo sai. Non voglio che parli con mio figlio!
    - Non è più tuo. Hai perso il diritto di esserne il padre anni fa!! – prese la pistola e gliela punto contro. Non ebbe il coraggio di sparare, non sapeva cosa sarebbe potuto succedere a Nate e non voleva che vedesse la fine del padre. Sarebbe rimasto macchiato per tutta la vita.
    - Spara! – disse Nate ad un tratto alla donna. – SPARA!!
    Emily distese i muscoli e lo guardò esterrefatta. Anche Doyle gli lanciò uno sguardo basito. – Declan…
    - Non importa se morirò o no. Voglio che vendichi la mamma, Alex. Voglio che tu sia libera, perché ti amo tanto! Ricordi? Quello non è mio padre! Quello è un mostro! – pianse il ragazzino. – Voglio essere libero. Non voglio più fuggire. Voglio essere libero… libero… - continuò a ripetere osservando la donna negli occhi.
    Alex, dal canto suo, non seppe bene che cosa fare o dire. Vide solo Doyle poggiare il dito sul grilletto e fare presa. Poi, una detonazione.

    - Lauren, resterai con me per sempre? – chiese il bambino saltellandole attorno.

    - Perché me lo chiedi? – lei gli sorrise accarezzandogli il viso bianco, peculiarità dei nordici.

    - Perché ti amo. – il viso del bimbo lasciò trasparire grande sincerità e affetto.

    - Addirittura?! – rise portandosi una mano alla bocca.

    - Papà te lo dice sempre. Perché non te lo posso dire anche io? È una cosa brutta? I bambini non lo possono dire?

    Lei scosse il capo e lo prese fra le braccia stringendolo forte. – È una cosa molto bella, Declan e anch’io ti amo, piccolo mio. Un giorno, però, queste parole le dirai a qualcun altro.

    - Forse si, ma per ora le voglio dire a te, Lory. – sorrise. - Mi tieni qui? Mi tieni abbracciato, vero? – le domando avvolto nel pigiamino azzurro con le stampe degli orsacchiotti. - …finché non mi addormento. Per favore.

    Annuì. – Tutto il tempo che vuoi. – si sdraiarono sul lettino del bambino e Lauren cominciò ad accarezzargli i capelli passandogli la mani lentamente sulla testa. Lo faceva tutte le sere, a Declan piaceva molto e si rilassava mentre sentiva il calore della sua mano sfiorargli la pelle.

    - Allora per sempre, mamma… - mugugnò mentre il sonno lo cingeva.

    - Si. – fu l’unica risposta. Gli baciò la fronte e si addormentarono mentre la luna saliva alta nel cielo, una sottile falce d’argento che si specchiava nella fontana del giardino, illuminando l’atmosfera e rendendola magica.
     
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  11. Emily†
     
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    Note: scusate il ritardo ma ho avuto due pomeriggi di seguito!

    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.



    Capitolo 54

    03.15 a.m, 7 luglio 2011
    Industrial Zone, Boston, Massachusetts




    Ci fu un luccicare d’acciaio freddo.
    Emily si mosse in avanti con passo incerto, puntando la pistola verso di lui e mirando in pieno petto quando vide che Ted alzò il fucile mirando la schiena dell’uomo. Rimase stranita per una frazione di secondo, poi capì: era tutta una messa in scena per uccidere Valhalla.
    Tre acute e metalliche detonazioni invasero l’aria circostante rimbombando all’infinito nelle loro orecchie; tre pallottole furono sparate all’unisono più velocemente del suono; tre pallottole che andarono a segno in un istante.
    Entrambi parvero confusi, le pistole di tutte e ambedue sfuggirono di mani e ricaddero al suolo battendo sull’asfalto grigio mentre il fucile di Ted venne abbassato verso terra ancora fumante.
    Con un grugnito Doyle oscillò e scivolò al suolo mentre una macchia vermiglia si disegnava copiosa sul suo petto ed un rigoglio di sangue scivolava ai lati della sua bocca. Lo sguardo confuso scomparve dalla sua faccia, quando tutti i suoi muscoli si distesero e cadde riverso al suolo. Il suo respiro era veloce e superficiale, quasi un rantolo, un alito di vita che stava abbandonando il suo corpo.
    - Aurevoir Ian… - sussurrò Emily portandosi una mano al fianco ed iniziando a vedere il viso di Nate sdoppiarsi dinanzi ai suoi occhi, ma sicura che stesse bene. Si mosse piano in avanti, verso il groviglio di arti sciolti disteso dinanzi a lei per assicurarsi che avesse esalato il suo ultimo respiro, ma non riuscì a compiere un passo che si ritrovò inginocchiata a terra. Una penetrante fitta al fianco le impedì di compiere ulteriori movimenti e, quando trovò le forze, mosse la mano tremante portandola davanti al viso per poterla vedere grondante di sangue. Era stata colpita. Sorrise: ricordava cosa voleva dire ritrovarsi sola ad attendere che la morte venisse a prenderla.
    Vide Nate cadere sulle sue gambe svenuto mentre Ted lo soccorreva. Era stato troppo stressante per lui quella situazione.
    - Emily! – sentì gridare verso la porta, ma non ebbe le forze per alzare il volto e vedere chi la stava chiamando. La voce era distinta e chiara, la sua mente sentiva di conoscerla, ma le forze le impedivano di ragionare e collegare quel tono ad un viso. – Emily. – quella persona le corse accanto ed Alex sentì le sue mani calde toccare le sue braccia che tremavano febbrilmente. – Oddio! Ti ha sparato!! – iniziò a gridare in preda al panico.
    - Ronnie… - mormorò lei dopo averla finalmente riconosciuta. Scivolò al suolo sentendo che il sangue le stava bagnando le gamba destra, non sentiva il dolore in quel momento, solo uno stato di torpore generale ed il cuore che pulsava all’impazzata in tutto il corpo come se volesse scoppiare. Ricordava quel momento, era identico a quello che aveva passato tre mesi prima.
    Dopo alcuni secondi di pausa, mentre valutava la gravità della ferita, Ronnie le fece appoggiare la testa fra le sue braccia sdraiandola a terra e premendo con forza con una mano sulla ferita. Lei gemette al suo tocco ed il suo respiro si fece più corto e più debole ogni secondo che passava.
    Con l’altra mano tentò di recuperare il cellulare e, anche se con un leggero sforzo, provò a telefonare a Derek - Morgan, fa venire qui una squadra di soccorso e chiama la sicurezza. Emily è ferita! Nate è svenuto! Presto!! – gridò e, senza aspettare la risposta, lasciò cadere a terra l’I-phone.
    Sospirò in modo preoccupante, mentre faceva pressione sulla ferita melmosa. – Oddio, non so cosa fare. Emily, resta sveglia.
    - Stai tranquilla…
    - No, non sto tranquilla! Come faccio a stare tranquilla! Sei ferita!!
    Il respiro di Emily era affannato ed il cuore di Ronnie palpitante. La paura la faceva tremare attanagliandole lo stomaco come una morsa pungente. Un brivido gelido le percorse la spina dorsale.
    Cameron guardò la pelle di lei diventare pallida in modo innaturale man mano il liquido, che le doveva dare colore, usciva dal suo corpo e cadeva copiosa sulla sua mano; non sarebbe riuscita a bloccare l’emorragia ancora per molto.
    - Ronnie… - lei mormorò, mentre un’innaturale sfumatura rossa le colorava le labbra.
    Il corpo di lei tremò, mentre il sangue sulle labbra contrastava orribilmente con la sfumatura blu che stava prendendo la pelle: il ritmo del suo respiro accelerò.
    - Emily!!!! - gridò, richiamandola a sé, mentre la sua mano le teneva il viso.
    La sua camicia azzurra lasciava comparire sempre più velocemente una macchia scusa, vermiglia, che tingeva il pavimento attorno a lei.
    - Emily – i suoi occhi ripercorrevano il corpo dell’amica steso per terra – mi dispiace … mi dispiace tanto. Io … io sono un’idiota... non avrei dovuto trattarti così. Io non pensavo niente di quello che ho detto...ero solo arrabbiata, ero arrabbiata con te perché mi hai lasciato sola... perché pensavo ti fossi dimenticata di noi – iniziò a piangere senza più riuscire a controllare le lacrime che le scendano dagli occhi scuri come fiumi di montagna – ti prego non lasciarmi un’altra volta.
    - Tu...hai la squadra…
    - Anche tu hai la squadra! Maledizione Emily siete l’unica cosa che ho, cosa faccio se perdo anche voi – disse disperata in mezzo ai singhiozzi.
    Sul viso di Emily si dipinse un lieve sorriso – …non mi sono mai dimenticata di voi.
    - Emily resta con me! – gridò lei in modo deciso sentendo le mani farsi più deboli, il suo tono costrinse gli occhi di lei, ora aperti, a focalizzarsi sui propri – ce la farai Emily. Hai tante promesse da mantenere, ti ricordi? Non ti azzardare a morire sul serio, non farci questo un’altra volta!
    I suoni distanti della squadra di soccorso arrivarono alle orecchie di Ronnie, passando attraverso uno spaventoso silenzio: per lei fu un dolcissimo suono.
    - Aaron… - stridette con un filo di voce mentre una lacrima scivolava piano sulla sua guancia.
    - Sì, sì. Sta arrivando! Sta arrivando e tutto andrà bene, resisti! – pianse – Aiutatemi!! – gridò in direzione dei soccorsi che stavano arrivando assieme a Derek, Clyde ed al team della BAU.
    - Che cos’è successo? – chiese un paramedico che stava in testa alla squadra di soccorso che portavano con loro una barella ed un equipaggiamento di emergenza.
    - Le hanno… hanno sparato… ha appena perso i sensi… - le mani di Ronnie lasciarono la ferita dando il posto al paramedico che iniziò ad auscultarla percependo che il cuore batteva troppo piano. Ronnie fu presa per un braccio da Dave e venne tirata via di forza – No, lasciami!!
    - Non puoi fare nulla! Devi lasciare fare ai medici!!
    - EMILY!! – strillo Aaron non appena vide la donna che amava riversa a terra. – Emily, Emily! – Derek e Ted dovettero fermare anche lui quando vide che il paramedico prendeva il defibrillatore. – Amore mio…
    - Assistolia. – esclamò il paramedico. - Carica a duecentosettanta! Libera!
    Derek e Hotch distolsero lo sguardo quando una scarica elettrica la fece sussultare e Dave coprì gli occhi a Ronnie che era scivolata a terra piangendo disperata contro il suo petto. Di Ted non si riuscì a decifrare l’espressione, ma parve piuttosto sconvolto.
    - Un milligrammo di atropina in vena! – disse un altro.
    Clyde e Ted, per sicurezza, si erano diretti con la pistola puntuta a sangue freddo contro il corpo inerme di Doyle, si chinarono toccandogli il collo e, sentendo che il cuore non batteva più, ritirano la pistola e ritornarono dagli altri del team. – Allora?! – nella voce di Clyde si udiva un lieve tono di paura, ma sapeva mascherare bene i suoi sentimenti.
    - Il cuore ha smesso di battere per un attimo. – pianse Dave continuando a dondolare Ronnie fra le braccia mentre si teneva al petto le mani sporche di sangue.
    - Chiamate chirurgia e ditegli di prepararsi a ricevere una ferita d’arma da fuoco al fianco destro, non c’è segno di fuoriuscita del proiettile! – ordinò il paramedico che l’aveva rianimate.
    In un baleno fu trasportata sull’ambulanza ed i volontari della crocerossa salirono a bordo con estrema velocità.
    - Vengo con voi! – urlò Hotch.
    - Salga, non c’è tempo da ardere. – e lo fecero salire senza troppe cerimonie facendolo sedere su un sedile accanto ad uno di loro.

     
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  12. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 55

    9 luglio 2011
    Boston Hospital, Boston, Massachusetts




    Il silenzio palpitava inesorabile nell’oscurità.

    Rannicchiata su se stessa rimase immobile cercando di non pensare a nulla. Non sentiva nulla, nessun rumore, nessuna voce.

    Rannicchiata su se stessa avrebbe voluto restare così per sempre, senza avere a che fare con nessuno, lontana da tutto, lontana dal mondo intero che non le aveva portato nulla, solo sofferenza.

    - Si può vivere così, semplicemente andando avanti come se nulla fosse… - una voce che riconosceva spezzò quell’incanto.- …ma è come se tu fossi già morta.- era calda, leggera. La voce di una ragazza che le era stata accanto per tanto tempo.

    Intorpidita e stanca, voltò la testa e, accanto a lei, l’immagine di una donna dai lunghi capelli rossi e gli occhi azzurri si faceva sempre più vera e tangibile. La riconobbe subito. – Karinna… - disse soltanto con un filo di voce, senza dare espressione a ciò che diceva. Si sentiva ondeggiare nel vuoto come se non ci fosse più la gravità. Stava sognando? Stava morendo, forse?

    - Sai, finalmente avevo trovato qualcuno che mi amava. Qualcuno che voleva proteggermi e restarmi accanto per sempre. Il tempo che trascorrevo con lui era intenso, così bello e pieno da non riuscire a dimenticarmene.

    Emily osservò l’espressione turbata e malinconica della ragazza, morta fra le sue braccia in una notte di giugno. Ricordava con orrore il suo sangue sul vestito, sul suo volte e sulle sue mani. Scosse il capo per allontanare i ricordi e tornò ad osservarla. Ora la stava guardando con un sorriso infelice.

    - Era l’uomo che amavo, io non volevo perderlo… ecco perché non ho voluto aprire gli occhi fino alla fine. Ma adesso… gli occhi non potrò mai più riaprirli. Non vedrò più il suo viso, non sentirò più la sua voce soltanto perché mi sono lasciata andare. – rimase un istante in silenzio, poi riprese – Anche tu, Alex… vuoi restare per sempre con gli occhi chiusi?

    Quella frase la fece sussultare. Voleva veramente morire? Lasciarsi andare e dire addio per sempre alle persone che amava? Forse sì. Era stanca, era debole. Si sentiva trascinare sempre più verso l’oscurità e senza riuscire ad opporsi.

    - Anche io ho fatto tanti sbagli… - un’altra voce, questa volte più dura ed intensa la prese alla sprovvista. Voltò il capo dietro di se e vide Tsia. Posava le mani sulle sue spalle. Era inginocchiata dietro di lei come una madre farebbe con la propria bambina. – Ho creduto ad un uomo, l’ho amato, gli ha dato tutto e lui mi ha tradito.

    - Tsia… sono stanca. Sono tanto stanca di vivere… non sono forte, non sono forte come credono tutti!

    - Nemmeno noi siamo forti. – sorrise a Karinna, poi ritornò a posare il suo sguardo su Emily. – Quando perso Jeremy desideravo solo morire. Poi, ho capito che era meglio accettare il destino ed affrontare. – Fece una paura. – Ho fatto bene. Alla fine… abbiamo scoperto che era stato proprio l’uomo a cui avevo dato tutto a tradirci. Se mi fosse uccisa… sarebbe cambiato qualcosa?

    - Io non voglio più vivere…

    Ci fu un soffio di vento e Tsia e Karinna scomparvero nell’oscurità. Si sentì di nuovo da sola, malinconica.
    Socchiuse gli occhi ricordando il volto felice di Aaron quando la teneva fra le braccia, il suo ‘ti amo’, il calore che riusciva a donarle quando le stava accanto. – Ti amo anche io… - mormorò sperando che le sue parole potessero raggiungerlo ovunque lui poteva essere. – Ti amo…

    - Non puoi restare anche tu per sempre in questo luogo… - questa volta fu la voce maschile di un ragazzo. Una voce graffiata da fumatore, un viso pallido ma bello. Era lui l’unico che avrebbe potuta riportarla finalmente alla vita.

    - Matthew. – un'unica e sottile fredda lacrima le solcò la guancia. Si portò una mano alla bocca mentre cercava con l’altra di raggiungere la sua. Lui, con un estremo sorriso di gioia, afferrò al sua mani fredda e gliela strinse forte. – Matthew…

    - Emily… qui c’è pace, ma è buio e non c’è nulla. Nulla. Non c’è alcun inizio. – cercò di confortarla. – Emily, voglio che tu viva per rendere felice le persone che ami… tu puoi farcela, puoi ritrovare una vita piena di gioia. Io non posso più. La vita mi è stata strappata propria quando volevo ritornare a vivere. Ti prego… - strinse più forte la mano della donna mentre entrambi aveva gli occhi lucidi dal pianto – vivi anche per me, amore mio. Ti ho amato tanto, adesso posso dirtelo.

    Lei annuì. – Anche io ti ho amato tanto, ma adesso è troppo tardi. – si mise in piedi abbandonando la sua posizione fetale e si avvicinò a Matt. Lo abbracciò forte. Quello era l’abbraccio che non ebbe mai potuto dargli prima di dirgli addio per sempre.

    Soffiò il vento mentre il sole iniziava a fare breccia fra le tende nere. – Addio Emily…


    Perle di luce filtravano leggere fra le tende tirare della camera d’ospedale. Tende bianche e sottili che pendevano verso il pavimento. I muri erano bianchi con una banda verde alta circa mezzo metro che colorava l’intonaco.
    Mosse la testa e schiuse gli occhi iniziando ad udire, come in lontananza, il rumore dei macchinari attorno a se ed una lieve aria che l’aiutava a respirare tramite piccole cannule nasali.
    - Buongiorno raggio di sole. – l’avvolse una bella voce calda. Lei posò gli occhi sull’uomo virile e bello che la stava osservando e sul suo viso si dipinse un sorriso che rasserenò l’uomo. – Finalmente hai deciso di risvegliarti… - la sua voce era tagliata dal pianto.
    Sorrideva, per cui stava bene, pensò lui stringendole la mano. – Ce l’hai fatta, amore mio. Ce l’hai fatta.
    - Dove…
    - Ssth. Non parlare. Hai un bel buco al fianco, molto più bello della ferita allo stomaco dicono i dottori. Questa volta hai dato il meglio di te.
    - Non prendermi in giro… - rise piano cercando di non muoversi troppo per via del lieve dolore che sentiva per tutto il corpo. – Aaron… - mormorò dopo qualche istante – Dov’è Nate?
    - Sta bene. Ha avuto un piccolo malore per la troppa tensione. Ha dormito per tutta la notte ed adesso è sveglio, pimpante e saltellante in sala d’attesa assieme a Garcia. Non vedono l’ora che tu torni a casa.
    - A mia mamma verrà un infarto… devo… devo proprio dirle che sono viva? – chiese con un filo di voce. Era sola in camera, una stanza grande e soleggiata tutta per lei, abbastanza spaziosa per contenere tutti i compagni della BAU.
    - Direi di sì. Anche perché Clyde ha già mandato qualcuno ad avvisarla. Credo che se ti vedesse davanti all’improvviso potrebbe venirle un infarto!
    - Povera me… mi costringerà ad andare da lei a vivere per un po’.
    - Mi spiace… dovrai dirle che sei impegnata per la tua prossima vita.
    Lei lo guardò negli occhi. Aaron estrasse dalla tasca interna della giacca una piccola scatolina di velluto blu.
    Emily rimase turbata, quasi a bocca aperta, si portò una mano alla guancia e fissò l’uomo che amava. – Aaron…
    Lui annuì – Dovrà farsene una ragione tua madre. Ah, - esclamò – Per la cronaca, non è vuota… a meno che Garcia non se lo sia imboscato quando gliel’ho fatto vedere.
    Emily, sdraiata su quel letto e coperta dal suo lenzuolo fino ai fianchi, arrossì per la prima volta da tanto tempo.
    - Emily Prentiss, – diede più enfasi al nome mentre lei si portava le mani alla bocca fissando le mani di Hotch che aprivano piano la scatoletta di velluto. – amore della mia, vorresti sposarmi?
    - Ma come hai… - balbettò guardando l’anello, si continuava a domandare quando avesse fatto quell’acquisto tanto improvviso e costoso.
    - Ronnie. Ha fatto tutto lei. – fu la sua risposta. – Ora per favore puoi rispondere? Rischio di ritirare l’offerta se non ti sbrighi e continui a tenermi sulle spine. E poi così avresti una scusa più che valida per non trasferirti da tua madre, non trovi?
    Emily sorrise. – Credo ti risponderò di sì solo per questo motivo - Un sorriso genuino, vero, gioioso. Un sorriso che Aaron non vedeva da tanto tempo.
    Con fatica cercò di abbracciare Hotch portandogli le braccia al collo, lui si chinò e la baciò a lungo come se due anime gemelle si fossero finalmente ritrovate.
    - CONGRATULAZIONI! – tuonarono voci amiche e conosciute entrando in massa dalla porta della stanza d’ospedale.
    Hotch si alzo stringendo fra le braccia la sua sposa e guardò il team BAU camminare verso di loro felicitandosi finalmente della fine di quella storia tanto triste. – Siete tremendi. Non dovevate tornare a casa? – esclamò Aaron guardandoli uno ad uno.
    - Non potevo mica perdermi la scena! – esclamò Ted fumando una sigaretta e sbucando accanto a Reid poggiando un braccio sulla sua spalla, il quale lo rimproverò perché non poteva fumare in un ospedale. Lui, con disappunto, spense la sigaretta.
    - Alex… - Nate le corse accanto abbracciandola forte e lei le fece un grande sorriso nonostante il dolore alla ferita.
    - Nate…
    - È questo! È questo il sorriso di Lauren! Finalmente!! – rise gioioso baciandole le guance. – Sei tornata, sei tornata!!
    A quel punto, l’unica cosa da fare era metterle l’anello al dito suggellando la loro promessa, cosa che Aaron fece con piacere davanti alla sua famiglia.
    - Ovviamente al matrimonio possiamo portare qualche giocattolino? Giusto per animare la festa!
    Emily fulminò Ted – Ted…
    - Ok. Ok. È un no, ma non scaldarti tanto!
    - Ti ricordo che mi devi un favore!
    - We, non sono mica stato io a spararti!
    - Però mi hai fatto prendere un infarto. Credevo davvero che mi avessi tradito.
    Lui rise. – Sei ancora viva purtroppo. Comunque è stato il ragazzino ad avere l’idea. Ne ho parlato con la Backman e trova che potrebbe essere una brava spia.
    - DAVVERO?? – strillò dalla gioia il ragazzino iniziando a saltellare.
    Garcia e Ronnie risero assieme a Rossi, Derek e Reid. Ronnie, lentamente si avvicinò al letto . Allora…
    - Pace?
    - Pace. – entrambe si sorrisero come due vecchie amiche. Finalmente tutto era chiarito.
    - Chissà se adesso la finirò di essere così acida… - la prese in giro Clyde. – Hotch mi raccomando. Tanto sesso.
    - Condivido. – annuì più volte Ted.
    Ronnie scoppiò a ridere assieme a Garcia mentre Reid arrossì copiosamente.
    - Eeh, ragazzino – inveì Derek – Sei ancora troppo piccolo per certe cose.
    Rossi abbracciò il piccolo Jack che saltellava tutto contento e baciò sulla guancia la figlia – Congratulazioni.
    - Grazie… ma voi due – riferendosi a Ted e Clyde – Vi conviene fare i bravi. Ho ancora il coltello che paralizza.
    - Oh che paura. – sorrise sornione.
    - Clyde?
    - Sì?
    - Sotto sotto. È stato un piacere lavorare con te. Infondo, ti voglio bene.
    - Oooh… - mormorò lui avvicinandosi per abbracciarla. Finalmente, dopo mesi e mesi di litigi, era arrivata la degna conclusione. – Non mi prendi per il culo, vero?
    - No – scosse il capo – Però inizia a scavare.
    - Vedi che sei una stronza!? Nemmeno nei momenti sdolcinati sai essere dolce! Dannazione!
    Tutti scoppiarono a ridere.
    - Grazie ragazzi… - disse infine lei con un filo di voce data la stanchezza. – Perdonatemi se vi ho trascinato in una storia più grossi di voi. Se vi ho fatto rischiare la vita, se vi ho mentito e se vi ho fatto credere di essere morta. Non potevo fare altro – guardò Ronnie – Mentre ero lontana, non favo altro che pensare a voi. – Posò lo sguardo su Garcia, Derek, Reid, Dave e Hotch. – Credevo di potercela fare da sola, ma così non è stato. Senza di voi, adesso, saremmo ancora al punto di partenza. – sorrise accarezzando il viso bianco di Nate. – Se vuoi e se Aaron accetta, potresti venire a stare da me.
    - Dici davvero? Non andrò in affido?
    Scosse il capo. – Farò il possibile. Ho le possibilità per tenerti con me. – guardò Aaron.
    Lui annuì – Jack sarebbe contento di avere un fratello più grande.
    - Ed io di avere un fratello più piccolo, una mamma ed un papà.
    Emily sorrise. Socchiuse gli occhi e ricordò il disegno che Declan le aveva fatto. Era ancora rinchiuso nel suo appartenente di Quantico. Un foglio bianco, chiuso su se stesso e serrato in uno scrigno. Il disegno di una casa, di un bambino, una mamma ed un papà. Sì, era questa la conclusione di tutto. Matthew aveva ragione. Non poteva dire addio alla vita, ma doveva tornare perché poteva rendere la sua vita finalmente felice… vivendo per lui.
    Alla fine, tutto era ritornato alla vita, tutto era tornato al proprio posto e la parola fine poteva essere finalmente disegnata dalle mani fanciullesche di un bambino.



    ‘Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue,
    ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite.’

    - Richard Bach -




     
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