Sotto protezione

Rabb-it

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    Autore:Rabb-it
    Titolo:Sotto protezione
    Rating:G
    Categoria:Long-fic
    Avvertimenti:Fluff... il vostro dentista farà affari.
    Personaggi/coppia:Haley/Hotchner, il team
    Spoilers:Anticipazioni sulla quinta serie
    Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, ma sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    Note:Dopo aver visto la prima puntata della quinta stagione ho

    SPOILER (click to view)
    avuto pietà di Haley e ho deciso che meritava una possibiltà. Forse...


    Sotto protezione



    Haley osservava il figlio dormire.
    Quella sera non ne voleva sapere di mettersi a letto, quella specie di vacanza proprio non gli piaceva, e per fortuna era troppo piccolo per capire quanto fossero in pericolo.

    Un assassino aveva quasi ucciso Aaron, ed ora lei e il bambino erano sulla lista di quell'uomo come prossime vittime.
    Quando l'aveva saputo non aveva nemmeno saputo confortare suo marito, ex...

    Io IO io... è tutto quello che gli ho saputo dire, ma ero troppo sconvolta.
    Troppo spaventata.
    Arrabbiata.

    Due lacrime le scesero sulle guance, raggiunto il mento si congiunsero in una sola goccia che piombò sul pavimento, altre gocce seguirono la prima.
    Non era scossa dai singhiozzi, erano solo lacrime silenziose che poteva far scendere solo quando Jake dormiva.
    Se fosse capitato qualcosa ad Aaron, dopo che lei lo aveva quasi accusato di averli messi in pericolo, non se lo sarebbe mai perdonato.

    E non posso nemmeno fargli sapere quanto mi dispiace, niente contatti, di nessun genere.


    Si asciugò le lacrime e tornò a leggere la lettera che aveva trovato tra le sue cose quando aveva disfato i bagagli.

    Haley, volevo sapessi che mi spiace moltissimo per come si sono messe le cose tra di noi, non volevo che tuo marito capisse che frequentavi un altro.
    Capisco che non è questo il momento per una relazione seria, e se vuoi cercare di ricucire le cose con il padre di tuo figlio, io mi ritirerò di buon grado, non verrò a disturbarti ulteriormente.
    Frederick

    Oltre un anno prima lei era uscita qualche volta con Frederick, era il periodo in cui lei e Aaron erano praticamente separati in casa, almeno quelle volte che lui era in casa, era sempre fuori per lavoro, e lei aveva fatto uno degli sbagli più grossi della sua vita.

    Frederick era stato poi talmente ingenuo che avea fatto comprendere ad Aaron che lei aveva un altro e le cose non potevano che finire, con entrambi.
    Dopo una telefonata a cui aveva risposto Aaron, sul telefono di casa, lui l'aveva chiamata sul cellulare e la sua aria quando lei non aveva risposto subito l'aveva inchiodata, difficile mentire ad un esperto in profili criminali.

    Il giorno dopo Frederick le aveva recapitato quella lettera.

    E lei aveva deciso che non importava, se non troncava lui lo avrebbe fatto lei.
    Si sarebbe dedicata a Jake e a se stessa, Aaron aveva il suo lavoro, lei aveva la sua vita.
    Non sapeva nemmeno perché l'aveva conservata, forse per ricordarsi di come aveva gettato alle ortiche il suo matrimonio.

    Ed ora questo.
    Protezione testimoni, lei e Jake che scomparivano, forse per qualche mese, forse per anni.
    L'angoscia l'assalì nuovamente.

    Chiuse la porta della sua camera e si prese il viso tra le mani, stavolta i singhiozzi vennero.
    Aaron...Aaron...


    Primo capitolo


    Aaron stava parlando al telefono.

    “Ho alcuni dei tuoi migliori allievi ad aiutarmi, sarà come se ci fossi anche tu.
    Grazie per aver chiamato, no oggi mi dimettono, praticamente li ho obbligati.
    E Jason, grazie, dico davvero non preoccuparti. Ciao”.

    Appoggiò il telefono sul comodino, e rimase qualche istante assorto a pensare all’amico che non vedeva ne sentiva da quasi due anni, se si escludono i due biglietti con gli auguri di Natale a tutta la squadra.
    Sapeva che se glielo avesse chiesto sarebbe andato a dare loro una mano, ma non voleva chiederglielo, avevano catturato la prima volta Foyet mesi prima, senza Gideon, lo avrebbero preso di nuovo.
    Doveva essere così.

    Non ne poteva più di essere confinato in ospedale, quelle tre settimane lo avevano portato al limite della sopportazione, non gli bastava più avere i resoconti giornalieri della squadra, andavano tutti a trovarlo per tenerlo aggiornato, e per distrarlo, o almeno ci provavano.
    Reid era stato il più assiduo, lui e le sue stampelle non avevano mancato una visita, solidarietà tra convalescenti.
    Spencer era stato ferito lo stesso giorno del suo ricovero in ospedale, e stava lavorando esclusivamente in sede in quelle settimane, sembrava poi che la cosa avesse conseguenze più a lungo termine, due interventi per ricostruire i legamenti al ginocchio, quelle stampelle gli avrebbero fatto compagnia a lungo, ma era già tornato al lavoro.
    E lui non intendeva essere da meno.

    Riprese a preparare le sue cose per lasciare quella stanza, le giornate in qualche modo passavano, tra le visite dei medici, le terapie, gli amici, ma le notti no. Quelle erano eterne.
    E il ricordo di quello che era successo, e che sarebbe potuto accadere diventava prepotente, e se anche riusciva ad addormentarsi, erano incubi su incubi.

    Aveva quasi terminato, dalla telefonata di Gideon a quel momento non poteva essere passato più di un quarto d’ora, e vide sulla porta l’agente Dave Rossi.
    Dave sapeva quanto l’idea che Foyet sparisse per altri dieci anni, come aveva fatto quando aveva stretto il patto con Shaunessy, lo angosciava.
    In realtà era dell’idea che lo avessero capito tutti, ma solo a Dave lo aveva detto chiaramente, e lui gli aveva risposto con la sola cosa che aveva bisogno di sentirsi dire: lo prenderemo!

    “Mi hanno detto che hai chiesto di essere dimesso contro il parere del medico”.
    “Ma, in questo ospedale lo sanno cos’è il rispetto della privacy?”
    “Non l’ho saputo dall’ospedale”.
    “Non sapevo che tu e Gideon vi sentiste”.
    “Cortesie tra colleghi, ti accompagno a casa.”
    “Dave, non serve, davvero”.
    “Serve, inutile discutere”.

    Aaron scrollò le spalle, maledicendosi nello stesso istante per le fitte che senti irradiarsi dall’addome per quel semplice gesto.
    Rossi guardò il collega trattenere una smorfia di dolore, non disse niente, sapeva che niente gli avrebbe fatto cambiare idea, poteva solo offrirsi di aiutarlo.
    Per quanto glielo avrebbe consentito.

    “Non mi dici che sono un pazzo?”
    “No, sarebbe come darlo a me stesso, non reggerei chiuso qui dentro e ti capisco, però perdonaci se saremo un po’ ansiosi”.
    “Sarete?”
    “Capirai. Hai terminato la valigia? Chiamo l’infermiere”.
    “Posso uscire sulle mie gambe”.
    “Regolamento, sai bene che almeno fino a sulla porta non vorranno vederti camminare”.
    Un sospiro di rassegnazione fu la sola risposta di Aaron, era prossimo ad esplodere se lo tenevano ancora un’ora lì dentro.

    Ma non ci volle un’ora, in meno di venti minuti lui e Rossi erano fuori in automobile, David cercava di farlo parlare, ma le risposte erano monosillabi, gli sembrava stesse rivivendo il suo rientro precedente.
    “Hanno pulito completamente la scena, una volta catalogate tutte le prove, ti abbiamo riempito il frigo e non ti vogliamo in sede per almeno altre due settimane”.

    Aaron parve svegliarsi dal torpore.

    “Non se ne parla, mi sono fatto dimettere per tornare al lavoro, non per fare convalescenza a casa”.
    “E noi non ti vogliamo raccogliere svenuto sul pavimento del tuo ufficio, tranquillo, le indagini le seguirai, fidati”.
    “Perché non mi avete avvisato?”
    “Perché sapevo, da ben prima che mi telefonasse Jason un ora fa, che non te ne saresti rimasto in quella stanza, e lo sapevano anche gli altri, ci siamo ingegnati per tenerti un po’ tranquillo, te lo dicevo che siamo un po’ in ansia”.

    Aaron scosse la testa, doveva immaginarlo che la sua squadra non si sarebbe fatta sorprendere dalla sua decisione a rientrare, non dopo quello che era successo solo un anno prima.
    Lavorare era la sola cosa che gli consentiva di non pensare al suo matrimonio finito, e non volle stare a riposo, rischiando di rimetterci l’udito, stavolta lo avevano anticipato.
    E si ricordò delle domande su cosa ci fosse nel menù ospedaliero.
    Era un modo per sapere cosa gli piaceva da fargli trovare nel frigo.
    Reid avrebbe avuto il fatto suo per averlo raggirato, ma non potè fare a meno di apprezzare il gesto, cortesie tra amici.

    Un sorriso triste gli increspò il viso, a momenti aveva legami più forti con i colleghi che con i parenti, fratello in primis.
    Era andato a trovarlo diverse volte, e lui gli aveva fatto promettere di chiamarlo se avesse avuto bisogno, ma per quanto volesse bene a suo fratello, lui ora aveva solo bisogno di catturare un SI e uno chef non faceva al caso suo.
    E il fratello lo sapeva bene.

    “Novità su Foyet?”

    Il macigno era stato sganciato.
    Dave rispose che aveva le stesse notizie della sera precedente, e dopo aver parcheggiato l’auto, osservò per qualche istante l’amico.
    Come fare a ripetere le stesse parole di tre settimane prima, quando da allora non avevano trovato un solo indizio o traccia per catturarlo.
    Come aiutarlo a non arrendersi, quando lui per primo stava iniziando a dubitare delle sue convinzioni.



    Secondo capitolo

    Salirono all’appartamento, gli incubi che lo perseguitavano ripresero forma mentre si avvicinava alla porta, David aveva visto giusto, era meglio non essere da solo.
    Reid si affacciò alla porta, si voltò verso l’interno ed esclamò un “Sono arrivati!” che probabilmente sentì tutto il vicinato.
    Morgan lo affiancò, poi entrambi si fecero da parte per permettere ai due uomini di entrare.

    “Era a questo che ti riferivi parlando di ansia?”
    “Qualcosa del genere”.

    Aaron ammutolì quando si accorse che il suo salotto pareva un distaccamento della sede di Quantico.
    “Scusa Dave, ma non avevi parlato di un paio di settimane di riposo a casa?”
    “Dipende da come intendi tu il concetto di riposo, per come ti conosco io: ti è estraneo”.

    “Però Hotch ora sarebbe meglio che andassi a stenderti un poco, sei pallido da far spavento.”
    “Sono d’accordo, nella tua stanza e in cucina, frigo a parte, non ci sono state nostre intrusioni”.
    Erano state Emily e JJ a parlare. Indicandogli la sua stanza.
    Lui accettò il consiglio senza fare storie, era rimasto in piedi pochi minuti, il tempo arrivare dall’auto e già si sentiva svenire, decisamente aveva ragione quel medico che lo aveva definito un folle a volersene uscire così presto dall’ospedale.

    Ringraziò i ragazzi per il supporto e andò a stendersi, cercando di non guardare il tappeto smacchiato di fresco o il buco sul muro stuccato e riverniciato alla meglio.
    Quando chiuse la porta dietro di se iniziarono a parlare sottovoce uno sull’altro.

    “Non avremo esagerato ad invadergli casa in questo modo?”
    “Non era meglio trovargli un altro appartamento?”
    “Non saremo troppo assilanti?”

    David tacitò i suoi colleghi.
    “Sì, ma non potevamo lasciare che tornasse in sede in quelle condizioni e piazzare un letto nell’ufficio non mi pareva il caso.
    No, questa è casa sua, meglio affrontare i propri incubi.
    Poco, ma sicuro che siamo assillanti, cerchiamo di darci una calmata e lasciamolo respirare.”

    Un’oretta dopo Hotch uscì dalla sua stanza, e affrontò la questione con i colleghi, i casi.
    “Quanti casi state seguendo?”
    “Finora tre, ma Foyet ha la priorità!”
    “Non fatelo.”
    “COSA?” Avevano parlato in tono normale, ma avendo detto la medesima parola tutti quanti era parso che venisse urlata.

    Aaron parve prendersi tempo per spiegare meglio il suo punto di vista.
    Quando iniziò a parlare aveva la solita intonazione di quando doveva spiegare un profilo.

    “Deve essere un caso come un altro, Haley e Jake sono al sicuro, lui vuole la nostra totale attenzione, non diamogliela; seguiamolo come faremmo con un qualsiasi altro caso, solo in caso di sviluppi avrà maggiore attenzione.”
    “Cioè se ucciderà di nuovo?”
    Era stato Reid a parlare, con una nota di incredulità nella voce.
    “So che pensi che io sia ammattito, ma se ci dedichiamo solo a lui, avrà vinto. Io voglio catturarlo, non farlo godere mentre ci provo soltanto”.

    Gli sguardi passarono tra i vari membri della squadra.
    Sì, l’idea della momentanea follia li aveva attraversati, ma aveva un senso, forse.

    Guardò la pulizia nella stanza, le tracce dell’aggressione erano state cancellate, lo aveva fatto anche lui per Elle, ma quella volta era finita, il mostro non poteva più nuocere, stavolta invece era ancora tutto da risolvere.
    Ma conservare il suo sangue sul tappeto o il foro del proiettile non sarebbe servito.
    E non avrebbe cambiato appartamento, Foyet gli aveva già disintegrato la vita separandolo da suo figlio, non gli avrebbe dato altre soddisfazioni.

    Lui non era Elle, non si sarebbe lasciato sopraffare da quanto accaduto.
    Forse.

    Il dubbio gli veniva da una cosa che aveva pensato mentre si guardava in giro e ricordava.

    A levare di mezzo Foyet con un proiettile in testa non ci penserei due volte, poi posso anche restituire distintivo e pistola come fece lei.

    Il computer sul tavolo emise un ronzio, poi si accese ed anche Garcia irruppe nel salotto affollato, distraendolo dal tarlo per qualche istante.

    “Buongiorno a tutti, mi hanno inoltrato una cosa, ve l’ho fatta portare. Hotch… è un piacere rivederti fuori dall’ospedale.”
    “È un piacere anche per me, l’impianto di collegamento con la sede lo devo a te? Grazie per il lavoro che ti sei sobbarcata”.

    Sapeva bene che quel lavoro era stato un extra, non retribuito, solo per fare una cortesia ad un capo troppo testardo, finita quella storia il suo debito di riconoscenza con i suoi colleghi sarebbe stato stratosferico.
    Ma sapeva anche che non avrebbero mai presentato il conto.

    Arrivò quanto annunciato da Garcia.
    Era una cartolina, messa in una busta di plastica per preservarla come prova.
    C’era il Mount Saint Helene prima dell’esplosione vulcanica che lo devastò.
    Solo il destinatario ed una frase.

    Era molto meglio prima, vero?
    F.


    Morgan esclamò per primo.
    “Ma che diavolo?”

    Reid iniziò a declamare dati.
    “L’eruzione vulcanica lo distrusse quasi totalmente nel maggio del 1980”

    Hotch precisò la data
    “Il 18 maggio.”
    “Sì esatto, ma il fenomeno sismico iniziò mesi prima a Marzo.”

    “Non credo conti l’anno o la durata del fenomeno, Reid, il 18 maggio* era l’anniversario del mio matrimonio”.

    Un silenzio di gelo scese nella stanza.
    E tutti pensarono alle stesse persone, una donna e il suo bambino.


    *Pura LdA(Licenza dell'Autrice...
    Non è uno spoiler...
    SPOILER (click to view)
    E sì...c'azzecca proprio per niente con quello che stiamo vedendo.
    Ma sta cosa l'avevo buttata giù un po' di tempo fa... l'ho solo adattata senza aggiornarla a quello che è andato in onda.


    Terzo capitolo

    E la donna ed il bambino stavano a centinaia di chilometri da loro.
    Con un altro nome a proteggerne l’identità, in un piccolo appartamento in una città densamente popolata, l’appartamento dava su un cortile dove Jake stava giocando con gli altri bambini, vicini di casa.
    Nessuno faceva loro domande sul padre del suo bambino, era una donna divorziata con un figlio, come ce ne sono tante.
    Un bussare discreto alla porta, uno dei vicini, quello che stava a fianco del suo appartamento con la finta fidanzata, l’altro agente FBI ,che erano la loro scorta.
    L’agente si era offerto di aiutarla a mandare un messaggio ad Hotchner.

    “Spedirò la lettera da un altro Stato, ma mi raccomando, nessun riferimento a dove siete, nemmeno per parlare delle giornate piovose, potrebbero essere un indizio se la lettera dovesse…”

    “Vuole leggerla? Così potrà stare tranquillo. Non ho scritto niente di particolarmente riservato o che lei non possa immaginare”.

    “Mi scusi”.
    Le disse l’uomo prendendo in mano la busta ancora aperta, mentre lui tirava fuori la lettera ed iniziava a leggere, Haley ripenso a come la sera precedente aveva tentato di mettere sulla carta quello che non aveva saputo dire a parole quel giorno in ospedale.


    Aaron ci manchi.Volevo solo tu sapessi che stiamo bene.
    Il tuo collega mi ha consigliato di non scrivere troppe cose per evitare che scriva qualcosa che faccia capire dove siamo.
    E allora la letterà sarà breve.
    Jake guarda ogni sera una tua foto, sfogliamo insieme il libro che tu gli hai regalato, e si addormenta con quella smorfietta buffa che sappiamo bene da chi ha preso.
    Sto iniziando a capire solo ora, a viverlo da dentro, cosa sia il tuo lavoro. Meglio tardi che mai, vero?
    A casa con noi era il solo momento in cui potevi staccare e mi spiace di non aver mai capito quanto fosse difficile per te.

    So che presto tutto questo finirà e so che per te stargli lontano è un dolore troppo grande, resisti, noi abbiamo bisogno di te.
    Ricordati solo una cosa: non hai niente da farti perdonare, niente.

    Ti voglio bene, Haley.


    L’uomo ripetè le proprie scuse per l’invasione della privacy ed Haley lo fermò.

    “La prego, sta solo facendo il suo dovere, magari rischiando pure il posto se… non sarà possibile avere notizie da Aaron vero?”
    “No, far recapitare questa spedendola da lontano da qui è ancora una cosa fattibile, recapitare qualcosa qui o nelle vicinanze sarebbe un rischio troppo grande”.
    “E scommetto che Aaron si arrabbierà pure per la mia iniziativa”.
    “Non credo, non con quello che ho letto”.

    L’uomo aveva tentato di risollevarle il morale, ma lei conosceva Aaron ed era tentata di strappargli la lettera dalle mani, ma la voglia di raggiungerlo per dargli almeno un po’ di speranza era troppa.

    Sentiva che ne aveva bisogno.

    Ora capiva quello che aveva tentato di dirle il mese precedente.

    L’avevano informata su chi era l’individuo che aveva quasi ucciso suo marito e li minacciava, le avevano anche mostrato una sua fotografia nel caso fosse arrivato a loro e lo potesse identificare, ma l’avevano anche avvertita che era bravo nei travestimenti.
    Niente di eclatante, ma gli erano bastati degli occhiali ed un aria dimessa ed aveva ingannato dei profiler esperti, e lei non era nessuna delle due cose.
    Si era inferto delle ferite per risultare tra le vittime e non un sospettato.

    E quel mostro ora era lì fuori a minacciare lei e Jake per torturare Aaron, di nuovo.

    No, quella lettera non era una cattiva idea.
    Era necessaria.
    Aaron avrebbe capito, con il tempo.
    Forse.

    Offrì del caffè all’uomo che rifiutò ed uscì, erano sempre almeno in due e si davano il cambio.
    Lei prese una tazza per se, e si mise guardare, dal terrazzino che dava sul cortile, il suo bimbo che giocava, gli avevano spiegato che non doveva dire a nessuno il suo vero nome, e sembrava divertirlo la cosa di usare un nome diverso per gioco.

    Lei era in ansia, bastava un niente e avrebbero dovuto cambiare posto di nuovo, la prima volta era stata colpa sua, una telefonata di troppo.

    Lei e il suo bambino da soli, sua sorella non aveva pensato a rassicurarla, sapeva che in qualche modo Aaron le avrebbe fatto sapere che lei e Jake stavano bene.

    Sua sorella… curioso.
    Aveva sempre fatto riferimento a lei, quando le cose con Aaron avevano iniziato ad andare di male in peggio, era da lei che era andata.
    Quando Aaron era spesso via era sua sorella che le diceva che doveva pretendere che suo marito si prendesse il suo tempo per la famiglia.
    Quando litigava con Aaron lei era sempre a disposizione, per criticarlo.

    Ora che non la vedeva e la sentiva da oltre un mese si chiedeva cosa sarebbe successo se invece di essere a disposizione con della benzina a caricarla ancora più di rabbia contro il marito, avesse provato con dell’acqua per spegnere l'incendio.

    Sono ingiusta, il nostro matrimonio Aaron ed io lo abbiamo tenuto in piedi e sfasciato da noi, lei ha solo fatto la sorella, e prendeva le mie parti.
    Non posso prendermela con lei per questo. Ma a volte… avere un capro espiatorio è utile.

    Soffiò sulla tazza prima di prendere un altro sorso di caffè, il vapore sfilò via nella brezza che si era sollevata, chiamò Jake perché rientrasse, e rimosse il pensiero della sorella, almeno per quel momento.

    Lontano dalla sua vista l’agente consegnò la lettera al collega che si stava dirigendo a Quantico, non avrebbero potuto dire a nessuno dove stavano Haley e Jake, ma i contatti erano assicurati evitando le poste, però era meglio non dirlo alla donna, dopo quelle telefonate non si fidavano troppo del suo senso pratico.

    L’aria stava rinfrescando, l’estate presto sarebbe stata un ricordo, lì l’inverno arrivava presto, ad imbiancare le pendici del monte che si vedeva in lontananza.

    Un vulcano, quello che una volta era noto solo come Mount Sant’Helene.

    Quarto capitolo

    La squadra.
    Aaron li aveva spediti tutti fuori da casa sua il giorno dopo, quando al mattino si erano ripresentati per aiutarlo aveva detto loro che si sarebbe tenuto in contatto tramite Garcia e di andare ad occuparsi delle indagini.

    Non dal suo salotto.

    Nessuno aveva tentato di persuaderlo che stare da solo non era una buona idea, erano tutti ben consapevoli che aveva bisogno di riprendere la sua vita normale, per quanto potesse esserlo senza notizie della sua famiglia.
    E lo avevano lasciato in pace, mentre controllava i codici dell’allarme che si era fatto installare in casa quando era ricoverato.
    Non era mai stato attivato, fino alla sera precedente, quando in modo cortese, ma fermo, aveva rifiutato che uno di loro si fermasse a dormire sul divano.

    Reid gli consegnò alcuni fascicoli che Garcia gli aveva detto che Hotch voleva, e non aveva aggiunto niente sapendo fin troppo bene su chi fossero.
    Rossi ed Emily si fecero promettere che avrebbe chiamato per qualsiasi cosa.
    JJ gli sorrise senza dire una parola, la sera prima quando era andata a casa ed aveva preso in braccio Henry aveva sentito un sottile senso di colpa, sapeva bene quanto Jake mancasse ad Aaron, lei meglio degli altri poteva capire quello che stava passando.
    Derek fu il più riluttante ad andarsene, ma come aveva detto a Rossi, quando questi gli aveva detto come mai non diceva ad Aaron che pensava che fosse troppo presto per tornare al lavoro: gli piaceva il suo lavoro e non voleva perderlo per mettersi contro il suo capo.
    Quindi alla fine abbozzò anche lui e si diresse con gli altri alla sede di Quantico, per lavorare ad uno dei tre casi in sospeso.
    Penelope era la sola che rimaneva in contatto costante con Hotch, per quanto lui lo consentisse.

    Poco, molto poco.

    Le indagini
    Morgan e Prentiss stavano interrogando un sospettato.
    Non si era tolto gli occhiali a specchio nemmeno quando era stato al chiuso, Emily avrebbe preferito vederlo bene in volto, ma questo pareva intenzionato a non farsi guardare negli occhi.
    Avevano analizzato tre delitti, trovando un tutti un comune denominatore.
    Le persone uccise erano tutti in posizioni di comando, persone di successo.
    Un dirigente di una piccola azienda.
    Un caporedattore di un network.
    Un militare in congedo che teneva conferenze contro la discriminazione all'interno delle forze armate.

    E il tizio con gli occhiali a specchio davanti a loro, aveva avuto a che fare con tutti e tre.
    Era stato nell'esercito, anche se la pancetta prominente dava l'idea che non avesse continuato a tenersi in esercizio.
    Una sua fidanzata lo aveva lasciato e lavorava per il caporedattore del network, ed era stato licenziato dal dirigente ucciso.

    Dovevano solo trovare le prove che lo collegassero ai delitti, non aveva un alibi, ed era pieno di moventi.
    Una confessione avrebbe fatto al caso loro.

    Derek iniziò l’interrogatorio.
    "Quando è stata l'ultima volta che ha visto il maggiore?"
    "Ex maggiore, lo vidi ad una conferenza la scorsa settimana, due giorni prima che venisse ucciso".
    "In passato era stato sotto il suo comando, che tipo di comandante era?"
    "Un emerito figlio di buona donna, se crede che pianga per la sua scomparsa si sbaglia. Si riempiva la bocca di parole contro le discriminazioni, ma era solo un bugiardo. Cavalcava solo l'onda del politically correct e niente di più".
    "Un astio di vecchia data".
    "Se dovessi uccidere tutti quelli che non mi stanno simpatici avrei fatto una strage, e mi sarei anche dovuto suicidare alla fine".

    L'uomo non cedeva di un centimetro, non faceva niente per nascondere l'astio verso le persone assassinate, ma proprio per quello diventava difficile pensare che fosse stato lui, non avrebbe saputo controllarsi e le scene del crimine non sarebbero state così intonse e prive di impronte.

    Derek ed Emily uscirono un istante per accordarsi e parlare della cosa.
    "Non cede e mi sto convincendo che sia solo un tronfio pallone gonfiato".
    Disse la donna guardando l'uomo al di là dello specchio, quest'ultimo si tolse per un attimo gli occhiali e si mise a pulirli, rivelando due occhi di colore diverso.
    "Ecco perché non si toglie mai gli occhiali, lo infastidiscono le persone che lo fissano per il colore dei suoi occhi".
    "No, non se li leva perché è come hai detto prima, è un pallone gonfiato".
    "Ma questo non fa di lui un assassino, anzi, stando alla vittimologia, potrebbe essere la prossima vittima, è un caposezione nel settore della farmacologia e... rientra nel profilo del nostro SI".

    "Usiamolo come esca!"
    "Derek...sei ammattito?"
    "Forse".
    “Dovremmo sentire cosa hanno scoperto Rossi e Reid”.

    Derek chiamò Garcia per sapere se aveva notizie di Hotchner, la donna gli disse che dopo averle chiesto di mandargli alcuni file aveva detto che voleva riposare un poco e aveva spento il computer.
    Ma sospettava che stesse semplicemente leggendo e rileggendo il materiale che avevano su Foyet.
    Cercando una qualche cosa che dicesse come farlo uscire allo scoperto.
    Lui non potè impedirsi di pensare che l’idea dell’esca gli veniva dal discorso di Hotch, ma non sarebbe stato pensabile di mettere a rischio Haley e Jake.
    Ma come stanare quel verme di Foyet era una cosa che turbava ognuno di loro, come aveva detto Rossi, chi colpisce uno di noi colpisce tutti noi, Aaron avrebbe dovuto capire che non lo avrebbero lasciato solo contro Foyet.

    Mentre lui era al telefono con Penelope arrivarono Dave e Spencer, con dei dettagli interessanti sulle vittime, ognuna di queste persone mostrava una facciata, di perbenismo e gentilezza che nascondeva comportamenti tutt'altro che cortesi.

    Il militare si era salvato dalla corte marziale per comportamento indegno solo perché si era dimesso.

    Il caporedattore molestava le sue dipendenti, ma non c'erano denunce.

    E il dirigente, aveva messo a casa decine di dipendenti mentre lui spendeva a destra e a manca per ville e costose vacanze.

    Aaron
    Aveva spento il computer, voleva restare da solo e continuava a sfogliare quelle pagine, lì stava scritto nero su bianco come si erano fatti scappare Foyet la prima volta.
    Come non avevano capito che era impossibile che Il Mietitore avesse lasciato un superstite.
    Del senno di poi sono pieni i fossi, ma era una citazione troppo semplicistica e non gli venne proprio in mente, preso com’era a maledire se stesso per non aver capito.
    Avevano avvisato gli sceriffi federali del fatto della cartolina, nel caso avesse una qualche relazione al posto dove erano nascosti Haley e Jake.
    Stava aspettando che gli facessero avere notizie, che quella cartolina era solo un riferimento ad un passato che non c’era più e non ad altro.
    Riaccese il portatile, chiamò Garcia.
    Si fece aggiornare sulle indagini che stavano seguendo gli altri, le disse che aveva bisogno di altri file, le elencò quello che gli serviva, una volta avuto la rassicurazione che presto gli sarebbe stato recapitato tutto a casa salutò, piuttosto bruscamente, e chiuse di nuovo i contatti.

    La donna per un momento rimase perplessa, a domandarsi come poteva aiutarlo.
    Poi le venne in mente che poteva portargli lei i documenti.
    Ma scartò l’idea pochi secondi dopo, immaginando la sua reazione infastidita, se era brusco nei contatti telefonici, meglio stargli a distanza di sicurezza.
    Almeno per un po’.

    Uno sceriffo federale arrivò alla porta dell’appartamento di Aaron, bussò.
    Aaron osservo prima dallo spioncino di chi si trattava, poi lo fece entrare.

    Il collega gli spiegò che quando avevano saputo della cartolina avevano immediatamente trasferito lei e il piccolo in un luogo di transizione.
    Ad Aaron ghiacciò il sangue nelle vene all’idea che Foyet era riuscito a scoprire dove stavano per ben due volte.
    Ma l’agente disse che forse era solo un caso, dato che Mount Sant’Helene era visibile in lontananza anche nella prima destinazione.

    Gli consegnò la lettera della moglie e con una scusa, disse che doveva spostare l’auto e sarebbe tornato più tardi, lo lasciò solo a leggerla.

    Aaron si mise seduto a leggerla. Gli occhi gli si riempirono di lacrime all’idea del suo piccolo, era il suo compleanno.
    E lui non era là a fargli gli auguri.

    Rilesse più e più volte la penultima riga.
    Ricordati solo una cosa: non hai niente da farti perdonare, niente.

    E continuava a ripetersi il contrario.
    Ho tutto da farmi perdonare… è solo colpa mia.
    Dovevo lasciare questo lavoro due anni fa, e non sarebbe successo niente.

    Portò le mani al volto e pianse.
    Mentre la lettera cadeva piano sul pavimento, ripiegata in un modo per cui si leggeva solo l’ultima riga.

    Ti voglio bene, Haley.



    Quinto capitolo

    L’agguato

    Il rumore della pioggia era l’unico suono che si sentiva.
    Un uomo era fermo ad osservare lo scatenarsi degli elementi, da quella posizione poteva vedere la luce accesa nella casa di fronte, il suo bersaglio soffriva d’insonnia.
    Ma anche lui come gli altri presto avrebbe riposato, in eterno.

    Nella strada rivoli d’acqua scorrevano impetuosi incanalandosi sotto i marciapiedi, portavano nelle fognature le foglie, mozziconi di sigarette e qualche cartaccia; il mattino seguente poteva anche sembrare che avessero pulito, e solo grazie alla furia dell’acqua.

    Dall’altra parte, nella casa con la luce accesa, una persona stava leggendo aspettando un sonno che non arrivava. Il fischio del bollitore gli segnalò che poteva prepararsi la camomilla, un abitudine presa anni prima, quando con l’insonnia c’erano anche le chiacchiere con la moglie con cui ci si incrociava di rado.
    Piccoli riti:
    “Non hai sonno?” “Tu nemmeno?” “È il lavoro?” “Anche…”

    Poi era tutto finito, era rimasta solo l’insonnia.
    E la tazza di bevanda bollente che serviva a poco, ma ormai era un’abitudine consolidata; sorseggiare piano qualcosa di caldo era diventato un modo per far passare il tempo quando capitavano quelle notti.
    E non ci rinunciava quasi mai.

    L’uomo che osservava dall’altro lato sì sistemò meglio gli stivali di gomma che aveva ai piedi, da uno degli stivali spuntava un pezzo di carta, forse di un giornale, lo spinse più a fondo facendolo sparire dalla vista.
    Un imbottitura.
    Era una piccola precauzione, se avessero preso le impronte nel fango del giardino di fronte alla casa, avrebbero dato la caccia ad un tizio con dei piedi di due taglie superiori alla sua.
    Piccoli accorgimenti, come i guanti che portava sempre con se.
    Se non lo avevano ancora preso lo doveva alla sua attenta pianificazione, ed anche questa volta gliel’avrebbe fatta sotto il naso.
    Aveva visto i federali andarsene, li aveva sentiti lamentarsi di non avere una pista.
    Li aveva giocati.
    Di nuovo.

    Sarebbero tornati dopo questa notte, ma avrebbero brancolato nel buio.
    E lui avrebbe riso dei loro tentativi.
    Quanto potevano essere prevedibili.
    A volte troppo e gli toglievano il piacere di sentirsi braccato, era sempre un passo avanti a loro.
    Quanto ci avrebbero messo a capire?
    Di sicuro troppo per l’uomo di questa notte, per lui arriveranno troppo tardi.

    Dall’altra parte la luce si spense, si doveva essere deciso a coricarsi.
    E al rumore della pioggia si aggiunsero i passi di chi aveva deciso che era il momento di agire.
    Poche lente falcate e fu nell’ingresso, dietro di lui l’acqua scorreva veloce portandosi via le tracce del suo passaggio.

    L’incubo
    Aaron era riverso a terra, sopra di lui l’oscurità.

    Sentiva i fendenti che gli venivano inferti e non riusciva a vedere chi lo colpiva, sapeva che doveva trattarsi di Foyet, sentiva le sue frasi di scherno, non coglieva il significato, ma era di nuovo in suo potere.
    Poi si disse che era un incubo, che stava solo rivivendo in sogno l’aggressione e che doveva svegliarsi.
    E così fece, ma il dolore non se ne andò, erano i postumi dell'aggressione, ed era ancora nelle sue orecchie anche la voce di Foyet.
    “Ora vedrai le vittime in maniera differente, agente Hotchner”

    Sì alzò ed andò in bagno a sciacquarsi il viso, sperando di levarsi anche di dosso quella sensazione di nausea che lo coglieva quando riusciva a ricordare nuovi dettagli dell’aggressione.
    All’inizio erano stati pochi flash, poi mano a mano era tornato tutto alla mente, non poteva permettersi il lusso di scordare un solo istante, tutto poteva servire, Foyet poteva essersi lasciato sfuggire una frase che li poteva aiutare a trovarlo.

    Lo riteneva improbabile, ma non impossibile e allora cercava di ricordare tutti i dettagli di quello che era successo, ma da sveglio, non voleva averlo nei suoi sogni.

    Era preferibile non sognare in quel caso, di gran lunga.

    Si rimise sotto le coperte, la lettera di Haley sul comodino, vicino alla fotografia di Jake.
    L’agente che gliel’aveva portata la settimana scorsa era tornato dopo una mezz’ora, ed aveva preso in consegna una sua risposta alla moglie.
    Voleva farle sapere che era loro vicino, che le era grato per la lettera e che non era arrabbiato per le telefonate alla madre.
    Forse un poco lo era, ma non era quello il momento per dirglielo, da quello che gli aveva detto il collega lei aveva capito di aver fatto una stupidaggine, e non era il caso di infierire, era già dura così la cosa.

    Sì ricordò quello che aveva detto lo sceriffo federale, il luogo di transizione era una cosa temporanea e rapidamente avrebbero cambiato di nuovo posto, ed era sollevato dalla notizia che il profilo di Mount Sant Helene era visibile anche dalla prima locazione, voleva dire che li aveva trovati a causa della telefonata e poi li aveva persi di nuovo.

    Per fortuna.

    Sapeva che poteva voler dire anche altro, ma aveva bisogno di convincersi che erano al sicuro, o non sarebbe riuscito a concentrarsi su niente altro.
    C’era da capire come avesse fatto a trovarli anche quella prima volta.

    Cercò di addormentarsi, con in mente il suo bambino che gli correva incontro felice, ecco quello era un bel sogno.
    Deglutì piano sperando che potesse sognare solo di Jake, senza interferenze.

    Senza incubi.

    Il volo
    Haley e Jake erano su un piccolo aereo che stava sorvolando le Montagne Rocciose.
    Un ennesimo cambio di destinazione, era successo qualcosa ed erano dovuti andare via, ora si stavano dirigendo in una nuova località, l’agente le aveva detto che non era dipeso da lei, ma lei si domandava se nella lettera non ci fosse stato qualcosa che li aveva obbligati alla decisione, o altro.
    La risposta di Aaron l'aveva rassicurata, ma sospettava che se anche fosse stato arrabbiato non glielo avrebbe scritto con una lettera, ma avrebbe aspettato che fosse tutto finito.

    Il tempo era pessimo, il piccolo velivolo era scosso in continuazione dalla perturbazione in corso.

    Ad un certo punto uno scossone più forte degli altri ed iniziarono a scendere troppo velocemente, vide la montagna farsi loro incontro e strinse tra le braccia il suo bambino, soffocando un grido di terrore.


    Sesto capitolo

    Il rientro

    Era tornato al lavoro.
    Non poteva più restare a casa, aveva fatto i controlli che venivano richiesti in casi come il suo, ci sono domande a cui rispondere prima di tornare operativi, sapeva che forse non lo ritenevano ancora pronto, ma non poteva rimandare oltre.
    Una settimana, dopo le tre in ospedale, era quello che aveva concesso alla promessa che gli aveva strappato Dave.

    Mentre era a casa aveva deciso di assegnare il comando della squadra a Derek, la decisione li aveva colti di sorpresa, ma quando aveva capito che ai piani alti si preparavano a silurarlo, ritenendolo non all’altezza, l’unico mezzo per salvare l’integrità della squadra gli era parso quello.

    Derek aveva precisato che per lui quello era un ruolo temporaneo, e che una volta catturato Foyet le cose sarebbero tornate alla normalità.
    Non gli aveva detto ne sì ne no, aveva solo spiegato al collega cosa lo aspettava, tutta la burocrazia che fino a quel momento aveva sbrigato lui, gli si sarebbe riversata addosso, normalità sarebbe stata una parola sconosciuta ancora a lungo.

    Inutile illudersi.

    Era passata Emily a prenderlo, non era necessario, ma lei si era offerta e non voleva essere scortese.

    Si erano subito diretti su un caso, e lì per ben due volte davanti al sangue rappreso per terra si era sentito venire meno; Foyet aveva ragione, ora vedeva diversamente le vittime, essendolo stato anche lui.
    Una volta era rimasto solo silenzioso un istante di troppo, cosa subito notata dai colleghi, che però non avevano fiatato, mentre un'altra era proprio dovuto uscire subito dalla scena del crimine, forse era davvero rientrato troppo presto.

    E forse era il caso di accelerare le pratiche per il passaggio di consegne.
    Non era solo per timore delle decisioni dall’alto.

    Voleva potersi impegnare di più nella caccia a Foyet e quello lo poteva fare solo se passava le beghe ad altri, se Derek avesse intuito le sue reali motivazioni non lo diede a vedere e ascoltava paziente le varie spiegazioni.
    Non aveva idea della mole di lavoro che finora gli aveva risparmiato, profili preliminari, le riunioni con JJ per assegnare i casi a loro ed alle altre squadre, il loro era un gruppo unito e rischiare che la direzione lo smembrasse con delle riassegnazioni d’incarichi era impensabile.

    Erano stati fuori solo una giornata, ma era stata intensa.
    Ed avevano risolto due casi, l’attuale e un vecchio precedente che era rimasto insoluto per oltre trent’anni.
    Però il prezzo era stato alto.
    Troppo.
    Ma non c’era il tempo di pensarci, di casi purtroppo ne avevano sempre che premevano e chiedevano risposte.

    E il dopo Foyet pareva allontanarsi con il salire delle pile di cartelle nell’ufficio di JJ.

    La notizia
    Stava sgombrando l’ufficio, le consegne a Derek comprendevano anche la cessione dello spazio privato di cui godeva, quando vide lo sceriffo federale che aveva in custodia Haley e Jake entrare nell’open space.
    Questi lo vide e si diresse subito nella sua direzione, entrò e chiuse la porta dietro di se.

    Gli altri osservarono i due uomini parlare, lo sceriffo dava loro le spalle e parlava con concitazione, si vedeva che era molto agitato.
    Ad un certo punto Hotch si mise le mani nei capelli stringendo i gomiti davanti al suo viso, poi scattò in avanti e spinse fuori l’uomo, dal basso sentirono una sola frase.

    “Dovevano essere al sicuro!”
    “Mi dispiace Hotch!”
    “FUORI! FUORI DAL MIO UFFICIO!”
    Dave uscì dal suo, che stava proprio lì di fianco e fece per domandare qualcosa, ma Hotch chiuse in malo modo la porta e fissandolo al di la del vetro chiuse le veneziane togliendosi dalla vista.
    Derek fece per salire da lui, ma Dave gli fece cenno di non farlo, una mano protesa in avanti ad indicare che era meglio lasciarlo solo.

    Raggiunse lo sceriffo fino all’ascensore e gli chiese spiegazioni.
    Davanti a loro una buona fetta degli agenti ed impiegati erano in silenzio per la scena appena vista e sentirono quasi tutto.

    “Non abbiamo ricevuto comunicazioni, cosa è accaduto?”
    “Non c’entra Foyet, per quello non avete avuto comunicazioni, e la notizia per ora non è di dominio pubblico”.
    “Che notizia?”
    “Un incidente aereo sulle Montagne Rocciose, le cattive condizioni atmosferiche non ci hanno ancora consentito di raggiungere il luogo del disastro, ma ci sono poche speranze di trovare superstiti. L’aereo ha lanciato un mayday e poi il silenzio”.
    “Ma come avete fatto perché la notizia non trapelasse? È una cosa impossibile con un disastro aereo!”
    “Non era un aereo di linea, era un piccolo velivolo, fino a che non li avremo trovati, non ne daremo notizia”.

    Dave intuì che doveva esserci dietro qualcos’altro, ma non fece altre domande.

    Tornò dal suo amico, che aveva appena avuto la più tragica delle notizie che può ricevere un genitore.

    Dave bussò, chiamando il collega, Hotch gli disse di entrare.
    Ed anche lui come l’agente si chiuse la porta alle spalle.

    Era passato da un pezzo l’orario in cui di solito si andava a casa, ma nessuno della squadra si mosse dall’open space.
    Semplicemente aspettavano, senza nemmeno sapere bene cosa dire.

    Era chiaro che non c’entrava Foyet, o loro lo avrebbero saputo, doveva essere capitato qualche incidente.
    E non c’era niente che potessero fare.
    Avevano tutti gli occhi lucidi, Emily ricordava quella volta in cui, quando Haley era ancora sposata con Hotch, erano andati tutti insieme a bere qualcosa, il piccolo Jake dalla nonna e loro tutti insieme come un normale gruppo di amici, quando ancora Haley riusciva a tollerare il lavoro del marito e le ore che lui vi dedicava.
    Derek sentiva ancora le braccia del piccolo che lo stringevano mentre lo teneva in braccio quando erano stati a casa loro, temendo che Foyet avesse colpito.

    Ognuno di loro si sentiva impotente ed inutile.

    Ed anche molto arrabbiato.

    Un silenzio irreale era calato negli uffici.
    E fuori era ormai buio.
    Lo stesso buio che pareva avvolgerli tutti, nella più cupa disperazione, a cosa era servito cercare di proteggere la donna e il bambino se poi quello che Foyet voleva glielo aveva servito il destino?

    Derek senti quel piccolo barlume di fede che ogni tanto sapeva di provare, affievolirsi sempre più, come poteva Dio permettere una cosa tanto crudele?


    Settimo capitolo

    Il silenzio

    Nessuno parlava, negli uffici svuotati dal personale non c’erano nemmeno i soliti squilli telefonici a spezzare il suono del silenzio.
    Erano tutti seduti a guardare il vuoto, persi nei loro pensieri.
    Rossi ed Hotch si decisero ad uscire dall’ufficio.

    Hotch si diresse alla porta e prese l’ascensore senza voltarsi nella loro direzione, l’aria stravolta.
    Non dette loro il tempo di dire niente, fuggì letteralmente, come inseguito.
    Nell’ascensore Hotch continuava a pensare a cosa si erano detti lui e Dave, sapeva che l’amico aveva ragione, ma non poteva fare a meno di sentirsi in colpa.
    Voleva restare da solo e sapeva che Dave lo avrebbe accontentato, avrebbe impedito agli altri di fargli domande, avrebbe risposto lui al posto suo, evitandogli altri pesi.
    Il silenzio gli parve un rifugio ambito.

    Di sopra negli uffici non c’era più il silenzio.
    Morgan aveva chiesto a Rossi delle spiegazioni, Reid pensava che non dovevano lasciare Hotch da solo in un momento del genere, Emily, JJ e Penelope erano concordi con lui.
    Rossi aveva detto solo.
    “Ha bisogno del nostro appoggio, ma ora dobbiamo lasciarlo in pace, datemi retta, ora non serviremmo a niente altro che a farlo stare ancora peggio”.

    “E tu credi veramente che sia possibile che stia peggio di così? Haley e Jake dispersi sulle Montagne Rocciose, l’unica cosa che può peggiorare è avere la certezza della loro morte!”

    “La voce ha già girato vedo, eravamo davanti all’ascensore quando ne ho parlato con lo sceriffo”.

    “Credevi davvero che la cosa sarebbe rimasta chiusa nell’ufficio?”

    “No, ma se Foyet lo scopre non potremo… usare Haley e Jake come esche per catturarlo!”

    “È mostruoso! Forse sono morti e tu…”

    “E io penso a catturare colui per cui stavano scappando e che li ha uccisi, anche se non con le sue mani, resta sempre colpa sua”.

    “Dave ha ragione, non far sapere che… che… sì insomma non farglielo sapere è l’unico modo per farlo uscire allo scoperto, ma la cosa si scoprirà non appena troveranno… il velivolo”.

    “Non è detto, potremmo sempre tenere segrete le loro identità, non erano registrati con il loro nome su quel volo, e nessuno, agenti FBI compresi, dovrebbe sapere quali erano i nomi che usavano”.

    “Mi sembra mostruoso lo stesso”.

    “Perché lo è, ma dobbiamo catturare un mostro”.

    A quella frase seguì un altro innaturale silenzio, ognuno guardava l’altro sperando in una risposta che non poteva arrivare.
    Penelope fu la prima a cedere, iniziò con un singhiozzo, Derek la prese tra le braccia lasciando che si sfogasse, non c’erano altri suoni nell’open space.

    Derek ripensò alla settimana prima, l’altro caso e il pensiero che gli era venuto quel giorno e che aveva scacciato.
    Esche…come quel giorno.

    La trappola
    La settimana precedente, sotto il nubifragio.

    Un taglio netto al filo che portava la corrente all’allarme; con delle pressioni calibrate in più punti la serratura aveva ceduto, ora era dentro la casa.
    Era stato facile, non aveva fatto rumore, attraversò la cucina e si ritrovò in un ampio ingresso, davanti a lui la scala che portava alla stanza da letto.
    Salì, un primo gradino un leggero scricchiolio, il secondo stavolta il silenzio, al terzo all’improvviso si accesero le luci e partì una sirena lacerante.
    Tornò rapidamente sui suoi passi, ma quando fu alla porta scoprì che non era così furbo come si credeva, gli agenti erano lì fuori ad aspettarlo.

    Mentre un altro scendeva dalla scale con la pistola spianata.

    “Fermo, le mani sopra la testa, getta la pistola!”
    Non gli rimase che obbedire, si mise carponi come gli veniva ordinato.
    “Ha il diritto di rimanere in silenzio…”
    Fece una domanda
    “Credevo di averlo disattivato l’allarme, ce ne era un altro?”
    “…qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei, ha capito i suoi diritti?”
    L’agente gli aveva sciorinato l’elenco completo dei suoi diritti, ignorando la sua domanda.

    Si guardarono fissi, stavolta non c’erano gli occhiali a specchio a permettergli di non farsi guardare negli occhi, l’idea iniziale di Derek era stata esatta, il profilo corrispondeva, poteva anche essere una vittima, ma era invece il loro soggetto ignoto, che si era creduto al sicuro e aveva tentato di colpire di nuovo.
    Credendo che se ne erano andati senza scoprire altri dettagli.

    Ma loro lo aspettavano, avevano fatto un profilo inverso, cercando di capire chi poteva essere la prossima vittima, ed avevano ristretto il campo a due soggetti, entrambi sotto sorveglianza.
    Sapevano essere discreti quando lo volevano.

    L’uomo che lui avrebbe voluto aggiungere alla sua lista di vittime aveva aspettato che gli agenti tornassero alla sua casa dopo che si erano allontanati, una volta al sicuro aveva spento la luce, facendogli credere che poteva agire indisturbato.

    E lui ci era cascato.

    Aveva creduto alla sceneggiata che avevano messo in atto alla centrale quando avevano parlato di voler usare lui come esca.
    Quando pensava di essersi preso gioco dell’agente Morgan e invece, era stato giocato.

    Pensava di essere un passo avanti a loro e invece, era lì in manette non poteva più nuocere, e tutti loro non vedevano l’ora di poter eseguire lo stesso servizio anche per qualcun altro.


    Il capo
    Derek tornò al presente, guardò fisso Rossi e si disse che se c’era qualcosa che lui ed Hotch gli volevano tenere nascosto li avrebbe messi alle strette, non poteva essere il capo se non era a conoscenza di tutti i dettagli.
    Ma avrebbe aspettato di essere da solo con Rossi per fargli domande, voleva evitare di fare la figura del paranoico davanti a tutti gli altri.

    Rossi intercettò il suo sguardo e si chiese cosa stesse rimuginando il collega, anzi… il suo capo.

    Doveva abituarsi all’idea di Derk Morgan come superiore, era qualcosa a cui non aveva mai dedicato troppi pensieri, quando lui era rientrato al BAU un paio di anni prima sapeva che Hotch era il capo e mai lo avrebbe messo in discussione, aveva le sue questioni in sospeso.
    All’inizio erano stati scontri, sul metodo, quando l’unità era stata fondata il lavoro lo svolgevano con altre metodologie, ognuno per se, ma con il tempo aveva imparato a fare lavoro di squadra, con questa squadra e non l’avrebbe cambiata con nessun’altra.

    Se questo voleva dire accettare Derek come capo, poteva farcela, ma chissà se lui avrebbe retto alla tensione, ben presto sarebbe stato messo alla prova e certe libertà che si poteva prendere come agente avrebbe dovuto scordarsele con il nuovo ruolo.
    E una di quelle libertà era lì tra le sue braccia a singhiozzare disperata per la presunta morte di un bambino e della sua mamma, le avrebbe saputo mentire?

    Presto lo avrebbero scoperto.

    “Derek andiamo nel tuo ufficio, Hotch lo ha sgomberato e devi prenderne possesso, quando il vicedirettore Strauss passerà domani mattina tu devi essere insediato”.

    “Non credi che il vicedirettore potrebbe avere un po’ di pietà per quello che sta succedendo?”

    “Allora ho parlato al vento prima? Non si deve sapere che è successo qualcosa”.

    “Prendo le mie cose”.

    Forse deve dirmi qualcosa e non vuole farlo davanti agli altri, allora ho visto giusto.

    Penelope si scusò per il suo crollo, ognuno di loro cerco di rincuorarla e mentre Dave e Derek salivano all’ufficio si voltarono un attimo a guardarli, tutti per uno uno per tutti.
    JJ aveva una mano sulla spalla di Penelope, Emily le teneva una mano tra le sue, Reid si reggeva sulle stampelle ad un passo dalle tre donne.

    Arrivati all’ufficio Rossi fece entrare prima Derek, poi chiuse la porta dietro di se e si voltò pronto ad affrontarlo.

    “Sai che quello che ti sto per dire loro non lo potranno sapere fino a che tutto non sia finito!”

    “Sono profiler come te e me, avranno capito che sta succedendo altro, come pensi di tenerglielo nascosto?”

    “Mentiremo”.

    Derek guardò il collega e si chiese se fosse impazzito, una delle regole per la squadra era di non avere segreti gli uni per gli altri, almeno per quello che riguardava il lavoro, era una delle regole di Hotch.

    Ma stavolta era diverso, stavolta era lui la vittima.
    E forse è per questo che mi ha passato il comando…


    Ottavo capitolo

    I Segreti

    Dave riaprì le veneziane, fece segno a Derek di sedersi sul divanetto dello studio, lì non erano visibili dall’esterno, e prese posto su una sedia di fronte a lui.
    Derek fece quanto gli era stato indicato e mentre osservava il collega pensava che gli sembrava di essere tornato indietro, a quando Rossi era appena rientrato nell’Unità e metteva in discussione il metodo con cui si lavorava: In gruppo.

    Hotch deve avere delle ottime ragioni per agire in questo senso, non voglio credere che sia sconvolto a tal punto da Foyet da rinnegare le sue stesse regole.


    Mentre i due si confrontavano in ufficio, Aaron era alle prese proprio con quelle regole.
    La squadra era per lui come una famiglia e l’idea di mentire lo ripugnava, ma non c’erano alternative.
    Rivisse quello che era capitato nell’ufficio poche ore prima.

    Sam era entrato chiudendosi la porta alle spalle, lui si era subito alzando preoccupato per Haley e Jake, ma il collega lo aveva rassicurato.
    “Loro stanno bene, ma dobbiamo far credere il contrario, se Foyet riceve informazioni dall’interno è il solo modo di scoprirlo”.
    “Ma come?”
    “Intanto dovresti cacciarmi fuori in malo modo, ti ho appena comunicato che sono dispersi sulle Montagne Rocciose, dovresti essere infuriato con me”.

    Aaron si coprì il volto con le braccia per poter pensare e parlare senza essere visto.
    “Non la mia squadra, mi fido ciecamente di ognuno di loro!”
    “Nemmeno io penso ad uno di loro, ma non sono attori e senza un minimo di preavviso la loro reazione sarà più convincente, l’informatore deve credere nel loro dolore, quando verranno informati della notizia”.

    Aaron serrò ancora più forte i gomiti davanti al volto.
    “Non posso far loro questo!”
    “Devi! Se può aiutarti a cacciarmi fuori a pedate, con convinzione, sappi che per un paio di minuti sono stati sul serio in pericolo, la tempesta era peggiore di come immaginavamo”.

    Le certezze di Aaron vacillarono all’idea del rischio corso dai suoi cari, scattò in avanti e spinse l’uomo fuori dal suo ufficio gridandogli contro, con la coda dell’occhio vide David uscire dal suo, prima che l’amico gli facesse anche solo una domanda sbattè la porta e lo fissò mentre chiudeva le veneziane, aveva bisogno di tempo.

    Sapeva che Sam si sbagliava, i suoi avrebbero saputo fingere senza farsi scoprire, ma non c’era il tempo di avvertirli e indire una riunione sarebbe parso strano e la talpa avrebbe mangiato l’intero albero, non solo una foglia.
    L’idea di farli stare male lo faceva sentire un verme.

    Ma erano Haley e Jake, la sua famiglia, se per salvare l’una doveva sacrificare l’affetto e la fiducia dell’altra lo avrebbe fatto.
    Non sapeva ancora come, ma aveva preso una decisione e non sarebbe tornato indietro.
    Catturare Foyet e l’eventuale complice era la sua priorità, ora era Derek il capo, degli altri casi si sarebbe occupato lui.
    Sentì bussare, la voce di Dave che lo chiamava, gli disse di entrare.
    Uno sguardo e capì che al collega i conti non tornavano.

    “Non sono veramente dispersi vero?”
    “Sono al sicuro, ma ho bisogno che nessun’altro lo sappia, con Sam abbiamo studiato un piano, sospettiamo che nel nostro ufficio ci sia qualcuno che è in contatto con Foyet, deve credere che li stiamo cercando, l’idea di Sam è di dare delle indicazioni su un luogo ed attirare là Foyet o il complice”.
    “Ma noi sappiamo che Foyet agisce da solo”.
    “Quando uccide agisce da solo, qualcuno che gli da una mano deve esserci o certe cose non si spiegano!”
    “E come avrebbe fatto questo fantomatico informatore a sfuggirci?”
    “Qualcuno a cui non badiamo troppo, un impiegato che fa solo avanti ed indietro per gli uffici, senza mai essere operativo sul campo, un fattorino, magari qualcuno delle pulizie”.
    “Lo sai che…”
    “… rasento la paranoia, sì lo so, ma non posso aspettare la prossima mossa di Foyet”.

    “Quando ti sei messo d’accordo con Sam?”
    “Abbiamo parlato dell’ipotesi di una talpa qualche giorno fa, ha detto che avrebbe studiato qualcosa per poter mettere al sicuro Haley e Jake con delle false indicazioni, ma non mi ha spiegato cosa intendeva fare, a dirla tutta non lo ha nemmeno fatto ora, so solo che nessuno deve sapere che loro stanno bene”.
    “A Derek dovrai dirlo, come farà a dirigere la squadra se non conosce le tue intenzioni”.
    “Se ora lo faccio salire, e l’informatore è ancora in giro, inizierà a sospettare qualcosa, parlo ad uno alla volta in privato? È sospetto”.

    “Hai ragione, tu esci e vai a casa, io li tratterrò qui dentro e parlerò con Derek da soli, con la scusa che deve insediarsi nell’ufficio”.
    “Mi sento una merda a mentire in questo modo, su una cosa del genere!”
    “Hotch, saprebbero fingere, ma un sospiro di sollievo lo avrebbero anche inconsciamente e come hai detto prima l’informatore lo noterebbe, meno gente sa meglio è, ti perdoneranno una volta che Haley e Jake saranno sani e salvi. E tu perdonerai te stesso nel momento in cui potrai riabbracciare tuo figlio”.

    “Spero tu abbia ragione, vorrei avere le tue certezze”.
    “Le hai, si sono solo prese una pausa, torneranno.
    Ora andiamo o i ragazzi manderanno una squadra SWAT a stanarci, fila via senza voltarti nella loro direzione, ci penso io”.
    Aaron rivolse all’amico un sorriso grato, per aver tentato di stemperare la tensione del momento.

    Dave terminò il resoconto a Derek .
    Che era rimasto letteralmente senza parole.
    Sollievo per sapere che Haley e il piccolo stavano bene, rabbia per essere stato ingannato, ansia per la decisione presa da Hotch.
    Le emozioni si susseguirono sul suo volto, ora avrebbe dovuto affrontare le lacrime di Penelope senza poterla consolare, anzi se le avesse intuito qualcosa avrebbe dovuto ingannarla una volta di più, lo sguardo smarrito di JJ, che pensava al suo bambino e si sentiva male due volte come amica e come madre, la compostezza di Emily che era stata capace di tentare di consolare entrambe, il silenzio di Reid, legato ad Hotch come un figlio con il padre.

    Ora capiva la fuga in ascensore di Hotch, non poteva affrontarli, non subito e non tutti insieme.

    Uscirono dall’ufficio e Derek invitò i suoi colleghi ad andare a casa a riposarsi, la mattinata seguente sarebbe stata dura ed era già piuttosto tardi.
    Li vide uscire mesti dall’open space e sentì per la prima volta il peso della responsabilità degli uomini sotto il suo comando, dover aspettare per informarli era sbagliato, ma necessario.
    Rossi gli disse qualcosa sul fatto che anche ad Hotch capitavano giornate in cui non avrebbe voluto essere il supervisore dell’unità; Derek avrebbe voluto gridargli di stare zitto, ma non poteva non era con lui che era arrabbiato.

    Prima di oggi, sarà mai accaduto ad Hotch di avere voglia di gridare? Non sarò mai alla sua altezza.

    Doveva aver detto l’ultima parte della frase ad alta voce, perché Dave gli rispose:
    “Se ha scelto te è perché ti riteneva in grado di svolgere l’incarico, sarà anche un po’ in crisi, ma sa ancora valutare il prossimo”.

    “Lo so è che…”
    Si interruppe senza saper bene cosa voleva dire.
    Dave gli strinse una spalla e gli indicò l’uscita.
    “Se andassimo a riposare pure noi altri?”
    “Ottima idea”.

    Nono capitolo

    Sicurezze

    Stava spuntando l’alba, la notte era stata occupata quasi per intero da incubi, erano sull’aereo e si avvicinavano sempre più alla montagna, senza virare.
    Al secondo risveglio carico d’ansia aveva deciso che ne aveva avuto a sufficienza, alzandosi e preparandosi un caffè aveva lasciato la mente libera di vagare nei ricordi.
    Perché continuava a sognare la loro morte?
    Sam era stato rassicurante.
    Erano al sicuro e lo erano stati anche in volo.

    Ricordò quei momenti.

    Alcuni giorni prima…
    Sam le stava spiegando cosa sarebbe successo nelle prossime ore.
    “Dovremo evitare i radar della torre di controllo, per cui ci avvicineremo alla montagna durante il volo, ma stia tranquilla il pilota è in gamba, ci porterà in una pista sicura”.
    “Ma ci cercheranno!”
    “No, eviteremo che si sprechino risorse per chi dovesse aver bisogno sul serio delle squadre di ricerca, diremo che la cosa è sotto tutela dell’FBI, il che poi è la verità”.
    “Ed Aaron?”
    “Lo avviserò a cose fatte, l’idea di nascondervi dandovi per dispersi me l’hanno data dei recenti avvenimenti, e il nostro pilota ha messo a punto il piano”.
    “È un agente anche lui, vero?”
    “Sì”.
    “Quindi i suoi familiari non sapranno niente fino a missione conclusa? Lo crederanno morto o ferito?”
    “Purtroppo sì, se non fosse che il piano l’ho studiato con Aaron persino lui ne sarebbe all’oscuro”.
    “Fate un lavoro orrendo… mi scusi!”
    Sam le sorrise, per niente ferito od offeso dall’affermazione della donna.
    “Non si scusi, è spesso così”.
    Quante volte sarà capitato ad Aaron di non potermi rivelare qualcosa?
    Con quella domanda inespressa colse con gratitudine il sorriso dell’uomo.

    Raccolse alcuni giocattoli che Jake aveva lasciato in giro e terminò le loro valigie.
    Andarono al piccolo aeroporto e, nonostante stesse iniziando a piovere, partirono in direzione delle montagne.
    Gli scossoni si susseguirono nel corso del volo, il pilota prese a scendere dopo aver lanciato un segnale di soccorso e lei soffocò un grido vedendo la montagna andare loro incontro, ma Sam era calmo e tranquillo, così lei si limitò a stringere a se il suo bambino che vedendo loro tranquilli stava prendendo la cosa come un giro sulle montagne russe.
    “È normale ballare un poco, non si preoccupi, questo pilota ha affrontato fortunali peggiori. Presto saremo al sicuro”.
    “Mamma, guarda laggiù, un orso!”
    Infatti sotto di loro un grosso grizzly stava smovendo un albero, forse per far cadere un favo di api e cibarsi del miele, lo videro solo per pochi secondi, ma Jake lo aveva notato subito.
    Ne avevano visto un documentario pochi giorni prima e ne era rimasto affascinato.
    Quelli pescavano salmoni in Canada, ma erano dettagli che al bambino non interessavano, era il fatto di averne visto uno dal vivo e non allo zoo che lo aveva colpito.
    “L’ho visto, era proprio grande”.
    Era molto orgogliosa del suo ometto, e sapeva che anche Aaron lo sarebbe stato se lo avesse visto.
    Poi lo vide farsi speranzoso e le si strinse il cuore sapendo cosa stava per chiederle.

    “Stiamo tornando da papà?”
    “Non ancora, tesoro… non ancora”.
    Per quanto Jake non fosse abituato a vedere spesso il padre, non era mai stato un intero mese senza che Aaron passasse a stare un poco con lui, nemmeno una settimana.
    Per quanto a volte non fossero che pochi minuti, per Jake erano tutto.
    Sam cerco di distrarre il piccolo indicandogli una cosa che si vedeva ora sotto di loro.
    “Guarda Jake, quello è un Geyser, sai si chiama come me, Sam… il vecchio fedele Sam”.
    “Perché vecchio fedele?”
    “Oh perché emetteva un getto di vapore ogni 56 minuti, fino a un po’ di anni fa. Poi dopo un terremoto divenne un po’ meno preciso, ma guarda il getto c’è ancora.”
    Il bambino parve soppesare le parole di Sam.
    “Quando passerà il nostro di terremoto potrò rivedere papà?”
    Sam guardò Haley sconsolato, il suo tentativo era miseramente fallito.
    Lei gli sorrise per il tentativo.
    Poi guardò il suo bambino e gli disse, cercando di mettere più sicurezza possibile nella propria voce.
    “Sì, quando sarà tutto passato lo rivedrai”.

    Tornò al presente, guardò il suo piccolo che dormiva sereno, certo che presto avrebbe rivisto il suo papà e a lei non restava che sperare che la sua promessa potesse essere mantenuta alla svelta.
    E non solo per tornare alla propria vita.
    C’erano delle cose che voleva chiarire, c’erano delle questioni rimaste in sospeso tra lei ed Aaron e la sua risposta alla sua lettera le aveva fatto capire che era così anche per lui.

    Ciao
    Anche voi mi mancate, non sai quanto.
    Mi mancano persino le nostre liti sul mio lavoro, quello che avrei dovuto lasciare quando me lo hai chiesto.
    Ho messo il lavoro davanti alla famiglia, mio fratello una volta me lo aveva detto che passavo troppo tempo in ufficio, che stavo diventando come nostro padre, ma io non gli ho dato retta e ti ho persa.
    Non si può tornare indietro e il mio lavoro era la cosa che mi rimaneva dopo il divorzio, ma ora… non so nemmeno se sarò in grado di farlo ancora, il tarlo di quello che ci sta facendo quel verme è una cosa che non mi da tregua.
    Non potrò mai perdonarmi, mai.
    Vi voglio bene, Aaron.


    Sapeva che non si stava parlando di una riconciliazione, troppe cose erano state dette e fatte.
    Le spiaceva che lui non si perdonasse, ma non poteva impedirgli di starci male, glielo aveva scritto che non aveva niente da farsi perdonare, ma forse avrebbe potuto farlo solo dopo che tutto fosse stato alle loro spalle.

    Un ricordo.
    Un incubo da dimenticare.

    Perché era sicura di una cosa, Aaron lo avrebbe preso, quella era una delle poche sicurezze che aveva.
    E se la sarebbe tenuta stretta.





    Edited by rabb-it - 29/8/2010, 21:46
     
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    Decimo capitolo
    L’ufficio


    Derek era entrato per primo in sede quel mattino, appena aveva visto Hotch varcare la soglia e dirigersi verso quella che era la sua scrivania nell’open space lo fermò.
    “Non ho portato le mie cose di sopra, voglio che quello resti il tuo ufficio”.
    “Derek non puoi, devi avere un minimo di privacy”.
    “No, quello è il tuo ufficio e non intendo discuterne, se alla Strauss non sta bene sarà lei ad avere un problema, non io”.
    Aaron fissò il collega per alcuni secondi, poi con un grazie appena udibile salì di sopra e vide che Derek aveva già rimesso le cose che lui aveva ritirato in un paio di scatole al loro posto sulle mensole e sulla scrivania.
    Guardò nella sua direzione, ma Derek gli dava la schiena; stava sistemando le cartelle di alcuni rapporti su un tavolo a pochi metri dal centro dell’open space, avrebbe ricevuto lì il vice direttore Strauss.

    JJ arrivo pochi istanti dopo e si diresse da Hotch come da abitudine, poi le venne in mente che ora il caposquadra era Derek e tornò sui suoi passi.
    Si rivolse all’uomo che aveva notato la sua esitazione.
    “Scusa, la forza dell’abitudine!”
    “Non preoccuparti.”
    “Derek, sai se… sai se gli hanno fatto sapere qualcosa?”
    “No, non gli ho chiesto niente, immagino che ne parlerebbe se potesse”.
    “Mi domando come faccia a venire a lavorare…”
    “Credo sia per pensare anche ad altro”.
    “Io non ci riuscirei, ma Hotch non è me”.

    Derek fissò la giovane donna davanti a lui, se ingannava lei forse ce la poteva fare anche con gli altri.
    Forse.
    Si misero a studiare i rapporti che lei aveva selezionato la sera prima, ora dovevano scegliere un caso, ce ne era uno particolarmente efferato, su cui la polizia locale non aveva indizi.
    Mentre degli altri qualche pista da seguire ce l’avevano, quindi erano propensi a seguire quello, dove potevano essere più utili.

    Arrivarono anche gli altri, Derek tenne la riunione con il vicedirettore, Aaron tornò a chiedere che prenderessero il suo ufficio, Derek fu irremovibile e chiese che le sue decisioni fossero rispettate.
    JJ disse qualcosa a Penelope, che le sorrise e si diresse ai suoi computer.
    Mentre la squadra era fuori ad occuparsi del caso Penelope sistemò un paio di cose con un dipendente prossimo alla pensione, ed al suo rientro Derek ebbe un ufficio tutto per lui.

    In quelle due giornate nessuno fece domande ad Aaron, sapendo che era in contatto con le squadre di ricerca, e non volendo pensare al peggio.
    Penelope un pomeriggio chiamò Derek nel suo ufficio, voleva usare i satelliti per vedere se riusciva a rintracciare il punto esatto dell’impatto, ma se serviva il posto da dove erano partiti e dove erano diretti per farlo.
    “Non farlo Garcia”.
    “Cosa? Ma sono Haley e Jake, non possiamo stare ad aspettare!”
    “Non credi che Hotch te lo avrebbe già chiesto se pensasse che potresti aiutarli a trovarli?”
    “Forse è troppo sconvolto, ma noi siamo qui per aiutarlo”.
    “Non intrometterti, gli sceriffi federali si stanno occupando della cosa e…”
    “…MA è QUESTO IL PUNTO” La donna aveva gridato, ma quando se ne rese conto abbassò la voce.
    “Non se ne stanno occupando, capisci? Non ci sono squadre di ricerca, non sulle Montagne Rocciose almeno, cosa stanno facendo?”
    “Garcia, stanno facendo il loro dovere, e la cosa non si deve sapere, non ci sono rapporti ufficiali, non fino alla conclusione della cosa!”
    “Derek Morgan… se mi stai nascondendo qualcosa…”
    “Ci sono un sacco di cose di me che ti nascondo, piccola!”
    Aveva cercato di mettere un intonazione ironica nella voce, doveva assolutamente distrarla o avrebbe capito.
    “Oh, ma tu provochi!”
    “Rimettiti al lavoro e lascia stare gli sceriffi, ok?”
    “È un ordine?”
    “Sì”.
    “Agli ordini capo!”

    L’idea di non lasciare perdere per niente la sfiorò, ma poi si disse che nessuno più di Hotch doveva desiderare notizie dei suoi cari e che le avrebbe chiesto aiuto se avesse pensato che poteva darglielo.
    Le venne per l’ennesima volta un magone indicibile a pensare ad Haley e al bambino.
    Ricordava ancora benissimo cosa era successo pochissimi giorni prima.
    Sam era passato con un filmato ricavato dall’auto di sorveglianza, si vedeva Jake che andava sull’altalena, era distante e non poteva zoomare troppo sull’immagine o si sarebbe sgranata, poi il piccolo si allontanò, ma nel farlo prima passava proprio davanti all’automobile permettendo ad Aaron di vederlo almeno un pochino.
    Aveva sentito il suo saluto al piccolo e aveva faticato a trattenere le lacrime.
    Come adesso.

    Andò in bagno a rinfrescarsi e passò davanti al nuovo ufficio di Derek, stava tenendo tra le dita la targhetta con il suo nome, e parlava al telefono.
    Aveva l’aria stanca.
    Come tutti loro del resto.

    Intanto Hotch era nel suo di ufficio, stava scrivendo qualcosa e ogni tanto distoglieva lo sguardo da cosa scriveva per guardare torvo una cosa alla sua destra.
    Una cartellina, i cui primi numeri erano 666… già proprio evocativi come numeri, mai quanto la foto e il nome sulla stessa però… era il file di Foyet, uno di quelli che si era fatto portare a casa settimane prima.
    Distolse lo sguardo, la cartellina sarebbe dovuta diventare una cenere fumante dopo quell’occhiata, e scrisse con maggior vigore.
    Derek gli aveva fatto un grosso favore lasciandogli l’ufficio, nessuno che facesse domande.
    Solo.

    Era quello che gli serviva in quel momento, evitare che gli facessero il profilo notando l’ossessione che era ormai centrale nella sua vita.
    Catturare Foyet e niente altro.

    E cercare di non pensare al dopo.

    Undicesimo capitolo
    Doppio gioco


    Un mattino Hotch avvisò che non sarebbe stato al lavoro, Dave e Derek fecero in modo che l’intero ufficio ascoltasse per caso una loro conversazione in cui nominavano un posto dove potevano essere Haley e Jake.
    Non lontano da dove poteva essere precipitato l’aereo, con il dettaglio che c’erano solo feriti e non vittime.
    Così la talpa avrebbe pensato che non li avevano ancora rintracciati con sicurezza e che se avvisava Foyet lui avrebbe potuto precedere gli agenti, avendo dei dettagli in più.
    Dettagli forniti da Garcia, che si sarebbe fatta sfuggire inavvertitamente dove secondo lei dovevano cercare, ma l’area era vasta diversi chilometri e lei aveva lasciato intendere che dal cellulare di uno degli agenti di sorveglianza si poteva risalire alla posizione precisa.
    Ma lei non conosceva tutti gli agenti incaricati.

    L’esca era pronta, ora dovevano solo aspettare che il pesce abboccasse.

    Nessuno dagli uffici usò il telefono, ma se il complice era furbo non lo avrebbe fatto dall’interno.
    Ma qualcuno spulciò i tabulati telefonici dell’agente che sarebbe dovuto essere sull’aereo con Haley e Jake, non scoprirono chi era stato, fino a che non arrivo una chiamata.
    Diversi impiegati avevano lasciato gli uffici verso mezzogiorno, uno di loro fece sapere che si era sentito male e chiese di poter restare a casa.
    Rossi e Derek si scambiarono un occhiata eloquente ed avvisarono Hotch.
    Hotch era nella zona in cui avevano predisposto la trappola, alcuni rottami ed una tenda d’emergenza, come se il pilota avesse approntato un minimo di sicurezza contro il maltempo, dopo un atterraggio d’emergenza andato a buon fine.
    E il cellulare di quell’agente all’interno della tenda.

    Passarono alcune ore ed un uomo con indosso un’incerata si diresse sul sentiero reso scivoloso dalle piogge, aspettarono che si avvicinasse, poi la trappola scattò.
    L’uomo fu colto di sorpresa e tentò la fuga verso la gola, nella corsa perse l’equilibrio e scivolo lungo il canyon.
    Videro il corpo sbattere contro le rocce, avrebbero dovuto scendere a recuperarlo per assicurarsi della sua identità.
    Hotch chiamò JJ e le chiese di far diramare un comunicato stampa in cui si affermava che Foyet “Il Mietitore” era caduto in un imboscata dell’FBI.

    La donna eseguì il comando, stupita della facilità con cui era caduto in trappola.
    Disse delle sue perplessità a Derek, che le rispose stando sul vago, con accenni al fatto che forse il vedere frustrati i suoi progetti di torturare a lungo Hotch lo avevano reso imprudente.

    Alcune ore dopo Hotch andò alla sua auto, aveva lasciato gli altri sul campo a recuperare i resti dell’uomo.
    Chiamò Rossi e gli fece sapere che intendeva dirigersi al più presto da Haley e Jake.
    E si diresse con l’auto verso l’interno del parco.
    Guidò per un pezzo, e si fermò davanti ad un capanno isolato.
    Rimase per qualche istante sulla porta come indeciso, poi la aprì.
    Mentre stava entrando qualcuno gli arrivò alle spalle e lo sbatté a terra.

    “Credevi veramente di esserti liberato di me, agente Hotchner? Non sei stato capace di proteggere la tua famiglia, pensavi davvero che sarei caduto in quella stupida trappola? Il tuo ultimo pensiero sarà che loro sono morti e tu non li hai salvati”.
    “È quello che credi tu!”

    Con un calcio ben assestato fece cadere l’uomo che stava sopra di lui, stavolta il vantaggio della sorpresa era suo, sapeva che Foyet non doveva essere lontano, ma doveva farlo uscire allo scoperto.
    E far credere che lo pensavano morto era un modo perfetto, per chi vuole vedere riconosciuta la propria grandezza criminale non c’era smacco peggiore che passare per uno che si fa fregare da una banale imboscata.
    Non poteva tollerarlo e su quello Aaron aveva contato quando aveva dettato quel comunicato a JJ.

    Hotch fece fuoco, lo colpì ad una spalla.
    Poi rimase per qualche istante pensare a come sarebbe stato facile liberarsi di lui per sempre.
    Nessuno gli avrebbe mai contestato la legittima difesa, quello era un pericoloso serial killer.
    Ma l’agente ebbe il sopravvento sull’uomo, come sempre.

    Foyet tentò di provocarlo mentre lo ammanettava.
    “Sei un vigliacco, non hai nemmeno il coraggio di finirmi”.
    “Ci penseranno altri a decretare la tua fine!”

    Arrivarono anche gli altri, allertati da Rossi si erano subito diretti sulle coordinate del gps del suv di Hotch, che aveva passato loro Garcia.
    La trappola aveva funzionato.

    Ma Foyet non aveva ancora finito di spargere veleno.
    “Oh sai è stato divertente sfasciare la tua famiglia”.
    “Tu non hai sfasciato niente, loro sono sani e salvi ben lontani da qui”.

    Reid e Prentiss si voltarono verso Derek che volse loro i palmi in avanti come a dire che aveva le mani legate.

    “Ma io non mi riferivo alla loro morte, io avevo capito che quella era una farsa, ma chiedi alla tua signora se conosceva l’agente che è precipitato in quel canyon, sai… era un pezzo che vi tenevo d’occhio e lui è proprio capitato nel momento giusto”.
    Lo spinsero nell’auto e finalmente non dovettero più ascoltarlo.

    Aaron rimpianse di non avergli sparato in piena fronte.
    Cosa stava dicendo quel pazzo?
    Che si era preparato anni prima della morte di Shaunessy a colpire proprio lui?
    Che sapeva che lui era ossessionato a tal punto dalla sua cattura, fino dalla sua prima comparsa un decennio fa, che non si sarebbe mai dimesso dall’FBI fino a che non fosse tornato a colpire?

    Troppe cose, tutte in una sola volta.
    Mentre portavano via Foyet, Hotch consegnò distintivo e pistola nelle mani di Derek e chiese a Sam, che li aveva raggiunti, di portarlo da Jake e da Haley.

    Derek rimase interdetto davanti al gesto di Hotch, e non gli venne niente da dire per fermarlo.
    Anche gli altri restarono stupefatti dalla cosa e guardavano il distintivo di Hotch come se fosse stato un serpente pronto a morderli se avessero fiatato.
    Hotch salì nell’auto a fianco di Sam e scambiò una sola occhiata con Rossi, che gli fece un cenno di assenso con il capo, e per la prima volta da mesi sul volto di Aaron si disegnò un vero sorriso, accompagnato da un lungo sospiro.


    Dodicesimo capitolo
    Reazioni

    Rientrarono in ufficio un po’ sconvolti per come si era conclusa la situazione.
    Reid mise al corrente JJ e Garcia della buona notizia su Haley e Jake.
    Penelope guardò male Derek, lui non sostenne il suo sguardo, e si infilò in ufficio.
    Seguito dalla donna.
    Stava mettendo il distintivo e la pistola di Hotch in un cassetto della scrivania e lo chiuse a chiave, non dette il tempo a lei di dirgli niente.
    “Dì agli altri che tra dieci minuti abbiamo una riunione, voglio parlare con tutti”.
    “Ma…”
    “Penelope, per favore…”
    “Va bene”.

    Garcia si diresse all’open space, dove c’era una strana atmosfera, felici per la conclusione di un incubo, sorpresi e tristi per la decisione di Hotch di dimettersi.
    E forse anche un po’ feriti, per come erano stati tenuti all’oscuro, avevano capito tutti che qualcosa non quadrava, ma si erano fidati di Rossi e Derek su cosa stava succedendo.
    Ed ora erano molto irritati con Rossi.
    “Perché non ci avete avvisati almeno uno alla volta in privato?”
    “Perché se dovevamo tendere una trappola ne conoscevamo solo una parte?”
    “Lo sapevi dall’inizio?”

    “Ragazzi, Derek ci vuole nell’ufficio riunione tra dieci minuti, ci spiegherà tutto, credo”.
    Rossi guardò con gratitudine la donna che lo aveva appena salvato da un linciaggio verbale.
    Lei gli servì lo stesso sguardo astioso che aveva riservato a Derek, ricordava ancora molto bene come era stato duro nel descrivere cosa avrebbero dovuto fare, per vendicare la morte di Haley e Jake, sperava che lui e Derek avessero delle ottime scusanti per averla fatta stare così male.
    Ad Hotch poteva perdonarlo, lui era sconvolto per la sua famiglia e per una volta nella vita li aveva messi davanti al suo lavoro, ma loro due no…
    Come ha potuto Derek consolarmi in quel modo, sapendo che loro stavano bene.
    Come mi ha potuto mentire così!

    JJ ripensava ad una situazione avvenuta molti anni prima.
    Lei era sconvolta per la morte di alcune donne, e faticava a concentrarsi sul caso, si sentiva troppo coinvolta.
    Hotch aveva cercato di spiegarle che nel loro lavoro era normale sentirsi così, lei gli aveva risposto che a lui non succedeva di farsi coinvolgere, e la sua risposta era stata “E forse non è un bene!”
    Stavolta è stato travolto, non solo coinvolto, l’espressione che aveva mentre consegnava a Derek il distintivo… non credo di averlo mai visto in quello stato.

    Reid si domandava come aveva fatto a non capire cosa stava succedendo, aveva visto Hotch farsi distante con la squadra, ma lo aveva imputato allo stress, non ad una serie di cose fatte alle loro spalle.
    Ma aveva ragione lui, ora Foyet è catturato ed è solo questo che conta.

    Emily ripensava alle parole di Foyet, aveva iniziato da lontano a tormentare Hotch, il come era una delle cose che si ripromise di scoprire.
    Non voglio che restino questioni irrisolte.

    Chi è prudente, saggio e desideroso di stabile prosperità non lasci mai un resto, né di fuoco, né di debito, né di nemico.

    Andarono nella saletta riunioni, Derek era già lì ad aspettarli.
    Attese che fossero tutti seduti poi iniziò.

    “Per quello che mi riguarda Hotch è in ferie, permesso speciale per stare un po’ con i suoi.
    Non ho alcuna intenzione di accettare le sue dimissioni e gli lascerò un po’ di tempo per riprendersi dagli ultimi fatti, quindi evitiamo l’argomento della sua consegna di pistola e distintivo fuori da qui.
    Garcia, fino a che non lo dirò io, al computer centrale non devono arrivare comunicazioni, nel caso Hotch mandi le dimissioni per e-mail”.

    “Ti ficcherai nei guai con la Strauss”.
    Era stato Rossi a parlare.

    “Sono il caposquadra e fino a quando le cose non saranno appianate sono anche il superiore di Hotch, quindi posso farlo”.

    “Intercettare le sue mail? Non credo proprio”.

    “David, adesso basta! Voglio dare ad Hotch il tempo di riflettere sulla sua decisione, ha agito d’impulso, non è da lui!”

    “Derek, c’erano delle cose che Aaron ha detto quella sera che non ti ho riferito, non è stata una decisione d’impulso. È stata una decisione sofferta, ma ci pensava da un po’.”

    “Da quando era stato aggredito, dubito si possano considerare decisioni ponderate con calma.
    Non intendo tornare sulle mie decisioni, voglio lasciargli del tempo e tu non me lo impedirai, chiaro!”

    “D’accordo, capo”.

    Gli altri osservarono quello scambio con la sensazione che la tensione tra i due potesse da un momento all’altro scatenare una tempesta elettrica dritta sulle loro teste.

    Penelope si disse che impedire che le dimissioni divenissero effettive era un giochino già fatto e non vedeva la difficoltà di ripeterlo.
    Anche lei come Derek riteneva che la decisione non fosse stata affatto presa con la calma che era necessaria, non gli era stato possibile.
    Ora gli potevano lasciare del tempo.
    Se poi fosse stato ancora della stessa idea, ne avrebbero preso atto.
    Ma per il momento non era male considerarlo solo in permesso vacanze.
    Dava il modo di riprendere fiato anche a loro.

    Reid ripensò alle dimissioni di Gideon, repentine ed improvvise quanto quelle di Hotch.
    Forse nemmeno lui sarebbe tornato sulle sue decisioni, Jason non lo aveva fatto, perché mai Hotch avrebbe dovuto?
    Un’altra persona a cui teneva che se ne andava, cambiamenti.
    Non era certo di come affrontare la cosa, andare da Hotch e dirgli che non doveva farlo?
    Non sapeva se ne aveva il diritto.
    Non sapeva se fosse giusto, sapeva solo che gli faceva male.

    JJ rimase assorta, rivedeva i vari momenti in cui Hotch era stato il collante della squadra, quando era ritornato dopo che era stato cacciato dalla Strauss e Gideon si era dimesso.
    Come era sempre stato presente al loro fianco, con Spence quando ne aveva avuto bisogno, con lei quando l’aveva rassicurata sulle normali preoccupazioni di un genitore, con Penelope quando era stata ferita, con Derek nel tenerlo in riga quando esagerava, o rimettere a posto Rossi quando appena rientrato voleva fare come ai vecchi tempi.
    Il suo essere sempre ligio alle regole aveva permesso ad ognuno di loro di esserlo un poco meno.
    Come avrebbero fatto senza di lui?
    Sarebbero riusciti a restare uniti? Vedendo la lite tra Derek e Dave i dubbi erano legittimi.

    Emily ricordò quando era arrivata nell’unità, Gideon e Hotch non ne erano stati avvertiti, e lui non la voleva tra i piedi, era stato categorico.
    Poi le aveva concesso un’opportunità, e si era guadagnata la sua stima e il suo rispetto, anche per non aver tradito la squadra quando aveva scelto le dimissioni piuttosto che riferire alla Strauss dei problemi che c’erano.
    Ora toccava a lei concedergli la stessa opportunità, di cambiare idea e tornare sui suoi passi.
    Forse pensa che non gli perdoneremo le menzogne, ma si sbaglia.
    Abbiamo bisogno di lui, deve saperlo.

    Rossi lasciò scorrere lo sguardo sugli uomini e le donne della squadra, poteva immaginare cosa stessero pensando, e lui stesso sperava che Aaron cambiasse idea, che trovasse un equilibrio tra il lavoro e la famiglia, ma non voleva che si facessero illusioni.
    Poteva non tornare mai come prima.
    Ma loro avevano comunque un compito da svolgere, con o senza Hotch.

    Derek imitò Rossi, e anche i pensieri erano ben poco dissimili, sapeva che Hotch non era tipo da decisioni impulsive, ma non voleva arrendersi, non ancora.
    E voleva con tutte le sue forze che la squadra continuasse ad essere unita come lo era stata negli ultimi due anni.

    Tredicesimo capitolo

    Jake

    Sam stava guidando da oltre mezz’ora quando si decise a parlare.
    “Ho visto che hai consegnato pistola e distintivo, non è che sei stato troppo precipitoso?”
    Hotch rimase assorto per qualche istante, poi gli rispose.
    “No, nel momento in cui ho mentito alla mia squadra e li ho usati per far uscire allo scoperto Foyet e il complice senza renderli partecipi di quello che accadeva, ho capito che avrei dovuto dimettermi.
    La fiducia è essenziale nel nostro lavoro.”

    Sam si voltò per un istante a guardare il collega, l’espressione perplessa come se non credesse alle proprie orecchie.
    Poi tornò a guardare la strada e aggiunse.
    “Non potevi fare altrimenti, non ce ne è stato il tempo.”
    Hotch scosse la testa piano, come se anche lui avesse difficoltà a credere a quello che stava per dire.
    “Veramente di occasioni per metterli a parte di cosa stava succedendo ne ho avute, siamo andati a seguire dei casi, e mentre eravamo sul jet noi da soli sapevo che avrei potuto dir loro tutto, ma non ci sono riuscito, non ne ho quasi parlato nemmeno con Rossi e Morgan, che ne erano a conoscenza”.

    “Sapevano anche delle tue dimissioni?”
    “Ho accennato la cosa a Dave, ma credo non ne avesse parlato a Derek”.
    “No, vista la sua espressione direi proprio che non se lo aspettava, ma Rossi non ha tentato di dissuaderti?”
    “Le mie decisioni le prendo da solo, non ho l’abitudine di farmi influenzare dagli altrui pareri”.
    “Secondo me avresti dovuto parlare con loro, sapere come avevano preso la cosa, prima di decidere, sicuramente avranno capito”.
    “Li ho dati per scontati. Ho dato per scontato che avrebbero capito. Ma non torno indietro, sapranno andare avanti anche senza di me. I cambiamenti a volte fanno bene”.
    “Convinto tu…”

    Hotch guardò Sam, aveva colto la sospensione del giudizio nella sua frase, e ne era infastidito, credeva veramente che la cosa gli piacesse?
    Ma in fondo del parere di Sam poco gli importava, era più preoccupato da Haley.
    Cosa intendeva Foyet con quell’ultima frase?
    Forse per stasera poteva lasciar perdere, era solo l’ultima cattiveria di un verme, e non gli sembrava il caso di affrontarla subito.

    L’arrivo alla casa protetta lo distolse dalle sue eculubrazioni.
    “Forse dovrei andare in un motel e passare domani mattina, ora staranno dormendo”.
    “A parte che credo che non veda l’ora di sapere che è tutto finito, la in fondo è la cucina e la luce è accesa, dubito che abbia mai dormito più di un paio d’ore per notte in questi mesi”.
    “È vero, non vedrà l’ora di tornare a casa”.
    Si avvicinarono, Hotch bussò piano.
    Haley andò ad aprire ed appena vide l’ex-marito sulla porta sentì l’angoscia di quei mesi scivolarle via.
    “È tutto finito, è in carcere e non può più nuocere.”
    “”Tu come stai?”
    “Non lo so ancora… posso vedere Jake?”
    “Certo vieni!”
    Sam spiegò che gli avrebbe lasciato l’auto di Haley per il rientro e se ne andò, lasciandoli soli.
    Aaron si sedette sul bordo del letto del figlio, eccolo lì la sua ragione di vita, il motivo per cui si alzava la mattina, quanto era cresciuto in quei mesi, o forse era solo un impressione.
    Il bambino si rigirò nel sonno e mormorò qualcosa.
    Aaron guardò Haley, gli era parso che lo avesse chiamato, lei gli fece segno di coccolarlo un po’ per scacciare i brutti sogni, lui mise una sua mano sopra quelle piccole del figlio, forse la mano di Aaron era fredda, Jake aprì gli occhi di scatto.
    “PAPA’, papà sei tornato!”
    Gli saltò letteralmente al collo, lui lo tenne stretto a se.
    Dave aveva ragione, poteva perdonarsi qualsiasi cosa mentre abbracciava suo figlio.
    Haley piangeva dalla gioia davanti a quella scena, l’espressione sul viso di suo figlio era quanto di più bello avesse mai visto, gioia allo stato puro.
    E il sollievo sul volto di Aaron, non ricordava di averlo mai visto così sereno.

    Jake non ne volle sapere di tornare a dormire, volle raccontare al padre di tutte la cose che aveva fatto e visto in sua assenza, doveva dirgli dell’orso, Haley sorrise tra se a sentire come diventava più grande ogni volta che lo ricordava.
    Lei preparò per Aaron il divano letto, lo aveva visto stanco e non credeva fosse il caso di dirigersi a casa senza che avesse almeno riposato un poco.
    Quando Jake crollò per la stanchezza, lo misero a letto insieme.
    E solo allora Aaron le spiego cosa era successo negli ultimi giorni.
    Omise il dettaglio delle ultime frasi di Foyet, non voleva turbarla ci sarebbe stato tempo per chiarire i punti oscuri, non le parlò nemmeno delle sue dimissioni, non gli parve il caso.

    Poi entrambi soffocarono uno sbadiglio e scappò loro da ridere.
    Si scambiarono degli sguardi che parlavano di tutte le parole non dette.
    Ma il momento passò nel silenzio.
    Lui fu il primo a riprendersi.
    “Domani mattina vi riporto a casa!”
    “Grazie, per tutto!”

    Lei uscì dal piccolo salottino ed andò a riposare nella sua stanza, forse stanotte avrebbe dormito.
    Ed era la stessa cosa che stava pensando Aaron.
    Stanotte niente insonnia, finalmente.




    Quattordicesimo capitolo

    Deja Vù

    Il rumore dei macchinari li costringeva ad urlare per riuscire a comunicare, c’erano due operai all’interno di una specie di sauna, solo che non erano lì per un trattamento in una qualche SPA, ma stavano sistemando del materiale che doveva prendere la giusta dose di umidità per passare alla lavorazione successiva.
    Camera umidificatrice era il nome tecnico, La Sauna per gli addetti ai lavori.
    “SPINGILO A DESTRA, QUI NON C’È PIU’ SPAZIO!”
    Ad un certo punto la porta venne chiusa, il più anziano dei due mandò l’altro ad aprirla, ansioso ed irritato per quello che sembrava uno scherzo sciocco.
    L’uomo, Tony, sui venticinque anni capelli neri portati lunghi fino alle spalle, poco più di un metro e settanta, fisico asciutto, si diresse con decisione alla maniglia di emergenza, pensava anche lui allo scherzo di un collega con un pessimo senso dell’umorismo.
    “Quando Elias uscirà da qui ti farà a striscioline, chiunque tu sia, io non mi spavento così facilmente, ma a lui le coronarie stanno per cedere”.
    Credeva che appena avesse aperto il portone si sarebbe trovato davanti Rupert, capelli biondi alla paggetto l’aria perennemente sbarazzina e quel non so che di malandrino che faceva sopportare le sue freddure perenni.
    Avrebbe dovuto essere in pausa mensa, ottimo momento per tirare loro uno scherzo dei suoi.
    Tony afferrò la maniglia, avevano fatto svariate volte le prove nel corso degli anni, per la sicurezza, e sapeva bene come aprire dall’interno.
    Un semplice scatto all’indietro e la ruota che stava in cima avrebbe fatto da perno permettendo all’aria di entrare.
    Ma la porta non si apriva.

    Elias, sulla cinquantina capelli corti e grigi, basso e tarchiato, l’opposto fisico del collega, gli gridò di spicciarsi, sentiva già l’aria venirgli meno, lì dentro a porta chiusa si mancava di poco il 100% di umidità e il caldo era superiore di svariati gradi a qualsiasi temperatura estiva.
    Era una cosa sopportabile per pochi minuti alla volta, e con la porta aperta.
    Andò verso il giovane collega, era convinto che lui e Rupert gli stessero giocando qualche scherzo e che stesse solo facendo finta di aprirla.
    “Allora, la smettete, apri quella dannata porta o ti piglio a calci da qui a S.Diego”.

    Tony si voltò verso di lui, visibilmente spaventato.
    “Ci sto provando, Rupert basta con lo scherzo, non è divertente!”
    Elias cerco a sua volta di forzare la maniglia.
    Sentirono un mugolio di dolore provenire da dentro la camera.
    Si avvicinarono e videro steso tra i carrelli Rupert, si teneva la testa con una mano, tra le dita colavano delle gocce di sangue, i capelli biondi ne parevano intrisi.
    Chiese loro cosa era capitato, con voce flebile.
    E nessuno dei due ebbe una risposta, ma ad entrambi si disegno il panico sul volto.

    “Se lui è qui… chi c’è li fuori?”
    I due uomini sconvolti iniziarono a tempestare la porta di pugni e iniziarono a gridare.
    Ma fuori il rumore dei macchinari li sovrastava, e non c’era nessuno, erano tutti in pausa mensa.
    Nel locale adiacente davanti alla maniglia principale di quella porta c’era un pesante carrello che la bloccava, rendendo vani i tentativi di aprire dall’interno.
    Le grida andarono avanti per alcuni minuti, poi il silenzio, forse avevano capito che non poteva sentirli nessuno, forse avevano perso conoscenza…o peggio.

    A Quantico…giorni dopo.
    JJ e Derek stavano esaminando alcuni casi, lei ad un certo punto fissò il collega e gli disse che lei lo perdonava.
    Lui le sorrise, sapeva che aveva sentito lo scambio tra lui e Penelope, uno scontro a dire il vero.
    La donna gli aveva detto che le sarebbe occorso del tempo per perdonargli le lacrime versate e che lui e Rossi dovevano essere grati alla loro buona stella se lei rivolgeva ancora loro la parola.
    Lui le aveva risposto che l’importante era che facesse il suo lavoro; tre secondi netti dopo averlo detto se ne era già pentito, ma era tardi per rimediare ed aveva allungato i tempi di una probabile riconciliazione con l’amica.
    “Subito? Senza reprimende?”
    “Ti stai già punendo da solo, non serve che mi ci metta anche io, avevi un incarico e lo hai portato a termine, andiamo oltre”.
    “Perché Garcia non la vede come te?”
    “Perché io mi sono sfogata con loro, un po’ con Will, ma mai con te. Se si esclude quella frase su Hotch che lavorava nonostante le brutte notizie.
    Lei invece si era appoggiata anche a te, le ci vorrà più tempo, molto se continui a risponderle in quel modo. Prima di essere un capo sei anche un nostro amico, ogni tanto ricordatelo”.
    “Magari avrebbe dovuto ricordarselo anche Hotch prima di andarsene in quel modo, mi ha lasciato una bella gatta da pelare”.
    “Vedi? Tu sei arrabbiato con Hotch con quello che ha passato e non capisci la rabbia di Penelope?”
    “Hai ragione…”
    JJ guardò con un sorriso il collega e passandogli l’ennesima cartellina lo invitò a tornare a concentrarsi sul lavoro.

    C’erano stati una serie di omicidi, che sulle prime erano passati per incidenti sul lavoro.
    Ma l’ultimo caso non poteva davvero essere un incidente.
    Sobborghi di S.Diego.
    Tre uomini trovati morti all’interno di una cella per l’umidità forzata. Uno con un vistoso trauma cranico, gli altri… annegati nel vapore era il termine esatto.
    Era stata una cosa lenta, degna di un sadico.
    Che forse aveva già colpito, dopo quel caso gli agenti avevano indagato su incidenti simili ed avevano scoperto una traccia, ma non sapevano più che pesci prendere per andare avanti e l’unità analisi comportamentale era sembrata la sola soluzione.
    A Derek sembrava qualcosa di già visto, ma non riusciva a centrare il bersaglio, riunì la squadra, insieme si ragiona meglio.
    A volte.
    Bisognava capire con che schema l’unsub(S.I. in Italiano) colpiva, perché la cosa evidente era che aveva un qualche schema in mente e quello era il modo per catturarlo, arrivarci prima.
    Intanto era importante levare di mezzo quelli che erano sul serio incidenti sul lavoro, quelli a volte accadono e le misure di sicurezza a volte non bastano, a loro serviva fare il punto su quelli che erano stati presi per tali e non lo erano.

    Quando Garcia mostrò loro le statistiche sui morti sul lavoro ebbero un attimo di sconforto.
    “E io che credevo di fare un lavoro pericoloso…”
    “Lo fai, statisticamente un poliziotto ha più probabilità…”
    “Reid, lo so, ma guarda quei numeri… qualcuno fa un lavoro altrettanto pericoloso e sono in pochi a rendersene conto… gli serve proprio un pazzo che li prenda di mira, un poliziotto sa che deve sempre stare in guardia…”
    Per un attimo il pensiero di Derek andò ad Hotch ed alla sua aggressione.
    “…ma un operaio non si aspetta di certo di essere minacciato da qualcosa di diverso da… un rischio disoccupazione!”
    “O da qualche malattia causata dal lavoro… Aspetta un disoccupato… un ex dipendente arrabbiato?”
    “Gli incidenti sospetti sono in quattro fabbriche diverse, non credo sarebbe passato inosservato se fosse rientrato a far danno”.
    “Intanto cerchiamo di capire dove agisce, se davvero lo ha fatto solo in quelle quattro fabbriche abbiamo già una destinazione, San diego”.

    “Comunque molti di questi sono evidenti incidenti, niente che faccia pensare ad un piano criminoso.”
    “Tu inizia a fare un profilo geografico di dove sono gli incidenti sospetti, forse è in attività da anni, magari si sposta mano a mano che cambia lavoro”.
    “Il che sarebbe inquietante…”
    “Ci capitano mai casi non inquietanti?”

    Reid parve riflettere per un attimo sulla cosa.
    “Ora che mi ci fai pensare…no!”
    Derek fece un accenno di sorriso all'espressione perplessa del collega.
    "Andiamo sull’ultima scena. Al jet tra mezz’ora".

    Quindicesimo capitolo

    Deja Vù II parte

    Derek stava parlando al telefono con Dave.
    “No, va bene, avviserò il pilota”.
    Quando tornò indietro dalla cabina di pilotaggio gli altri lo guardarono in maniera interrogativa.
    Dave ed Emily erano stati assenti tutta la mattina e credevano li avrebbero trovati lì ad aspettarli.
    “Sono un po’ in ritardo, partiremo appena arriveranno”.
    “Ma dove erano andati, o è un altro segreto anche questo?”
    Derek ignorò la nota di polemica che sentiva nella voce di Reid, da quando era successo di Hotch non si erano mai parlati da soli, ed anche ora c’era JJ.
    Che con un occhiata gli ricordò la frase di poche ore prima: “sei anche un nostro amico”.

    “Basta ragazzino, vediamo di chiudere qui ed ora questa storia.
    Ho fatto quello che ho dovuto e non voglio passare i prossimi giorni a dovermi giustificare, né tantomeno lo deve fare Rossi, lui ed Emily sono andati a parlare con Foyet, ed ora concentriamoci sul caso”.
    “Magari se avessimo saputo cosa stava succedendo avremmo potuto parlare con Hotch, impedirgli di andarsene, ma forse a te stava bene così! Saresti tornato un agente speciale e basta se lui restava”.
    Derek guardò Reid come se lo vedesse per la prima volta.
    Non riusciva a credere che pensasse realmente che lui non avrebbe voluto riavere lì Hotch.
    Anche Reid aveva un aria spaesata, come se non si aspettasse di essere così arrabbiato con Derek.
    “Io…”
    “Tu…”

    L’ingresso di Dave ed Emily sbloccò la situazione di stallo che si era creata,entrambi colsero subito la tensione nell’aria e guardarono verso JJ, lei elencò loro i dettagli di cui erano a conoscenza sul caso, passando le cartelline che aveva preparato quella mattina nel primo incontro, in loro assenza.
    Derek andò dal pilota a dirgli di decollare, quando tornò comprese che Dave era stato messo al corrente dell’uscita di Reid, si era seduto di fronte a lui e gli stava dicendo qualcosa.
    Lo lasciò fare, era l’agente con più esperienza, forse Reid a lui avrebbe dato retta.

    Guardò Emily e le si sedette a fianco e le domandò come era andata da Foyet.
    “Ha detto ben poco, ma da quello che ho capito teneva d’occhio la nostra unità da almeno tre anni.
    Non aveva fretta, doveva aspettare che Shaunessy morisse per avere la nostra attenzione di nuovo.
    Se la vendetta è considerato un piatto che va gustato freddo, lui aveva messo il piatto nel congelatore”.
    “Per vendicarsi di chi? Di Hotch?”
    “Di chiunque si mettesse sulle sue tracce, chiunque”.
    “E in questo cosa c’entrava la talpa?”
    “Non ne siamo ancora certi, credo che dovremo chiedere ad Haley per sapere se lo conosceva, se Hotch ce lo permetterà”.
    “Perché non dovrebbe?”
    “Perché forse per lui è più importante una riconciliazione con la sua ex, che non sapere tutta la verità”.
    “Hotch vorrebbe sempre sapere la verità!”
    “Ne sei veramente certo? Sempre e mai sono promesse difficili da mantenere, specialmente quando ti sono già costate una volta la famiglia”.
    “Ne sono certo, ma ora… pensiamo al caso!”
    Richiamò l’attenzione degli altri, quando incrociò lo sguardo con Reid egli tentò un sorriso e spalancò gli occhi come a chiedergli scusa, e lui non ce la faceva proprio a restare arrabbiato con quel ragazzino… che non era più tanto ino da un pezzo, ma ormai lo chiamava così da sempre e non gli andava di perdere il vizio.
    Gli sorrise di rimando e la pace fu ristabilita.
    Doveva ricordarsi di ringraziare Rossi.

    “Abbiamo quattro casi certi, in ognuno due o più vittime sono rimasti bloccati in luoghi insalubri, nei primi tre si era pensato a semplici incidenti dato che a parte la causa patologica della morte non c’erano altre tracce sulle vittime. Nell’ultimo caso qualcosa deve essere andato storto e ha dovuto colpire una delle vittime, rendendo evidente l’aggressione”.
    “Che collegamento abbiamo tra gli altri tre casi e l’ultimo?”
    “Una cosa che è stata notata solo nell’ultimo caso, gli operai uccisi erano gli unici presenti al lavoro gli altri erano in pausa, o per un cambio di turno o per la mensa”.
    “Mentre in altri casi che abbiamo preso in esame c’erano diversi testimoni a poter confermare l’incidentalità del tutto, qui mancano totalmente: chi è presente, viene ucciso”.

    Avevano parlato uno di seguito all’altro, poi Derek si era rivolto a Garcia che era ad ascoltarli dal suo fedele computer.
    “Garcia controlla gli operai di ognuna delle 4 fabbriche, anche gli addetti alle consulenze esterne, magari ci sta un punto di contatto.”
    “Consideralo fatto”.
    “Grazie picc… Grazie Penelope”.

    Rossi sorrise alla correzione di tiro da parte di Derek, l’abitudine che aveva di chiamare con dei vezzeggiativi Garcia sarebbe stata malvista dalla Strauss e l’unico modo per perderla era di non farlo più, anche quando era solo con loro che vi erano abituati.
    Se fosse stato presente allo scontro e di quella mattina non avrebbe trovato la cosa divertente, ma lui non poteva sapere che i due avevano litigato, era giusto a conoscenza della discussione con Reid e solo perché era arrivato con Emily proprio al culmine.
    E aveva scambiato due parole con Reid, giusto per chiarire al giovane che per quanto Derek potesse volere il comando, mai lo avrebbe preso a discapito di Hotch, e quello se lo doveva ficcare bene in testa o la loro squadra sarebbe andata a ramengo, con somma soddisfazione della Strauss, e di chi come lei vedeva come fumo negli occhi il fatto che la squadra di Hotchner fosse ancora unita.
    Spencer pareva aver capito, e lui si augurava che presto la tensione scemasse.

    Derek smistò la squadra, JJ e Reid sarebbero andati alla centrale di polizia a S.Diego per gli aggiornamenti e per terminare di stilare il profilo preliminare dell’SI, lui con Prentiss e Rossi si sarebbero diretti all’ultima scena del crimine per farsi un idea precisa di come aveva agito.
    Una volta alla centrale JJ e Reid scoprirono come mai la polizia non aveva subito capito i collegamenti criminali tra gli omicidi, erano subissati di casi e gli incidenti sul lavoro rientravano nella sfera di competenza dell’associazione infortuni sul lavoro, ed altre società, i cui membri non erano di certo portati a pensare a folli criminali che nascondevano i loro delitti dietro l’apparenza dell’incidente.
    Però fu proprio da una di quelle società, l’associazione sicurezza sul lavoro, che partì un primo profilo di Reid, dato che la medesima società si occupava di tutte e quattro le aziende.
    Informazione arrivata fresca da Garcia, lo stesso consulente esterno per tutte e quattro le ditte.
    Forse solo un caso, ma valeva la pena indagare più a fondo.

    Sedicesimo capitolo
    Deja Vù III parte


    Derek, Dave ed Emily erano sulla scena, davanti a loro una grande camera, ora spenta, dove per terra erano evidenti i segni del passaggio delle unità di soccorso che avevano tentato di rianimare i tre uomini quando erano stati trovati dai colleghi.
    Tubi per intubazione che parlavano di rianimazioni tentate, sacchetti per il ghiaccio secco ormai inutili che raccontavano di tentativi di abbassare la temperatura dei corpi.
    E il carrello, un arnese alto almeno due metri che scorreva su delle ruote a bloccaggio, a detta dei testimoni era bloccato davanti alla maniglia in posizione tale da impedirne lo scorrimento.

    Derek fece chiudere la porta, e una volta dentro gridò con quanto fiato aveva nei polmoni, aprì e chiese ai colleghi se avevano sentito qualcosa.
    “Appena un po’” Fu la risposta di Emily.
    Rossi fu meno sintetico.
    “Poco, ed eravamo qui con le orecchie tese a captarti, e i macchinari sono spenti, con le macchine accese era impossibile sentire qualcuno gridare”.
    “E lo sapeva, sapeva che per almeno mezz’ora nessuno sarebbe venuto a cercarli, nessuno sarebbe passato”.
    “Ed è una cosa che questa scena ha in comune con le altre, solo che lì non era rimasto un carrello messo in maniera tanto evidente”.
    “Perché questa differenza? Stavolta cosa lo ha disturbato?”
    “Credo la stessa ragione per cui ha ferito una delle vittime, un imprevisto”.
    “Lo deve aver sorpreso, ed ha pensato che poteva arrivare qualcun altro e se ne è andato senza rimettere a posto”.
    “Magari tornando a mangiare tranquillamente con i colleghi”.
    “Dici che l’SI è un collega? Ma Garcia ha escluso dipendenti in comune tra le quattro aziende, o no?”
    “Magari gente assunta non in regola… non capita mai, vero?”
    “Fermi… aspettate un attimo prima di prendere il largo!”

    Emily aveva parlato con un tono che non ammetteva repliche, i due uomini la fissarono curiosi di sentire la sua opinione.
    “Questo non è un operaio, lui li odia!”
    “Capita a volte tra colleghi, lo avresti mai detto della nostra talpa? Avresti mai pensato che un agente potesse essere complice di Foyet?”
    “Lascia stare Foyet, lui è un manipolatore ed ha trovato un agente con un problema di stress che era passato inosservato e lo ha manovrato. Questo SI detesta profondamente quelli che uccide, gli operai sono solidali fra di loro e quando si detestano si mandano all’inferno metaforicamente o si prendono a botte, non studiano metodi per accopparsi a tavolino, di norma”.
    “Dimentichi quelli che fanno stragi con fucili a ripetizione?”
    “Non rientrano nel profilo del nostro SI, sa quando sono isolati, sa quando non verranno soccorsi rapidamente ed ha sempre cercato di nascondere i delitti, non è il tipico stragista impulsivo, è troppo metodico”.
    “Andiamo a sentire cosa ha Reid, magari possiamo già mettere insieme un profilo”.
    Uscirono dalla camera, Emily si voltò un ultima volta, le sembrava di sentire le grida disperate di quegli uomini intrappolati, chiuse un istante gli occhi fece un profondo sospiro e seguì i colleghi fuori da lì.

    Arrivarono rapidamente in centrale, Reid li mise al corrente di cosa aveva scoperto Garcia sulle ditte che verificavano la sicurezza e il tecnico che era stato in tutte e quattro.
    Ma l’uomo aveva degli alibi inattaccabili, ogni volta che c’era stato un delitto lui era da un’altra parte a fare delle verifiche, quindi era da escludere.
    Però il profilo corrispondeva, una persona magari malvista dagli operai, dovevano capire che molla lo aveva fatto scattare, anche se dovevano cercare un altro soggetto.
    A Derek venne in mente di chiedere un’altra verifica a Garcia, verificare le ditte che svolgevano anche altri incarichi per le aziende in questione, tipo le imprese di pulizia.
    Rossi gli chiese cosa avesse in mente.
    E lui gli spiegò il suo punto di vista.
    “Stiamo sbagliando. Non è qualcuno di cui gli operai si ricorderebbero, saprebbero di averlo visto in giro, è qualcuno a cui nessuno bada, gli invisibili, quelli che a volte nemmeno salutiamo se gli incrociamo tanto siamo abituati alla loro presenza”.

    Penelope trovò un riscontro.
    “C’è una ditta, si occupano della derattizzazione, e sono attivi in tutte e quattro le aziende colpite… oh mio Dio.”
    “Penelope?”
    “Due volte al mese va lo stesso addetto in ognuna di loro, ed ora sta andando in un’altra!”
    “IL NOME GARCIA, IL NOME!”
    La donna passò subito i dati, sia dell’uomo che dell’azienda dove si stava dirigendo, o forse era già al lavoro.
    Mentre si dirigevano a sirene spiegate nel luogo indicato, ed una pattuglia più vicina era già stata allertata, lei li ragguagliò sull’uomo che avevano rintracciato.

    L’uomo era rimasto vedovo da pochi mesi, la moglie e il loro unico figlio erano stati investiti da un ubriaco. L’ubriaco era tra le prime vittime.
    “Perché non si è fermato una volta vendicata la moglie e il figlio?”
    Fu la domanda che sorse spontanea a Garcia.
    Fu Rossi a risponderle.
    “Perché gli unici per cui non era un invisibile erano morti,e si sentiva morto anche lui dentro.
    Vedeva quegli altri che continuavano a vivere e a ridere, non riusciva a tollerarlo, ogni volta che qualcuno di loro lo ignorava, lui poi veniva colto dal desiderio di ucciderlo. Una persona normale lo pensa solo, o al massimo lo scrive sul suo diario, una persona che ha subito un forte stress può impazzire e…”
    “Ma erano anche loro padri di famiglia, figli, fratelli…”
    “Piccola, lo fermeremo, non farà male ad altri, calmati!”
    La voce di Derek che la chiamava piccola, un accenno di sorriso tra le lacrime si sentì nella risposta che la donna gli dette.
    “Sì, capo!”

    Derek potè mantenere la promessa, riuscirono a fermarlo prima che agisse di nuovo, mentre lo portavano via ammanettato continuava a chiamare la moglie ed il figlio, come se fossero lì davanti a lui.
    Sul jet che li riportava a casa ognuno stava nel suo silenzio, il caso li aveva scossi, un padre di famiglia che impazzisce al punto da uccidere chiunque gli ricordi la persona che aveva ucciso i suoi cari.
    Vedere due volte al mese la causa del suo dolore lo aveva fatto uscire di sennò, ogni volta che uccideva, uccideva di nuovo l’assassino dei suoi.

    Il silenzio durò fino ad un uscita di Reid.
    “Abbiamo risolto il caso anche senza Hotch!”

    Derek trasalì.
    Ecco cos’era quella sensazione di già visto, non era inerente al caso.
    Era un legame con la situazione che ricordava di aver già vissuto, quando Gideon si era dimesso lui aveva avuto la medesima reazione di Reid, e ad Hotch aveva detto la stessa frase.
    “Abbiamo risolto il caso anche senza Gideon!”
    Erano passati due anni? Due anni prima Hotch non aveva avuto risposta da dargli, ma se lui avesse fatto passare la cosa sotto silenzio Reid avrebbe pensato che aveva ragione a dirgli che era felice di essere il capo.

    “È solo in vacanza, e ne abbiamo risolti anche altri di casi, quando era in convalescenza!
    Ah, a proposito, ne abbiamo persino risolti anche in tua assenza, ragazzino!”

    L’ultima parola fu detta ridendo all’indirizzo di un Reid perplesso per la reazione a quello che lui considerava un complimento all’ottima direzione del caso da parte di Morgan.
    Anche gli altri si misero a ridere all’ultima parola, e lui mise il broncio, almeno fino a che Rossi non gli diede di gomito per invitarlo a una partita a carte.

    Derek si mise sotto a stilare rapporti, così da poter lasciare l’ufficio ad un orario decente, mentre JJ ed Emily si unirono a Rossi e Reid.
    Penelope che aveva seguito buona parte dello scambio, felice di saperli in rientro, si mise a scrivere un messaggio:
    Stiamo bene, ma tu ci manchi. Sappilo!

    Premette invio, e sperò che il destinatario avesse il tempo di leggerlo e sentirsi almeno un pochino in colpa, solo un po’.
    Continua...

    Edited by rabb-it - 12/2/2011, 15:47
     
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    Diciassettesimo capitolo

    Pause

    Aaron era seduto su un tappeto a giocare con Jake, tutt’intorno a loro una marea di mattoncini colorati con cui stavano costruendo qualcosa di non troppo chiaro, esperimenti di architettura.
    Haley osservava i due con un sorriso, mentre sistemava i piatti in tavola.
    La settimana era quasi finita, e a lei spiaceva che fosse volata tanto in fretta.
    Mentre spostava il telefono di Aaron dal tavolo per metterlo su una mensola si accorse che c’era un qualche avviso di chiamata o di sms ricevuto.
    Probabilmente lui non lo aveva sentito.

    La pausa dell’agente Hotchner è già finita.
    Pensò con tristezza.
    Mentre teneva in mano l’apparecchio ripensò agli ultimi giorni.

    Alcuni giorni prima…

    Era sotto le coperte, finalmente al sicuro, era tutto finito, ma il sonno non arrivava.
    Rivedeva lo sguardo di Aaron mentre le parlava, quella lunga occhiata silenziosa prima di venire via dal salotto.
    Quel silenzio…di cose da dire senza averne il coraggio, quello lo avevano avuto solo per iscritto.
    Sentì un gemito.
    Preoccupata si alzò in fretta e corse in salotto.
    Aveva sentito bene, Aaron si agitava sul divano, aveva spinto via le coperte che però gli erano rimaste attorcigliate alle caviglie, per un attimo Haley rimase indecisa.
    Non sapeva se svegliarlo, mettendolo forse in imbarazzo, o lasciare che scacciasse da solo i suoi incubi.
    L’indecisione durò una frazione di secondo, ad un ulteriore gemito di dolore da parte dell’uomo lei si precipitò al suo fianco e lo scosse piano chiamandolo.
    “Aaron, Aaron svegliati”.
    Lui le afferrò un polso e strinse forte, non ancora del tutto sveglio.
    Lei gridò di dolore e la cosa snebbiò all’istante la testa dell’uomo.
    “Oddio, Haely, scusa… io… stavo… oddio ti ho fatto male?”
    “No… era solo lo spavento, sto bene…”

    La donna ammutolì, Aaron indossava solo i boxer e sull’addome dell’uomo erano evidenti alcune cicatrici.
    Lui le stava guardando il polso che si stava arrossando rapidamente e non notò lo sconvolgimento di lei.
    “Dovresti metterci del ghiaccio, o si gonfierà…”
    Le disse massaggiandole piano dove prima aveva stretto con forza, perso nell’incubo.
    “Smettila, non è niente.”
    Era inginocchiata davanti a lui, gli prese il mento e lo voltò nella sua direzione.
    “Guardami: Sto bene!”
    “Spero di non aver svegliato Jake”.
    “Non credo, io ti ho sentito a malapena ed ero sveglia”.
    “Cosa dicevo?”
    “Non saprei, ho solo colto il dolore e non volevo che l’incubo continuasse”.
    “Grazie”.

    Nel parlargli la sua mano scese a sfiorare una delle cicatrici.
    Lui mise una mano sulla sua.
    “Scusa non volevo…”
    “Che vedessi quello che ti ha fatto? Confesso che nella mia immaginazione pensavo anche peggio, quindi… forse meglio vedere. Forse.”
    “Avrei dovuto ucciderlo!”
    “E poi? No, lascia che se ne occupino altri, tu a lui non devi proprio niente, meno che meno assomigliargli, uccidendo non per legittima difesa”.
    “Ehy, non dovrei essere io quello che ti rassicura? Questo era quasi un profilo!”
    Risero insieme della momentanea inversione di ruoli, poi come calamitati dalle rispettive mani che si cercavano, i loro volti si avvicinarono, ed iniziarono a baciarsi.
    Prima timidamente, come indecisi, poi sempre con maggior foga.
    Non ci furono parole, lui l’attirò verso di se, lei si sollevo quel tanto che bastava per ritrovarsi tra le sue braccia e…Censuro che è meglio.


    SPOILER (click to view)
    Immaginazione gente, usatela!
    No dico vi aspettavate che descrivessi la scena?
    Uh… allora di mio non avete mai letto niente.
    Tendo alla censura su certi dettagli e poi scommetto che alle fan di Haley,sia chiaro fan è detto ironicamente, non dispiacerà che risparmio loro i particolari.
    Confesso, pure a me non dispiace non immaginarli.

    Poi avremmo fatto un lavoro di squadra, grazie a dei commenti e ad una canzone.
    QUI

    Grazie Sefoev



    Il mattino li colse abbracciati, lui si svegliò per primo e rimase lì ad osservarla per diversi minuti.
    La vide svegliarsi piano.
    “Buongiorno” “Buongiorno”
    Uno strano disagio si impossessò di loro, non sapevano bene come affrontare la cosa, era stata inaspettata, impulsiva, incosciente… ma perdio era anche stato fantastico, e lo pensavano entrambi.
    “Jake tra poco si sveglierà, non credo sia giusto che ci sorprenda così”
    “No, sarebbe arduo dare spiegazioni ad un quattrenne curioso!”
    “Molto arduo!”
    Risero insieme di nuovo, all’idea dell’innocente curiosità di un bambino che li teneva con i piedi per terra.

    Si alzarono, lei corse in bagno, prima dette un occhiata alla stanza del bambino, dormiva ancora nella grossa, la sera prima era stata stancante per lui, che andava sempre a letto presto.
    Fece segno ad Aaron, che non si era ancora infilato la camicia, che potevano dividere la doccia.
    Lui indicò la stanza del piccolo e lei gli fece segno che stava ancora dormendo, profondamente.
    Il tempo per una doccia c’era.
    Dire che l’imbarazzo iniziale di Haley se ne era andato era riduttivo.
    Ma non è che Aaron si fece pregare.
    Forse i piedi non erano troppo ancorati al suolo.

    Poco dopo stavano preparando insieme la colazione, lei se ne uscì con una proposta.
    “Ho chiamato mia madre, le ho detto che stiamo bene e che torneremo in città tra qualche giorno.
    Hai detto che per un poco non devi lavorare, ti va di passare con me e Jake il tempo della vacanza?”
    Lui venne colto in contropiede, pensava che lei non vedesse l’ora di tornare alla vita di prima, e non le aveva ancora detto la verità sulle sue vacanze dal lavoro.
    “Io? Mi piacerebbe!”
    “E allora facciamolo, Jake non vede l’ora di passare del tempo con te, tu pure e io… anche!”
    “Cos’hai in mente?”
    “Pensavo di affittare per una settimana una casetta in montagna dove insegnare a Jake a stare sugli sci”.
    “Una settimana fuori dal mondo? Ci sto!”
    “Però… Aaron… non illudiamolo… noi siamo adulti e sappiamo che le cose non potranno tornare come prima… ma lui, non voglio illuderlo su una riconciliazione tra di noi”.
    “D’accordo solo una vacanza, insieme”.
    Aaron aveva letto tra le righe della sua frase: Non illudermi.

    Ma nemmeno lui sapeva dove lo stesse portando la decisione che aveva preso, le avrebbe detto tutto alla fine della vacanza.
    Voleva staccare e lei gli stava offrendo un occasione, senza legami con il futuro, solo una pausa.

    Diciottesimo capitolo

    Legami

    Aaron seduto sul pavimento a giocare con Jake non fece caso allo strano silenzio di Haley.
    “Papà, ma quanto lo possiamo far alto?”
    “Io sarei propenso a …fermarmi prima che caschi tutto, tu sei d’accordo?”
    “No, voglio farlo cascare…” Rise il piccolo.
    “Ah… va bene, allora prosegui, siamo sulla buona strada”.
    Si girò verso Haley e le disse ridendo:
    “Altro che archittetto, questo ci diventa demolitore!”
    Notò la sua strana espressione rassegnata mentre gli passava il telefono.
    “Hai un messaggio, mi sa che le vacanze sono finite”.
    Il tono di Haley non sembrava irritato, solo triste.
    Lui prese in mano il telefono: “Non credo”.
    Devo decidermi a dirle che mi sono dimesso

    Mentre prendeva il telefono sentì un brivido percorrergli la spina dorsale, lo stesso brivido che aveva sentito quella mattina, quando stava spalando la neve in compagnia del padrone di casa che affittava le varie baite e chalet alle persone di passaggio.

    Quel mattino…
    Uscì presto, si era svegliato all’alba con una strana inquietudine, non gli andava di ciondolare in casa in attesa che Jake si svegliasse per portarlo a giocare fuori, non sapeva cosa avrebbe fatto ora che la fine della settimana era arrivata e pensava che un po’ d’aria fresca in solitudine gli avrebbe schiarito le idee.
    Ma la solitudine pareva destinata a non esserci, anche il gestore degli chalet era alzato e stava già spalando via la neve dai vialetti.
    Nevicava ogni giorno e lo aveva visto farlo anche più volte nella stessa giornata, ma se di pomeriggio usava un macchinario che faceva un discreto chiasso per farlo, di mattina presto per non disturbare gli ospiti usava la pala.
    Gli parve una cosa un po’ troppo faticosa per un ultranovantenne come gli sembrava l’anziano uomo coperto da una spessa giacca a vento con cappuccio.

    “Senta, non ha un'altra pala? Così le do una mano?”
    “Siete miei ospiti, ci mancherebbe!”
    “Ma voglio farlo, ho bisogno di rendermi utile”.
    “Vuole sfacchinare un po’? E chi sono io per impedirglielo, ma questo è uno dei due lavori più inutili al mondo!”
    “Ah sì? E il secondo qual è?”

    Prima di rispondergli il vecchio andò a prendere una seconda pala e la passò ad Aaron.
    “Era un motto del mio vecchio:
    Ci sono due cose che sono inutili al mondo, la seconda è spalare la neve, che ora che hai finito devi già ricominciare.
    La prima è accoppare la gente, che sa morire perfettamente per conto proprio.
    E se proprio si è in vena di sentirsi inutili, e non utili come ha detto lei, allora è meglio pigliare una pala!”
    “Saggio il suo vecchio”.
    “Già, ma visto il numero di tragedie che si sentono ogni giorno ho paura che ci siano poche persone che spalano neve di questi tempi”.
    “Non saprei, dovrei chiedere ad un mio amico, esperto di statistiche, se in inverno il numero degli omicidi è minore”.
    Nel dirlo aveva sentito quel brivido, il lavoro, Reid, la squadra.
    Gli mancavano già?
    Il vecchio rise dell’uscita di Aaron.
    “Buona questa, lei è simpatico sa giovanotto!”
    Aaron sorrise, giusto ad un novantenne poteva venire in mente di definirlo un giovanotto.

    Riprese a spalare di buona lena, ripensando alla saggezza popolare, inutile uccidere… la gente muore lo stesso.
    Sembrava che quel vecchio avesse dato l’ennesima risposta al suo dilemma, sul fatto se avrebbe fatto meglio a ammazzare Foyet… ci avrebbero pensato i tribunali e il boia.
    Niente contro la pena di morte per certi individui, ma perché emettere lui la sentenza se poteva evitarlo?

    Dopo un pezzo, Haley uscì con Jake, entrambi ben intabarrati.
    E vista la notevole nevicata parve ad entrambi un ottima idea fare un pupazzo di neve.
    Jake aveva il visino arrossato, arrivarono anche altri bambini, coi rispettivi genitori e tutti insieme terminarono il lavoro, poi iniziò una furibonda battaglia a palle di neve.
    I bambini più grandi lasciavano stare Jake, che dal canto suo approfittava un po’ della cosa colpendo a tradimento.
    Per fortuna mancava spesso il bersaglio o forse la pazienza dei più grandi si sarebbe esaurita alla svelta.
    La fine ideale di quella giornata era una bella cioccolata calda e… un tappeto dove scatenarsi con le costruzioni.

    La sera…
    Era tornato al presente.
    Lesse il messaggio di Penelope.
    Stiamo bene, ma tu ci manchi, sappilo!
    Un accenno di sorriso e spiegò ad Haley che gli facevano sapere che sentivano la sua mancanza e niente altro.
    “Forse dovrei dire loro che la cosa è reciproca… ma non voglio illuderli”.
    “Illuderli? Aaron… che sta succedendo?”
    “Ho rassegnato le dimissioni”.
    Ecco l’aveva detto.

    Si aspettava di vederla saltare per casa dalla gioia.
    Invece lei assunse un espressione preoccupata.
    “Cosa hai fatto? Ma quando? E perché?”
    “La sera in cui abbiamo catturato Foyet, ho consegnato pistola e distintivo”.

    Lei si rese conto allora che non aveva badato al fatto che Aaron non avesse messo al sicuro la pistola come faceva sempre quando vivevano insieme, non aveva fatto caso alla cosa o non aveva voluto notarlo, sapeva che c’era qualcosa che non andava.
    Ma non credeva si fosse dimesso, per lui il lavoro era tutto e ripenso a cosa c’era scritto sulla sua lettera.
    Non so se sono ancora in grado di farlo.
    Si sentiva in un modo strano, avrebbe voluto esultare all’idea che aveva scelto lei e Jake, ma non voleva che poi avesse dei rimpianti.

    “No, Aaron non puoi farlo!”
    “Cosa?”
    Lui era esterrefatto, non era possibile che proprio lei fosse contraria.
    Avevano divorziato per il suo lavoro.
    Che novità era mai questa?

    “Aaron non capisci? Tu mi hai spiegato che Foyet si era vantato di aver sfasciato la tua famiglia, ma non è detto che stesse parlando di noi, poteva anche parlare della squadra, o magari si riferiva ad entrambi… non puoi lasciarlo vincere, ora sei convinto, ma con il tempo avresti dei rimpianti”.
    “No, ti ho fatto una promessa ed intendo mantenerla!”

    “Aaron… te l’ho scritto e te lo ripeto: Non hai niente da farti perdonare, ficcatelo in testa!
    Mi hai mentito”.
    “No, ho solo aspettato a dirtelo…”
    “Non parlavo delle dimissioni, quando eri in ospedale mi avevi detto che pensavi che ero forte e che potevo farcela, lo hai detto solo per darmi coraggio in realtà non lo pensi”.
    “Sì che lo penso, sei una delle persone più forti che io conosca, stai crescendo nostro figlio da sola e…”
    Si fermò consapevole di dove lei voleva arrivare.
    “Appunto se credi davvero che sono più forte di due anni fa, perché non me lo dimostri? Posso farcela Aaron, non prometto che non avrò più crisi di nervi ad una chiamata nel cuore della notte o ad un anniversario mancato, ma se sono capace di crescere Jake da sola, allora posso anche farlo mentre tu sei al lavoro.. o almeno ci posso provare.
    Quello che non posso fare è accettare che tu rinneghi te stesso, me lo hai detto tu una volta.”
    “La gente cambia!”
    “Ma non deve succedere per colpa di vermi come Foyet, non voglio lui come ricordo della nostra riconciliazione, no… se lascerai il lavoro non sarà per me o per Jake. Anche io sono cambiata!”
    “Voi siete la cosa più importante della mia vita!”
    “E tu lo sei per noi, ma non cambio idea, non puoi dimetterti”.
    “L’ho già fatto…”
    “Ritirale!”

    Era sconvolto.
    Tutto poteva aspettarsi tranne che fosse proprio lei a dirgli di non dimettersi.
    Il mondo stava andando alla rovescia.

    Diciannovesimo capitolo
    Ritorni


    Non era certo di cosa aspettarsi.
    Non aveva salutato nessuno di loro, se ne era andato e basta.
    Almeno Gideon una lettera a Reid l’aveva lasciata, lui nemmeno un ciao.
    Aveva risposto al messaggio di Penelope di due giorni prima.
    Passerò a trovarvi uno di questi giorni.

    Haley era a casa con Jake, sarebbe andata da sua madre, e dalla sorella, non era ancora deciso cosa avrebbero fatto, ma doveva prima chiudere con il passato.
    Liberarsi del tutto dello spettro di Foyet, ed Haley aveva ragione, non poteva farlo se lasciava il lavoro, avrebbe sempre avuto la sensazione di aver lasciato qualcosa di incompiuto.
    Dei nodi che prima o poi sarebbero arrivati al pettine.

    Le porte dell’ascensore si aprirono sul corridoio che portava all’unità comportamentale, pochi passi, una porta a vetro ed eccoli lì tutti insieme, o quasi, la sua squadra.
    O forse sarebbe stato più corretto dire la squadra di Derek.
    L’unico assente, probabilmente in ufficio, o in riunione con la Strauss.
    Rimase lì per qualche secondo, ad osservarli.
    JJ stava spiegando una cosa a Rossi che ascoltava attento, Reid aveva ora solo una stampella e stava parlando con Prentiss, mentre Garcia sorbiva un caffè cercando di seguire entrambe le conversazioni, e probabilmente riuscendoci anche.
    Pochi secondi, poi qualcuno lo vide.

    “Agente Hotchner, bentornato!”
    Era stato uno degli altri agenti presenti nell’open space a vederlo, pareva che non sapessero che si era dimesso.
    Gli altri gli furono attorno in un lampo.

    “Hotch!”
    “È venuto sul serio!”
    “Andiamo nel tuo ufficio”.
    L’ultima frase lo colse di sorpresa, lui non doveva più avercelo un ufficio.
    Che storia è questa?

    Salirono di sopra.
    JJ gli fece cenno di non dire niente.
    Emily chiuse la porta.
    “Non ti arrabbiare ma abbiamo intercettato le tue dimissioni e… non sono mai arrivate dalla Strauss”.
    “Sapevo che un’informatica di mia conoscenza vi avrebbe messo lo zampino, ma io le avevo mandato una copia cartacea, che…”

    Si fermò notando l’espressione di JJ
    “Che io ho intercettato… lei non le ha mai ricevute!”

    “JJ? Perché non ce lo avevi detto?”
    Le chiese Rossi stupito di scoprire solo in quel momento che la donna sapeva più cose di quelle che gli aveva fatto intendere.
    “Perché avevo capito che qualcosa bolliva in pentola, e quando poi abbiamo ricevuto da Derek l’ordine di non parlare della consegna di pistola e distintivo da parte di Hotch, ho capito che avevo fatto bene. Non eravate i soli con un segreto, scusatemi.”

    “Quando le hai intercettate?”
    “Il mattino dopo che le avevi imbustate, la stessa mattina che ti sei assentato per la trappola, erano nella casellina del vicedirettore e io sono arrivata prima di lei, ho capito cos’erano e ho agito d’impulso!”
    “Quindi io sono ancora in servizio?”
    “Già, Derek ha detto che eri in permesso, e non ha voluto sentire ragioni”.

    “Se però vuoi ancora darle, ecco se proprio sei deciso… sono ancora nella mia scrivania”.
    “Però hai cambiato idea, vero?”

    Si sentiva assediato, non solo non erano arrabbiati con lui per quello che aveva fatto loro passare, ma avevano anche rischiato il posto per non far sapere che se ne era andato senza spiegazioni.
    Arrivo anche Derek.
    “Ciao, Hotch. Sei ancora in vacanza o torni?”
    “Io veramente mi ero dimesso…”
    “Davvero? Io pensavo solo di avere in custodia la tua pistola fino al tuo ritorno? Allora ho capito male, scusa!”

    Disse porgendogli pistola e distintivo.
    Hotch rimase per qualche secondo immobile, fissando ad uno ad uno i membri della squadra.
    Poi scosse un poco la testa mentre sorrideva davanti alla notevole faccia di bronzo di Morgan.
    E prese quello che gli veniva offerto, un ritorno senza domande.

    Nel frattempo anche Haley stava affrontando un ritorno.
    Sua sorella aveva portato Jake alla scuola materna, e lei stava riprendendo confidenza con la ritrovata situazione, ad un certo punto della mattinata suonarono alla porta.
    Andò ad aprire e si trovò davanti a Frederick.

    “Ciao, sei tornata finalmente, sei stata via parecchio!”
    “Frederick, che sorpresa, ma… non ci sentiamo da anni, cosa ti è successo?”
    “Oh questo?” Disse l’uomo indicando un vistoso ematoma che si stava riassorbendo sulla fronte.
    “Una caduta un paio di settimane fa, ma dovevi vedermi allora, parevo un procione”.
    “Mi spiace, sono felice di vedere che stai bene”.
    “Sei tornata con tuo marito?”
    “Ecco… Frederick tra noi è tutto finito anni fa, non credo siano affari tuoi”.
    La donna iniziò a sentirsi infastidita e voleva mandarlo via.
    Trovava strano che si interessasse a lei ora.
    La metteva a disagio.

    “Dovresti andartene”.
    “Non subito… non avere fretta…signora Hotchner!”
    E la spinse in casa.
    Lei tentò di gridare, ma l’uomo le mise un panno sul viso, forse conteneva cloroformio, dato che dopo pochi istanti perse i sensi.
    E sul volto dell’uomo si disegnò un ghigno malvagio che ne distorceva i lineamenti.


    Ventesimo capitolo
    Rimorsi

    Si sentiva intorpidita, era nel bagagliaio di un automobile, aveva le mani legate dietro alla schiena un pezzo di nastro isolante sulla bocca.
    Il terrore la avvolse.
    Non è possibile, tornare a casa al sicuro e questo…no…non è possibile.

    Piangeva, non sapeva nemmeno lei da quanto.
    È un incubo ora mi sveglierò. Non è giusto.
    I pensieri si susseguivano a sprazzi.
    Jake, è al sicuro, l’importante è questo.
    Il senso del tempo sfalsato dal buio, dal non sapere per quanto era rimasta priva di conoscenza, dalla paura.
    Come faranno a trovarmi?, Ad Aaron non ho mai detto di Frederick.
    Non sa chi sia… nemmeno io lo sapevo a quanto pare.

    Ad un certo punto sentì che l’auto si fermava.
    Il bagagliaio venne aperto, era buio anche fuori, erano passate ore dal sequestro.
    “Oh ci siamo svegliati? Non agitarti, finirai con il farti più male!”

    L’uomo la portò dentro una casa, passando dal retro.
    Era una piccola costruzione ad un piano, le abitazioni vicini sembravano disabitate, non una luce, non un suono proveniva dalle altre finestre.
    Tentò di gridare, ma non le riuscì.
    Frederick la spinse su un divanetto.
    Poi si mise a legarle anche i piedi.
    “Per sicurezza, prima che ti venga in mente di farti una corsa. Ora vedremo se riesco a terminare il lavoro in sospeso”.

    Cercava di reagire, ma l’aveva legata stretta, impossibile tentare la fuga.
    Rimase immobile, atterrita.
    Che lavoro in sospeso? Di cosa sta parlando?
    Lo vide prendere un telefono e lo senti parlare, anche se non capiva cosa diceva, era troppo distante per afferrare tutte le parole, ma una cosa la sentì chiaramente.
    “Non farete in tempo!”

    A salvarmi? Sta parlando con Aaron? Con la polizia…no…no…no

    Lo vide spostarsi nell’altra stanza e lei ricominciò a cercare di liberarsi, ma sembrava che più lottava e più le corde le si serravano intorno ai polsi.
    Le parve di avere le mani bagnate, poi sentì il dolore, quello arriva sempre dopo.
    Era il suo sangue, aveva sfregato talmente tanto da tagliarsi.
    E non era più libera di quando era chiusa nel bagagliaio.

    Sentì i suoi passi, stava tornando.
    Aveva sempre provato rimorso per il suo tradimento, ma onestamente le sembrava che quello fosse un prezzo troppo alto.
    Un’enormità, per un momento di debolezza.
    Cercò di trattenere le lacrime, non voleva dargli quella soddisfazione, non avrebbe supplicato.
    Non avrebbe più pianto.
    O almeno era intenzionata a provarci.


    Aaron stava parlando con Derek dei cambiamenti che aveva in mente, per passare più tempo con la sua famiglia.
    Sarebbe stato complicato, erano entrambi dei leader e una squadra poteva avere un capo alla volta, ma se ripensava a quando c’era Gideon gli era difficile pensare che lui e Derek sarebbero stati da meno.
    Rossi era dubbioso, ma una volta espresse le sue perplessità aveva lasciato i due uomini a discutere i dettagli, nell’ufficio di Derek.
    Penelope arrivò sulla porta con un aria sconvolta.
    “Hotch, c’è un problema.
    Hanno eseguito il test del DNA sui resti di Summers, l’apparecchiatura era guasta, ma non avevano fretta perché erano certi fosse lui, trascinato nel fiume per qualche centinaio di metri lo avevano ripescato con l’incerata con cui lo si era visto cadere, ma il volto era irriconoscibile per i colpi presi nella caduta.
    Ma quando hanno potuto fare la verifica con il DNA… Non è il suo corpo”

    Derek chiamò a raccolta la squadra, con una pattuglia si diressero a casa di Haley, l’espressione di Hotch era indecifrabile.
    Agli altri pareva di tornare indietro a mesi prima, quando erano corsi temendo il peggio dopo che avevano trovato Hotch in ospedale.
    Il telefono di Hotch prese a squillare.

    “Hotchner”
    “Oh, bentornato agente supervisore Hotchner.”
    “Summers!”
    “Immagino abbiate scoperto di avere il corpo sbagliato.
    Quel poveraccio doveva essere lì dalla sera prima e nessuno lo aveva visto, però mi ha attutito la caduta, e quando poi sono stato nel fiume mi è parso molto semplice mettergli addosso la mia incerata, aveva il volto irriconoscibile, mi sarei preso qualche ora di vantaggio, ma non pensavo me ne deste tanto. Veramente gentili.”
    “Tu torcile un solo capello…”
    “E cosa? Sai, non farete in tempo. Non potrai salvarla, arrenditi all’evidenza!”

    E riagganciò.
    Hotch gettò il telefono con rabbia.
    Dal dialogo era evidente che doveva aver già preso Haley, o forse l’aveva anche già uccisa.
    Arrivarono alla casa, la porta era socchiusa.
    Vide l’auto della cognata avvicinarsi. Jake era nel sedile posteriore.

    “Che succede? Cosa… Haley!”
    “Porta via Jake”
    “Ma…”
    Vide l’espressione sul volto dell’uomo e decise che era meglio se obbediva in silenzio.
    Il bambino non capiva come mai la zia non lo avesse fatto scendere per andare da mamma e papà, sì girò a guardare mentre si allontanavano, e vide solo che tutti si muovevano molto piano intorno alla porta, e prima che potesse vedere altro la macchina della zia affrontò una curva e sparì dal vialetto togliendogli la vista della casa.

    Hotch entrò per primo, vide il mobiletto d’ingresso rovesciato, segno di una colluttazione, ma dentro la casa non c’era nessuno.
    Doveva averla rapita.
    Dove potevano cercarla?
    L’indirizzo di Summers era stato controllato, due settimane prima per cercare le tracce della sua complicità con Foyet, venne mandata una pattuglia a verificare che non fosse tornato lì, ma Hotch sapeva che non era così, sarebbe stato troppo semplice trovarlo, e gli aveva detto che non avrebbe fatto in tempo.


    Ventunesimo capitolo
    Mai e sempre


    Garcia era sconvolta, non era riuscita a rintracciare la chiamata fatta da Summers, era stato troppo poco al telefono, e la loro sola speranza di sapere dove quel pazzo avesse portato Haley era sparita con il lampeggiare del banner che diceva Niente segnale.
    Non può essere, non può essermi sfuggito così!
    La donna digitò febbrilmente qualcosa alla tastiera e andò a cercare dove possibile delle altre risposte.
    Morgan le diceva sempre di fare una delle sue magie, mai come adesso lei avrebbe voluto accontentarlo.
    Correvano veloci le sue dita sulla tastiera, ogni tanto staccava una mano e si sistemava gli occhiali, non era un gesto realmente necessario, era un modo come un altro per stemperare la tensione, una frazione di secondo, un tocco veloce alla montatura colorata e riprendeva veloce come prima, più di prima.
    Il tempo era il loro reale nemico.
    E forse era già troppo tardi.
    Sentiva un sorda oppressione salirle al petto, lo stesso groppo di lacrime che aveva pianto settimane prima, ma ora non c’era tempo per le lacrime, un sospiro e vennero ricacciate indietro, Haley era ancora viva e loro l’avrebbero salvata.
    Doveva andare così, non doveva nemmeno pensarlo che il peggio fosse già accaduto.
    Via cattivi pensieri, non mi servite a niente adesso.

    Emily e Rossi spiegarono ad Aaron cosa avevano saputo su Summers da Foyet.
    “Era un’agente semplice, quando per qualcosa che avvenne anni fa, venne degradato, rimase sempre nell’FBI ma svolgeva esclusivamente incarichi di tipo impiegatizio, cancelleria, con poche responsabilità”.
    “Circa tre anni fa, venne trasferito in Virginia e poco più di sei mesi fa, al nostro stesso piano”.
    “Pare che poco dopo il suo trasferimento abbia iniziato a… non c’è un modo per dirlo che non faccia male”
    “Cosa?”
    Fu Emily a sganciare la bomba.
    “Pare che si documentasse su quando tu eri fuori, per poter incontrare Haley, e nello stesso periodo incontrò Foyet, che ti teneva d’occhio in quanto supervisore capo dell’unità che avrebbe investigato su di lui. Non è troppo chiaro cosa sia successo, ma…”
    “Un’idea ve la siete fatta. Scommetto che ad Haley non ha mai detto di lavorare per L’FBI”.
    “Già le avrà dato un nome falso, Foyet si è vantato di averti distrutto il matrimonio, ora sappiamo come”.
    “Ma cosa posso aver fatto da indurre un agente ad essere complice di un assassino?”
    “Hotch! Quell’uomo è pazzo, non darti la colpa per quello che lui vi sta facendo!”
    “Ma deve essere qualcosa che ho fatto io, non capisci?”
    Stavolta fu Rossi ad intervenire.
    “Hotch, qualsiasi decisione tu abbia preso, qualsiasi, non giustifica quello che lui sta facendo ora, fosse anche che lo hai denunciato tu per un qualche motivo, avevi solo ragione, come sta dimostrando ora”.
    “Dave, apprezzo le buone intenzioni, ma così è quasi peggio, ho notato qualcosa che non andava e non ho preso provvedimenti adeguati in tempo?”
    “Non pensarlo nemmeno!”
    “Credete che Foyet sappia altro? Un nascondiglio?”
    “Se anche fosse non ce lo dirà mai”.
    “Devo tentare, devo fargli dire dove tiene Haley, devo fargli credere che lui si piglierà i suoi…meriti… così vorrà che lo fermiamo prima che la uccida. Mi illudo lo so ”.
    “Non è detto”.

    Andarono nel carcere di massima sicurezza dove era detenuto Foyet.
    Il volto di Hotch non tradiva la minima emozione, come quando era stato aggredito dall’uomo mesi prima.
    Aaron ricordava molto bene come l’uomo gli avesse fatto i complimenti per non mostrare paura perché il suo profilo prevedeva che si divertisse ad uccidere solo quando vedeva la sua vittima in preda al panico.
    E lui gli aveva replicato che forse non mostrava paura perché non gliene faceva.
    Ed era vero, per se non temeva, ma l’idea che potesse succedere qualcosa ad Haley cambiava le cose, ma Foyet non lo doveva sapere.
    In un flash rivide un vecchio SI, uccideva le sue vittime con le loro fobie e a lui aveva detto che la sua fobia più grande era di non poter salvare tutti, davanti alla sua espressione ferma aveva aggiunto anche: “Oh… è peggio di quello che pensavo!”
    Poi si era lanciato nel vuoto.
    Quella volta erano arrivati in tempo a salvare una donna che era stata sepolta viva.
    Anche questa volta sarebbero arrivati in tempo.
    O non se lo sarebbe mai perdonato.

    Haley sostenne lo sguardo del suo aguzzino.
    “Oh, George sarà felice che termino il lavoro che lui ha lasciato incompiuto”.
    Lei ripensò a quando lo aveva incontrato la prima volta, era stata in ospedale per una visita di controllo di Jake, Aaron se ne era dimenticato.
    Si era diretta furiosa in ufficio, non era niente di grave, ma non intendeva accettare che il marito mettesse la salute del figlio dopo il lavoro, Jake aveva chiesto incessantemente del suo papà, le apparecchiature lo avevano spaventato e lei aveva fatto del suo meglio per calmarlo.
    E la rabbia verso il marito cresceva secondo dopo secondo.
    Non era la prima volta che succedeva.
    Ma era intenzionata a fare in modo che fosse l’ultima.
    Quando era arrivata lo aveva trovato in procinto di partire, l’ennesima missione, l’ennesimo: “Ne parliamo poi”.
    Era uscita dalla sede in lacrime e si era diretta in un caffè lì vicino.
    Un uomo le si era avvicinato per chiederle se aveva bisogno di aiuto.
    “No, grazie, sto bene”.
    “Mi scusi se mi intrometto, ma non si direbbe proprio”.
    Era stato cortese e gentile, e lei si era ritrovata a sfogarsi, senza spiegare che lavoro faceva suo marito, non era prudente dire di essere moglie di un agente FBI al primo sconosciuto incontrato in un bar.
    Si erano incontrati altre volte, credeva fossero solo coincidenze il fatto che sbucasse fuori sempre quando era in rotta con Aaron, ma ora… evidentemente non era così.
    E non era nemmeno strano che avesse fatto scoprire la loro relazione ad Aaron, la sua telefonata non era stata un ingenuità, era stata fatta apposta.
    Foyet, ancora lui, non rivedrò mai più Jake ed Aaron.
    A quel pensiero gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre l’uomo le passava una lama affilata lungo i fianchi, come a decidere dove colpire.
    Non riuscì a trattenersi e scoppiò in singhiozzi disperati.


    Aveva sperato di non rivederlo mai più.
    Aveva già deciso che non sarebbe andato a vedere la sua esecuzione, per non dargli l’ultima soddisfazione.
    Sapeva che forse lo avrebbe dovuto interrogare per lavoro, in fondo era schiavo del servizio, ma sperava di delegare ad altri il compito, ma questa volta non poteva.
    Solo lui sarebbe riuscito a spingere Foyet a tradirsi, non perché sarebbe caduto nel suo tranello, no… solo per poterlo torturare una volta di più.
    E sia, se questo salverà Haley posso sopportarlo.

    L’uomo lo guardava, dall’altra parte del tavolo d’interrogatorio, con quell’aria strafottente di chi sa di tenere gli altri in pugno nonostante le manette ai polsi ed alle caviglie.
    Rossi ed Emily erano rimasti fuori, seguivano l’interrogatorio dalla tv a circuito chiuso della stanza a fianco.
    “Forse uno di noi dovrebbe essere con lui”.
    “Emily, Hotch sa quello che fa, Foyet non parlerà con noi, vuole vantarsi della sua vittoria con lui, se ci fossimo anche noi sarebbe peggio, vorrebbe farci capire come lo tiene in pugno, così invece Hotch può andare dritto al punto”.
    “Ma è solo…”
    “No, non lo è, sa che siamo pronti ad intervenire in ogni momento”.
    Emily si voltò verso lo schermo, in palese ansia per il collega, lo aveva visto provato in quei mesi e l’aria serena con cui aveva sorriso quel mattino davanti alla loro insubordinazione pareva un ricordo lontano, spazzato via da quel sorriso beffardo e maligno che stava là ammanettato, ma fin troppo libero per i suoi gusti.

    Hotch mise le carte in tavola.
    “Il tuo complice se l’è cavata. Ora ha rapito la mia ex-moglie e intende finire il tuo lavoro, sicuro di volere che si prenda lui il merito?”
    “Oh, saprà fare un buon lavoro, anche se non sa lavorare fino come me, io le faccio durare le mie vittime, tu ne sei la prova vivente… tu e l’agente Morgan. A proposito è ancora seccato che tu hai usato il suo tesserino? Continua a cercare di farsi passare per te o lo hai rimesso al suo posto?”
    Hotch rimase impassibile, concentrato sull’obbiettivo. Cosa aveva dentro non doveva trasparire. Non poteva permettergli di prendere il controllo.
    “Sicuro di volere che si prenda il merito di essere te? No perché è quello che sta facendo, lascia intendere che noi avremmo catturato un semplice aggressore di un agente FBI mentre è lui il vero mietitore”.
    “L’esca è allettante agente Hotchner, ma cosa ti fa credere che io sia tanto stupido, credi davvero di fregarmi con così poco? Mi sottovaluti”.
    Entrò Rossi, un aria furibonda in viso.
    “Hotch, l’hanno trovata…mi dispiace”.
    In mano teneva una foto, si vedevano delle gambe femminili spuntare da dietro ad una macchina, sulla macchina l’occhio stilizzato che disegnava Foyet.
    Hotch prese la foto, l’aria di chi non ha niente da perdere.
    “Hai perso la tua sola occasione, morirete entrambi George, ma mi assicurerò che il mondo intero creda che tu eri il complice del mietitore e non il contrario, sarà la mia vendetta”.
    Hotch uscì, lasciando Rossi da solo con Foyet.
    “Non hai nulla che mi interessi ormai”.

    Rossi attese che la porta fosse chiusa.
    “Lui ormai ha perso tutto, ma tu puoi tenerti la tua fama, fammi catturare Summers e a pensare che non passi per te ci penso io”.
    “Ma Hotchner lo sa di avere una marea di traditori nel suo team? Altro che squadra d’acciaio, pur di prendere il suo posto passereste sul suo cadavere”.
    “Non sono affari tuoi, ma se Hotch lo cattura può facilmente farlo passare per te, gli basterà dire che era stato lui ad aggredirlo mesi fa, gli crederanno, se lo prendo io invece…”

    Hotch ed Emily osservarono il miglior Dave Rossi, versione Giuda, all’opera per quasi due ore.
    Fu un lento stillicidio.

    Piano piano tirava il pesce che aveva pescato verso la sua barca aspettando il momento buono per arpionarlo e tirarlo su.
    Rinfocolava la sua rabbia verso quel banale imitatore, lasciava intendere che il suo obbiettivo era aggiungere un altro best sellers alla sua collezione, con lui come protagonista, blandiva il suo ego paragonandolo al proprio.
    Un vero artista della truffa all’opera.
    E quando stava quasi per perdere le speranze di farcela la crepa, era entrato.
    Aveva distolto l’attenzione di Foyet da Hotch e l’aveva per se.
    La rabbia dell’uomo era palese, l’idea di essere defraudato della fama di più spaventoso serial killer di tutti i tempi gli fece commettere il più semplice degli errori, cadere in trappola.
    “Fuori Washington DC ci sono varie città semiabbandonate, ci trovavamo sempre in quelle periferie degradate, con poca sorveglianza. Non so quale rifugio abbia scelto, ma lo dovete cercare lì”.

    Rossi uscì a rotta di collo dalla stanza.

    Una volta fuori raggiunse Emily e Hotch che stavano andando a passo spedito verso l’uscita, dalle celle adiacenti i colpi degli altri detenuti che si gettavano contro i vetri antisfondamento.
    Nessuno dei tre badò loro nemmeno di striscio.
    Una volta in auto Rossi disse.
    “Non era furbo quanto credeva!”
    “Lo spero, potrebbe anche averci mandato a vuoto”.
    “Non credo quel fotomontaggio lo ha colto di sorpresa, forse ora ci sarà arrivato, ma prima no, era furioso”.
    “E tu sei stato molto convincente nella parte del traditore del capo uscito di senno”.
    “Ah non lo sai? Durante la processione del venerdì santo da bambino facevo sempre la parte di Giuda”.
    Dopo averlo detto Rossi si maledisse da solo.
    Ma che cavolo mi viene in mente…IDIOTA!

    Hotch non pareva nemmeno aver sentito, disse ad Emily di far controllare a Garcia i dati che erano in loro possesso sugli spostamenti di Summers, se stavano nei paraggi di Washington D.C. dovevano essere vicini.
    Ma si era fatto buio.
    Squillò il telefono di Hotch.
    Era un numero fisso, Emily disse a Garcia di controllarlo.
    Hotch rispose.
    “Buonasera Agente Hotchner, ancora a darmi la caccia?”
    “Summers non hai scampo, se vuoi evitare la galera a vita o peggio, arrenditi fino a che sei in tempo!”
    “Oh, ma non hai ancora capito? Te l’ho detto questo pomeriggio e te lo ripeto ora. Non farete in tempo”.
    “Tu…”
    “Sì, sì lo so, non le devo torcere un capello… di un po’ che te ne sembra della sua nuova tinta? Io la preferivo prima, il biondo le stava molto meglio. Ma magari a te piace di più così, le hai detto che le sta bene il nuovo colore? Oh scusa devo riagganciare, o farete in tempo a rintracciarmi, buona serata”.
    Aaron strinse i pugni sul volante con tale forza da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani.
    Garcia questa volta lo aveva preso, ce l’aveva fatta, anche perché aveva quell’indizio, dintorni Washington D.C.

    Il nome della città, l’indirizzo e due suv, uno con Morgan, Reid e JJ che erano di poco più lontano, erano stati a perquisire a fondo l’appartamento di Summers; l’altro con Hotch, Prentiss e Rossi si diressero là a tutta velocità.
    Pregando e sperando di fare in tempo, la speranza appesa ad un filo sottile.
    Garcia restava in contatto dal suo bunker dei computer, il volto teso ed angosciato.
    La strada pareva non finire mai.
    Case sfitte, con cartello vendesi, piccola periferia colpita dalla crisi, le assi alle finestre ad indicare che li una volta c’era stato qualcuno che pensava di poter tornare a viverci e cercava di preservarla dai malintenzionati.
    Poi quella casa.
    Quella segnalata da Garcia.
    La corsa dentro, la colluttazione, gli spari.

    Due.

    E il silenzio.
    Un silenzio innaturale, di morte.
    Summers giaceva riverso nell’ingresso, aveva cercato di aggredire Hotch quando era entrato per primo, ma Derek e Rossi avevano fatto fuoco coprendo il collega.
    E per Fred Summers non c’era stato scampo.
    Hotch era corso all’interno della casa, aveva cercato Haley.
    L’aveva trovata. Sul divanetto. Esanime.
    Derek e gli altri fissavano l’amico che stringeva tra le sue braccia la donna, il silenzio spezzato da un grido.
    “UN MEDICO, PRESTO!”
    La prese in braccio per portarla lui stesso in ospedale.
    Ma era tardi.
    Haley rimaneva inerte tra le sue braccia, morta.

    E lo sapevano tutti.
    Ma Aaron non voleva crederci, non poteva arrendersi.
    La mise per terra ed iniziò a praticarle il massaggio cardiaco, 5 pressioni un’insufflazione, 5 /1, 5/ 1…
    “Respira Haley!”
    “Respira…”
    Dave gli mise una mano su una spalla.
    “Aaron, è inutile”.
    “NO!”
    L’uomo lo spinse via con rabbia e riprese la rianimazione.
    Derek si mise di fronte ad Hotch, inginocchiato, gli mise una mano sulle sue congiunte sul petto di lei.
    “Non serve Hotch… non serve più”.
    Aaron smise di comprimere, ma continuava a muovere il busto avanti ed indietro come totalmente inebetito.

    Garcia aveva seguito la concitazione dal suo bunker e stava piangendo disperatamente, poteva essere stata questione di minuti.
    Si sarebbe per sempre sentita in colpa.

    Un giorno solo era passato.
    Dal funerale.
    Aaron aveva preso un permesso, voleva e doveva stare vicino al figlio.
    Ma ora era da lei.
    Seduto su una panchina davanti alla motta di terra sotto cui Haley era stata sepolta il mattino precedente ripensava alla loro ultima settimana insieme.



    Yesterday, all my troubles seemed so far away,
    Now it looks as though they're here to stay,
    Oh I believe in yesterday.



    Non gli sembrava possibile che lei fosse lì, solo tre giorni prima avevano riso insieme.

    “Aaron, prendiamoci tempo, non decidiamo d’impulso solo su spinta della situazione vissuta in questi mesi”
    “Ho tanto da farmi perdonare”.
    “Smettila, anche io, ma se stiamo a recriminare chi ha fatto cosa a chi, invece di una riconciliazione o un matrimonio finiremo con l’avere un tabellone segnapunti”.
    “Dove l’ho già sentita questa frase?”
    “Ah non lo so, quante altre volte ti sei sposato?”
    L’aveva detto portando le mani ai fianchi con un espressione finto burbera che lo aveva fatto ridere.

    Suddenly, I'm not half to man I used to be,
    There's a shadow hanging over me.
    Oh yesterday came suddenly.
    Why she had to go?



    Il sole venne coperto da una nuvola.
    L’aveva amata, forse l’amava ancora.
    Non sapeva come sarebbe potuta andare, ma aveva sperato di poterci almeno provare.
    E invece, lei se ne era andata.
    Gli era stata portata via.
    Sarebbe sempre rimasto un rimpianto per tutte le cose non dette.

    I don't know she wouldn't say.
    I said something wrong,
    now I long for yesterday.



    Quante cosa avrebbero potuto essere diverse.
    Ora non sapeva cosa fare.
    Il lavoro era la sua vita, Jake lo era.
    Come conciliare l’essere rimasto il solo genitore con il continuare a fare il proprio lavoro.
    Cosa avrebbe detto lei?
    Che non doveva darla vinta a Summers ed a Foyet come aveva detto giorni prima, o avrebbe detto altro?

    Yesterday, love was such an easy game to play,
    Now I need a place to hide away,
    Oh I believe in yesterday.



    Pareva così facile quando c’era lei.
    Lo aveva fatto sembrare facile.
    Non lo sarebbe mai stato.


    FINE

     
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2 replies since 22/3/2010, 16:39   861 views
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