Sotto protezione

Rabb-it

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. rabb-it
     
    .

    User deleted


    Decimo capitolo
    L’ufficio


    Derek era entrato per primo in sede quel mattino, appena aveva visto Hotch varcare la soglia e dirigersi verso quella che era la sua scrivania nell’open space lo fermò.
    “Non ho portato le mie cose di sopra, voglio che quello resti il tuo ufficio”.
    “Derek non puoi, devi avere un minimo di privacy”.
    “No, quello è il tuo ufficio e non intendo discuterne, se alla Strauss non sta bene sarà lei ad avere un problema, non io”.
    Aaron fissò il collega per alcuni secondi, poi con un grazie appena udibile salì di sopra e vide che Derek aveva già rimesso le cose che lui aveva ritirato in un paio di scatole al loro posto sulle mensole e sulla scrivania.
    Guardò nella sua direzione, ma Derek gli dava la schiena; stava sistemando le cartelle di alcuni rapporti su un tavolo a pochi metri dal centro dell’open space, avrebbe ricevuto lì il vice direttore Strauss.

    JJ arrivo pochi istanti dopo e si diresse da Hotch come da abitudine, poi le venne in mente che ora il caposquadra era Derek e tornò sui suoi passi.
    Si rivolse all’uomo che aveva notato la sua esitazione.
    “Scusa, la forza dell’abitudine!”
    “Non preoccuparti.”
    “Derek, sai se… sai se gli hanno fatto sapere qualcosa?”
    “No, non gli ho chiesto niente, immagino che ne parlerebbe se potesse”.
    “Mi domando come faccia a venire a lavorare…”
    “Credo sia per pensare anche ad altro”.
    “Io non ci riuscirei, ma Hotch non è me”.

    Derek fissò la giovane donna davanti a lui, se ingannava lei forse ce la poteva fare anche con gli altri.
    Forse.
    Si misero a studiare i rapporti che lei aveva selezionato la sera prima, ora dovevano scegliere un caso, ce ne era uno particolarmente efferato, su cui la polizia locale non aveva indizi.
    Mentre degli altri qualche pista da seguire ce l’avevano, quindi erano propensi a seguire quello, dove potevano essere più utili.

    Arrivarono anche gli altri, Derek tenne la riunione con il vicedirettore, Aaron tornò a chiedere che prenderessero il suo ufficio, Derek fu irremovibile e chiese che le sue decisioni fossero rispettate.
    JJ disse qualcosa a Penelope, che le sorrise e si diresse ai suoi computer.
    Mentre la squadra era fuori ad occuparsi del caso Penelope sistemò un paio di cose con un dipendente prossimo alla pensione, ed al suo rientro Derek ebbe un ufficio tutto per lui.

    In quelle due giornate nessuno fece domande ad Aaron, sapendo che era in contatto con le squadre di ricerca, e non volendo pensare al peggio.
    Penelope un pomeriggio chiamò Derek nel suo ufficio, voleva usare i satelliti per vedere se riusciva a rintracciare il punto esatto dell’impatto, ma se serviva il posto da dove erano partiti e dove erano diretti per farlo.
    “Non farlo Garcia”.
    “Cosa? Ma sono Haley e Jake, non possiamo stare ad aspettare!”
    “Non credi che Hotch te lo avrebbe già chiesto se pensasse che potresti aiutarli a trovarli?”
    “Forse è troppo sconvolto, ma noi siamo qui per aiutarlo”.
    “Non intrometterti, gli sceriffi federali si stanno occupando della cosa e…”
    “…MA è QUESTO IL PUNTO” La donna aveva gridato, ma quando se ne rese conto abbassò la voce.
    “Non se ne stanno occupando, capisci? Non ci sono squadre di ricerca, non sulle Montagne Rocciose almeno, cosa stanno facendo?”
    “Garcia, stanno facendo il loro dovere, e la cosa non si deve sapere, non ci sono rapporti ufficiali, non fino alla conclusione della cosa!”
    “Derek Morgan… se mi stai nascondendo qualcosa…”
    “Ci sono un sacco di cose di me che ti nascondo, piccola!”
    Aveva cercato di mettere un intonazione ironica nella voce, doveva assolutamente distrarla o avrebbe capito.
    “Oh, ma tu provochi!”
    “Rimettiti al lavoro e lascia stare gli sceriffi, ok?”
    “È un ordine?”
    “Sì”.
    “Agli ordini capo!”

    L’idea di non lasciare perdere per niente la sfiorò, ma poi si disse che nessuno più di Hotch doveva desiderare notizie dei suoi cari e che le avrebbe chiesto aiuto se avesse pensato che poteva darglielo.
    Le venne per l’ennesima volta un magone indicibile a pensare ad Haley e al bambino.
    Ricordava ancora benissimo cosa era successo pochissimi giorni prima.
    Sam era passato con un filmato ricavato dall’auto di sorveglianza, si vedeva Jake che andava sull’altalena, era distante e non poteva zoomare troppo sull’immagine o si sarebbe sgranata, poi il piccolo si allontanò, ma nel farlo prima passava proprio davanti all’automobile permettendo ad Aaron di vederlo almeno un pochino.
    Aveva sentito il suo saluto al piccolo e aveva faticato a trattenere le lacrime.
    Come adesso.

    Andò in bagno a rinfrescarsi e passò davanti al nuovo ufficio di Derek, stava tenendo tra le dita la targhetta con il suo nome, e parlava al telefono.
    Aveva l’aria stanca.
    Come tutti loro del resto.

    Intanto Hotch era nel suo di ufficio, stava scrivendo qualcosa e ogni tanto distoglieva lo sguardo da cosa scriveva per guardare torvo una cosa alla sua destra.
    Una cartellina, i cui primi numeri erano 666… già proprio evocativi come numeri, mai quanto la foto e il nome sulla stessa però… era il file di Foyet, uno di quelli che si era fatto portare a casa settimane prima.
    Distolse lo sguardo, la cartellina sarebbe dovuta diventare una cenere fumante dopo quell’occhiata, e scrisse con maggior vigore.
    Derek gli aveva fatto un grosso favore lasciandogli l’ufficio, nessuno che facesse domande.
    Solo.

    Era quello che gli serviva in quel momento, evitare che gli facessero il profilo notando l’ossessione che era ormai centrale nella sua vita.
    Catturare Foyet e niente altro.

    E cercare di non pensare al dopo.

    Undicesimo capitolo
    Doppio gioco


    Un mattino Hotch avvisò che non sarebbe stato al lavoro, Dave e Derek fecero in modo che l’intero ufficio ascoltasse per caso una loro conversazione in cui nominavano un posto dove potevano essere Haley e Jake.
    Non lontano da dove poteva essere precipitato l’aereo, con il dettaglio che c’erano solo feriti e non vittime.
    Così la talpa avrebbe pensato che non li avevano ancora rintracciati con sicurezza e che se avvisava Foyet lui avrebbe potuto precedere gli agenti, avendo dei dettagli in più.
    Dettagli forniti da Garcia, che si sarebbe fatta sfuggire inavvertitamente dove secondo lei dovevano cercare, ma l’area era vasta diversi chilometri e lei aveva lasciato intendere che dal cellulare di uno degli agenti di sorveglianza si poteva risalire alla posizione precisa.
    Ma lei non conosceva tutti gli agenti incaricati.

    L’esca era pronta, ora dovevano solo aspettare che il pesce abboccasse.

    Nessuno dagli uffici usò il telefono, ma se il complice era furbo non lo avrebbe fatto dall’interno.
    Ma qualcuno spulciò i tabulati telefonici dell’agente che sarebbe dovuto essere sull’aereo con Haley e Jake, non scoprirono chi era stato, fino a che non arrivo una chiamata.
    Diversi impiegati avevano lasciato gli uffici verso mezzogiorno, uno di loro fece sapere che si era sentito male e chiese di poter restare a casa.
    Rossi e Derek si scambiarono un occhiata eloquente ed avvisarono Hotch.
    Hotch era nella zona in cui avevano predisposto la trappola, alcuni rottami ed una tenda d’emergenza, come se il pilota avesse approntato un minimo di sicurezza contro il maltempo, dopo un atterraggio d’emergenza andato a buon fine.
    E il cellulare di quell’agente all’interno della tenda.

    Passarono alcune ore ed un uomo con indosso un’incerata si diresse sul sentiero reso scivoloso dalle piogge, aspettarono che si avvicinasse, poi la trappola scattò.
    L’uomo fu colto di sorpresa e tentò la fuga verso la gola, nella corsa perse l’equilibrio e scivolo lungo il canyon.
    Videro il corpo sbattere contro le rocce, avrebbero dovuto scendere a recuperarlo per assicurarsi della sua identità.
    Hotch chiamò JJ e le chiese di far diramare un comunicato stampa in cui si affermava che Foyet “Il Mietitore” era caduto in un imboscata dell’FBI.

    La donna eseguì il comando, stupita della facilità con cui era caduto in trappola.
    Disse delle sue perplessità a Derek, che le rispose stando sul vago, con accenni al fatto che forse il vedere frustrati i suoi progetti di torturare a lungo Hotch lo avevano reso imprudente.

    Alcune ore dopo Hotch andò alla sua auto, aveva lasciato gli altri sul campo a recuperare i resti dell’uomo.
    Chiamò Rossi e gli fece sapere che intendeva dirigersi al più presto da Haley e Jake.
    E si diresse con l’auto verso l’interno del parco.
    Guidò per un pezzo, e si fermò davanti ad un capanno isolato.
    Rimase per qualche istante sulla porta come indeciso, poi la aprì.
    Mentre stava entrando qualcuno gli arrivò alle spalle e lo sbatté a terra.

    “Credevi veramente di esserti liberato di me, agente Hotchner? Non sei stato capace di proteggere la tua famiglia, pensavi davvero che sarei caduto in quella stupida trappola? Il tuo ultimo pensiero sarà che loro sono morti e tu non li hai salvati”.
    “È quello che credi tu!”

    Con un calcio ben assestato fece cadere l’uomo che stava sopra di lui, stavolta il vantaggio della sorpresa era suo, sapeva che Foyet non doveva essere lontano, ma doveva farlo uscire allo scoperto.
    E far credere che lo pensavano morto era un modo perfetto, per chi vuole vedere riconosciuta la propria grandezza criminale non c’era smacco peggiore che passare per uno che si fa fregare da una banale imboscata.
    Non poteva tollerarlo e su quello Aaron aveva contato quando aveva dettato quel comunicato a JJ.

    Hotch fece fuoco, lo colpì ad una spalla.
    Poi rimase per qualche istante pensare a come sarebbe stato facile liberarsi di lui per sempre.
    Nessuno gli avrebbe mai contestato la legittima difesa, quello era un pericoloso serial killer.
    Ma l’agente ebbe il sopravvento sull’uomo, come sempre.

    Foyet tentò di provocarlo mentre lo ammanettava.
    “Sei un vigliacco, non hai nemmeno il coraggio di finirmi”.
    “Ci penseranno altri a decretare la tua fine!”

    Arrivarono anche gli altri, allertati da Rossi si erano subito diretti sulle coordinate del gps del suv di Hotch, che aveva passato loro Garcia.
    La trappola aveva funzionato.

    Ma Foyet non aveva ancora finito di spargere veleno.
    “Oh sai è stato divertente sfasciare la tua famiglia”.
    “Tu non hai sfasciato niente, loro sono sani e salvi ben lontani da qui”.

    Reid e Prentiss si voltarono verso Derek che volse loro i palmi in avanti come a dire che aveva le mani legate.

    “Ma io non mi riferivo alla loro morte, io avevo capito che quella era una farsa, ma chiedi alla tua signora se conosceva l’agente che è precipitato in quel canyon, sai… era un pezzo che vi tenevo d’occhio e lui è proprio capitato nel momento giusto”.
    Lo spinsero nell’auto e finalmente non dovettero più ascoltarlo.

    Aaron rimpianse di non avergli sparato in piena fronte.
    Cosa stava dicendo quel pazzo?
    Che si era preparato anni prima della morte di Shaunessy a colpire proprio lui?
    Che sapeva che lui era ossessionato a tal punto dalla sua cattura, fino dalla sua prima comparsa un decennio fa, che non si sarebbe mai dimesso dall’FBI fino a che non fosse tornato a colpire?

    Troppe cose, tutte in una sola volta.
    Mentre portavano via Foyet, Hotch consegnò distintivo e pistola nelle mani di Derek e chiese a Sam, che li aveva raggiunti, di portarlo da Jake e da Haley.

    Derek rimase interdetto davanti al gesto di Hotch, e non gli venne niente da dire per fermarlo.
    Anche gli altri restarono stupefatti dalla cosa e guardavano il distintivo di Hotch come se fosse stato un serpente pronto a morderli se avessero fiatato.
    Hotch salì nell’auto a fianco di Sam e scambiò una sola occhiata con Rossi, che gli fece un cenno di assenso con il capo, e per la prima volta da mesi sul volto di Aaron si disegnò un vero sorriso, accompagnato da un lungo sospiro.


    Dodicesimo capitolo
    Reazioni

    Rientrarono in ufficio un po’ sconvolti per come si era conclusa la situazione.
    Reid mise al corrente JJ e Garcia della buona notizia su Haley e Jake.
    Penelope guardò male Derek, lui non sostenne il suo sguardo, e si infilò in ufficio.
    Seguito dalla donna.
    Stava mettendo il distintivo e la pistola di Hotch in un cassetto della scrivania e lo chiuse a chiave, non dette il tempo a lei di dirgli niente.
    “Dì agli altri che tra dieci minuti abbiamo una riunione, voglio parlare con tutti”.
    “Ma…”
    “Penelope, per favore…”
    “Va bene”.

    Garcia si diresse all’open space, dove c’era una strana atmosfera, felici per la conclusione di un incubo, sorpresi e tristi per la decisione di Hotch di dimettersi.
    E forse anche un po’ feriti, per come erano stati tenuti all’oscuro, avevano capito tutti che qualcosa non quadrava, ma si erano fidati di Rossi e Derek su cosa stava succedendo.
    Ed ora erano molto irritati con Rossi.
    “Perché non ci avete avvisati almeno uno alla volta in privato?”
    “Perché se dovevamo tendere una trappola ne conoscevamo solo una parte?”
    “Lo sapevi dall’inizio?”

    “Ragazzi, Derek ci vuole nell’ufficio riunione tra dieci minuti, ci spiegherà tutto, credo”.
    Rossi guardò con gratitudine la donna che lo aveva appena salvato da un linciaggio verbale.
    Lei gli servì lo stesso sguardo astioso che aveva riservato a Derek, ricordava ancora molto bene come era stato duro nel descrivere cosa avrebbero dovuto fare, per vendicare la morte di Haley e Jake, sperava che lui e Derek avessero delle ottime scusanti per averla fatta stare così male.
    Ad Hotch poteva perdonarlo, lui era sconvolto per la sua famiglia e per una volta nella vita li aveva messi davanti al suo lavoro, ma loro due no…
    Come ha potuto Derek consolarmi in quel modo, sapendo che loro stavano bene.
    Come mi ha potuto mentire così!

    JJ ripensava ad una situazione avvenuta molti anni prima.
    Lei era sconvolta per la morte di alcune donne, e faticava a concentrarsi sul caso, si sentiva troppo coinvolta.
    Hotch aveva cercato di spiegarle che nel loro lavoro era normale sentirsi così, lei gli aveva risposto che a lui non succedeva di farsi coinvolgere, e la sua risposta era stata “E forse non è un bene!”
    Stavolta è stato travolto, non solo coinvolto, l’espressione che aveva mentre consegnava a Derek il distintivo… non credo di averlo mai visto in quello stato.

    Reid si domandava come aveva fatto a non capire cosa stava succedendo, aveva visto Hotch farsi distante con la squadra, ma lo aveva imputato allo stress, non ad una serie di cose fatte alle loro spalle.
    Ma aveva ragione lui, ora Foyet è catturato ed è solo questo che conta.

    Emily ripensava alle parole di Foyet, aveva iniziato da lontano a tormentare Hotch, il come era una delle cose che si ripromise di scoprire.
    Non voglio che restino questioni irrisolte.

    Chi è prudente, saggio e desideroso di stabile prosperità non lasci mai un resto, né di fuoco, né di debito, né di nemico.

    Andarono nella saletta riunioni, Derek era già lì ad aspettarli.
    Attese che fossero tutti seduti poi iniziò.

    “Per quello che mi riguarda Hotch è in ferie, permesso speciale per stare un po’ con i suoi.
    Non ho alcuna intenzione di accettare le sue dimissioni e gli lascerò un po’ di tempo per riprendersi dagli ultimi fatti, quindi evitiamo l’argomento della sua consegna di pistola e distintivo fuori da qui.
    Garcia, fino a che non lo dirò io, al computer centrale non devono arrivare comunicazioni, nel caso Hotch mandi le dimissioni per e-mail”.

    “Ti ficcherai nei guai con la Strauss”.
    Era stato Rossi a parlare.

    “Sono il caposquadra e fino a quando le cose non saranno appianate sono anche il superiore di Hotch, quindi posso farlo”.

    “Intercettare le sue mail? Non credo proprio”.

    “David, adesso basta! Voglio dare ad Hotch il tempo di riflettere sulla sua decisione, ha agito d’impulso, non è da lui!”

    “Derek, c’erano delle cose che Aaron ha detto quella sera che non ti ho riferito, non è stata una decisione d’impulso. È stata una decisione sofferta, ma ci pensava da un po’.”

    “Da quando era stato aggredito, dubito si possano considerare decisioni ponderate con calma.
    Non intendo tornare sulle mie decisioni, voglio lasciargli del tempo e tu non me lo impedirai, chiaro!”

    “D’accordo, capo”.

    Gli altri osservarono quello scambio con la sensazione che la tensione tra i due potesse da un momento all’altro scatenare una tempesta elettrica dritta sulle loro teste.

    Penelope si disse che impedire che le dimissioni divenissero effettive era un giochino già fatto e non vedeva la difficoltà di ripeterlo.
    Anche lei come Derek riteneva che la decisione non fosse stata affatto presa con la calma che era necessaria, non gli era stato possibile.
    Ora gli potevano lasciare del tempo.
    Se poi fosse stato ancora della stessa idea, ne avrebbero preso atto.
    Ma per il momento non era male considerarlo solo in permesso vacanze.
    Dava il modo di riprendere fiato anche a loro.

    Reid ripensò alle dimissioni di Gideon, repentine ed improvvise quanto quelle di Hotch.
    Forse nemmeno lui sarebbe tornato sulle sue decisioni, Jason non lo aveva fatto, perché mai Hotch avrebbe dovuto?
    Un’altra persona a cui teneva che se ne andava, cambiamenti.
    Non era certo di come affrontare la cosa, andare da Hotch e dirgli che non doveva farlo?
    Non sapeva se ne aveva il diritto.
    Non sapeva se fosse giusto, sapeva solo che gli faceva male.

    JJ rimase assorta, rivedeva i vari momenti in cui Hotch era stato il collante della squadra, quando era ritornato dopo che era stato cacciato dalla Strauss e Gideon si era dimesso.
    Come era sempre stato presente al loro fianco, con Spence quando ne aveva avuto bisogno, con lei quando l’aveva rassicurata sulle normali preoccupazioni di un genitore, con Penelope quando era stata ferita, con Derek nel tenerlo in riga quando esagerava, o rimettere a posto Rossi quando appena rientrato voleva fare come ai vecchi tempi.
    Il suo essere sempre ligio alle regole aveva permesso ad ognuno di loro di esserlo un poco meno.
    Come avrebbero fatto senza di lui?
    Sarebbero riusciti a restare uniti? Vedendo la lite tra Derek e Dave i dubbi erano legittimi.

    Emily ricordò quando era arrivata nell’unità, Gideon e Hotch non ne erano stati avvertiti, e lui non la voleva tra i piedi, era stato categorico.
    Poi le aveva concesso un’opportunità, e si era guadagnata la sua stima e il suo rispetto, anche per non aver tradito la squadra quando aveva scelto le dimissioni piuttosto che riferire alla Strauss dei problemi che c’erano.
    Ora toccava a lei concedergli la stessa opportunità, di cambiare idea e tornare sui suoi passi.
    Forse pensa che non gli perdoneremo le menzogne, ma si sbaglia.
    Abbiamo bisogno di lui, deve saperlo.

    Rossi lasciò scorrere lo sguardo sugli uomini e le donne della squadra, poteva immaginare cosa stessero pensando, e lui stesso sperava che Aaron cambiasse idea, che trovasse un equilibrio tra il lavoro e la famiglia, ma non voleva che si facessero illusioni.
    Poteva non tornare mai come prima.
    Ma loro avevano comunque un compito da svolgere, con o senza Hotch.

    Derek imitò Rossi, e anche i pensieri erano ben poco dissimili, sapeva che Hotch non era tipo da decisioni impulsive, ma non voleva arrendersi, non ancora.
    E voleva con tutte le sue forze che la squadra continuasse ad essere unita come lo era stata negli ultimi due anni.

    Tredicesimo capitolo

    Jake

    Sam stava guidando da oltre mezz’ora quando si decise a parlare.
    “Ho visto che hai consegnato pistola e distintivo, non è che sei stato troppo precipitoso?”
    Hotch rimase assorto per qualche istante, poi gli rispose.
    “No, nel momento in cui ho mentito alla mia squadra e li ho usati per far uscire allo scoperto Foyet e il complice senza renderli partecipi di quello che accadeva, ho capito che avrei dovuto dimettermi.
    La fiducia è essenziale nel nostro lavoro.”

    Sam si voltò per un istante a guardare il collega, l’espressione perplessa come se non credesse alle proprie orecchie.
    Poi tornò a guardare la strada e aggiunse.
    “Non potevi fare altrimenti, non ce ne è stato il tempo.”
    Hotch scosse la testa piano, come se anche lui avesse difficoltà a credere a quello che stava per dire.
    “Veramente di occasioni per metterli a parte di cosa stava succedendo ne ho avute, siamo andati a seguire dei casi, e mentre eravamo sul jet noi da soli sapevo che avrei potuto dir loro tutto, ma non ci sono riuscito, non ne ho quasi parlato nemmeno con Rossi e Morgan, che ne erano a conoscenza”.

    “Sapevano anche delle tue dimissioni?”
    “Ho accennato la cosa a Dave, ma credo non ne avesse parlato a Derek”.
    “No, vista la sua espressione direi proprio che non se lo aspettava, ma Rossi non ha tentato di dissuaderti?”
    “Le mie decisioni le prendo da solo, non ho l’abitudine di farmi influenzare dagli altrui pareri”.
    “Secondo me avresti dovuto parlare con loro, sapere come avevano preso la cosa, prima di decidere, sicuramente avranno capito”.
    “Li ho dati per scontati. Ho dato per scontato che avrebbero capito. Ma non torno indietro, sapranno andare avanti anche senza di me. I cambiamenti a volte fanno bene”.
    “Convinto tu…”

    Hotch guardò Sam, aveva colto la sospensione del giudizio nella sua frase, e ne era infastidito, credeva veramente che la cosa gli piacesse?
    Ma in fondo del parere di Sam poco gli importava, era più preoccupato da Haley.
    Cosa intendeva Foyet con quell’ultima frase?
    Forse per stasera poteva lasciar perdere, era solo l’ultima cattiveria di un verme, e non gli sembrava il caso di affrontarla subito.

    L’arrivo alla casa protetta lo distolse dalle sue eculubrazioni.
    “Forse dovrei andare in un motel e passare domani mattina, ora staranno dormendo”.
    “A parte che credo che non veda l’ora di sapere che è tutto finito, la in fondo è la cucina e la luce è accesa, dubito che abbia mai dormito più di un paio d’ore per notte in questi mesi”.
    “È vero, non vedrà l’ora di tornare a casa”.
    Si avvicinarono, Hotch bussò piano.
    Haley andò ad aprire ed appena vide l’ex-marito sulla porta sentì l’angoscia di quei mesi scivolarle via.
    “È tutto finito, è in carcere e non può più nuocere.”
    “”Tu come stai?”
    “Non lo so ancora… posso vedere Jake?”
    “Certo vieni!”
    Sam spiegò che gli avrebbe lasciato l’auto di Haley per il rientro e se ne andò, lasciandoli soli.
    Aaron si sedette sul bordo del letto del figlio, eccolo lì la sua ragione di vita, il motivo per cui si alzava la mattina, quanto era cresciuto in quei mesi, o forse era solo un impressione.
    Il bambino si rigirò nel sonno e mormorò qualcosa.
    Aaron guardò Haley, gli era parso che lo avesse chiamato, lei gli fece segno di coccolarlo un po’ per scacciare i brutti sogni, lui mise una sua mano sopra quelle piccole del figlio, forse la mano di Aaron era fredda, Jake aprì gli occhi di scatto.
    “PAPA’, papà sei tornato!”
    Gli saltò letteralmente al collo, lui lo tenne stretto a se.
    Dave aveva ragione, poteva perdonarsi qualsiasi cosa mentre abbracciava suo figlio.
    Haley piangeva dalla gioia davanti a quella scena, l’espressione sul viso di suo figlio era quanto di più bello avesse mai visto, gioia allo stato puro.
    E il sollievo sul volto di Aaron, non ricordava di averlo mai visto così sereno.

    Jake non ne volle sapere di tornare a dormire, volle raccontare al padre di tutte la cose che aveva fatto e visto in sua assenza, doveva dirgli dell’orso, Haley sorrise tra se a sentire come diventava più grande ogni volta che lo ricordava.
    Lei preparò per Aaron il divano letto, lo aveva visto stanco e non credeva fosse il caso di dirigersi a casa senza che avesse almeno riposato un poco.
    Quando Jake crollò per la stanchezza, lo misero a letto insieme.
    E solo allora Aaron le spiego cosa era successo negli ultimi giorni.
    Omise il dettaglio delle ultime frasi di Foyet, non voleva turbarla ci sarebbe stato tempo per chiarire i punti oscuri, non le parlò nemmeno delle sue dimissioni, non gli parve il caso.

    Poi entrambi soffocarono uno sbadiglio e scappò loro da ridere.
    Si scambiarono degli sguardi che parlavano di tutte le parole non dette.
    Ma il momento passò nel silenzio.
    Lui fu il primo a riprendersi.
    “Domani mattina vi riporto a casa!”
    “Grazie, per tutto!”

    Lei uscì dal piccolo salottino ed andò a riposare nella sua stanza, forse stanotte avrebbe dormito.
    Ed era la stessa cosa che stava pensando Aaron.
    Stanotte niente insonnia, finalmente.




    Quattordicesimo capitolo

    Deja Vù

    Il rumore dei macchinari li costringeva ad urlare per riuscire a comunicare, c’erano due operai all’interno di una specie di sauna, solo che non erano lì per un trattamento in una qualche SPA, ma stavano sistemando del materiale che doveva prendere la giusta dose di umidità per passare alla lavorazione successiva.
    Camera umidificatrice era il nome tecnico, La Sauna per gli addetti ai lavori.
    “SPINGILO A DESTRA, QUI NON C’È PIU’ SPAZIO!”
    Ad un certo punto la porta venne chiusa, il più anziano dei due mandò l’altro ad aprirla, ansioso ed irritato per quello che sembrava uno scherzo sciocco.
    L’uomo, Tony, sui venticinque anni capelli neri portati lunghi fino alle spalle, poco più di un metro e settanta, fisico asciutto, si diresse con decisione alla maniglia di emergenza, pensava anche lui allo scherzo di un collega con un pessimo senso dell’umorismo.
    “Quando Elias uscirà da qui ti farà a striscioline, chiunque tu sia, io non mi spavento così facilmente, ma a lui le coronarie stanno per cedere”.
    Credeva che appena avesse aperto il portone si sarebbe trovato davanti Rupert, capelli biondi alla paggetto l’aria perennemente sbarazzina e quel non so che di malandrino che faceva sopportare le sue freddure perenni.
    Avrebbe dovuto essere in pausa mensa, ottimo momento per tirare loro uno scherzo dei suoi.
    Tony afferrò la maniglia, avevano fatto svariate volte le prove nel corso degli anni, per la sicurezza, e sapeva bene come aprire dall’interno.
    Un semplice scatto all’indietro e la ruota che stava in cima avrebbe fatto da perno permettendo all’aria di entrare.
    Ma la porta non si apriva.

    Elias, sulla cinquantina capelli corti e grigi, basso e tarchiato, l’opposto fisico del collega, gli gridò di spicciarsi, sentiva già l’aria venirgli meno, lì dentro a porta chiusa si mancava di poco il 100% di umidità e il caldo era superiore di svariati gradi a qualsiasi temperatura estiva.
    Era una cosa sopportabile per pochi minuti alla volta, e con la porta aperta.
    Andò verso il giovane collega, era convinto che lui e Rupert gli stessero giocando qualche scherzo e che stesse solo facendo finta di aprirla.
    “Allora, la smettete, apri quella dannata porta o ti piglio a calci da qui a S.Diego”.

    Tony si voltò verso di lui, visibilmente spaventato.
    “Ci sto provando, Rupert basta con lo scherzo, non è divertente!”
    Elias cerco a sua volta di forzare la maniglia.
    Sentirono un mugolio di dolore provenire da dentro la camera.
    Si avvicinarono e videro steso tra i carrelli Rupert, si teneva la testa con una mano, tra le dita colavano delle gocce di sangue, i capelli biondi ne parevano intrisi.
    Chiese loro cosa era capitato, con voce flebile.
    E nessuno dei due ebbe una risposta, ma ad entrambi si disegno il panico sul volto.

    “Se lui è qui… chi c’è li fuori?”
    I due uomini sconvolti iniziarono a tempestare la porta di pugni e iniziarono a gridare.
    Ma fuori il rumore dei macchinari li sovrastava, e non c’era nessuno, erano tutti in pausa mensa.
    Nel locale adiacente davanti alla maniglia principale di quella porta c’era un pesante carrello che la bloccava, rendendo vani i tentativi di aprire dall’interno.
    Le grida andarono avanti per alcuni minuti, poi il silenzio, forse avevano capito che non poteva sentirli nessuno, forse avevano perso conoscenza…o peggio.

    A Quantico…giorni dopo.
    JJ e Derek stavano esaminando alcuni casi, lei ad un certo punto fissò il collega e gli disse che lei lo perdonava.
    Lui le sorrise, sapeva che aveva sentito lo scambio tra lui e Penelope, uno scontro a dire il vero.
    La donna gli aveva detto che le sarebbe occorso del tempo per perdonargli le lacrime versate e che lui e Rossi dovevano essere grati alla loro buona stella se lei rivolgeva ancora loro la parola.
    Lui le aveva risposto che l’importante era che facesse il suo lavoro; tre secondi netti dopo averlo detto se ne era già pentito, ma era tardi per rimediare ed aveva allungato i tempi di una probabile riconciliazione con l’amica.
    “Subito? Senza reprimende?”
    “Ti stai già punendo da solo, non serve che mi ci metta anche io, avevi un incarico e lo hai portato a termine, andiamo oltre”.
    “Perché Garcia non la vede come te?”
    “Perché io mi sono sfogata con loro, un po’ con Will, ma mai con te. Se si esclude quella frase su Hotch che lavorava nonostante le brutte notizie.
    Lei invece si era appoggiata anche a te, le ci vorrà più tempo, molto se continui a risponderle in quel modo. Prima di essere un capo sei anche un nostro amico, ogni tanto ricordatelo”.
    “Magari avrebbe dovuto ricordarselo anche Hotch prima di andarsene in quel modo, mi ha lasciato una bella gatta da pelare”.
    “Vedi? Tu sei arrabbiato con Hotch con quello che ha passato e non capisci la rabbia di Penelope?”
    “Hai ragione…”
    JJ guardò con un sorriso il collega e passandogli l’ennesima cartellina lo invitò a tornare a concentrarsi sul lavoro.

    C’erano stati una serie di omicidi, che sulle prime erano passati per incidenti sul lavoro.
    Ma l’ultimo caso non poteva davvero essere un incidente.
    Sobborghi di S.Diego.
    Tre uomini trovati morti all’interno di una cella per l’umidità forzata. Uno con un vistoso trauma cranico, gli altri… annegati nel vapore era il termine esatto.
    Era stata una cosa lenta, degna di un sadico.
    Che forse aveva già colpito, dopo quel caso gli agenti avevano indagato su incidenti simili ed avevano scoperto una traccia, ma non sapevano più che pesci prendere per andare avanti e l’unità analisi comportamentale era sembrata la sola soluzione.
    A Derek sembrava qualcosa di già visto, ma non riusciva a centrare il bersaglio, riunì la squadra, insieme si ragiona meglio.
    A volte.
    Bisognava capire con che schema l’unsub(S.I. in Italiano) colpiva, perché la cosa evidente era che aveva un qualche schema in mente e quello era il modo per catturarlo, arrivarci prima.
    Intanto era importante levare di mezzo quelli che erano sul serio incidenti sul lavoro, quelli a volte accadono e le misure di sicurezza a volte non bastano, a loro serviva fare il punto su quelli che erano stati presi per tali e non lo erano.

    Quando Garcia mostrò loro le statistiche sui morti sul lavoro ebbero un attimo di sconforto.
    “E io che credevo di fare un lavoro pericoloso…”
    “Lo fai, statisticamente un poliziotto ha più probabilità…”
    “Reid, lo so, ma guarda quei numeri… qualcuno fa un lavoro altrettanto pericoloso e sono in pochi a rendersene conto… gli serve proprio un pazzo che li prenda di mira, un poliziotto sa che deve sempre stare in guardia…”
    Per un attimo il pensiero di Derek andò ad Hotch ed alla sua aggressione.
    “…ma un operaio non si aspetta di certo di essere minacciato da qualcosa di diverso da… un rischio disoccupazione!”
    “O da qualche malattia causata dal lavoro… Aspetta un disoccupato… un ex dipendente arrabbiato?”
    “Gli incidenti sospetti sono in quattro fabbriche diverse, non credo sarebbe passato inosservato se fosse rientrato a far danno”.
    “Intanto cerchiamo di capire dove agisce, se davvero lo ha fatto solo in quelle quattro fabbriche abbiamo già una destinazione, San diego”.

    “Comunque molti di questi sono evidenti incidenti, niente che faccia pensare ad un piano criminoso.”
    “Tu inizia a fare un profilo geografico di dove sono gli incidenti sospetti, forse è in attività da anni, magari si sposta mano a mano che cambia lavoro”.
    “Il che sarebbe inquietante…”
    “Ci capitano mai casi non inquietanti?”

    Reid parve riflettere per un attimo sulla cosa.
    “Ora che mi ci fai pensare…no!”
    Derek fece un accenno di sorriso all'espressione perplessa del collega.
    "Andiamo sull’ultima scena. Al jet tra mezz’ora".

    Quindicesimo capitolo

    Deja Vù II parte

    Derek stava parlando al telefono con Dave.
    “No, va bene, avviserò il pilota”.
    Quando tornò indietro dalla cabina di pilotaggio gli altri lo guardarono in maniera interrogativa.
    Dave ed Emily erano stati assenti tutta la mattina e credevano li avrebbero trovati lì ad aspettarli.
    “Sono un po’ in ritardo, partiremo appena arriveranno”.
    “Ma dove erano andati, o è un altro segreto anche questo?”
    Derek ignorò la nota di polemica che sentiva nella voce di Reid, da quando era successo di Hotch non si erano mai parlati da soli, ed anche ora c’era JJ.
    Che con un occhiata gli ricordò la frase di poche ore prima: “sei anche un nostro amico”.

    “Basta ragazzino, vediamo di chiudere qui ed ora questa storia.
    Ho fatto quello che ho dovuto e non voglio passare i prossimi giorni a dovermi giustificare, né tantomeno lo deve fare Rossi, lui ed Emily sono andati a parlare con Foyet, ed ora concentriamoci sul caso”.
    “Magari se avessimo saputo cosa stava succedendo avremmo potuto parlare con Hotch, impedirgli di andarsene, ma forse a te stava bene così! Saresti tornato un agente speciale e basta se lui restava”.
    Derek guardò Reid come se lo vedesse per la prima volta.
    Non riusciva a credere che pensasse realmente che lui non avrebbe voluto riavere lì Hotch.
    Anche Reid aveva un aria spaesata, come se non si aspettasse di essere così arrabbiato con Derek.
    “Io…”
    “Tu…”

    L’ingresso di Dave ed Emily sbloccò la situazione di stallo che si era creata,entrambi colsero subito la tensione nell’aria e guardarono verso JJ, lei elencò loro i dettagli di cui erano a conoscenza sul caso, passando le cartelline che aveva preparato quella mattina nel primo incontro, in loro assenza.
    Derek andò dal pilota a dirgli di decollare, quando tornò comprese che Dave era stato messo al corrente dell’uscita di Reid, si era seduto di fronte a lui e gli stava dicendo qualcosa.
    Lo lasciò fare, era l’agente con più esperienza, forse Reid a lui avrebbe dato retta.

    Guardò Emily e le si sedette a fianco e le domandò come era andata da Foyet.
    “Ha detto ben poco, ma da quello che ho capito teneva d’occhio la nostra unità da almeno tre anni.
    Non aveva fretta, doveva aspettare che Shaunessy morisse per avere la nostra attenzione di nuovo.
    Se la vendetta è considerato un piatto che va gustato freddo, lui aveva messo il piatto nel congelatore”.
    “Per vendicarsi di chi? Di Hotch?”
    “Di chiunque si mettesse sulle sue tracce, chiunque”.
    “E in questo cosa c’entrava la talpa?”
    “Non ne siamo ancora certi, credo che dovremo chiedere ad Haley per sapere se lo conosceva, se Hotch ce lo permetterà”.
    “Perché non dovrebbe?”
    “Perché forse per lui è più importante una riconciliazione con la sua ex, che non sapere tutta la verità”.
    “Hotch vorrebbe sempre sapere la verità!”
    “Ne sei veramente certo? Sempre e mai sono promesse difficili da mantenere, specialmente quando ti sono già costate una volta la famiglia”.
    “Ne sono certo, ma ora… pensiamo al caso!”
    Richiamò l’attenzione degli altri, quando incrociò lo sguardo con Reid egli tentò un sorriso e spalancò gli occhi come a chiedergli scusa, e lui non ce la faceva proprio a restare arrabbiato con quel ragazzino… che non era più tanto ino da un pezzo, ma ormai lo chiamava così da sempre e non gli andava di perdere il vizio.
    Gli sorrise di rimando e la pace fu ristabilita.
    Doveva ricordarsi di ringraziare Rossi.

    “Abbiamo quattro casi certi, in ognuno due o più vittime sono rimasti bloccati in luoghi insalubri, nei primi tre si era pensato a semplici incidenti dato che a parte la causa patologica della morte non c’erano altre tracce sulle vittime. Nell’ultimo caso qualcosa deve essere andato storto e ha dovuto colpire una delle vittime, rendendo evidente l’aggressione”.
    “Che collegamento abbiamo tra gli altri tre casi e l’ultimo?”
    “Una cosa che è stata notata solo nell’ultimo caso, gli operai uccisi erano gli unici presenti al lavoro gli altri erano in pausa, o per un cambio di turno o per la mensa”.
    “Mentre in altri casi che abbiamo preso in esame c’erano diversi testimoni a poter confermare l’incidentalità del tutto, qui mancano totalmente: chi è presente, viene ucciso”.

    Avevano parlato uno di seguito all’altro, poi Derek si era rivolto a Garcia che era ad ascoltarli dal suo fedele computer.
    “Garcia controlla gli operai di ognuna delle 4 fabbriche, anche gli addetti alle consulenze esterne, magari ci sta un punto di contatto.”
    “Consideralo fatto”.
    “Grazie picc… Grazie Penelope”.

    Rossi sorrise alla correzione di tiro da parte di Derek, l’abitudine che aveva di chiamare con dei vezzeggiativi Garcia sarebbe stata malvista dalla Strauss e l’unico modo per perderla era di non farlo più, anche quando era solo con loro che vi erano abituati.
    Se fosse stato presente allo scontro e di quella mattina non avrebbe trovato la cosa divertente, ma lui non poteva sapere che i due avevano litigato, era giusto a conoscenza della discussione con Reid e solo perché era arrivato con Emily proprio al culmine.
    E aveva scambiato due parole con Reid, giusto per chiarire al giovane che per quanto Derek potesse volere il comando, mai lo avrebbe preso a discapito di Hotch, e quello se lo doveva ficcare bene in testa o la loro squadra sarebbe andata a ramengo, con somma soddisfazione della Strauss, e di chi come lei vedeva come fumo negli occhi il fatto che la squadra di Hotchner fosse ancora unita.
    Spencer pareva aver capito, e lui si augurava che presto la tensione scemasse.

    Derek smistò la squadra, JJ e Reid sarebbero andati alla centrale di polizia a S.Diego per gli aggiornamenti e per terminare di stilare il profilo preliminare dell’SI, lui con Prentiss e Rossi si sarebbero diretti all’ultima scena del crimine per farsi un idea precisa di come aveva agito.
    Una volta alla centrale JJ e Reid scoprirono come mai la polizia non aveva subito capito i collegamenti criminali tra gli omicidi, erano subissati di casi e gli incidenti sul lavoro rientravano nella sfera di competenza dell’associazione infortuni sul lavoro, ed altre società, i cui membri non erano di certo portati a pensare a folli criminali che nascondevano i loro delitti dietro l’apparenza dell’incidente.
    Però fu proprio da una di quelle società, l’associazione sicurezza sul lavoro, che partì un primo profilo di Reid, dato che la medesima società si occupava di tutte e quattro le aziende.
    Informazione arrivata fresca da Garcia, lo stesso consulente esterno per tutte e quattro le ditte.
    Forse solo un caso, ma valeva la pena indagare più a fondo.

    Sedicesimo capitolo
    Deja Vù III parte


    Derek, Dave ed Emily erano sulla scena, davanti a loro una grande camera, ora spenta, dove per terra erano evidenti i segni del passaggio delle unità di soccorso che avevano tentato di rianimare i tre uomini quando erano stati trovati dai colleghi.
    Tubi per intubazione che parlavano di rianimazioni tentate, sacchetti per il ghiaccio secco ormai inutili che raccontavano di tentativi di abbassare la temperatura dei corpi.
    E il carrello, un arnese alto almeno due metri che scorreva su delle ruote a bloccaggio, a detta dei testimoni era bloccato davanti alla maniglia in posizione tale da impedirne lo scorrimento.

    Derek fece chiudere la porta, e una volta dentro gridò con quanto fiato aveva nei polmoni, aprì e chiese ai colleghi se avevano sentito qualcosa.
    “Appena un po’” Fu la risposta di Emily.
    Rossi fu meno sintetico.
    “Poco, ed eravamo qui con le orecchie tese a captarti, e i macchinari sono spenti, con le macchine accese era impossibile sentire qualcuno gridare”.
    “E lo sapeva, sapeva che per almeno mezz’ora nessuno sarebbe venuto a cercarli, nessuno sarebbe passato”.
    “Ed è una cosa che questa scena ha in comune con le altre, solo che lì non era rimasto un carrello messo in maniera tanto evidente”.
    “Perché questa differenza? Stavolta cosa lo ha disturbato?”
    “Credo la stessa ragione per cui ha ferito una delle vittime, un imprevisto”.
    “Lo deve aver sorpreso, ed ha pensato che poteva arrivare qualcun altro e se ne è andato senza rimettere a posto”.
    “Magari tornando a mangiare tranquillamente con i colleghi”.
    “Dici che l’SI è un collega? Ma Garcia ha escluso dipendenti in comune tra le quattro aziende, o no?”
    “Magari gente assunta non in regola… non capita mai, vero?”
    “Fermi… aspettate un attimo prima di prendere il largo!”

    Emily aveva parlato con un tono che non ammetteva repliche, i due uomini la fissarono curiosi di sentire la sua opinione.
    “Questo non è un operaio, lui li odia!”
    “Capita a volte tra colleghi, lo avresti mai detto della nostra talpa? Avresti mai pensato che un agente potesse essere complice di Foyet?”
    “Lascia stare Foyet, lui è un manipolatore ed ha trovato un agente con un problema di stress che era passato inosservato e lo ha manovrato. Questo SI detesta profondamente quelli che uccide, gli operai sono solidali fra di loro e quando si detestano si mandano all’inferno metaforicamente o si prendono a botte, non studiano metodi per accopparsi a tavolino, di norma”.
    “Dimentichi quelli che fanno stragi con fucili a ripetizione?”
    “Non rientrano nel profilo del nostro SI, sa quando sono isolati, sa quando non verranno soccorsi rapidamente ed ha sempre cercato di nascondere i delitti, non è il tipico stragista impulsivo, è troppo metodico”.
    “Andiamo a sentire cosa ha Reid, magari possiamo già mettere insieme un profilo”.
    Uscirono dalla camera, Emily si voltò un ultima volta, le sembrava di sentire le grida disperate di quegli uomini intrappolati, chiuse un istante gli occhi fece un profondo sospiro e seguì i colleghi fuori da lì.

    Arrivarono rapidamente in centrale, Reid li mise al corrente di cosa aveva scoperto Garcia sulle ditte che verificavano la sicurezza e il tecnico che era stato in tutte e quattro.
    Ma l’uomo aveva degli alibi inattaccabili, ogni volta che c’era stato un delitto lui era da un’altra parte a fare delle verifiche, quindi era da escludere.
    Però il profilo corrispondeva, una persona magari malvista dagli operai, dovevano capire che molla lo aveva fatto scattare, anche se dovevano cercare un altro soggetto.
    A Derek venne in mente di chiedere un’altra verifica a Garcia, verificare le ditte che svolgevano anche altri incarichi per le aziende in questione, tipo le imprese di pulizia.
    Rossi gli chiese cosa avesse in mente.
    E lui gli spiegò il suo punto di vista.
    “Stiamo sbagliando. Non è qualcuno di cui gli operai si ricorderebbero, saprebbero di averlo visto in giro, è qualcuno a cui nessuno bada, gli invisibili, quelli che a volte nemmeno salutiamo se gli incrociamo tanto siamo abituati alla loro presenza”.

    Penelope trovò un riscontro.
    “C’è una ditta, si occupano della derattizzazione, e sono attivi in tutte e quattro le aziende colpite… oh mio Dio.”
    “Penelope?”
    “Due volte al mese va lo stesso addetto in ognuna di loro, ed ora sta andando in un’altra!”
    “IL NOME GARCIA, IL NOME!”
    La donna passò subito i dati, sia dell’uomo che dell’azienda dove si stava dirigendo, o forse era già al lavoro.
    Mentre si dirigevano a sirene spiegate nel luogo indicato, ed una pattuglia più vicina era già stata allertata, lei li ragguagliò sull’uomo che avevano rintracciato.

    L’uomo era rimasto vedovo da pochi mesi, la moglie e il loro unico figlio erano stati investiti da un ubriaco. L’ubriaco era tra le prime vittime.
    “Perché non si è fermato una volta vendicata la moglie e il figlio?”
    Fu la domanda che sorse spontanea a Garcia.
    Fu Rossi a risponderle.
    “Perché gli unici per cui non era un invisibile erano morti,e si sentiva morto anche lui dentro.
    Vedeva quegli altri che continuavano a vivere e a ridere, non riusciva a tollerarlo, ogni volta che qualcuno di loro lo ignorava, lui poi veniva colto dal desiderio di ucciderlo. Una persona normale lo pensa solo, o al massimo lo scrive sul suo diario, una persona che ha subito un forte stress può impazzire e…”
    “Ma erano anche loro padri di famiglia, figli, fratelli…”
    “Piccola, lo fermeremo, non farà male ad altri, calmati!”
    La voce di Derek che la chiamava piccola, un accenno di sorriso tra le lacrime si sentì nella risposta che la donna gli dette.
    “Sì, capo!”

    Derek potè mantenere la promessa, riuscirono a fermarlo prima che agisse di nuovo, mentre lo portavano via ammanettato continuava a chiamare la moglie ed il figlio, come se fossero lì davanti a lui.
    Sul jet che li riportava a casa ognuno stava nel suo silenzio, il caso li aveva scossi, un padre di famiglia che impazzisce al punto da uccidere chiunque gli ricordi la persona che aveva ucciso i suoi cari.
    Vedere due volte al mese la causa del suo dolore lo aveva fatto uscire di sennò, ogni volta che uccideva, uccideva di nuovo l’assassino dei suoi.

    Il silenzio durò fino ad un uscita di Reid.
    “Abbiamo risolto il caso anche senza Hotch!”

    Derek trasalì.
    Ecco cos’era quella sensazione di già visto, non era inerente al caso.
    Era un legame con la situazione che ricordava di aver già vissuto, quando Gideon si era dimesso lui aveva avuto la medesima reazione di Reid, e ad Hotch aveva detto la stessa frase.
    “Abbiamo risolto il caso anche senza Gideon!”
    Erano passati due anni? Due anni prima Hotch non aveva avuto risposta da dargli, ma se lui avesse fatto passare la cosa sotto silenzio Reid avrebbe pensato che aveva ragione a dirgli che era felice di essere il capo.

    “È solo in vacanza, e ne abbiamo risolti anche altri di casi, quando era in convalescenza!
    Ah, a proposito, ne abbiamo persino risolti anche in tua assenza, ragazzino!”

    L’ultima parola fu detta ridendo all’indirizzo di un Reid perplesso per la reazione a quello che lui considerava un complimento all’ottima direzione del caso da parte di Morgan.
    Anche gli altri si misero a ridere all’ultima parola, e lui mise il broncio, almeno fino a che Rossi non gli diede di gomito per invitarlo a una partita a carte.

    Derek si mise sotto a stilare rapporti, così da poter lasciare l’ufficio ad un orario decente, mentre JJ ed Emily si unirono a Rossi e Reid.
    Penelope che aveva seguito buona parte dello scambio, felice di saperli in rientro, si mise a scrivere un messaggio:
    Stiamo bene, ma tu ci manchi. Sappilo!

    Premette invio, e sperò che il destinatario avesse il tempo di leggerlo e sentirsi almeno un pochino in colpa, solo un po’.
    Continua...

    Edited by rabb-it - 12/2/2011, 15:47
     
    Top
    .
2 replies since 22/3/2010, 16:39   863 views
  Share  
.