Sotto protezione

Rabb-it

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. rabb-it
     
    .

    User deleted


    Diciassettesimo capitolo

    Pause

    Aaron era seduto su un tappeto a giocare con Jake, tutt’intorno a loro una marea di mattoncini colorati con cui stavano costruendo qualcosa di non troppo chiaro, esperimenti di architettura.
    Haley osservava i due con un sorriso, mentre sistemava i piatti in tavola.
    La settimana era quasi finita, e a lei spiaceva che fosse volata tanto in fretta.
    Mentre spostava il telefono di Aaron dal tavolo per metterlo su una mensola si accorse che c’era un qualche avviso di chiamata o di sms ricevuto.
    Probabilmente lui non lo aveva sentito.

    La pausa dell’agente Hotchner è già finita.
    Pensò con tristezza.
    Mentre teneva in mano l’apparecchio ripensò agli ultimi giorni.

    Alcuni giorni prima…

    Era sotto le coperte, finalmente al sicuro, era tutto finito, ma il sonno non arrivava.
    Rivedeva lo sguardo di Aaron mentre le parlava, quella lunga occhiata silenziosa prima di venire via dal salotto.
    Quel silenzio…di cose da dire senza averne il coraggio, quello lo avevano avuto solo per iscritto.
    Sentì un gemito.
    Preoccupata si alzò in fretta e corse in salotto.
    Aveva sentito bene, Aaron si agitava sul divano, aveva spinto via le coperte che però gli erano rimaste attorcigliate alle caviglie, per un attimo Haley rimase indecisa.
    Non sapeva se svegliarlo, mettendolo forse in imbarazzo, o lasciare che scacciasse da solo i suoi incubi.
    L’indecisione durò una frazione di secondo, ad un ulteriore gemito di dolore da parte dell’uomo lei si precipitò al suo fianco e lo scosse piano chiamandolo.
    “Aaron, Aaron svegliati”.
    Lui le afferrò un polso e strinse forte, non ancora del tutto sveglio.
    Lei gridò di dolore e la cosa snebbiò all’istante la testa dell’uomo.
    “Oddio, Haely, scusa… io… stavo… oddio ti ho fatto male?”
    “No… era solo lo spavento, sto bene…”

    La donna ammutolì, Aaron indossava solo i boxer e sull’addome dell’uomo erano evidenti alcune cicatrici.
    Lui le stava guardando il polso che si stava arrossando rapidamente e non notò lo sconvolgimento di lei.
    “Dovresti metterci del ghiaccio, o si gonfierà…”
    Le disse massaggiandole piano dove prima aveva stretto con forza, perso nell’incubo.
    “Smettila, non è niente.”
    Era inginocchiata davanti a lui, gli prese il mento e lo voltò nella sua direzione.
    “Guardami: Sto bene!”
    “Spero di non aver svegliato Jake”.
    “Non credo, io ti ho sentito a malapena ed ero sveglia”.
    “Cosa dicevo?”
    “Non saprei, ho solo colto il dolore e non volevo che l’incubo continuasse”.
    “Grazie”.

    Nel parlargli la sua mano scese a sfiorare una delle cicatrici.
    Lui mise una mano sulla sua.
    “Scusa non volevo…”
    “Che vedessi quello che ti ha fatto? Confesso che nella mia immaginazione pensavo anche peggio, quindi… forse meglio vedere. Forse.”
    “Avrei dovuto ucciderlo!”
    “E poi? No, lascia che se ne occupino altri, tu a lui non devi proprio niente, meno che meno assomigliargli, uccidendo non per legittima difesa”.
    “Ehy, non dovrei essere io quello che ti rassicura? Questo era quasi un profilo!”
    Risero insieme della momentanea inversione di ruoli, poi come calamitati dalle rispettive mani che si cercavano, i loro volti si avvicinarono, ed iniziarono a baciarsi.
    Prima timidamente, come indecisi, poi sempre con maggior foga.
    Non ci furono parole, lui l’attirò verso di se, lei si sollevo quel tanto che bastava per ritrovarsi tra le sue braccia e…Censuro che è meglio.


    SPOILER (click to view)
    Immaginazione gente, usatela!
    No dico vi aspettavate che descrivessi la scena?
    Uh… allora di mio non avete mai letto niente.
    Tendo alla censura su certi dettagli e poi scommetto che alle fan di Haley,sia chiaro fan è detto ironicamente, non dispiacerà che risparmio loro i particolari.
    Confesso, pure a me non dispiace non immaginarli.

    Poi avremmo fatto un lavoro di squadra, grazie a dei commenti e ad una canzone.
    QUI

    Grazie Sefoev



    Il mattino li colse abbracciati, lui si svegliò per primo e rimase lì ad osservarla per diversi minuti.
    La vide svegliarsi piano.
    “Buongiorno” “Buongiorno”
    Uno strano disagio si impossessò di loro, non sapevano bene come affrontare la cosa, era stata inaspettata, impulsiva, incosciente… ma perdio era anche stato fantastico, e lo pensavano entrambi.
    “Jake tra poco si sveglierà, non credo sia giusto che ci sorprenda così”
    “No, sarebbe arduo dare spiegazioni ad un quattrenne curioso!”
    “Molto arduo!”
    Risero insieme di nuovo, all’idea dell’innocente curiosità di un bambino che li teneva con i piedi per terra.

    Si alzarono, lei corse in bagno, prima dette un occhiata alla stanza del bambino, dormiva ancora nella grossa, la sera prima era stata stancante per lui, che andava sempre a letto presto.
    Fece segno ad Aaron, che non si era ancora infilato la camicia, che potevano dividere la doccia.
    Lui indicò la stanza del piccolo e lei gli fece segno che stava ancora dormendo, profondamente.
    Il tempo per una doccia c’era.
    Dire che l’imbarazzo iniziale di Haley se ne era andato era riduttivo.
    Ma non è che Aaron si fece pregare.
    Forse i piedi non erano troppo ancorati al suolo.

    Poco dopo stavano preparando insieme la colazione, lei se ne uscì con una proposta.
    “Ho chiamato mia madre, le ho detto che stiamo bene e che torneremo in città tra qualche giorno.
    Hai detto che per un poco non devi lavorare, ti va di passare con me e Jake il tempo della vacanza?”
    Lui venne colto in contropiede, pensava che lei non vedesse l’ora di tornare alla vita di prima, e non le aveva ancora detto la verità sulle sue vacanze dal lavoro.
    “Io? Mi piacerebbe!”
    “E allora facciamolo, Jake non vede l’ora di passare del tempo con te, tu pure e io… anche!”
    “Cos’hai in mente?”
    “Pensavo di affittare per una settimana una casetta in montagna dove insegnare a Jake a stare sugli sci”.
    “Una settimana fuori dal mondo? Ci sto!”
    “Però… Aaron… non illudiamolo… noi siamo adulti e sappiamo che le cose non potranno tornare come prima… ma lui, non voglio illuderlo su una riconciliazione tra di noi”.
    “D’accordo solo una vacanza, insieme”.
    Aaron aveva letto tra le righe della sua frase: Non illudermi.

    Ma nemmeno lui sapeva dove lo stesse portando la decisione che aveva preso, le avrebbe detto tutto alla fine della vacanza.
    Voleva staccare e lei gli stava offrendo un occasione, senza legami con il futuro, solo una pausa.

    Diciottesimo capitolo

    Legami

    Aaron seduto sul pavimento a giocare con Jake non fece caso allo strano silenzio di Haley.
    “Papà, ma quanto lo possiamo far alto?”
    “Io sarei propenso a …fermarmi prima che caschi tutto, tu sei d’accordo?”
    “No, voglio farlo cascare…” Rise il piccolo.
    “Ah… va bene, allora prosegui, siamo sulla buona strada”.
    Si girò verso Haley e le disse ridendo:
    “Altro che archittetto, questo ci diventa demolitore!”
    Notò la sua strana espressione rassegnata mentre gli passava il telefono.
    “Hai un messaggio, mi sa che le vacanze sono finite”.
    Il tono di Haley non sembrava irritato, solo triste.
    Lui prese in mano il telefono: “Non credo”.
    Devo decidermi a dirle che mi sono dimesso

    Mentre prendeva il telefono sentì un brivido percorrergli la spina dorsale, lo stesso brivido che aveva sentito quella mattina, quando stava spalando la neve in compagnia del padrone di casa che affittava le varie baite e chalet alle persone di passaggio.

    Quel mattino…
    Uscì presto, si era svegliato all’alba con una strana inquietudine, non gli andava di ciondolare in casa in attesa che Jake si svegliasse per portarlo a giocare fuori, non sapeva cosa avrebbe fatto ora che la fine della settimana era arrivata e pensava che un po’ d’aria fresca in solitudine gli avrebbe schiarito le idee.
    Ma la solitudine pareva destinata a non esserci, anche il gestore degli chalet era alzato e stava già spalando via la neve dai vialetti.
    Nevicava ogni giorno e lo aveva visto farlo anche più volte nella stessa giornata, ma se di pomeriggio usava un macchinario che faceva un discreto chiasso per farlo, di mattina presto per non disturbare gli ospiti usava la pala.
    Gli parve una cosa un po’ troppo faticosa per un ultranovantenne come gli sembrava l’anziano uomo coperto da una spessa giacca a vento con cappuccio.

    “Senta, non ha un'altra pala? Così le do una mano?”
    “Siete miei ospiti, ci mancherebbe!”
    “Ma voglio farlo, ho bisogno di rendermi utile”.
    “Vuole sfacchinare un po’? E chi sono io per impedirglielo, ma questo è uno dei due lavori più inutili al mondo!”
    “Ah sì? E il secondo qual è?”

    Prima di rispondergli il vecchio andò a prendere una seconda pala e la passò ad Aaron.
    “Era un motto del mio vecchio:
    Ci sono due cose che sono inutili al mondo, la seconda è spalare la neve, che ora che hai finito devi già ricominciare.
    La prima è accoppare la gente, che sa morire perfettamente per conto proprio.
    E se proprio si è in vena di sentirsi inutili, e non utili come ha detto lei, allora è meglio pigliare una pala!”
    “Saggio il suo vecchio”.
    “Già, ma visto il numero di tragedie che si sentono ogni giorno ho paura che ci siano poche persone che spalano neve di questi tempi”.
    “Non saprei, dovrei chiedere ad un mio amico, esperto di statistiche, se in inverno il numero degli omicidi è minore”.
    Nel dirlo aveva sentito quel brivido, il lavoro, Reid, la squadra.
    Gli mancavano già?
    Il vecchio rise dell’uscita di Aaron.
    “Buona questa, lei è simpatico sa giovanotto!”
    Aaron sorrise, giusto ad un novantenne poteva venire in mente di definirlo un giovanotto.

    Riprese a spalare di buona lena, ripensando alla saggezza popolare, inutile uccidere… la gente muore lo stesso.
    Sembrava che quel vecchio avesse dato l’ennesima risposta al suo dilemma, sul fatto se avrebbe fatto meglio a ammazzare Foyet… ci avrebbero pensato i tribunali e il boia.
    Niente contro la pena di morte per certi individui, ma perché emettere lui la sentenza se poteva evitarlo?

    Dopo un pezzo, Haley uscì con Jake, entrambi ben intabarrati.
    E vista la notevole nevicata parve ad entrambi un ottima idea fare un pupazzo di neve.
    Jake aveva il visino arrossato, arrivarono anche altri bambini, coi rispettivi genitori e tutti insieme terminarono il lavoro, poi iniziò una furibonda battaglia a palle di neve.
    I bambini più grandi lasciavano stare Jake, che dal canto suo approfittava un po’ della cosa colpendo a tradimento.
    Per fortuna mancava spesso il bersaglio o forse la pazienza dei più grandi si sarebbe esaurita alla svelta.
    La fine ideale di quella giornata era una bella cioccolata calda e… un tappeto dove scatenarsi con le costruzioni.

    La sera…
    Era tornato al presente.
    Lesse il messaggio di Penelope.
    Stiamo bene, ma tu ci manchi, sappilo!
    Un accenno di sorriso e spiegò ad Haley che gli facevano sapere che sentivano la sua mancanza e niente altro.
    “Forse dovrei dire loro che la cosa è reciproca… ma non voglio illuderli”.
    “Illuderli? Aaron… che sta succedendo?”
    “Ho rassegnato le dimissioni”.
    Ecco l’aveva detto.

    Si aspettava di vederla saltare per casa dalla gioia.
    Invece lei assunse un espressione preoccupata.
    “Cosa hai fatto? Ma quando? E perché?”
    “La sera in cui abbiamo catturato Foyet, ho consegnato pistola e distintivo”.

    Lei si rese conto allora che non aveva badato al fatto che Aaron non avesse messo al sicuro la pistola come faceva sempre quando vivevano insieme, non aveva fatto caso alla cosa o non aveva voluto notarlo, sapeva che c’era qualcosa che non andava.
    Ma non credeva si fosse dimesso, per lui il lavoro era tutto e ripenso a cosa c’era scritto sulla sua lettera.
    Non so se sono ancora in grado di farlo.
    Si sentiva in un modo strano, avrebbe voluto esultare all’idea che aveva scelto lei e Jake, ma non voleva che poi avesse dei rimpianti.

    “No, Aaron non puoi farlo!”
    “Cosa?”
    Lui era esterrefatto, non era possibile che proprio lei fosse contraria.
    Avevano divorziato per il suo lavoro.
    Che novità era mai questa?

    “Aaron non capisci? Tu mi hai spiegato che Foyet si era vantato di aver sfasciato la tua famiglia, ma non è detto che stesse parlando di noi, poteva anche parlare della squadra, o magari si riferiva ad entrambi… non puoi lasciarlo vincere, ora sei convinto, ma con il tempo avresti dei rimpianti”.
    “No, ti ho fatto una promessa ed intendo mantenerla!”

    “Aaron… te l’ho scritto e te lo ripeto: Non hai niente da farti perdonare, ficcatelo in testa!
    Mi hai mentito”.
    “No, ho solo aspettato a dirtelo…”
    “Non parlavo delle dimissioni, quando eri in ospedale mi avevi detto che pensavi che ero forte e che potevo farcela, lo hai detto solo per darmi coraggio in realtà non lo pensi”.
    “Sì che lo penso, sei una delle persone più forti che io conosca, stai crescendo nostro figlio da sola e…”
    Si fermò consapevole di dove lei voleva arrivare.
    “Appunto se credi davvero che sono più forte di due anni fa, perché non me lo dimostri? Posso farcela Aaron, non prometto che non avrò più crisi di nervi ad una chiamata nel cuore della notte o ad un anniversario mancato, ma se sono capace di crescere Jake da sola, allora posso anche farlo mentre tu sei al lavoro.. o almeno ci posso provare.
    Quello che non posso fare è accettare che tu rinneghi te stesso, me lo hai detto tu una volta.”
    “La gente cambia!”
    “Ma non deve succedere per colpa di vermi come Foyet, non voglio lui come ricordo della nostra riconciliazione, no… se lascerai il lavoro non sarà per me o per Jake. Anche io sono cambiata!”
    “Voi siete la cosa più importante della mia vita!”
    “E tu lo sei per noi, ma non cambio idea, non puoi dimetterti”.
    “L’ho già fatto…”
    “Ritirale!”

    Era sconvolto.
    Tutto poteva aspettarsi tranne che fosse proprio lei a dirgli di non dimettersi.
    Il mondo stava andando alla rovescia.

    Diciannovesimo capitolo
    Ritorni


    Non era certo di cosa aspettarsi.
    Non aveva salutato nessuno di loro, se ne era andato e basta.
    Almeno Gideon una lettera a Reid l’aveva lasciata, lui nemmeno un ciao.
    Aveva risposto al messaggio di Penelope di due giorni prima.
    Passerò a trovarvi uno di questi giorni.

    Haley era a casa con Jake, sarebbe andata da sua madre, e dalla sorella, non era ancora deciso cosa avrebbero fatto, ma doveva prima chiudere con il passato.
    Liberarsi del tutto dello spettro di Foyet, ed Haley aveva ragione, non poteva farlo se lasciava il lavoro, avrebbe sempre avuto la sensazione di aver lasciato qualcosa di incompiuto.
    Dei nodi che prima o poi sarebbero arrivati al pettine.

    Le porte dell’ascensore si aprirono sul corridoio che portava all’unità comportamentale, pochi passi, una porta a vetro ed eccoli lì tutti insieme, o quasi, la sua squadra.
    O forse sarebbe stato più corretto dire la squadra di Derek.
    L’unico assente, probabilmente in ufficio, o in riunione con la Strauss.
    Rimase lì per qualche secondo, ad osservarli.
    JJ stava spiegando una cosa a Rossi che ascoltava attento, Reid aveva ora solo una stampella e stava parlando con Prentiss, mentre Garcia sorbiva un caffè cercando di seguire entrambe le conversazioni, e probabilmente riuscendoci anche.
    Pochi secondi, poi qualcuno lo vide.

    “Agente Hotchner, bentornato!”
    Era stato uno degli altri agenti presenti nell’open space a vederlo, pareva che non sapessero che si era dimesso.
    Gli altri gli furono attorno in un lampo.

    “Hotch!”
    “È venuto sul serio!”
    “Andiamo nel tuo ufficio”.
    L’ultima frase lo colse di sorpresa, lui non doveva più avercelo un ufficio.
    Che storia è questa?

    Salirono di sopra.
    JJ gli fece cenno di non dire niente.
    Emily chiuse la porta.
    “Non ti arrabbiare ma abbiamo intercettato le tue dimissioni e… non sono mai arrivate dalla Strauss”.
    “Sapevo che un’informatica di mia conoscenza vi avrebbe messo lo zampino, ma io le avevo mandato una copia cartacea, che…”

    Si fermò notando l’espressione di JJ
    “Che io ho intercettato… lei non le ha mai ricevute!”

    “JJ? Perché non ce lo avevi detto?”
    Le chiese Rossi stupito di scoprire solo in quel momento che la donna sapeva più cose di quelle che gli aveva fatto intendere.
    “Perché avevo capito che qualcosa bolliva in pentola, e quando poi abbiamo ricevuto da Derek l’ordine di non parlare della consegna di pistola e distintivo da parte di Hotch, ho capito che avevo fatto bene. Non eravate i soli con un segreto, scusatemi.”

    “Quando le hai intercettate?”
    “Il mattino dopo che le avevi imbustate, la stessa mattina che ti sei assentato per la trappola, erano nella casellina del vicedirettore e io sono arrivata prima di lei, ho capito cos’erano e ho agito d’impulso!”
    “Quindi io sono ancora in servizio?”
    “Già, Derek ha detto che eri in permesso, e non ha voluto sentire ragioni”.

    “Se però vuoi ancora darle, ecco se proprio sei deciso… sono ancora nella mia scrivania”.
    “Però hai cambiato idea, vero?”

    Si sentiva assediato, non solo non erano arrabbiati con lui per quello che aveva fatto loro passare, ma avevano anche rischiato il posto per non far sapere che se ne era andato senza spiegazioni.
    Arrivo anche Derek.
    “Ciao, Hotch. Sei ancora in vacanza o torni?”
    “Io veramente mi ero dimesso…”
    “Davvero? Io pensavo solo di avere in custodia la tua pistola fino al tuo ritorno? Allora ho capito male, scusa!”

    Disse porgendogli pistola e distintivo.
    Hotch rimase per qualche secondo immobile, fissando ad uno ad uno i membri della squadra.
    Poi scosse un poco la testa mentre sorrideva davanti alla notevole faccia di bronzo di Morgan.
    E prese quello che gli veniva offerto, un ritorno senza domande.

    Nel frattempo anche Haley stava affrontando un ritorno.
    Sua sorella aveva portato Jake alla scuola materna, e lei stava riprendendo confidenza con la ritrovata situazione, ad un certo punto della mattinata suonarono alla porta.
    Andò ad aprire e si trovò davanti a Frederick.

    “Ciao, sei tornata finalmente, sei stata via parecchio!”
    “Frederick, che sorpresa, ma… non ci sentiamo da anni, cosa ti è successo?”
    “Oh questo?” Disse l’uomo indicando un vistoso ematoma che si stava riassorbendo sulla fronte.
    “Una caduta un paio di settimane fa, ma dovevi vedermi allora, parevo un procione”.
    “Mi spiace, sono felice di vedere che stai bene”.
    “Sei tornata con tuo marito?”
    “Ecco… Frederick tra noi è tutto finito anni fa, non credo siano affari tuoi”.
    La donna iniziò a sentirsi infastidita e voleva mandarlo via.
    Trovava strano che si interessasse a lei ora.
    La metteva a disagio.

    “Dovresti andartene”.
    “Non subito… non avere fretta…signora Hotchner!”
    E la spinse in casa.
    Lei tentò di gridare, ma l’uomo le mise un panno sul viso, forse conteneva cloroformio, dato che dopo pochi istanti perse i sensi.
    E sul volto dell’uomo si disegnò un ghigno malvagio che ne distorceva i lineamenti.


    Ventesimo capitolo
    Rimorsi

    Si sentiva intorpidita, era nel bagagliaio di un automobile, aveva le mani legate dietro alla schiena un pezzo di nastro isolante sulla bocca.
    Il terrore la avvolse.
    Non è possibile, tornare a casa al sicuro e questo…no…non è possibile.

    Piangeva, non sapeva nemmeno lei da quanto.
    È un incubo ora mi sveglierò. Non è giusto.
    I pensieri si susseguivano a sprazzi.
    Jake, è al sicuro, l’importante è questo.
    Il senso del tempo sfalsato dal buio, dal non sapere per quanto era rimasta priva di conoscenza, dalla paura.
    Come faranno a trovarmi?, Ad Aaron non ho mai detto di Frederick.
    Non sa chi sia… nemmeno io lo sapevo a quanto pare.

    Ad un certo punto sentì che l’auto si fermava.
    Il bagagliaio venne aperto, era buio anche fuori, erano passate ore dal sequestro.
    “Oh ci siamo svegliati? Non agitarti, finirai con il farti più male!”

    L’uomo la portò dentro una casa, passando dal retro.
    Era una piccola costruzione ad un piano, le abitazioni vicini sembravano disabitate, non una luce, non un suono proveniva dalle altre finestre.
    Tentò di gridare, ma non le riuscì.
    Frederick la spinse su un divanetto.
    Poi si mise a legarle anche i piedi.
    “Per sicurezza, prima che ti venga in mente di farti una corsa. Ora vedremo se riesco a terminare il lavoro in sospeso”.

    Cercava di reagire, ma l’aveva legata stretta, impossibile tentare la fuga.
    Rimase immobile, atterrita.
    Che lavoro in sospeso? Di cosa sta parlando?
    Lo vide prendere un telefono e lo senti parlare, anche se non capiva cosa diceva, era troppo distante per afferrare tutte le parole, ma una cosa la sentì chiaramente.
    “Non farete in tempo!”

    A salvarmi? Sta parlando con Aaron? Con la polizia…no…no…no

    Lo vide spostarsi nell’altra stanza e lei ricominciò a cercare di liberarsi, ma sembrava che più lottava e più le corde le si serravano intorno ai polsi.
    Le parve di avere le mani bagnate, poi sentì il dolore, quello arriva sempre dopo.
    Era il suo sangue, aveva sfregato talmente tanto da tagliarsi.
    E non era più libera di quando era chiusa nel bagagliaio.

    Sentì i suoi passi, stava tornando.
    Aveva sempre provato rimorso per il suo tradimento, ma onestamente le sembrava che quello fosse un prezzo troppo alto.
    Un’enormità, per un momento di debolezza.
    Cercò di trattenere le lacrime, non voleva dargli quella soddisfazione, non avrebbe supplicato.
    Non avrebbe più pianto.
    O almeno era intenzionata a provarci.


    Aaron stava parlando con Derek dei cambiamenti che aveva in mente, per passare più tempo con la sua famiglia.
    Sarebbe stato complicato, erano entrambi dei leader e una squadra poteva avere un capo alla volta, ma se ripensava a quando c’era Gideon gli era difficile pensare che lui e Derek sarebbero stati da meno.
    Rossi era dubbioso, ma una volta espresse le sue perplessità aveva lasciato i due uomini a discutere i dettagli, nell’ufficio di Derek.
    Penelope arrivò sulla porta con un aria sconvolta.
    “Hotch, c’è un problema.
    Hanno eseguito il test del DNA sui resti di Summers, l’apparecchiatura era guasta, ma non avevano fretta perché erano certi fosse lui, trascinato nel fiume per qualche centinaio di metri lo avevano ripescato con l’incerata con cui lo si era visto cadere, ma il volto era irriconoscibile per i colpi presi nella caduta.
    Ma quando hanno potuto fare la verifica con il DNA… Non è il suo corpo”

    Derek chiamò a raccolta la squadra, con una pattuglia si diressero a casa di Haley, l’espressione di Hotch era indecifrabile.
    Agli altri pareva di tornare indietro a mesi prima, quando erano corsi temendo il peggio dopo che avevano trovato Hotch in ospedale.
    Il telefono di Hotch prese a squillare.

    “Hotchner”
    “Oh, bentornato agente supervisore Hotchner.”
    “Summers!”
    “Immagino abbiate scoperto di avere il corpo sbagliato.
    Quel poveraccio doveva essere lì dalla sera prima e nessuno lo aveva visto, però mi ha attutito la caduta, e quando poi sono stato nel fiume mi è parso molto semplice mettergli addosso la mia incerata, aveva il volto irriconoscibile, mi sarei preso qualche ora di vantaggio, ma non pensavo me ne deste tanto. Veramente gentili.”
    “Tu torcile un solo capello…”
    “E cosa? Sai, non farete in tempo. Non potrai salvarla, arrenditi all’evidenza!”

    E riagganciò.
    Hotch gettò il telefono con rabbia.
    Dal dialogo era evidente che doveva aver già preso Haley, o forse l’aveva anche già uccisa.
    Arrivarono alla casa, la porta era socchiusa.
    Vide l’auto della cognata avvicinarsi. Jake era nel sedile posteriore.

    “Che succede? Cosa… Haley!”
    “Porta via Jake”
    “Ma…”
    Vide l’espressione sul volto dell’uomo e decise che era meglio se obbediva in silenzio.
    Il bambino non capiva come mai la zia non lo avesse fatto scendere per andare da mamma e papà, sì girò a guardare mentre si allontanavano, e vide solo che tutti si muovevano molto piano intorno alla porta, e prima che potesse vedere altro la macchina della zia affrontò una curva e sparì dal vialetto togliendogli la vista della casa.

    Hotch entrò per primo, vide il mobiletto d’ingresso rovesciato, segno di una colluttazione, ma dentro la casa non c’era nessuno.
    Doveva averla rapita.
    Dove potevano cercarla?
    L’indirizzo di Summers era stato controllato, due settimane prima per cercare le tracce della sua complicità con Foyet, venne mandata una pattuglia a verificare che non fosse tornato lì, ma Hotch sapeva che non era così, sarebbe stato troppo semplice trovarlo, e gli aveva detto che non avrebbe fatto in tempo.


    Ventunesimo capitolo
    Mai e sempre


    Garcia era sconvolta, non era riuscita a rintracciare la chiamata fatta da Summers, era stato troppo poco al telefono, e la loro sola speranza di sapere dove quel pazzo avesse portato Haley era sparita con il lampeggiare del banner che diceva Niente segnale.
    Non può essere, non può essermi sfuggito così!
    La donna digitò febbrilmente qualcosa alla tastiera e andò a cercare dove possibile delle altre risposte.
    Morgan le diceva sempre di fare una delle sue magie, mai come adesso lei avrebbe voluto accontentarlo.
    Correvano veloci le sue dita sulla tastiera, ogni tanto staccava una mano e si sistemava gli occhiali, non era un gesto realmente necessario, era un modo come un altro per stemperare la tensione, una frazione di secondo, un tocco veloce alla montatura colorata e riprendeva veloce come prima, più di prima.
    Il tempo era il loro reale nemico.
    E forse era già troppo tardi.
    Sentiva un sorda oppressione salirle al petto, lo stesso groppo di lacrime che aveva pianto settimane prima, ma ora non c’era tempo per le lacrime, un sospiro e vennero ricacciate indietro, Haley era ancora viva e loro l’avrebbero salvata.
    Doveva andare così, non doveva nemmeno pensarlo che il peggio fosse già accaduto.
    Via cattivi pensieri, non mi servite a niente adesso.

    Emily e Rossi spiegarono ad Aaron cosa avevano saputo su Summers da Foyet.
    “Era un’agente semplice, quando per qualcosa che avvenne anni fa, venne degradato, rimase sempre nell’FBI ma svolgeva esclusivamente incarichi di tipo impiegatizio, cancelleria, con poche responsabilità”.
    “Circa tre anni fa, venne trasferito in Virginia e poco più di sei mesi fa, al nostro stesso piano”.
    “Pare che poco dopo il suo trasferimento abbia iniziato a… non c’è un modo per dirlo che non faccia male”
    “Cosa?”
    Fu Emily a sganciare la bomba.
    “Pare che si documentasse su quando tu eri fuori, per poter incontrare Haley, e nello stesso periodo incontrò Foyet, che ti teneva d’occhio in quanto supervisore capo dell’unità che avrebbe investigato su di lui. Non è troppo chiaro cosa sia successo, ma…”
    “Un’idea ve la siete fatta. Scommetto che ad Haley non ha mai detto di lavorare per L’FBI”.
    “Già le avrà dato un nome falso, Foyet si è vantato di averti distrutto il matrimonio, ora sappiamo come”.
    “Ma cosa posso aver fatto da indurre un agente ad essere complice di un assassino?”
    “Hotch! Quell’uomo è pazzo, non darti la colpa per quello che lui vi sta facendo!”
    “Ma deve essere qualcosa che ho fatto io, non capisci?”
    Stavolta fu Rossi ad intervenire.
    “Hotch, qualsiasi decisione tu abbia preso, qualsiasi, non giustifica quello che lui sta facendo ora, fosse anche che lo hai denunciato tu per un qualche motivo, avevi solo ragione, come sta dimostrando ora”.
    “Dave, apprezzo le buone intenzioni, ma così è quasi peggio, ho notato qualcosa che non andava e non ho preso provvedimenti adeguati in tempo?”
    “Non pensarlo nemmeno!”
    “Credete che Foyet sappia altro? Un nascondiglio?”
    “Se anche fosse non ce lo dirà mai”.
    “Devo tentare, devo fargli dire dove tiene Haley, devo fargli credere che lui si piglierà i suoi…meriti… così vorrà che lo fermiamo prima che la uccida. Mi illudo lo so ”.
    “Non è detto”.

    Andarono nel carcere di massima sicurezza dove era detenuto Foyet.
    Il volto di Hotch non tradiva la minima emozione, come quando era stato aggredito dall’uomo mesi prima.
    Aaron ricordava molto bene come l’uomo gli avesse fatto i complimenti per non mostrare paura perché il suo profilo prevedeva che si divertisse ad uccidere solo quando vedeva la sua vittima in preda al panico.
    E lui gli aveva replicato che forse non mostrava paura perché non gliene faceva.
    Ed era vero, per se non temeva, ma l’idea che potesse succedere qualcosa ad Haley cambiava le cose, ma Foyet non lo doveva sapere.
    In un flash rivide un vecchio SI, uccideva le sue vittime con le loro fobie e a lui aveva detto che la sua fobia più grande era di non poter salvare tutti, davanti alla sua espressione ferma aveva aggiunto anche: “Oh… è peggio di quello che pensavo!”
    Poi si era lanciato nel vuoto.
    Quella volta erano arrivati in tempo a salvare una donna che era stata sepolta viva.
    Anche questa volta sarebbero arrivati in tempo.
    O non se lo sarebbe mai perdonato.

    Haley sostenne lo sguardo del suo aguzzino.
    “Oh, George sarà felice che termino il lavoro che lui ha lasciato incompiuto”.
    Lei ripensò a quando lo aveva incontrato la prima volta, era stata in ospedale per una visita di controllo di Jake, Aaron se ne era dimenticato.
    Si era diretta furiosa in ufficio, non era niente di grave, ma non intendeva accettare che il marito mettesse la salute del figlio dopo il lavoro, Jake aveva chiesto incessantemente del suo papà, le apparecchiature lo avevano spaventato e lei aveva fatto del suo meglio per calmarlo.
    E la rabbia verso il marito cresceva secondo dopo secondo.
    Non era la prima volta che succedeva.
    Ma era intenzionata a fare in modo che fosse l’ultima.
    Quando era arrivata lo aveva trovato in procinto di partire, l’ennesima missione, l’ennesimo: “Ne parliamo poi”.
    Era uscita dalla sede in lacrime e si era diretta in un caffè lì vicino.
    Un uomo le si era avvicinato per chiederle se aveva bisogno di aiuto.
    “No, grazie, sto bene”.
    “Mi scusi se mi intrometto, ma non si direbbe proprio”.
    Era stato cortese e gentile, e lei si era ritrovata a sfogarsi, senza spiegare che lavoro faceva suo marito, non era prudente dire di essere moglie di un agente FBI al primo sconosciuto incontrato in un bar.
    Si erano incontrati altre volte, credeva fossero solo coincidenze il fatto che sbucasse fuori sempre quando era in rotta con Aaron, ma ora… evidentemente non era così.
    E non era nemmeno strano che avesse fatto scoprire la loro relazione ad Aaron, la sua telefonata non era stata un ingenuità, era stata fatta apposta.
    Foyet, ancora lui, non rivedrò mai più Jake ed Aaron.
    A quel pensiero gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre l’uomo le passava una lama affilata lungo i fianchi, come a decidere dove colpire.
    Non riuscì a trattenersi e scoppiò in singhiozzi disperati.


    Aveva sperato di non rivederlo mai più.
    Aveva già deciso che non sarebbe andato a vedere la sua esecuzione, per non dargli l’ultima soddisfazione.
    Sapeva che forse lo avrebbe dovuto interrogare per lavoro, in fondo era schiavo del servizio, ma sperava di delegare ad altri il compito, ma questa volta non poteva.
    Solo lui sarebbe riuscito a spingere Foyet a tradirsi, non perché sarebbe caduto nel suo tranello, no… solo per poterlo torturare una volta di più.
    E sia, se questo salverà Haley posso sopportarlo.

    L’uomo lo guardava, dall’altra parte del tavolo d’interrogatorio, con quell’aria strafottente di chi sa di tenere gli altri in pugno nonostante le manette ai polsi ed alle caviglie.
    Rossi ed Emily erano rimasti fuori, seguivano l’interrogatorio dalla tv a circuito chiuso della stanza a fianco.
    “Forse uno di noi dovrebbe essere con lui”.
    “Emily, Hotch sa quello che fa, Foyet non parlerà con noi, vuole vantarsi della sua vittoria con lui, se ci fossimo anche noi sarebbe peggio, vorrebbe farci capire come lo tiene in pugno, così invece Hotch può andare dritto al punto”.
    “Ma è solo…”
    “No, non lo è, sa che siamo pronti ad intervenire in ogni momento”.
    Emily si voltò verso lo schermo, in palese ansia per il collega, lo aveva visto provato in quei mesi e l’aria serena con cui aveva sorriso quel mattino davanti alla loro insubordinazione pareva un ricordo lontano, spazzato via da quel sorriso beffardo e maligno che stava là ammanettato, ma fin troppo libero per i suoi gusti.

    Hotch mise le carte in tavola.
    “Il tuo complice se l’è cavata. Ora ha rapito la mia ex-moglie e intende finire il tuo lavoro, sicuro di volere che si prenda lui il merito?”
    “Oh, saprà fare un buon lavoro, anche se non sa lavorare fino come me, io le faccio durare le mie vittime, tu ne sei la prova vivente… tu e l’agente Morgan. A proposito è ancora seccato che tu hai usato il suo tesserino? Continua a cercare di farsi passare per te o lo hai rimesso al suo posto?”
    Hotch rimase impassibile, concentrato sull’obbiettivo. Cosa aveva dentro non doveva trasparire. Non poteva permettergli di prendere il controllo.
    “Sicuro di volere che si prenda il merito di essere te? No perché è quello che sta facendo, lascia intendere che noi avremmo catturato un semplice aggressore di un agente FBI mentre è lui il vero mietitore”.
    “L’esca è allettante agente Hotchner, ma cosa ti fa credere che io sia tanto stupido, credi davvero di fregarmi con così poco? Mi sottovaluti”.
    Entrò Rossi, un aria furibonda in viso.
    “Hotch, l’hanno trovata…mi dispiace”.
    In mano teneva una foto, si vedevano delle gambe femminili spuntare da dietro ad una macchina, sulla macchina l’occhio stilizzato che disegnava Foyet.
    Hotch prese la foto, l’aria di chi non ha niente da perdere.
    “Hai perso la tua sola occasione, morirete entrambi George, ma mi assicurerò che il mondo intero creda che tu eri il complice del mietitore e non il contrario, sarà la mia vendetta”.
    Hotch uscì, lasciando Rossi da solo con Foyet.
    “Non hai nulla che mi interessi ormai”.

    Rossi attese che la porta fosse chiusa.
    “Lui ormai ha perso tutto, ma tu puoi tenerti la tua fama, fammi catturare Summers e a pensare che non passi per te ci penso io”.
    “Ma Hotchner lo sa di avere una marea di traditori nel suo team? Altro che squadra d’acciaio, pur di prendere il suo posto passereste sul suo cadavere”.
    “Non sono affari tuoi, ma se Hotch lo cattura può facilmente farlo passare per te, gli basterà dire che era stato lui ad aggredirlo mesi fa, gli crederanno, se lo prendo io invece…”

    Hotch ed Emily osservarono il miglior Dave Rossi, versione Giuda, all’opera per quasi due ore.
    Fu un lento stillicidio.

    Piano piano tirava il pesce che aveva pescato verso la sua barca aspettando il momento buono per arpionarlo e tirarlo su.
    Rinfocolava la sua rabbia verso quel banale imitatore, lasciava intendere che il suo obbiettivo era aggiungere un altro best sellers alla sua collezione, con lui come protagonista, blandiva il suo ego paragonandolo al proprio.
    Un vero artista della truffa all’opera.
    E quando stava quasi per perdere le speranze di farcela la crepa, era entrato.
    Aveva distolto l’attenzione di Foyet da Hotch e l’aveva per se.
    La rabbia dell’uomo era palese, l’idea di essere defraudato della fama di più spaventoso serial killer di tutti i tempi gli fece commettere il più semplice degli errori, cadere in trappola.
    “Fuori Washington DC ci sono varie città semiabbandonate, ci trovavamo sempre in quelle periferie degradate, con poca sorveglianza. Non so quale rifugio abbia scelto, ma lo dovete cercare lì”.

    Rossi uscì a rotta di collo dalla stanza.

    Una volta fuori raggiunse Emily e Hotch che stavano andando a passo spedito verso l’uscita, dalle celle adiacenti i colpi degli altri detenuti che si gettavano contro i vetri antisfondamento.
    Nessuno dei tre badò loro nemmeno di striscio.
    Una volta in auto Rossi disse.
    “Non era furbo quanto credeva!”
    “Lo spero, potrebbe anche averci mandato a vuoto”.
    “Non credo quel fotomontaggio lo ha colto di sorpresa, forse ora ci sarà arrivato, ma prima no, era furioso”.
    “E tu sei stato molto convincente nella parte del traditore del capo uscito di senno”.
    “Ah non lo sai? Durante la processione del venerdì santo da bambino facevo sempre la parte di Giuda”.
    Dopo averlo detto Rossi si maledisse da solo.
    Ma che cavolo mi viene in mente…IDIOTA!

    Hotch non pareva nemmeno aver sentito, disse ad Emily di far controllare a Garcia i dati che erano in loro possesso sugli spostamenti di Summers, se stavano nei paraggi di Washington D.C. dovevano essere vicini.
    Ma si era fatto buio.
    Squillò il telefono di Hotch.
    Era un numero fisso, Emily disse a Garcia di controllarlo.
    Hotch rispose.
    “Buonasera Agente Hotchner, ancora a darmi la caccia?”
    “Summers non hai scampo, se vuoi evitare la galera a vita o peggio, arrenditi fino a che sei in tempo!”
    “Oh, ma non hai ancora capito? Te l’ho detto questo pomeriggio e te lo ripeto ora. Non farete in tempo”.
    “Tu…”
    “Sì, sì lo so, non le devo torcere un capello… di un po’ che te ne sembra della sua nuova tinta? Io la preferivo prima, il biondo le stava molto meglio. Ma magari a te piace di più così, le hai detto che le sta bene il nuovo colore? Oh scusa devo riagganciare, o farete in tempo a rintracciarmi, buona serata”.
    Aaron strinse i pugni sul volante con tale forza da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani.
    Garcia questa volta lo aveva preso, ce l’aveva fatta, anche perché aveva quell’indizio, dintorni Washington D.C.

    Il nome della città, l’indirizzo e due suv, uno con Morgan, Reid e JJ che erano di poco più lontano, erano stati a perquisire a fondo l’appartamento di Summers; l’altro con Hotch, Prentiss e Rossi si diressero là a tutta velocità.
    Pregando e sperando di fare in tempo, la speranza appesa ad un filo sottile.
    Garcia restava in contatto dal suo bunker dei computer, il volto teso ed angosciato.
    La strada pareva non finire mai.
    Case sfitte, con cartello vendesi, piccola periferia colpita dalla crisi, le assi alle finestre ad indicare che li una volta c’era stato qualcuno che pensava di poter tornare a viverci e cercava di preservarla dai malintenzionati.
    Poi quella casa.
    Quella segnalata da Garcia.
    La corsa dentro, la colluttazione, gli spari.

    Due.

    E il silenzio.
    Un silenzio innaturale, di morte.
    Summers giaceva riverso nell’ingresso, aveva cercato di aggredire Hotch quando era entrato per primo, ma Derek e Rossi avevano fatto fuoco coprendo il collega.
    E per Fred Summers non c’era stato scampo.
    Hotch era corso all’interno della casa, aveva cercato Haley.
    L’aveva trovata. Sul divanetto. Esanime.
    Derek e gli altri fissavano l’amico che stringeva tra le sue braccia la donna, il silenzio spezzato da un grido.
    “UN MEDICO, PRESTO!”
    La prese in braccio per portarla lui stesso in ospedale.
    Ma era tardi.
    Haley rimaneva inerte tra le sue braccia, morta.

    E lo sapevano tutti.
    Ma Aaron non voleva crederci, non poteva arrendersi.
    La mise per terra ed iniziò a praticarle il massaggio cardiaco, 5 pressioni un’insufflazione, 5 /1, 5/ 1…
    “Respira Haley!”
    “Respira…”
    Dave gli mise una mano su una spalla.
    “Aaron, è inutile”.
    “NO!”
    L’uomo lo spinse via con rabbia e riprese la rianimazione.
    Derek si mise di fronte ad Hotch, inginocchiato, gli mise una mano sulle sue congiunte sul petto di lei.
    “Non serve Hotch… non serve più”.
    Aaron smise di comprimere, ma continuava a muovere il busto avanti ed indietro come totalmente inebetito.

    Garcia aveva seguito la concitazione dal suo bunker e stava piangendo disperatamente, poteva essere stata questione di minuti.
    Si sarebbe per sempre sentita in colpa.

    Un giorno solo era passato.
    Dal funerale.
    Aaron aveva preso un permesso, voleva e doveva stare vicino al figlio.
    Ma ora era da lei.
    Seduto su una panchina davanti alla motta di terra sotto cui Haley era stata sepolta il mattino precedente ripensava alla loro ultima settimana insieme.



    Yesterday, all my troubles seemed so far away,
    Now it looks as though they're here to stay,
    Oh I believe in yesterday.



    Non gli sembrava possibile che lei fosse lì, solo tre giorni prima avevano riso insieme.

    “Aaron, prendiamoci tempo, non decidiamo d’impulso solo su spinta della situazione vissuta in questi mesi”
    “Ho tanto da farmi perdonare”.
    “Smettila, anche io, ma se stiamo a recriminare chi ha fatto cosa a chi, invece di una riconciliazione o un matrimonio finiremo con l’avere un tabellone segnapunti”.
    “Dove l’ho già sentita questa frase?”
    “Ah non lo so, quante altre volte ti sei sposato?”
    L’aveva detto portando le mani ai fianchi con un espressione finto burbera che lo aveva fatto ridere.

    Suddenly, I'm not half to man I used to be,
    There's a shadow hanging over me.
    Oh yesterday came suddenly.
    Why she had to go?



    Il sole venne coperto da una nuvola.
    L’aveva amata, forse l’amava ancora.
    Non sapeva come sarebbe potuta andare, ma aveva sperato di poterci almeno provare.
    E invece, lei se ne era andata.
    Gli era stata portata via.
    Sarebbe sempre rimasto un rimpianto per tutte le cose non dette.

    I don't know she wouldn't say.
    I said something wrong,
    now I long for yesterday.



    Quante cosa avrebbero potuto essere diverse.
    Ora non sapeva cosa fare.
    Il lavoro era la sua vita, Jake lo era.
    Come conciliare l’essere rimasto il solo genitore con il continuare a fare il proprio lavoro.
    Cosa avrebbe detto lei?
    Che non doveva darla vinta a Summers ed a Foyet come aveva detto giorni prima, o avrebbe detto altro?

    Yesterday, love was such an easy game to play,
    Now I need a place to hide away,
    Oh I believe in yesterday.



    Pareva così facile quando c’era lei.
    Lo aveva fatto sembrare facile.
    Non lo sarebbe mai stato.


    FINE

     
    Top
    .
2 replies since 22/3/2010, 16:39   863 views
  Share  
.