Then you catch him

Mary15389

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    Autore: Mary15389
    Titolo: Then you catch him
    Rating: PG13
    Categoria: Angst
    Avvertimenti: Long-fic, Canon
    Personaggi/coppia: Team
    Spoilers: Ambientata in una ipotetica sesta serie per questioni cronologiche, ma nessun riferimento diretto a nessuno spoiler.
    Disclaimer: I personaggi (fatta eccezione per quelli inventati da me) non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    Note: La storia si snoda circa quattro anni dopo il caso dell'episodio 2x11 Eros e Tanatos, quindi ci saranno parecchi riferimenti a questo episodio e a quello che è successo.

    Then you catch him



    CAPITOLO 1

    Stava lentamente riprendendo possesso delle facoltà del suo corpo. Quel corpo che era stato sconvolto così pesantemente fino a qualche secondo prima. L’orgasmo lo stava abbandonando, lasciando il respiro ancora irregolare e i battiti del cuore accelerati. Aspettava da tanto questo momento e non pensava che avrebbe provato sensazioni del genere. Per parecchio tempo si era dovuto frenare, non aveva potuto fare quello che sentiva più naturale, ma ora si sentiva bene, finalmente vivo.
    Alzava piano le mani dinanzi a sé e un ghigno si disegnava sul suo volto. Il sangue scorreva fino ai gomiti, provocandogli intensi brividi di piacere. Poi l’attenzione cadeva su quel corpo esanime a terra, e subito la forza di un nuovo orgasmo crescente lo colpiva. Per accompagnare il momento, si voltava per afferrare qualcosa nella tasca del suo cappotto scuro.
    Niente poteva più fermarlo stavolta.

    L’agente speciale Aaron Hotchner si voltava a guardare l’alba dalla finestra del suo ufficio nell’edificio dell’ FBI di Quantico. La vedeva spesso, visto che passava tra quelle quattro mura la maggior parte della sua giornata. E non solo perché era il capo dell’Unità Analisi Comportamentale, ma soprattutto perché sapeva che quando toglieva le vesti dell’agente supervisore, restava di lui solo un uomo che soffriva per la lontananza del figlio. Il suo appartamento non era rallegrato dalle risate di Jack quando la mattina facevano colazione tutti insieme, nessuna traccia del sorriso della moglie, Haley, quella donna che tanto aveva amato, e per cui continuava a provare un profondo sentimento. Nonostante lei l’avesse tagliato fuori dalla sua vita senza mezzi termini, avevano pur sempre un figlio insieme.
    Un sospiro faceva sollevare le spalle di Hotch, prima di concentrarsi nuovamente sul rapporto che stava finendo di scrivere. Poi lo squillo del telefono lo fece quasi sobbalzare.
    “Hotchner!” rispondeva portandosi l’apparecchio all’orecchio sinistro.
    “Agente Hotchner, sono il detective Carlson.” Una voce affannata si stava qualificando prima di dare la motivazione della telefonata. Aaron aveva già inteso che non erano buone notizie. “Abbiamo appena trovato una vittima in un motel di Washington. Il modus operandi è compatibile con quello di Ronald Weems, dal database risulta che l’avete arrestato voi quattro anni fa.”
    “Ricordo il caso, le prostitute del Campidoglio...cosa posso fare per voi?” Hotch si stropicciava con le dita la zona tra l’attaccatura del naso e la fronte. Quel vecchio caso l’aveva portato a scontrarsi con il deputato Karen Steyer, una donna che di certo non le mandava a dire. Sperava stavolta di non dover affrontare nulla del genere.
    “Vorremmo chiudere il caso il prima possibile, quindi vorremmo il vostro aiuto per confermare che sia veramente opera sua.” Chiedeva il poliziotto con voce calma.
    “Mi dia il tempo di raccogliere la squadra e presentare il caso. Mandi tutto quello che avete all’agente Jennifer Jareau e ci risentiremo al più presto.” L’agente supervisore sapeva che quando i poliziotti si mettevano in testa di chiudere un caso in fretta, si concentravano solo su quello che poteva tornare utile perché ciò accadesse. Non importava se in carcere mettevano un innocente, e l’assassino era ancora libero di continuare la sua azione indisturbato. Il caso era chiuso e loro potevano andare a festeggiare la vittoria. Per la sua squadra non funzionava così.
    “La ringrazio agente Hotchner. Aspetto una sua.” Il rumore della cornetta che si poggiava all’apparecchio fu l’ultima cosa che sentì prima di restare qualche minuto con il telefono vicino all’orecchio. Lo poggiò lentamente con un sospiro profondo e lo riprese subito dopo componendo velocemente un numero.
    “Agente Hotchner, faccia una chiamata d’emergenza agli agenti Jareau, Rossi, Morgan, Prentiss, Reid e Garcia. Abbiamo un nuovo caso...” alla risposta affermativa all’altro capo del telefono Hotch aveva riposto delicatamente la cornetta.
    Poi aveva finalmente apposto l’ultima firma sul rapporto che stava compilando, guardava quelle lettere incise sul foglio con la penna nera fortemente impugnata nella sua mano sinistra. Ma ora era il momento di impegnarsi in un nuovo caso.

    Pochi secondi dopo lo squillo di sei cellulari in diverse parti della città stava svegliando altrettante persone. Ognuna di loro era impegnata in diverse attività, ma dopo quel segnale erano tutti pronti a raggiungere l’ufficio.
     
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    CAPITOLO 2

    La telefonata era arrivata mentre lei lo guardava dormire. Un figlio le aveva cambiato la vita. Ora oltre ad essere Jennifer Jareau, coordinatrice del rapporto con i media dell’FBI, era anche la madre di uno straordinario bambino, Henry. La lontananza dall’ufficio si era fatta sentire i primi tempi, a tal punto che una volta aveva deciso di portare lì il suo pargolo, così da avere un ricordo felice di quella sala conferenze dove di solito lei e la sua squadra vedevano i peggiori orrori.
    Ma una volta tornata al lavoro, settimane prima di quando era previsto il suo rientro, altrettanto era stato il sentimento di mancanza del suo piccolo. Mancanza che colmava mostrando ai suoi colleghi le foto del pargolo, che documentavano ogni attimo della sua piccola vita che aveva superato il primo anno.
    Era abituata a non dormire molto, e anche a stare fuori per parecchi giorni. Quindi quando era a casa, certe mattine si svegliava presto e ne approfittava per passare del tempo accanto al suo bambino, con una mano che non smetteva di accarezzare quel piccolo corpo. E proprio mentre osservava il lento respiro del suo scricciolo beatamente perso nel mondo dei sogni, lo squillo del cellulare aveva interrotto l’incanto, riportandola alla realtà dei fatti. Avevano un nuovo caso, e lei era richiesta in prima linea perché in poco tempo sarebbero arrivati gli altri e li avrebbe dovuti aggiornare sui dati in loro possesso.
    Erano questi i pensieri di lei, mentre entrava nel suo ufficio di Quantico. La ormai ben nota carpetta beige con sopra stampata in toni scuri l’effigie dell’FBI la attendeva sulla sua scrivania. La prendeva tra le mani, accompagnando il gesto con un profondo sospiro. Adagiava i suoi effetti personali, borsa e cappotto, su una delle sedie e raggiungeva la sua poltrona lasciandosi sprofondare su di essa. L’ultimo pensiero ad Henry, il cui sorriso la salutava dalla foto di fronte a lei, ed era pronta a gettarsi completamente nel suo lavoro.
    Apriva il fascicolo, ma dopo aver letto il necessario, un ricordo saettò nella sua mente. Non poteva crederci, ma sapeva che quel caso non sarebbe stato facile. Almeno per qualcuno di loro. Si alzava affrettandosi verso l’ufficio di Hotchner. Non poteva permettere che questo accadesse.

    Aaron attendeva l’arrivo della sua squadra studiando il fascicolo del caso. Tutto sembrava ricondurre a Weems, anche se qualcosa non lo convinceva. Piccoli dettagli nel modus operandi si distaccavano dal precedente e sapeva che c’era ancora quella possibilità...ma preferiva scacciare in fretta quel pensiero, sperava di arrivare ad una soluzione senza risvegliare vecchi fantasmi del passato. Poi sentiva un bussare alla porta del suo ufficio. Sollevava gli occhi verso la stessa prima di permettere a chiunque ci fosse fuori di entrare.
    “Hotch, hai visto il fascicolo del caso?” la bionda collega entrava dirompente nell’ufficio lasciando la porta aperta dietro di se. Aaron si alzava in piedi, turbato dall’espressione che poteva scorgere nei profondi occhi blu di JJ.
    “Mi hanno chiamato direttamente, vogliono che confermiamo che sia opera di Ronald Weems. Fine della storia.” Non voleva che qualcuno si facesse venire i suoi stessi dubbi, avrebbe reso tutto più reale.
    “Ma...se così non fosse? Ci hai pensato?” la voce le tremava. Il capo non sapeva come risponderle, la donna stava dicendo il vero, ma doveva calmarla. Dopo un prolungato silenzio cercò di formulare la frase nel miglior modo possibile.
    “Non possiamo tirarci indietro. Se deve succedere succederà, anche se non ce ne occupiamo noi direttamente. Meglio muoverci e sperare di chiudere in fretta e senza problemi il caso.” L’espressione di Jennifer suggeriva che le parole dell’uomo non l’avevano calmata, ma non riusciva a controbattere nulla.

    Il dottor Reid stava attraversando la porta a vetri della BAU per raggiungere la sua scrivania nell’open space. Era arrivato abbastanza in fretta, dopo aver ricevuto la telefonata. Aveva finito di leggere il libro che aveva preso dallo scaffale pochi minuti prima, aveva indossato i suoi soliti vestiti e dopo aver preso la sua inseparabile tracolla aveva lasciato il suo appartamento. Aveva raggiunto senza grandi intoppi lungo le strade l’edificio e ora si domandava dove fossero gli altri. Si aspettava di trovarli lì e invece le due scrivanie dei suoi colleghi erano ancora vuote. Si guardò intorno prima di notare la porta dell’ufficio di Hotchner aperta, decise di avvicinarsi, magari erano tutti riuniti lì dentro. Ad un certo punto fu raggiunto da delle voci, e riconobbe una discussione in corso tra JJ e Hotch.
    “Non può affrontare anche questo...” stava gridando l’agente Jareau con voce preoccupata.
    “Che sta succedendo?” interveniva Spencer per cercare di capire cosa turbasse la bionda collega. In un primo momento i colleghi erano sobbalzati sentendo la sua voce, ma dopo averci pensato un po’ Aaron gli aveva risposto.
    “Niente Reid, sta tranquillo. Gli altri sono già arrivati?” chiedeva poi mettendosi di nuovo a sedere dall’altro lato della scrivania.
    “Nell’open space non c’è nessuno...” sentiva ancora l’aria tesa, “Quale è il caso?” a questa domanda Jennifer rispondeva consegnandogli tra le mani il fascicolo che aveva tenuto stretto durante il piccolo diverbio con il suo capo.
    “Tieni. Io vado a prendere gli altri.” Lui la osservava lasciare nervosa la stanza. Qualcosa non andava, lo sentiva. Voleva chiedere a Hotch, ma era concentrato in qualche lavoro. Apriva allora lentamente il fascicolo per iniziare a farsi un’idea di quello che li attendeva. Caso locale, sarebbero rimasti a Washington. I suoi occhi scorrevano con estrema velocità le righe di quei fogli, fino a quando i ricordi dolorosi si affacciarono alla sua mente. Ricordava quel caso con particolare nitidezza, ricordava quello che era successo mentre cercavano Weems. Aveva messo tutto se stesso in quel caso, ed era rimasto segnato da come si era concluso. Brividi freddi gli attraversavano schiena e braccia. Alzava timidamente lo sguardo verso il suo capo che ora lo stava guardando.
    “Io...preferirei...insomma...io vado in sala conferenze. Voglio guardare meglio il fascicolo e qui...credo di disturbarti...” non gli aveva lasciato il tempo di rispondere, quando invece l’agente Hotchner era pronto a dirgli qualcosa. Aveva bisogno di aria, aveva bisogno di convincersi che non era quello che credeva. Sapeva in cuor suo che questo momento sarebbe arrivato, ma si augurava anche che sarebbe stato in grado di affrontarlo. In quegli anni era cresciuto. Evidentemente si sbagliava.
     
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    CAPITOLO 3

    Derek Morgan stava rimescolando la tazza del suo caffè, lo sguardo fisso nel vuoto. Voleva essere ancora in quel caldo letto accanto alla bellissima donna con cui aveva passato la notte, ma il lavoro chiamava. E lui era pronto a rispondere, amava il suo lavoro e non gli piaceva farsi cogliere impreparato. Aveva bevuto un sorso e si stava lasciando andare ad uno sbadiglio quando una voce entusiasta catturava la sua attenzione.
    “Ma buongiorno!” Emily Prentiss era di fronte a lui poggiata con la spalla al muro che aveva accanto. Si stava godendo la scena divertita. La bruna agente dell’FBI era stata svegliata dalla chiamata dell’ufficio, ed era contenta di sapere che qualcuno, come lei, era ancora insonnolito. Stare in quella squadra le piaceva ogni giorno di più, erano passati quattro anni ma le emozioni erano sempre le stesse del primo giorno. Ora guardava il suo collega imbarazzato dall’essere stato scoperto in flagrante.
    “Beccato! Ma che ci posso fare? È stata una nottata dura...” lo sguardo di malizia negli occhi dell’agente di colore suggeriva ad Emily più di quanto avesse realmente detto. Il volto della collega cambiava di scatto, il sorriso scompariva e la donna alzava una mano verso l’uomo, accompagnando il gesto con espressione scherzosamente disgustata.
    “Non voglio sapere i dettagli grazie...” e prima che potesse continuare qualcuno arrivava a sostenere la sua causa.
    “Credo che nessuno di noi sia impaziente di conoscerli!” un paterno sorriso si rivolgeva a Morgan, che scuoteva il capo abbassato per come lo stavano trattando, e a Prentiss che si era voltata per incontrare l’affettuosa figura di David Rossi di fronte a lei. La stima per quell’uomo era profonda, era il pilastro dell’Unità Analisi Comportamentale ed era sempre riuscito ad arginare con estrema maestria le crisi all’interno della squadra. Era stato per tutti in diverse occasioni una spalla su cui piangere, una valvola di sfogo, un confidente, un amico, lo sprone ad andare avanti.
    “Scusate se cerco di mettervi di buon umore in qualche modo.” Lo sguardo di Derek cercava ora di catturare la pietà dei suoi colleghi che si stavano prendendo gioco di lui. Sulle sue labbra un timido sorriso che ben presto si trasformava in un broncio di finta offesa.
    “Di che si tratta?” chiedeva Emily al ragazzo cercando di cambiare discorso, mentre un David divertito rideva alle sue spalle.
    “Beh,” un cenno delle sue sopracciglia che si sollevavano ripetutamente e ritmicamente accompagnava le parole, “Alta, formosa...” smetteva di parlare perché la sua collega aveva preso la parola.
    “Sei senza speranze. Mi riferivo al caso.” Diceva la bruna portandosi una mano alla testa in segno di disperazione.
    “Scusate se vi interrompo, ma con permesso io raggiungerei Hotch.” Si intrometteva Rossi avviandosi poi sempre con il sorriso sulle labbra verso la scala che l’avrebbe portato nell’ufficio di Aaron. La donna si girava nuovamente interrogativa verso il giovane collega per avere delucidazioni sul caso.
    “Non so nulla...e non parlo più...” Derek raccoglieva la tazza tra le mani prima di allontanarsi verso la sua scrivania.
    “Fai come vuoi, io mi preparo un caffè.” Prentiss non voleva perdere tempo con i capricci di Morgan, sapeva che entrambi si divertivano a stuzzicarsi così, altrimenti le giornate sarebbero state noiose, specialmente quando si trovavano tutti riuniti di prima mattina in ufficio. Emily si chiedeva se sarebbero dovuti partire, e dove li attendevano per il caso, nel frattempo prendeva la moka e la caricava nella macchinetta aspettando che il liquido nero scendesse fumante all’interno della tazza con lo stemma dell’FBI in bella evidenza sul fianco.
    “Siamo pronti?” la voce della coordinatrice del rapporto con i media che scattava nella loro direzione carica di fascicoli catturava la loro attenzione. Emily afferrava il suo caffè e Derek si alzava dalla sedia della scrivania. Entrambi raggiungevano la bionda collega che cominciava a dare loro i fascicoli del caso. Prentiss si guardava intorno prima di rispondere a JJ.
    “Rossi è in ufficio da Hotch, ma manca ancora Reid.” Era vero, non avevano ancora visto il piccolo genio raggiungere l’ufficio. La sua scrivania era vuota, nessun segno che potesse essere già passato da lì. Non potevano sapere che appena arrivato era stato costretto a fare i conti con una triste verità. Jennifer sollevò gli occhi vedendo tra le fessure delle persiane la sagoma di Spencer nella sala conferenze.
    “Lui è già arrivato...” indicava verso il vetro, “Sta studiando il caso.” Anche gli altri due agenti si voltarono per vedere quella chioma di capelli castani stagliarsi dall’altra parte della finestra. “Raggiungetelo, io chiamo gli altri e possiamo cominciare.” Con la sua solita eleganza l’agente Jareau stava raggiungendo l’ufficio del capo per invitarlo insieme a David a raggiungere la sala dal tavolo rotondo.

    Spencer leggeva per l’ennesima volta le parole su quei rapporti della polizia, sperando ogni volta che cambiassero. Era seduto con i gomiti appoggiati al tavolo e con una mano si tormentava la zona sotto il mento, combatteva con i suoi pensieri. Desiderava farli sparire, o avere la forza di affrontarli senza piegarsi. Poi sentì alle sue spalle i passi di qualcuno che entrava nella sala conferenze. A breve tutta quella situazione avrebbe assunto tratti ancora più reali, e non avrebbe potuto più far nulla per evitarlo. Era agitato e nervoso.
    “Ehi ragazzino, mattiniero oggi...” lo apostrofava Derek. Un altro giorno avrebbe trovato la domanda una battuta divertente del suo collega per stuzzicarlo, ma quel giorno non era in vena. Si voltava per vederlo entrare dalla porta seguito da Emily.
    “Buongiorno ragazzi. Nottata insonne, quindi all’arrivo della chiamata ero già abbastanza reattivo.” Dopo queste parole tornava a guardare il fascicolo aperto sul tavolo. Con la coda dell’occhio seguiva però i movimenti degli altri due agenti. Derek, con il fascicolo sottobraccio, allontanava una sedia prima di accomodarsi. Evidentemente aveva capito che non doveva insistere con il ragazzino. Emily invece teneva tra le mani la tazza fumante di caffè e stava bevendo ancora in piedi. Dopo pochi secondi dalla porta entrarono anche JJ, Hotch e Rossi. Erano pronti a cominciare. Prentiss si sedeva accanto a Morgan poggiando la tazza di fronte a se. Prendevano posto anche Aaron e David, mentre Jennifer avviava lo schermo a parete prima di prendere tra le mani il telecomando per controllarlo. Poi cominciava a parlare accompagnando le parole con le immagini.
    “Questa donna, di cui non si conosce ancora il nome, era una prostituta di Washington. È stata trovata morta questa mattina in una stanza di un motel. Indossava solo l’intimo e la causa della morte è una pugnalata al cuore. È stata lasciata lì ad agonizzare mentre le venivano inferti altri colpi a fianchi e gambe. Non è stata riscontrata nessuna violenza sessuale e la vittima non ha avuto nessun rapporto prima della morte.” Ora la donna si avvicinava al tavolo per sedersi anche lei. Gli altri guardavano le altre informazioni nei fogli a loro disposizione nel fascicolo. Poi David interrompeva il silenzio.
    “Vittime simili?”
    “Al momento nessuna.” Rispondeva JJ portandosi sotto il mento la mano con cui teneva il telecomando.
    “Potrebbe non essere un seriale, potrebbe essere un omicidio isolato. Perché ci hanno chiamati?” chiedeva Emily attendendo una risposta che le spiegasse la strana situazione.
    “Alla vittima sono stati tagliati i capelli.” L’agente Jareau accompagnava alle parole un’espressione sconfitta. Conosceva il peso di quella affermazione. Poteva leggere il terrore negli occhi del suo giovane collega, così intelligente ma così indifeso. Poi la voce di Derek la faceva voltare verso di lui.
    “Non ci posso credere...” il ragazzo di colore colpiva con la mano il tavolo e lasciava andare indietro la testa con una smorfia sulle labbra. Ora aveva capito perché tutto gli sembrava così familiare.
    “Ci hanno chiamato perché sembra opera di Ronald Weems,” interveniva Aaron sentendosi il più autorizzato a spiegare meglio la situazione avendo ricevuto lui la telefonata e conoscendo i dettagli riferitigli dallo stesso detective. “L’abbiamo arrestato quattro anni fa, per chi allora non c’era,” si rivolgeva adesso a David “uccideva le prostitute nell’area del Campidoglio di Washington. Vogliono conferma che sia lui il colpevole anche stavolta."
    “Hotch, ma quell’uomo incideva scritte nel ventre delle donne. Qui non c’è nessun messaggio.” Interveniva Derek, ma prontamente l’agente supervisore lo interrompeva. Non voleva che i dubbi assalissero anche i suoi colleghi.
    “Quei messaggi erano legati all’imminente dichiarazione del deputato Steyer.” Nella stanza era calato nuovamente il silenzio.
    “Garcia ha già controllato questo Ronald Weems?” chiedeva Rossi che in realtà non conosceva nulla del precedente caso. Si sarebbe aggiornato al più presto. Quattro anni prima c’era ancora Jason Gideon in quella squadra e lui era a condurre la vita da pensionato promuovendo i suoi libri.
    “Vado ad avvertirla.” Spencer si era alzato di colpo facendo quasi rovinosamente cadere la sedia su cui era seduto. Aveva bisogno di allontanarsi dagli altri un’altra volta. E raggiungere Penelope poteva essere un’ottima soluzione. Lei avrebbe capito. Lei sapeva anche più degli altri.
    Mentre Reid raccoglieva il fascicolo e lasciava in fretta la sala, gli altri si scambiarono un’occhiata veloce prima che Aaron riprendesse la parola per assegnare a ciascuno un incarico. “Morgan, Prentiss, voi interrogate le prostitute nella speranza di trovare notizie sulla nostra vittima. O su eventuali altre scomparse e non denunciate direttamente. David, tu vieni con me al motel dove è stato ritrovato il corpo. JJ, appena Garcia scopre qualcosa aggiornaci subito.” Detto questo tutti si alzavano per avviarsi a portare a termine i propri compiti. Ma la voce di Jennifer bloccava Hotch.
    “E Spence?” si era accorta che per lui non c’era nessun incarico. Tutti si voltarono a guardarla, non riuscendo a capire il perché di quella domanda. Aaron la guardava intuendo perfettamente a cosa si riferisse. Dopo averci pensato un po’ le rispose.
    “Dagli tempo...” lei fece un cenno del capo in risposta all’uomo e quando tutti furono usciti dalla stanza JJ si ritrovò sola con i suoi pensieri. E con le sue preoccupazioni.
     
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    CAPITOLO 4

    “Che l’ira della divina Penelope si scagli su di te! Come osi metterti contro la regina del cyberspazio?”
    Penelope Garcia era nel suo ufficio. Era arrivata da poco ma non avendo trovato nessun altro ad accoglierla aveva pensato bene di riprendere l’attività che svolgeva prima di ricevere la convocazione alla BAU. Era nel suo variopinto appartamento, sul divano del salotto impegnata nell’ennesimo gioco di ruolo che conduceva su internet. E ora continuava a giocare dal suo ufficio, circondata dalla multi task con la quale lavorava per aiutare la sua squadra.
    Ricordava ancora quando con il videogame in stile da ciclo arturiano aveva messo in pericolo tutti i suoi colleghi, quando il Re Pescatore era entrato nel sistema e l’aveva bloccato. Ma quella per lei era diventata l’ennesima sfida, l’aveva tracciato e aveva poi migliorato il sistema così da renderlo ancora meno vulnerabile. E aveva ripreso a giocare dal suo ufficio, senza timori stavolta.
    Stava svolgendo un incontro corpo a corpo con un altro giocatore e stava avendo la meglio, quando fu distratta da un rapido e agitato bussare alla porta. La distrazione fu fatale, Penelope perse la battaglia cibernetica.
    “Manifestati mortale, e sii pronto a ricevere la punizione per quello che hai combinato!” dire che l’informatica era furente sarebbe stato un eufemismo. Stava abbandonando la partita per riporre il suo portatile nell’apposita valigetta che aveva sempre con se. Si voltava poi ancora infuriata verso la porta che si stava lentamente aprendo.
    “Spero si tratti di una catastrofe naturale...” guardare Spencer negli occhi l’aveva fatta smettere di gridare e le aveva fatto capire che c’era qualcosa che non andava. “Genio, che succede?” la rabbia era svanita in un sol colpo.
    “Garcia, dovresti cercare informazioni su Ronald Weems.” Reid aveva abilmente ignorato la domanda rivoltagli dalla collega. Voleva che tutto restasse un suo problema.
    “Subito!” affermava Garcia prima di riprendere posto sulla sedia e iniziare a far saettare le dita sulla tastiera del suo computer. “Ronald Weems, è stato un nostro caso...” sembrava quasi sbalordita nel leggere questa informazione. Non ricordava alla perfezione tutte le persone che i suoi colleghi avevano arrestato, ma non appena lesse di che caso si trattava, tutto le tornò alla mente. Aprì la bocca senza poter emettere alcun suono, mentre al di la delle lenti i suoi occhi vibravano guardando lo schermo. Preferì non interferire, se il ragazzo non le aveva detto nulla, non l’avrebbe fatto lei. Deglutì con difficoltà e continuò a rovistare nei files che riusciva a trovare. “È libero per buona condotta da una settimana.” Diceva infine, “Ma questi viscidi come fanno a diventare degli agnellini in carcere?” chiedeva poi sperando in una reazione del giovane che aveva accanto.
    “Ora dove si trova?” chiedeva invece Reid disposto a convincersi che fosse proprio lui il colpevole.
    “Spence...” la voce di JJ li raggiungeva dalla porta. Entrambi gli agenti nella stanza si voltavano per guardarla. I suoi occhi erano ancora preoccupati. Voleva chiedere al ragazzo come si sentiva, ma una volta trovatoselo davanti il coraggio era scomparso. “Avete...” indugiò un attimo, poi si ricompose. “Avete trovato qualcosa?” riuscì infine a dire.
    “Weems è fuori per buona condotta.” Le rispondeva il dottore mentre la donna gli si avvicinava per guardare anche lei verso lo schermo sul quale la maga del computer stava visualizzando gli ultimi spostamenti del sospettato.
    “Oh.” si intrometteva Garcia “Lavora come volontario in un centro di recupero per senzatetto e prostitute...ditemi che c’è una ragione psicologica vi prego.”
    “Ci sono cose che nemmeno le più grandi scienze dell’universo possono spiegare.” Le rispondeva Reid che al momento non aveva un briciolo di ottimismo in corpo.
    “Gli altri sono già andati, Derek e Emily in strada ad interrogare le prostitute, Hotch e Rossi sulla scena del crimine. Volevano essere avvisati quando trovavamo qualcosa.” Spiegava brevemente la donna bionda al magro ragazzo, che poi si rivolgeva all’agente seduta davanti al computer.
    “Chiama Hotch...”
    La donna velocemente schiacciava con la penna colorata che teneva in mano il tasto di chiamata veloce per il suo capo sul telefono che aveva alla sua sinistra. Al termine del primo squillo li raggiunse la voce di Aaron.
    “Ditemi tutto.”
    “Ronald Weems è stato scarcerato una settimana fa e ora lavora in un centro di ricovero per senzatetto e prostitute...” aveva riferito Spencer mentre si tormentava le mani sfregandole l’una contro l’altra. Jennifer non poteva fare a meno di guardare lo stato di agitazione nel ragazzo, e lo stesso faceva Penelope.
    “Quindi la tempistica per commettere l’omicidio ieri sera potrebbe essere quella giusta. Te la senti di andare con JJ a prenderlo a lavoro e portarlo lì a Quantico per interrogarlo?” Hotch voleva dare al giovane la possibilità di tirarsi indietro qualora non se la fosse sentita.
    Reid si voltava verso la bionda collega, fissando i suoi occhi in quelli blu che si trovava davanti e poi rispondeva alla persona all’altro capo del telefono, “Posso farcela...” La collega aveva mantenuto il suo sguardo senza vacillare un attimo, sapeva che lui aveva bisogno di un appoggio e lei era ben disposta a darglielo.
    “Vi mando in ufficio Morgan e Prentiss appena finiscono il loro giro, io e David vi raggiungiamo appena possibile.” A queste parole di Aaron, i due agenti FBI risposero che stavano per incamminarsi subito verso il centro di ricovero dove lavorava il loro sospettato. La comunicazione era stata chiusa e Penelope si era messa alla ricerca dell’indirizzo al quale i due giovani dovevano recarsi.
    “Vi mando tutto sui palmari...” aveva detto loro mentre lasciavano la stanza diretti a recuperare le loro cose prima della partenza. Mentre camminava, JJ aveva tirato fuori dalla tasca un elastico con cui si stava raccogliendo i capelli in una coda. Quando doveva muoversi per qualche azione preferiva non avere i capelli sciolti, lo trovava più pratico. Reid era invece andato nella sala conferenze, dove aveva lasciato la sua tracolla.
    In pochi minuti erano pronti a partire, anche se il giovane si sentiva teso, particolarmente teso. I due entravano nell’ascensore senza dirsi nulla. Lei non sapeva esattamente cosa dire, lui era troppo perso nei suoi pensieri per parlare. Quando le porte della cabina si aprirono sul garage, camminarono verso la macchina, e una volta raggiuntala, Spencer prendeva posto dal lato guidatore e Jennifer dal lato passeggero. Il ragazzo girava la chiave nella toppa e avviava il motore, facendo la manovra per uscire dal posteggio. La ragazza osservava la strana presa che aveva il collega sul volante, mentre pensava che quel caso avrebbe sicuramente avuto delle conseguenze nella vita di Reid, ma lei, come del resto l’intera squadra, sarebbe stata accanto a lui e lo avrebbe aiutato con tutte le forze possibili.

    “Agente Hotchner,” l’uomo stava porgendo la mano al detective che sostava davanti alla porta della stanza del motel nella quale avevano trovato il corpo. “Questo è l’agente Rossi.” Il collega faceva altrettanto, prima di concentrare l’attenzione in quello che li aspettava all’interno.
    “Sono il detective Carlson, ci siamo sentiti per telefono...” rispondeva il poliziotto ad Aaron.
    “Io comincio a dare un’occhiata...” David lasciava Hotch e Carlson a discutere delle questioni formali ed entrava nella stanza. Il corpo era stato già inviato al coroner che l’aveva analizzato, ma era visibile a terra il luogo in cui era stato ritrovato. Il pavimento di moquette recava una macchia di sangue, che difficilmente e solo con il tempo sarebbe andata via. L’agente teneva sotto braccio il fascicolo del caso, si piegò sulle ginocchia per vedere meglio e aprì il documento per cercare le foto del ritrovamento. Il corpo della donna era stato abbandonato lì, in una posa scomposta, quindi nessuna traccia di rimorso da parte della vittima. Il sangue era probabilmente dovuto al colpo inferto al cuore, ne aveva perso parecchio e la morte doveva essere stata lenta e dolorosa.
    A parte il corpo, nulla era stato toccato, quindi mancava qualcosa. I biondi capelli della donna, tagliati, non erano lì. Proprio quello che era stato il segno distintivo di Ronald Weems.
    Dave rigirava tra le mani le foto, e si guardava intorno. Parecchie erano le macchie di sangue nel resto della stanza. Sul letto, su una sedia vicino a dove era stata ritrovata la vittima, su un mobile e sulle pareti. Un lavoro sicuramente caotico, poco riconducibile ad una persona che aveva già ucciso altre volte. “Cosa abbiamo?” la voce del collega l’aveva fatto voltare verso la porta, dove era in piedi con il solito volto pensieroso. L’agente Rossi si sollevava lentamente, riponendo il tutto nella cartelletta che teneva tra le mani.
    “Non ti sembra tutto...troppo caotico?” chiedeva sperando magari in qualche delucidazione da chi conosceva il precedente caso. Poi rimaneva a fissare l’uomo negli occhi mentre rifletteva portandosi una mano alle labbra. “C’è sangue ovunque, non sembra qualcuno che abbia già ucciso prima.” Continuava a sostenere la sua tesi.
    “Però in tutto questo caos, non ha lasciato nessuna impronta.” Rispondeva infine Aaron, “Quindi non possiamo ritenerlo disorganizzato.”
    “I capelli come souvenirs...le uccide ma conserva la loro femminilità?” chiedeva ancora l’uomo grattandosi il pizzetto brizzolato. Poi sentiva pesante lo sguardo di Hotch su di se.
    “Come hai detto?” gli chiedeva quasi incredulo.
    “Ha portato via i capelli che ha tagliato alla donna. Come ben sappiamo sono simbolo della femminilità...” non poteva proseguire perché l’agente supervisore si era già rivolto al detective sulla porta.
    “Detective Carlson, oltre al corpo avete rimosso altre prove?” chiedeva per sentirsi rivolgere una risposta negativa. Hotchner stretto nel suo cappotto nero, si avvicinava di nuovo a David per dirgli sottovoce “Ronals Weems non teneva souvenirs...”
    “Ma voi avete detto...” interveniva il collega.
    “Si, tagliava loro i capelli ma li lasciava sparsi sulla scena del crimine, che era pulita. Ed era la strada...” a qualcuno doveva pur confessare i suoi dubbi, e sperava di aver scelto la persona giusta.
     
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    CAPITOLO 5

    Era da poco mattino e le strade di Washington sulle quali si aggiravano gli agenti speciali Morgan e Prentiss erano popolate da prostitute. Avevano imparato la volta precedente che quelle ragazzine lavoravano anche la mattina, e molto spesso con uomini che subito dopo prendevano servizio nell’area del Campidoglio. Emily non poteva fare a meno di notare quanto fossero giovani, ricordava ancora la bambina che aveva interrogato quattro anni prima. Aveva mentito sulla sua età, e solo quando la donna l’aveva trovata a terra, morta, con il ventre inciso di lettere sanguinanti, aveva scoperto che aveva solo sedici anni.
    Derek e la sua collega camminavano da un po’ e ancora non avevano scoperto nulla, nessun’altra donna scomparsa e nessuna prostituta disponibile a dare loro informazioni sul cadavere della sera precedente. Poi avevano avvistato in un angolo due ragazze che si guardavano intorno, e avevano deciso di fare l’ennesimo tentativo. “Emily Prentiss, questo è l’agente Derek Morgan.” Si qualificavano mostrando il distintivo, che faceva quasi scappare le due ragazze. Dopo averle tranquillizzate la donna ricominciava a parlare, “la conoscevate?” stendeva la mano nella quale teneva la foto della vittima come gli era stata consegnata dalla scientifica prima di rimuovere il corpo. Nessuna delle due ragazze sembrava battere ciglio per lo spettacolo raccapricciante che avevano davanti gli occhi.
    “Ci conosciamo tutte...” rispondeva con poca voglia la più grande delle due. Aveva vestiti che lasciavano ben poco all’immaginazione e capelli particolarmente colorati. Masticava vistosamente una gomma. La sua collega era invece più timida e chiusa. Anche lei aveva molta pelle scoperta, ma sembrava da poco avviata al mestiere della strada. Derek decise di puntare sulla seconda per sapere qualcosa, sorrise dolcemente prima di rivolgerle la parola.
    “Piccola, ci servirebbe sapere qualcosa in più di lei.”
    “Nancy...” la risposta era arrivata immediata dalla ragazza più giovane che però era stata subito interrotta dalla gomitata sferratale dall’amica. Emily aveva visto il gesto ed era subito intervenuta per non rovinare la possibilità di uno spiraglio di contatto aperto dal suo collega.
    “Non vi porteremo dentro, e non vi denunceremo. Ma voi dovete aiutarci...” aveva detto dolcemente. Ma la reazione della ragazza dai capelli colorati fu violenta. Stizzita si voltò e andò via, senza voler sentire ragioni di rimanere con quegli sbirri. L’altra ragazza dopo averla seguita con gli occhi si voltava nuovamente per parlare con gli agenti federali.
    “Scusatela...” era seriamente imbarazzata per il comportamento della collega. “È stata in prigione e non vuole tornarci...in realtà posso capirla, ma voglio fidarmi e aiutarvi. La ragazza della foto si chiama Nancy Sulligan, io sono arrivata da poco ma lei era già qui in strada da parecchio. Non so altro, mentiamo sempre e anche tra di noi.” Era seriamente dispiaciuta di non poter aiutare in altro modo.
    “Hai visto per caso qualcuno girare in questa zona, qualcuno che magari prestava particolare attenzione alle prostitute...o in particolare a Nancy?” chiedeva Morgan sfruttando la voglia di collaborare della ragazza, che però si guardava intorno furtivamente prima di rispondere alla domanda senza nemmeno pensarci il tempo necessario.
    “Nessuno. Mi dispiace, abbiamo tanti clienti ma sono praticamente tutti abituali.”
    “Piccola sei stata gentilissima.” La congedava cordialmente l’agente di colore, guardandola poi raggiungere l’amica che l’aspettava sul fondo di una stretta traversa accanto a loro. Durante tutto il tragitto la ragazza continuava a guardarsi alle spalle, come se volesse essere certa di non essere stata vista.
    “Chiamo Garcia...” interveniva Emily richiamando l’attenzione di Derek, e mentre componeva il numero sul suo cellulare, i due si avviavano verso la zona dove avevano lasciato il SUV.
    “Genio informatico a rapporto!” il vivavoce aveva permesso a entrambi di essere fermati dall’esuberanza della tecnica di Quantico. Erano pronti ad ascoltare cosa aveva da dire loro.
    “Penelope, hai trovato qualcosa su Ronald Weems?” Prentiss riprendeva la parola, alzando poi gli occhi verso Morgan che si era fermato di fronte a lei per ascoltare.
    “Ma certamente mia cara. È stato rilasciato una settimana fa per buona condotta. Chissà perché questi delinquenti quando arrivano in prigione diventano sempre dei santi...” questa domanda tormentava l’eccentrica donna, non poteva fare a meno di rivolgerla anche a loro.
    “Non chiedertelo bambolina...potresti diventare pazza per trovare una risposta.” Le rispondeva amorevolmente Derek, e anche se non poteva vederlo, aveva rasserenato con un sorriso il volto della collega dall’altro lato del telefono. “Che altro?” chiedeva poi invitandola a continuare.
    “Udite udite, ora lavora come volontario in un centro di ricovero per senzatetto. JJ e Reid sono già andati a prenderlo con un mandato.” Una lieve preoccupazione incrinava ora la sua voce, non aveva visto il piccolo genio troppo sereno nell’intraprendere quell’azione.
    “Ora abbiamo bisogno che cerchi questo nome: Nancy Sulligan, è la nostra vittima.” Interveniva Emily, attendendo poi una risposta che arrivava immediata.
    “Più veloce della luce. Vi richiamo appena so qualcosa.” Le ultime parole erano accompagnate dal rumore della penna colorata di Garcia che schiacciava il tasto di interruzione della chiamata.
    “Weems verrà interrogato a Quantico, sarà meglio tornare.” diceva Prentiss mentre riponeva il cellulare nella tasca e i due agenti si avviavano verso il SUV. Una volta raggiuntolo Derek si era fermato e lo stesso aveva fatto la donna in attesa di sentire cosa il suo collega aveva da dire.
    “Non sarebbe meglio chiamare Hotch?” suggeriva l’uomo per essere subito interrotto dallo squillo del cellulare che teneva alla cintura. L’aveva preso e aveva guardato l’identificativo del chiamante, “Hotch, dimmi tutto.” Rispondeva prima di premere il tasto per il vivavoce.
    “Reid e JJ hanno appena prelevato Ronald Weems e a breve saranno a Quantico per interrogarlo. Voglio che li raggiungiate anche voi. Io e David arriviamo appena finiamo qui sulla scena del crimine. L’interrogatorio ha la massima priorità.” Ordinava l’agente Hotchner.
    “Noi abbiamo un nome,” interveniva l’agente Prentiss, “Nancy Sulligan. Penelope sta già facendo ricerche.”
    “Ottimo. Ci aggiorniamo in ufficio.” Queste le ultime parole del capo prima che chiudesse la comunicazione. Emily afferrava la maniglia dello sportello del SUV prima di tirarla verso di se e salire a bordo. Morgan girava intorno al veicolo e compiva gli stessi gesti della donna. Dopo i colpi degli sportelli che venivano richiusi Emily sospirò e prese la parola.
    “Ma non ti sembra strano?”
    “Cosa?” chiedeva il collega appoggiandosi sul volante con un braccio e voltandosi verso di lei.
    “Nessuna delle due ragazze ha fatto domande di alcun genere su Nancy. Siamo agenti dell’FBI, sono spaventate dell’eventualità che le arrestiamo ma non si insospettiscono o fanno domande se mostriamo una foto di una loro collega in quelle condizioni?” il suo sguardo incredulo aspettava una risposta.
    “Probabilmente sanno qualcosa di più, ma non vogliono dirlo. Per ora interroghiamo il nostro sospettato, forse sarà tutto più semplice del previsto. In caso contrario ripartiremo proprio da questo punto.” Morgan girava con decisione la chiave e metteva in moto la macchina, mentre Emily si metteva comoda sul sedile non meno dubbiosa. Erano diretti all’ufficio della BAU.

    Spencer Reid e Jennifer Jareau erano appena scesi dal SUV e guardavano l’edificio che avevano innanzi. Era un grande capannone abbandonato, che ora veniva usato come rifugio per senzatetto e prostitute. Qualche persona sostava lì fuori, abbandonato su qualche cartone.
    Il giovane era agitato, sperava che vedere Weems lo avrebbe convinto che fosse proprio lui il colpevole di quegli atti. La ragazza stringeva gli occhi blu per la forte luce della mattina, in attesa che il suo collega fosse pronto a varcare quella soglia. Mentre aspettava, decise di avviarsi verso il portabagagli del veicolo. “Dove vai?” l’aveva fermata la voce di Spencer.
    “A prendere i giubbotti antiproiettili. Non vorrai certo entrare senza...non sappiamo se il nostro sospettato è armato e come reagirà.” Mentre parlava aveva aperto il portellone e stava afferrando due giubbotti blu con la scritta FBI sul petto.
    “Hai, hai ragione...non ci avevo pensato.” Si avviava ora per raggiungere la collega sul retro della macchina. Lei si voltava per porgergli il giubbotto, ma non l’aveva sentito arrivare alle sue spalle, e quasi si spaventò a trovarselo così vicino. “Grazie.” Rispose lui iniziando a indossarlo. Poi si volse a grandi passi verso l’edificio. Era meglio entrare subito, altrimenti sapeva che sarebbe rimasto a rimuginarci sopra troppo tempo.
    JJ, dopo un attimo di imbarazzo, aveva chiuso velocemente il portellone e correva dietro al suo collega. In breve tempo si trovarono dentro quell’unico ambiente, vedevano letti sparsi ovunque, alcuni occupati da uomini e donne, altri vuoti. Alla loro destra si trovavano le cucine, e molte donne erano già all’opera per preparare i quantitativi di cibo necessari a sfamare tutta quella gente per il pranzo. “Come posso aiutarvi?” la voce di un uomo li raggiunse dalla sinistra, ed entrambi si voltarono per trovarsi davanti Ronald Weems, sorridente. Quella visione lasciò per un attimo interdetti i due agenti. Ricordavano un uomo triste, accigliato, burbero e furioso. Nulla era rimasto di lui nella persona che avevano dinnanzi.
    “Ronald Weems?” chiedeva Jennifer ridestandosi dallo stupore iniziale.
    “Si sono io. Perché l’FBI mi cerca?” chiedeva indicando la scritta sul petto della donna.
    “Abbiamo un mandato per portarla all’ufficio dell’Unità Analisi Comportamentale per un interrogatorio.” La donna tirava fuori dalla tasca il mandato ripiegato, ma l’uomo la precedeva. Le porgeva delicatamente i polsi, vicini, pronti per essere ammanettati. Lei non poteva far altro che osservarli in silenzio.
    “Ha il diritto di rimanere in silenzio, tutto quello che dirà potrà essere usato contro di lei...” Reid si era mosso superando JJ e stava afferrando le braccia dell’uomo portandole dietro la schiena e bloccandole con i bracciali di ferro. Non opponeva nessuna resistenza.
    “Non vuole sapere perché la stiamo arrestando?” chiedeva la donna camminando dietro Spencer che già accompagnava Ronald verso l’uscita.
    “E che cosa cambierebbe?” l’aveva guardata dritta negli occhi nel formulare questa domanda. Lei non aveva saputo controbattere. Avevano raggiunto il SUV e il giovane aveva accompagnato l’uomo a sedersi al suo interno, una mano sulla testa per evitare spiacevoli inconvenienti. Poi aveva preso posto accanto a lui, avrebbe guidato la ragazza. Non le avrebbe mai permesso di stare sul sedile posteriore del veicolo con un uomo che era stato in carcere per diversi omicidi e ora era sospettato per un nuovo reato.
    L’agente Jareau si era messa al volante e stava guidando verso Quantico. Ma non poteva smettere di pensare che era stato tutto fin troppo semplice.
     
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    CAPITOLO 6

    L’ufficio della BAU era davanti ai loro occhi. Jennifer aveva posteggiato il SUV nel garage e aiutava Spencer a portare fuori dal veicolo il sospettato che avrebbero dovuto scortare fino alla sala interrogatori. Proprio mentre entravano nella cabina dell’ascensore, qualcosa catturò l’attenzione di Reid. Si sentiva osservato e si voltò di scatto in quella direzione proprio mentre le porte si richiudevano impedendogli di vedere bene.
    “Spence che succede?” lo raggiunse la voce sussurrata di JJ.
    “Niente...niente...” rispose strofinandosi il viso con la mano con cui non stava reggendo il braccio di Ronald Weems. La ragazza aveva notato lo sguardo che si era disegnato sul volto del collega, ma non voleva insistere. Il giovane aveva ancora quella figura negli occhi, non l’aveva visto bene, ma era sicuro si trattasse di lui. Per il momento si riscosse da quel ricordo.

    Emily e Derek erano alle loro scrivanie in attesa dell’arrivo di Reid e JJ con il sospettato da interrogare. Quando li videro entrare dalla porta si avvicinarono a loro per seguirli fino all’anticamera della sala interrogatori. Spencer consegnò Weems alle guardie che lo portarono dentro, sciogliendogli i polsi per poi mettergli nuovamente le manette fissandolo alla sedia sulla quale si era accomodato.
    “Ha opposto resistenza?” chiese Derek indicando con la testa verso il sospettato che potevano vedere al di là del vetro.
    “No, per nulla. Appena ha visto il mandato ci ha porto i polsi per farsi ammanettare.” Rispose JJ mentre scioglieva i suoi lunghi capelli biondi.
    “Come procediamo?” domandò poi il dottor Reid riavvicinandosi al gruppo. Prentiss osservava l’uomo seduto tranquillo al tavolo, lo stesso guardo triste che ricordava dalla prima volta, ma c’era qualcosa di diverso, anche se ancora non sapeva stabilire di cosa si trattasse.
    Morgan decise per condurre lui l’interrogatorio con Emily, e poi chiese a JJ di dargli il materiale necessario. La donna uscì rapidamente dall’anticamera per dirigersi nel suo ufficio e recuperare il fascicolo con le foto e tutto ciò potesse servire ai colleghi. Non poteva smettere di pensare a come lo sguardo di Spencer fosse mutato dentro il vano ascensore, come se d’improvviso avesse visto un fantasma. Forse erano i tristi ricordi che si riabbattevano su di lui. In pochi minuti era di ritorno, e consegnò tutto al collega di colore che apriva la porta, facendo entrare per prima la donna bruna. Una volta richiusa la porta JJ e il ragazzo si sistemarono per seguire dall’esterno lo svolgimento dell’interrogatorio. Weems si guardava intorno, stranamente sereno.

    David era sul sedile passeggero del SUV che stava guidando Aaron, mentre erano diretti nuovamente a Quantico con le informazioni della scena del crimine da comunicare agli altri. Continuava a pensare a come il suo collega avesse espresso i suoi dubbi, quando aveva scoperto che era cambiato qualcosa nella firma di Ronald Weems, se proprio di lui si trattava.
    “Aaron,” decise di rompere il silenzio per capire qualcosa di più di quello che stava accadendo, “Io non c’ero quando avete affrontato il caso per la prima volta. Per aiutarvi ho bisogno di capire esattamente il profilo del nostro sospettato...”
    L’agente Hotchner non distoglieva l’attenzione dalla strada che stava percorrendo, ma continuava a pensare se veramente si stesse realizzando quello che tutti temevano che un giorno potesse accadere. Poi decise di mettere Rossi al corrente del profilo che avevano steso per l’S.I. quattro anni prima, “Si trattava di un uomo furioso e frustrato, faceva parte delle Guardie della Moralità, un gruppo di sostegno ad un progetto di legge per la prevenzione del crimine a Washington, ma questo suo ruolo da semplice comparsa lo faceva sentire impotente, come se la sua voce non fosse ascoltata. Sui documenti che abbiamo trovato a casa sua, l’odio verso le prostitute era tangibile, le considerava sporche e da cacciare. Abbiamo parlato anche con alcune donne che erano state avvicinate da lui, e tutte ne parlavano come di un uomo spaventato inizialmente. Quando poi prendeva coraggio, chiedeva loro prestazioni che avrebbe solo guardato, per poi dire loro che erano sporche. Era un qualcosa di cui non poteva fare a meno, e prima di passare alle prostitute aveva fatto le stesse richieste alla moglie. Quando aveva smesso con lei per rivolgersi alle donne della strada, lei aveva notato con sollievo che usciva di casa furioso, ma poi lo vedeva rincasare sereno come quando l’aveva conosciuto. La sua era una sorta di missione per lo stato. Si impegnava a correggere quello che secondo lui la politica non riusciva realmente a fare.” Concluse la sua spiegazione con un profondo sospiro.
    “Non si può definire il classico sadico sessuale...” aggiunse il collega guardandolo con attenzione. “Non era mosso semplicemente dal bisogno di uno sfogo sessuale, ma agiva con uno scopo ben preciso. E allora perché non rivendicare anche ora la sua missione? Ma soprattutto perché iniziare a raccogliere trofei?”
    “Sono confuso quanto te, Dave.” Esclamò Hotch non sentendosi ancora pronto a raccontargli la più completa verità.
    “Avevate altri sospettati?” chiese poi Rossi a bruciapelo. Era quella la domanda che l’agente supervisore voleva evitare, perché sapeva quale sarebbe stata la risposta, lo tormentava da quando aveva accettato il caso.

    “Ci rivediamo dopo un paio di anni Ronald.” Lo provocò l’agente Derek Morgan mentre lanciava sul tavolo il fascicolo del caso. Alle sue spalle Emily Prentiss prendeva silenziosamente posto sulla sedia posta dall’altro lato del tavolo di fronte al sospettato.
    “Cosa volete da me?” chiese l’uomo senza mutare espressione del viso. Non vi si leggeva nessuna particolare preoccupazione, sembrava più che altro spaesato.
    “Sei nei guai, credimi.” Continuò l’agente di colore mettendogli davanti le foto della vittima. L’uomo era ora improvvisamente sorpreso. “Da quanto sei tornato in libertà? Una settimana? La voglia di uccidere si è riaccesa subito?” Emily non aveva ancora proferito parola, lasciava fare a Morgan osservando tranquilla la scena.
    “Non so di cosa sta parlando.” Weems guardava Prentiss con la speranza di ricevere un qualche aiuto.
    “Oh si che lo sai, Ronald,” Derek riprese controllo dell’attenzione dell’uomo, ostruendogli quasi la vista della collega, poi continuò, “questa è Nancy. Ieri sera avevi voglia di passarti un piacere e hai pensato bene di cercare una prostituta. Ma poi sei stato assalito dal tuo istinto naturale di ucciderla...”
    Il sospettato si stava agitando sempre più, implorava con gli occhi un aiuto che lo cavasse da quell’impiccio in cui non voleva credere di trovarsi. Sembrava non sapere più gestire la situazione, il che richiedeva l’intervento di Emily.
    “Calmati Ronald, parla un po’ con me. Come mai hai scelto di lavorare in un centro di ricovero per senzatetto?” la donna si sporse lentamente in avanti, appoggiando le braccia sul tavolo e sorridendogli dolcemente.
    “Buono contro cattivo, ottimo!” esclamò il dottor Reid all’esterno della sala, prima di ripiombare di nuovo nel silenzio per ascoltare la risposta che stava per arrivare dall’uomo.
    “Io, sentivo che dovevo provare ad avvicinarmi a loro. Capire che quello che avevo fatto era sbagliato. Cioè...” sfregava le mani per il nervosismo, “l’ho già capito, ma volevo in qualche modo ripagare il male fatto con buone azioni.”
    “Ma a chi vuoi darla a bere!” Morgan aveva colpito violentemente il tavolo della sala interrogatori mentre gridava quelle parole. “Vuoi farci credere che sei diventato un agnellino?” continuò avvicinandolo quasi come se volesse mettergli le mani addosso.
    “Io...non ho fatto del male a nessuno.” Weems stava quasi per mettersi a piangere e chiese ancora aiuto alla donna che era di fronte a lui.
    “Non sembra l’uomo che abbiamo arrestato la prima volta. Era rabbioso, ci inveiva contro...” JJ era molto perplessa ed esprimeva ad alta voce i suoi dubbi, mentre Spencer sembrava fin troppo concentrato nei suoi pensieri. Non aveva nemmeno risposto alla ragazza.
    “Vogliamo crederti,” cercò di tranquillizzarlo Prentiss, “dove eri ieri sera?” continuò poi con la dolcezza che la caratterizzava.
    “Se sei veramente innocente non avrai problemi a rispondere...” le parole di Derek coprirono con un filo di sarcasmo l’esitazione dell’uomo.
    “Io...ero...facevo un turno al centro. Era fuori dal mio normale orario, e prima che possiate domandarmelo, nessuno può confermare il mio alibi.” Il suo tono di voce era sconfitto, sapeva che la mancanza di testimoni l’avrebbe fatto restare in cima alla lista dei sospettati.
    “È troppo calmo, c’è qualcosa che non va.” Reid era finalmente esploso confermando le preoccupazioni di JJ, si voltò di scatto prima di lasciare l’anticamera diretto chissà dove. La donna rimase sola oltre quel vetro ad ascoltare la conclusione di un interrogatorio svoltosi in maniera contraria alle aspettative di tutti.
    “Sai cosa significa questo, Ronald?” chiese Morgan avvicinandosi all’uomo. Non gli lasciò nemmeno il tempo di rispondere, aprì le manette e lo sollevò dalla sedia per trascinarlo violentemente fuori dalla stanza, lasciandolo poi alla custodia delle guardie. Era in stato di fermo.
    “Troppo semplice...” Emily scuoteva la testa mentre raggiungeva la collega che era dubbiosa quanto lei. “C’è qualcosa che non mi convince.”
    L’agente Jareau rispose alla donna ponendo l’attenzione sul comportamento tenuto dall’uomo, “È troppo calmo, anche in una situazione di stress, mostra un autocontrollo non indifferente. Anche quando stava per agitarsi, più che rabbia, la sua sembrava paura.”
    “Penso che questo è il caso che abbiamo chiuso in minor tempo...” le interruppe Derek raggiante avvicinandosi a loro.
    “Aspetta a cantar vittoria...” la voce di Rossi anticipò il suo arrivo. I tre agenti si voltarono verso l’ingresso per vederlo entrare sorridente.
    “Ci sono novità dalla scena del crimine.” intervenne Hotchner serio, facendo segno a tutti di dirigersi verso la sala dal tavolo rotondo.
     
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    CAPITOLO 7

    Il dottor Reid aveva abbandonato carico di dubbi l’anticamera di quella sala interrogatori. Aveva sperato che arrestare Weems avrebbe significato fugare una volta per tutte i suoi dubbi. E invece la visione di quell’uomo, completamente diverso dal Ronald che ricordava, non aveva fatto che accrescerli.
    Aveva percorso in tempo record il corridoio fino all’ufficio di Garcia e aveva bussato cautamente, aprendo poi la porta senza attendere una risposta.
    “Che notizie porti forestiero?” Penelope lo accolse voltandosi con la sedia verso l’ingresso.
    “Non buone...” rispose il ragazzo avvicinandosi a lei. “Puoi cercare altre informazioni su Ronald Weems e scavare più a fondo?” chiese poi.
    La maga del computer si voltò nuovamente verso gli schermi chinandosi sulla tastiera e iniziando a far saettare le sue dita mentre si rivolgeva a Spencer. “Cucciolo penso di aver trovato tutto il necessario ma si può sempre fare un tentativo. Cosa cerchiamo esattamente?”
    “Ho bisogno di informazioni sulla condotta carceraria del nostro sospettato.” rispose il giovane cominciando a camminare avanti e indietro alle spalle della donna concentrata sulla ricerca.
    “Oh. Mio. Dio.” Esclamò Garcia. Reid corse verso di lei abbassandosi verso lo schermo. Aveva aperto un file che la prima volta aveva ignorato perché non riguardava le ultime informazioni sull’uomo. Ma ora era decisamente una notizia fondamentale. I due si voltarono l’uno verso l’altra guardandosi intensamente prima che Spencer rompesse il silenzio.
    “Vai più a fondo.” Le disse come se fosse un ordine e rimase a bocca aperta mentre la donna cercava altri rapporti sulla vicenda.

    I cinque agenti dell’FBI avevano preso posto intorno al tavolo rotondo pronti a sentire cosa Hotch e Rossi avevano da dire loro sulla scena del crimine, quando un trafelato Spencer Reid varcò la soglia correndo e tenendo tra le mani un foglio. “Ho scoperto qualcosa.” Disse nell’affanno della corsa. Poi si arrestò dopo aver capito che i suoi colleghi stavano per discutere di qualche cosa.
    “Prima tu Reid...” lo invitò infine a parlare Aaron.
    Spencer iniziò a riportare, “Dunque, il comportamento di Weems non mi convinceva e ho fatto fare delle ricerche a Garcia. Risulta che in prigione ha tentato il suicidio, ma l’hanno salvato in tempo. Lo stato di frustrazione era arrivato al limite, hanno richiesto una perizia psicologica e il dottore ha optato per tenerlo in cura farmacologica, con farmaci che lo rendono tranquillo, mascherando il suo lato furioso e aggressivo. E quei farmaci non ha mai smesso di prenderli, l’ultima ricetta con relativo acquisto è di qualche giorno fa.”
    “Questo significa che non può aver commesso l’omicidio?” chiese sorpreso Derek.
    “Non dico che è impossibile, ma c’è un alta percentuale statistica che sia così...” concluse il giovane con una smorfia lasciando sul tavolo il foglio su cui erano scritte le informazioni appena riferite.
    “Se non abbiamo prove concrete non possiamo scagionarlo.” Li informò Hotch come se stesse solo riflettendo ad alta voce.
    “Si potrebbe condurre un’analisi per sapere se il farmaco è in circolo o sta solo fingendo?” suggerì Rossi.
    “Potremmo tentare questa strada.” accordò l’agente Hotchner uscendo dalla sala per telefonare.
    “La scena del crimine?” chiese Emily richiamando l’attenzione di tutti.
    “Anche la scena sembra dire che non si tratti di Weems,” cominciò David, “innanzitutto i capelli non sono rimasti lì, l’S.I. li ha portati con se. Poi c’era troppo caos, non sembra per nulla la scena di un assassino che ha già ucciso altre volte. Le ferite lasciate sul corpo durante l’agonia sembrano suggerire una lama corta, diversa da quella con cui è stato inferto il colpo mortale. Però nessuna prova organica sembra disponibile, quindi il nostro uomo è organizzato. Ha ripulito tutte le tracce che potevano farlo incastrare.”
    “O forse si sta organizzando e perfezionando...” rifletté Derek ad alta voce interrompendo il collega. Lo sguardo di tutti saettò poi verso Spencer che aveva fatto cadere a terra alcuni fogli. Sembrava nuovamente turbato.
    “Cosa vuoi dire?” intervenne Emily.
    “Voglio dire che potrebbe trattarsi di qualcun altro, magari un imitatore, e questo forse è il suo primo omicidio. Non conosce a fondo i dettagli degli omicidi di Weems e deve ancora migliorare la sua tecnica.”
    Aaron rientrò nella stanza ordinando a JJ di comunicare alla stampa che avevano arrestato un uomo per l’omicidio di una prostituta. “Non dire nulla dei dubbi che si hanno. Se si tratta di un altro S.I., si farà avanti per farci capire lo sbaglio.”
    “Consideralo fatto.” Rispose la coordinatrice del rapporto con i media alzandosi e avviandosi velocemente verso il suo ufficio.
    “Noi intanto concentriamoci sul profilo, se Ronald Weems si rivelerà innocente, dobbiamo avere pronto qualcosa da comunicare alle forze dell’ordine.” Continuò l’agente supervisore.
    “Proporrei di seguire sia la linea dell’imitatore che quella di un nuovo S.I.” suggerì Rossi.
    “Per quanto riguarda l’imitatore, Reid, appena finiamo questa riunione vai al carcere dove era detenuto il nostro sospettato e fatti dare delle informazioni, magari una lista, sulle visite che ha ricevuto.”
    Un semplice cenno del capo di Spencer aveva comunicato il suo assenso.
    “Ora concentriamoci sul profilo.” disse Hotch prendendo posto con gli altri intorno al tavolo. Solo il piccolo genio era rimasto in piedi e non stava fermo un attimo.
    “Pugnalata e nessuna violenza sessuale, impotente?” chiese Morgan poggiandosi con i gomiti sul tavolo.
    “Potrebbe essere un’idea, la lama che perfora la pelle potrebbe sostituire la reale violenza fisica per lui impossibile. Potrebbe avere anche un senso di inadeguatezza.” Aggiunse Emily.
    “Le colpisce di notte, quando sono più attive e a caccia di prede, quindi sicuramente vuole mascherare la sua inadeguatezza. Non accetta la sua impotenza e cerca le prostitute per salvare il suo onore.” Continuò il dottor Reid dondolandosi sulle gambe con le mani in tasca.
    “Sprezzante e organizzato. Si eccita con la violenza, quindi direi che si tratta di un sadico sessuale. Non prova in nessun altro modo piacere se non guardando soffrire la vittima.” Concluse Rossi.
    “Se la scena del crimine è caotica perché è alle prime armi, potrebbe essere giovane.” Propose Derek prima di essere interrotto da Hotch che ricordò di dover comunicare qualcosa.
    “Mi hanno accordato l’analisi per Ronald Weems. Fra un’ora, io e Prentiss andiamo ad assistere che tutto sia fatto nella più totale correttezza.” Poi un ticchettio alla porta li fece voltare tutti verso l’ingresso.
    “Scusate, ho qui i risultati sulla ricerca di Nancy Sulligan. Non ho trovato molto ma è sempre un punto di partenza.” Penelope appoggiò delicatamente un foglio sulla tavola per poi voltarsi e tornare nel suo ufficio.
    “La nostra vittima...” spiegò Emily per chi non sapeva di chi si trattasse seguendo con gli occhi David che prendeva il fascio di carta portato da Garcia.
    “Io e Morgan restiamo qui ad indagare sulla vittima,” Rossi scorse velocemente con gli occhi le informazioni sul foglio. “Andremo ad interrogare la famiglia...beh, quello che ne resta.”
    “Ci rivediamo nel tardo pomeriggio per aggiornarci sugli sviluppi.” Hotch sciolse la riunione alzandosi e lasciando la sala.

    “Agente Speciale Jennifer Jareau. Devo riferire un comunicato dell’FBI, fra mezz’ora alla sede della BAU di Quantico si terrà una conferenza stampa in merito all’omicidio di una prostituta...” La giovane stava parlando al telefono con le testate giornalistiche di Washington per invitarli a partecipare alla conferenza nella quale avrebbe dato i dettagli necessari per loro per cercare di arrestare la giusta persona.
    Il lavoro per JJ era questo. Trovare sempre le parole giuste da dire, mandare sempre il messaggio più corretto perché l’assassino cadesse nella trappola tesa da loro esperti profiler. Era tutta una questione di retorica.
    Quello che doveva fare nella prossima conferenza era far credere alla stampa che il caso era risolto. Per gli S.I. ogni assassinio era un’opera d’arte, e quasi mai erano felici di vedere i loro lavori attribuiti alle persone sbagliate. A quel punto scattava in loro il bisogno di rivendicare la propria azione, di far capire che era stato commesso un grande errore. Dovevano rimediare. E loro li avrebbero aspettati al varco.
    “La ringrazio.” Disse la donna rimettendo la cornetta al suo posto. E con quella aveva concluso le telefonate. Si alzò dalla sedia del suo ufficio e si avviò verso l’appendi abiti per indossare la giacca che era appesa lì. Sarebbe passata dal bagno per rinfrescarsi prima di mettersi davanti alle telecamere ed andare in onda.
    Sapeva che la maggior parte delle volte la rivendicazione che aspettavano arrivava con un altro cadavere. Era una cosa orribile, ma molte volte necessaria. E aveva imparato anche dopo anni di esperienza a non ritenersene colpevole. Lei faceva solo il suo lavoro, l’omicidio nasceva solo dalla mente perversa del loro S.I. Inutile dire che se riuscivano a prenderlo prima che uccidesse di nuovo, lei riteneva la vittoria doppiamente fondamentale.
    Prese fiato per l’ultima volta e uscì dal suo ufficio per avviarsi verso il bagno quando vide Rossi e Morgan uscire dall’open space. Li raggiunse per sapere gli ultimi svolgimenti e li incontrò davanti agli ascensori.
    “Qualche novità?” chiese JJ.
    “Stiamo andando ad interrogare la famiglia di Nancy Sulligan, la prima vittima. Ci servirebbe proprio il tuo aiuto.” Le rispose Dave con voce sconfitta per la realtà che avrebbero dovuto affrontare in quella casa.
    “Ho una conferenza stampa da tenere fra meno di mezz’ora.” Si scusò la ragazza. “Gli altri?” domandò.
    “Hotch e Prentiss resteranno qui in attesa di sottoporre Weems al test,” cominciò a spiegare Derek, “nel caso di risultato positivo abbiamo già un profilo da rilasciare alla polizia. Reid intanto è andato in carcere per informarsi sulle visite ricevute dal nostro sospettato.”
    “Solo?” esclamò JJ interrompendolo.
    “Si, ce la farà. È forte.” La rassicurò Morgan mettendole una mano sulla spalla prima di congedarsi ed entrare con David nell’ascensore.
    L’agente Jareau vide le porte scorrevoli chiudersi tra se e i colleghi, tirò un sospiro e si avviò verso il bagno. Si bagnò il viso con l’acqua gelida, poi rimase qualche secondo a guardarsi allo specchio. Quando sentì di essere pronta si asciugò, richiuse il rubinetto e si avviò decisa verso la stanza in cui si sarebbe data in pasto ai giornalisti.
     
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    CAPITOLO 8

    La presa sul volante era salda, ma la mente di Spencer vagava senza sosta. Si soffermava specialmente su quella notte di quattro anni prima. La paura e il dubbio erano ancora vivi sulla sua pelle, ricordava ogni minimo dettaglio. E faceva male, molto male.
    Il carcere in cui era stato detenuto Ronald Weems non era molto lontano da Quantico, quindi il ragazzo lo raggiunse in fretta. Posteggiò il SUV accanto al marciapiede e si prese qualche minuto per rilassarsi. Per quanto questo fosse possibile.
    Il tempo passava ma l’ansia era sempre tanta. Aveva paura delle risposte che avrebbe potuto ricevere dalle persone che avrebbe incontrato a breve. Ma quello era il suo lavoro e non poteva tirarsi indietro.
    Con un ultimo profondo sospirò avvicinò le dita alla maniglia dello sportello e la tirò verso di sé. I battiti del cuore erano accelerati e poteva sentirli fino alle punte delle dita. Ogni emozione era amplificata al massimo. Mise un piede sull’asfalto e poi l’altro, voltandosi per richiudere il veicolo prima di lanciare un ultimo sguardo preoccupato all’edificio di fronte a sé. Poi si lasciò inghiottire.
    Percorreva l’ingresso del carcere sfregando le mani l’una contro l’altra, diretto verso una guardiola dove gli avrebbero indicato a chi rivolgersi.
    “Agente Speciale Spencer Reid.” Disse il ragazzo mostrando il distintivo all’uomo in divisa al di là del vetro. “Desideravo...si insomma, volevo parlare con la guardia che si è occupato di Ronald Weems. È stato mandato in prigione quattro anni fa ed è stato rilasciato la settimana scorsa per buona condotta...” a Spencer non sembrava quasi vero essere riuscito a dire tutte quelle parole senza balbettare troppo. Ora in attesa di una risposta riprendeva fiato.
    “Controllo il registro.” Rispondeva l’uomo alzandosi dalla sua sedia e avviandosi sul retro in una sorta di archivio. L’agente federale nel frattempo si guardava intorno spaventato.
    “Arthur Cale.” Il grido dell’uomo dall’interno della stanza lo fece voltare nuovamente dopo alcuni minuti. “Arthur Cale,” ripeté l’ufficiale avvicinandosi, “è nella stanza dei colloqui al momento. Può andare e se non è impegnato può parlargli anche subito.” Lo congedò l’uomo riprendendo posto sulla sedia a lui assegnata. Reid alzò una mano in segno di saluto e si avviò seguendo le indicazioni che lo avrebbero portato alla stanza indicatagli.

    Morgan stava bussando delicatamente alla porta dell’appartamento dove viveva Nancy Sulligan prima che fosse brutalmente uccisa la notte precedente. Nel frattempo Dave osservava il corridoio di quel palazzo. Le pareti erano distrutte, tutto era particolarmente vecchio e malandato.
    Nessuno era venuto ad aprire, ma il portiere li aveva informati che il padre della ragazza era in casa, quindi Derek bussò nuovamente. Dopo una lunga attesa un rumore di chiavistello li avvertì che qualcuno stava finalmente aprendo la porta, che videro allontanarsi dal muro lasciando intravedere un viso sconvolto.
    “Agente Morgan e Agente Rossi, FBI. Possiamo entrare?” disse Derek mentre David si avvicinava a lui.
    L’uomo all’interno della casa chiuse il battente senza proferire parola e dopo aver sganciato la catenella lo riaprì permettendo l’ingresso nell’appartamento ai due federali.
    Rossi lo vide camminare sconfitto all’interno della casa, e non appena superata la soglia e richiusa la porta, un forte odore di alcol lo investì. Si scambiò un’occhiata con Derek e entrambi capirono che sarebbe stato più difficile di quanto avevano immaginato.
    “Signor Sulligan, dovremmo farle qualche domanda...” intervenne David seguendo l’uomo verso la cucina. Lo vide versarsi l’ennesimo bicchiere di alcolico. Ancora non proferiva parola.
    Nel frattempo Morgan stava osservando le pareti spoglie della casa, bianche e scrostate dal tempo. Nessuna fotografia, nessun quadro, niente che potesse far intendere che quella casa era abitata. Era un piccolo monovano con cucina, ma vi era un solo letto. E nessun altro mobile oltre ad un tavolo, due sedie e una cassettiera consumata.
    “Cosa volete?” chiese infine l’uomo nel silenzio che si era creato. La sua voce era particolarmente cantilenante.
    “Vorremmo farle qualche domanda su sua figlia Nancy.” Aggiunse David, mentre l’uomo mandava giù l’ennesimo bicchierino.
    “Non è ancora tornata, ed è una cosa normale. Spero non sia andata a spendere i soldi che guadagna, sa che servono a me.” si lasciò quindi andare ad una fragorosa risata.
    Dave sapeva che in quel momento il signor Sulligan non era in grado di capire nemmeno la frase più banale, ma doveva tentare. “Nancy, non credo che tornerà...è stata uccisa ieri sera.”
    Nessuna reazione da parte dell’uomo. Continuava a giocherellare con la bottiglia che teneva tra le mani senza nessuna espressione in viso.
    “Rossi, andiamo. Non riusciremo a sapere nulla da lui, saremo più utili in ufficio.” Lo incitava Derek avvicinandosi ai due uomini che tentavano di intrattenere una conversazione impossibile.
    “Ve l’ho già detto. Nancy lavora e torna quando le pare. Se aspettate magari la incontrate e potete chiedere direttamente a lei tutto quello che volete...” si intromise l’uomo prima di vuotare nella sua bocca la bottiglia di liquore.
    I due agenti decisero di abbandonare ogni speranza di ricavare qualche informazione da quell’uomo. Si congedarono e si diressero verso l’ingresso senza che nemmeno il signor Sulligan li accompagnasse. Si richiusero la porta alle spalle e decisero di tornare in ufficio.

    Spencer aveva depositato l’arma nella cassetta di sicurezza, procedura non certo nuova per lui, prima di entrare nella sala dei colloqui. Si era avvicinato ad una guardia mostrando il distintivo. “Agente Speciale Spencer Reid, desideravo parlare con Arthur Cale.”
    L’uomo fine ed elegante sorrise a Spencer rispondendogli, “Sono io, mi segua.” Lo accompagnò così a sedersi in un angolo tranquillo. “Al momento non sono impegnato, quindi mi dica, cosa desidera?”
    “Ehm...io volevo delle informazioni riguardo a Ronald Weems, era sotto la sua custodia fino alla sua scarcerazione qualche giorno fa.” chiese timidamente Reid che aveva gentilmente rifiutato di sedersi. I due uomini erano quindi rimasti in piedi per parlare.
    “Si, mi ricordo benissimo di lui. I primi tempi era irrequieto, non lo si poteva lasciare solo un momento. Il tentativo di suicidio, oh Dio, è successo tutto in un secondo. Mi sono voltato ed era appeso alle sbarre. Per fortuna l’abbiamo salvato in tempo. Poi dopo la visita e la cura è diventato un’altra persona.” Spiegò brevemente la guardia.
    “Ha ricevuto visite durante la detenzione?” la voce del giovane era sempre più insicura ora che era arrivato alla domanda che gli interessava maggiormente.
    “Mai nessuno...anzi ora che ci penso, poco prima di cercare di togliersi la vita ha ricevuto la visita della moglie. È stata l’unica persona con cui lo abbia mai visto parlare. Una donna timida e riservata, quasi si spaventava ad aggirarsi in un luogo del genere. Peccato che fosse venuta ad avvisarlo che avrebbe al più presto richiesto il divorzio.”
    “Nessuno lo ha mai avvicinato in nessuna situazione?” Spencer voleva un’ulteriore conferma, più per dubbi personali che per questioni di procedura.
    “No, o almeno, non in mia presenza. Ma cosa gli è successo?” i suoi occhi erano seriamente preoccupati.
    Il dottor Reid rifletté qualche secondo sulla possibilità di informare l’uomo. Infine rispose, “Ieri sera è stata uccisa una prostituta, e gli indizi indicano che possa essere opera di Weems.”
    “La stessa ragione per cui è stato portato dentro. Mi dispiace non potervi aiutare, ma se mi verrà in mente qualcosa vi informerò subito.” Con queste parole Cale afferrò il biglietto da visita portogli da Spencer, che prontamente accompagnò verso l’uscita. Dopo una stretta di mano, lasciò che il giovane uscisse e richiuse la porta della sala colloqui.
    Reid recuperò la pistola dalla cassetta e se la rimise alla vita. Poi si avviò lungo il corridoio del carcere in direzione della strada.
    Varcato il portone ricominciò a respirare a pieni polmoni. Quello che temeva non si era avverato, non ancora. Estrasse il cellulare dalla tasca e compose il numero dell’agente Hotchner.
    “Hotch, Weems non ha ricevuto nessuna visita in carcere. Dobbiamo escludere la possibilità di un imitatore?” chiese al capo che lo ascoltava dall’altra parte dell’apparecchio.
    “Non è ancora detta l’ultima parola, magari ha avuto notizie del delitto senza mettersi in contatto direttamente con lui.” Replicò Aaron. “Ora ti devo lasciare, stiamo per iniziare l’esame sul sospettato.”
    “Un’ultima cosa. Verrà eseguito a Quantico?” continuò il giovane mentre raggiungeva la macchina e toglieva l’antifurto.
    “Si, Reid. Torna in ufficio e aspetta gli altri.” Concluse il supervisore capo prima di riagganciare.
    Spencer si sedette al volante e mise subito in moto. Aveva bisogno di incontrare Ronald Weems e questa volta da solo. Doveva fargli delle importanti domande.

    Emily Prentiss stava attendendo dentro la sala che era stata allestita per effettuare le analisi al loro sospettato. Weems era già sistemato, ma aveva ordinato di non procedere quando il suo collega aveva lasciato la sala per rispondere al cellulare.
    La donna non smetteva di osservare quell’uomo che si lasciava spostare, legare e fare qualsiasi cosa senza nessuna obiezione. Sorrideva, ma nello stesso tempo l’agente Prentiss poteva notare una leggera paura nei suoi occhi.
    “Scusatemi, possiamo procedere.” La voce di Aaron arrivò dalla porta mentre rientrava e si posizionava accanto alla collega.
    “Novità?” chiese Emily, mentre i medici si avviavano ad effettuare l’analisi.
    “Era Reid, nessuna visita al carcere.” La informò Hotch, non distogliendo lo sguardo dalla scena che si svolgeva davanti a loro.
    “Dobbiamo supporre che il probabile imitatore sia venuto a conoscenza dei dettagli degli omicidi in altro modo?”
    “Probabile...speriamo che la conferenza stampa di JJ smuova le acque abbastanza da farci avere qualche risposta positiva da parte del nostro S.I. Sempre che non lo abbiamo già sotto gli occhi.” Hotchner indicò con il mento l’uomo che aveva di fronte e che stava seguendo con attenzione ogni movimento dei medici che gli stavano intorno.
    “Non lo so. Non credo c’entri qualcosa.” Sospirò la donna, tornando anche lei a concentrarsi sull’esame che si stava svolgendo in quella sala.
     
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    CAPITOLO 9

    Non appena Jennifer si era avvicinata alla sala dove avrebbe tenuto la conferenza stampa era stata assalita da luci, telecamere, microfoni. Tutti erano in ansia per avere le ultimissime notizie su quello che stava accadendo alle prostitute di Washington.
    “Agente Jereau, l’avete preso?”
    “La prego, ci dica se dobbiamo preoccuparci a girare per le strade.”
    “Può mostrarci le foto dell’omicidio?”
    “Abbiamo un nuovo seriale sulle strade di Washington?”
    JJ si faceva largo tra quella gente invadente. “Vi prego, saprete tutto durante la conferenza. Non posso rilasciare ulteriori dichiarazioni.”
    Con qualche difficoltà l’agente Jareau aveva raggiunto il leggio con il simbolo dell’FBI posto di fronte ad una serie di file di sedie stracolme di gente che attendeva che lei iniziasse a parlare.
    I flash e le luci continuavano a darle fastidio agli occhi mentre sistemava i tre microfoni che campeggiavano su quella struttura di legno. Piano piano il ronzio causato da tutte quelle persone stipate in una sola stanza si stava affievolendo.
    Quando finalmente ci fu silenzio, JJ si schiarì la voce prima di cominciare a parlare. “Devo riferire un comunicato dell’FBI.” Prese un leggero respiro profondo e poi continuò con voce ferma, “Ieri sera in città c’è stato un omicidio. Una prostituta ha perso la vita in circostanze che fanno pensare all’opera di un uomo che è già sotto la custodia della nostra squadra.”
    “Si tratta di un seriale?” chiese interrompendola un giornalista del pubblico.
    “Al momento non abbiamo avuto segnalazioni di altri omicidi riconducibili a quello di ieri sera.” Rispose professionalmente JJ.
    “E allora perché è stato richiesto l’intervento dell’Unità Analisi Comportamentale?” intervenne quindi un’altra giornalista.
    “L’uccisione sembra collegata ad un caso che è stato seguito da questa squadra quattro anni fa.” Non era facile per Jennifer far sembrare l’arresto definitivo, ma nello stesso tempo non dare nessuna certezza. Sapeva che se avesse esagerato nel sottolineare la sicurezza che Weems fosse colpevole e si fosse rivelato innocente, la squadra, la BAU, avrebbe perso di credibilità. Ma nello stesso tempo il reale S.I., qualora fosse stato ancora a piede libero e stesse ascoltando le sue parole, doveva convincersi che qualcun altro si stava prendendo il ‘merito’ delle sue azioni.
    “Le prostitute di Washington potranno quindi stare tranquille stanotte?” aveva chiesto a bruciapelo un autorevole signore che lavorava per qualche grossa testata del luogo. La domanda aveva mandato in confusione JJ per qualche secondo. Ma si era prontamente ripresa.
    “Vorrei poterle dire che preso un assassino, non ce ne saranno altri in giro. Ma purtroppo non è così...lavoriamo per cercare di consegnare alla giustizia la maggior parte di questi psicopatici. Ma qualcuno è sempre pronto ad uccidere non appena voltiamo le spalle.” La diplomazia era sempre stata il suo forte, non a caso era la coordinatrice del rapporto con i media dell’FBI. Non avrebbe mai cambiato ruolo in quella squadra. La vicinanza con i suoi colleghi le stava facendo acquisire qualche nozione di profiling. Ma d’altronde anche nella scelta dei casi doveva cercare di fare una sorta di profilo preliminare per decidere la migliore destinazione per la squadra. Ma lei non era una profiler. “Se ci saranno ulteriori sviluppi, vi saranno comunicati al più presto.” Affermò infine scendendo dal leggio e avviandosi fuori dalla sala prima di poter essere raggiunta dai giornalisti, desiderosi di qualche altra informazione che lei non poteva rilasciare.
    Non restava altro da fare che aspettare.

    “I risultati saranno pronti al più presto, abbiamo dato loro la massima priorità su tutto il resto.” Affermò il coordinatore delle analisi appena eseguite su Ronald Weems stringendo vigorosamente la mano dell’agente Hotchner.
    Aaron restituiva la stretta, prima di incamminarsi dietro a Prentiss verso l’uscita della sala. Le guardie stavano ammanettando nuovamente il sospettato per riaccompagnarlo nella cella.
    Non appena Hotch ed Emily rimasero soli, lui prese la parola. “Non sappiamo cosa diranno questi risultati. Non possiamo restare con le mani in mano mentre attendiamo i risultati. Appena arrivano tutti consegneremo il profilo preliminare che abbiamo steso alla polizia. Dobbiamo essere un passo davanti a lui, se realmente Weems è innocente.”
    L’agente Prentiss rispose scuotendo il capo e avviandosi verso l’open space. Aveva bisogno di un caffè.

    Spencer si era precipitato a Quantico con la speranza di poter vedere il loro sospettato e poter scambiare qualche parola con lui. L’attesa per l’ascensore gli era sembrata infinita. Aveva varcato in fretta le porte della sala comune per trovarsi di fronte Emily che si avviava a prendere un caffè nell’area relax.
    “Reid, perché tutta questa premura?” lo fermò lei guardandolo dubbiosa.
    “Io...beh, si insomma...Weems dov’è?” chiese invece lui a bruciapelo dopo una prima esitazione.
    “L’hanno riportato in cella, perché hanno finito le analisi. Perché?” si informò lei. Tutta quella situazione si faceva sempre più strana.
    “No, niente. Curiosità!” concluse lui con un tono poco convincente prima di avviarsi alla sua scrivania.
    Prentiss l’aveva seguito con lo sguardo, poi si era ricordata. “Reid, Hotch ci vuole tutti per presentare il profilo preliminare alle forze dell’ordine.” richiamò la sua attenzione per quella comunicazione.
    Lui aveva risposto scuotendo semplicemente il capo prima che lei continuasse il suo cammino fino all’agognato caffè. Aveva raggiunto la sua scrivania e aveva abbandonato su questa la sua tracolla. Poi si era lasciato andare sulla sedia stropicciandosi con forza il viso e gli occhi. Sperava di svegliarsi da un momento all’altro dall’atroce incubo in cui era rimasto intrappolato. Ma questo non sarebbe successo.

    Un lieve bussare alla porta aveva riscosso JJ dal rilassamento a cui si era abbandonata sulla poltrona del suo ufficio. “Avanti!” disse rivolta alla porta, rimettendosi composta. La porta si aprì lentamente e vide affacciarsi il viso di Hotch.
    “Come è andata la conferenza?” le chiese entrando e richiudendosi la porta alle spalle.
    “Al solito. Sono ancora brava a combattere contro i giornalisti!” rispose lei abbozzando un sorriso e facendo cenno al suo capo di accomodarsi nella sedia di fronte a lei.
    “No grazie, sono solo passato per dirti di chiamare Derek e David e vedere fra quanto arrivano. Dobbiamo consegnare il profilo alla polizia.” Ribatté cordialmente Aaron, mentre Jennifer prendeva già tra le mani il telefono.

    “Rossi!” Dave rispose prontamente al cellulare scambiandosi poi uno sguardo con Derek che era al volante del SUV.
    “Hotch vuole consegnare il profilo preliminare alla polizia. Vi aspettiamo?” chiese JJ al suo interlocutore sotto lo sguardo vigile di Aaron.
    “Non penso che riusciremo ad essere lì a breve e soprattutto non portiamo nessuna nuova notizia. Vi spiegheremo poi con calma, ma intanto procedete pure senza di noi.” Ribattè deciso David, prima di congedarsi e chiudere il telefono.
    “Cosa volevano?” chiese Morgan non distogliendo l’attenzione dalla strada.
    “Hotch vuole dare il profilo alle forze dell’ordine, volevano sapere se dovevano aspettarci.” Rispose Rossi rimanendo poi a fissare il collega pensieroso. “Ho come l’impressione che ci sia qualcosa di veramente grosso e importante dietro a questo caso,” continuò poi, “ma che nessuno di voi vuole dire ad alta voce, come per paura che diventi reale.”
    “Credimi. È meglio così...” lo interruppe lapidario Derek prima di schiacciare a fondo l’acceleratore con la voglia di arrivare a Quantico il prima possibile e tenersi impegnato in qualcosa che non gli facesse pensare a quella notte di quattro anni prima.

    “Possiamo procedere senza di loro.” Comunicava JJ al suo capo mentre riponeva il telefono.
    Un cenno del capo di Aaron e si era già avviato fuori dalla porta, lasciando Jennifer di nuovo sola nel suo ufficio deserto.
    Fece le dovute telefonate per radunare le forze dell’ordine per ascoltare il profilo. Poi si prese qualche minuto per rilassarsi, e quando si sentì pronta si avviò verso l’open space per un caffè.
    Varcando la porta a vetri vide Spencer alla sua scrivania, si stropicciava il viso con le mani ed era immerso nei suoi pensieri, che JJ poteva solo lontanamente immaginare. Non riusciva a smettere di fissarlo, ma poi si decise a dirigersi verso la macchina del caffè, dove incontrò Emily che sorseggiava dalla sua tazza.
    Sorrise alla collega e si mise ad armeggiare con la moka per prepararsi la sua razione necessaria di liquido bollente.
    “Sosterrà tutta questa pressione?” esordì Prentiss catturando l’attenzione di Jennifer che si voltò verso di lei interrogativa. Un cenno del capo verso il genietto fece capire a JJ a cosa esattamente si riferisse la collega.
    “Me lo auguro per lui.” Rispose lei cominciando a soffiare per cacciar via il fumo che saliva dalla tazza che stringeva tra le mani. “Dobbiamo consegnare il profilo alla polizia.” Disse poi decisa a cambiare discorso.
    “Lo so. Sarà una notte lunga.” Riprese Emily voltandosi verso la collega. “I risultati dell’esame arriveranno fra qualche ora, e penso che saranno la risposta definitiva per decidere la direzione di questa storia.” Concluse.
    Le due donne sospirarono in silenzio prima che Hotch si affacciasse dal suo ufficio facendo loro cenno che erano pronti a cominciare.

    “Penelope Garcia, cerca di trovare qualcosa. Hai già sorvolato su un dettaglio della vita di quel lurido verme, cosa ti sta sfuggendo ora sulla piccola Nancy?”
    Il tecnico informatico continuava a parlare da sola davanti alla sua multi task risoluta a trovare il dettaglio da fornire come appiglio alla sua squadra. Ma la vita di una prostituta era la vita di un fantasma. Non lasciavano nessuna traccia da poter percorrere passo dopo passo. Niente di niente.
    Della vittima era riuscita a trovare solo un certificato di nascita, da cui era risalita al nome del padre, e solo tramite quello aveva reperito l’indirizzo. Il padre, un altro personaggio della feccia umana, alcolizzato, senza un impiego.
    Ma aveva bisogno di altro Penelope, un piccolo magari all’apparenza insignificante particolare.
    “Pensa come una donna indifesa...tuo padre non ti aiuta, anzi...” continuava con le sue teorie ad alta voce, quando iniziò a digitare freneticamente sulla sua tastiera tecnologica. Improvvisamente davanti ai suoi occhi un file lampeggiava con un avviso.
    “Aprire?” ripetè a se stessa Garcia. “Mostrami le tue meraviglie bellezza!” si rispose da sola prima di inviare il comando al suo sistema.
     
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    CAPITOLO 10

    La folla di poliziotti era in attesa delle delucidazioni in merito al profilo che avrebbe dato loro la squadra dell’agente Hotchner. I tre profilers erano pronti per cominciare. Il primo a prendere la parola fu proprio l’agente supervisore. “Come sapete, abbiamo già un sospettato sotto custodia, ma nel caso in cui non sia opera sua vi consegneremo un profilo dell’S.I. che cerchiamo.” cominciò Aaron.
    “Vi preghiamo di non diffondere il profilo e la notizia che ci sono dei dubbi sull’uomo arrestato.” Intervenne JJ, prima di mettersi di lato e lasciare la parola ai profilers.
    “Crediamo si tratti di un imitatore di Ronald Weems, l’uomo che abbiamo fermato. Costui uccideva le prostitute perché sentiva messa in minoranza la sua voce a sostegno dell’approvazione di un progetto di legge che prevedeva la diminuzione del crimine a Washington.” Riprese il capo.
    “Il nostro S.I. potrebbe invece essere mosso da sadismo sessuale. Non ha altri motivi per uccidere e ferire le vittime se non quella di provocarsi un piacere fisico, non altrimenti raggiungibile.” Spiegò Emily.
    “Crediamo che possa essere alle prime armi perché il tasso di disorganizzazione è evidente, anche se manifesta un’organizzazione che gli permette di non lasciare tracce. Sta migliorando e si sta evolvendo. Motivo per cui crediamo che attaccherà di nuovo. Data questa possibilità potrebbe essere molto giovane. È un elemento disturbato, vive con disagio la sua sessualità, non lega facilmente con gli altri.” Fu la volta del dottor Reid. La voce gli tremava particolarmente.
    “È il caso di pattugliare le strade?” chiese un agente.
    “Sicuramente si, alcuni dei miei uomini saranno in strada, potranno affiancarvi.” Informò Hotch.
    “Se non ci sono altre domande...” scherzò l’agente Rossi entrando con Morgan dalla porta. Un raro sorriso dell’agente supervisore congedò poi tutti gli uomini in divisa.
    Non appena la sala fu deserta, David si lasciò andare su una sedia grattandosi il mento. Alle sue spalle Derek prendeva posto attorno al tavolo e si stropicciava visibilmente la testa. “È stato devastante interrogare la famiglia di Nancy. In casa c’era solo il padre, ubriaco.”
    “Non ha nemmeno capito cosa è successo a sua figlia. Diceva che era una cosa perfettamente normale che non si fosse ritirata a casa. Capitava spesso. Non gli abbiamo nemmeno mostrato le foto, sarebbe stato inutile.” Intervenne Rossi decisamente spiazzato da quello che avevano appena vissuto.
    “Immagino che non avete scoperto molto quindi.” Chiese timidamente Jennifer.
    “Un profilo della casa è il massimo che potevamo fare. Di certo a lavoro non guadagnava troppo, o meglio, quello che guadagnava lo spendeva il padre per bere. Pareti spoglie. Una casa che per quanto riguarda lei era solo un appoggio per i momenti in cui non lavorava. Un solo letto, pochi mobili...” Espose Morgan.
    “Ma d’altronde le prostitute vengono scelte il massimo delle volte perché sono facili da trovare, giusto?”
    Hotch scosse il capo in direzione di Emily che aveva appena ricordato quel dettaglio, poi passò ad assegnare gli incarichi. “Derek te la senti di uscire di nuovo?”
    “Certo, Hotch.”
    “E allora vai con Prentiss a pattugliare le strade. Io resto qui in attesa dei risultati dell’esame.” Gli ordinò mentre già l’agente si alzava per andare fuori con Emily.
    “Resto anche io, la notte sarà più breve se siamo in due.” Aggiunse David poggiando amichevolmente una mano sul braccio del collega.
    “Io...avrei...del lavoro da fare, quindi resto qui.” Balbettò Spencer, rimasto in silenzio fino a quel momento.
    Anche JJ diede la sua disponibilità a rimanere in ufficio con gli altri, non senza aver prima fatto una telefonata al suo bambino.

    Le ore passavano in quella notte trascorsa alla BAU in attesa ancora nemmeno loro sapevano bene di cosa. I semplici risultati di Ronald Weems se negativi potevano chiudere il caso in pochissime battute.
    La telefonata per un nuovo cadavere avrebbe invece aperto fin troppe nuove porte, e avrebbe impegnato fisicamente e soprattutto psicologicamente tutti loro. Qualcuno più degli altri.
    JJ aveva telefonato a casa, aveva parlato con Henry, che le aveva chiesto quando sarebbe tornata a casa. Lei aveva dovuto mentire, “Presto...”, conscia del fatto che a breve il piccolo si sarebbe addormentato e non si sarebbe nemmeno accorto che lei non c’era.
    Ora la donna stava bevendo l’ennesimo caffè, mentre osservava Spencer alla sua scrivania. Era seduto, o per meglio dire, sdraiato sulla sedia, con i piedi incrociati adagiati alla scrivania. Era stanchissimo e fissava il tetto pensieroso, mentre giocherellava con le sue stesse dita.
    “Sei preoccupata per lui?” le chiese una voce, facendola voltare verso il sorriso di Dave. Lei scosse il capo impercettibilmente, tornando poi ad osservare il fondo della tazza.
    “Penso che lo siamo tutti...” sussurrò.
    “Secondo me devi solo dargli tempo di capire che ha bisogno di qualcuno. Prima o poi dovrà confidarsi, e sa che noi siamo qui...” Rossi stava cercando di rassicurarla, ma Jennifer non sembrava sentirsi meglio. Aveva visto troppe volte il ragazzino distruggersi interiormente in silenzio. “Io non c’ero quattro anni fa.” Continuò David, “Non so cosa è accaduto, non so nemmeno se c’entra con questo caso...”
    “David!” gridò Hotch interrompendo il dialogo dei due agenti. Entrambi alzarono lo sguardo, mentre Spencer si rimise dritto e sollevò gli occhi verso la balconata su cui si trovava il loro collega dopo essere uscito dal suo ufficio. “I risultati.”
    Tutti avevano interrotto le loro attività e si erano affrettati all’interno dell’ufficio dell’agente Hotchner in attesa di una risposta. L’atmosfera era carica di attese mentre il capo scorreva con gli occhi il foglio che era appena venuto fuori dal suo fax.
    Aveva alzato gli occhi verso il suo uditorio e aveva scosso il capo, “I farmaci sono in circolo allo stato attuale. Tecnicamente non può essere stato lui...”
    “...ma fin quando non abbiamo una prova inconfutabile non possiamo rilasciarlo.” Aveva completato Rossi.
    Tutti sospirarono nel silenzio prima di essere interrotti da una voce che proveniva dall’ingresso.
    “Scusatemi, posso?” la donna era rimasta in attesa di una risposta.
    “Che c’è Penelope?” le chiese JJ mentre Hotch fece cenno al tecnico informatico di entrare.
    “Ho continuato a cercare notizie su Nancy Sulligan. Ha sporto denuncia perché qualcuno la importunava qualche mese fa. Il rapporto dice che si trattava di un ragazzino...” l’informatica non riuscì a dire altro. Dopo aver incrociato lo sguardo con Spencer, quest’ultimo aveva colpito una sedia che aveva vicino ed era uscito di corsa dalla stanza.

    Aveva bisogno di prendere aria il dottor Reid. Ogni possibilità di avere sollievo veniva presto soffocato da un nuovo dettaglio che riportava l’indagine proprio nella direzione che voleva evitare.
    Era solo colpa sua quello che stava accadendo, la voce dentro di lui non smetteva di ripeterglielo. Si era trovato ad un bivio anni prima e la scelta che aveva fatto, secondo lui al momento quella più corretta, si stava rivelando invece quella errata.
    Senza smettere di pensare aveva raggiunto la sua scrivania, si era appoggiato in avanti con la necessità di dare ossigeno ai suoi polmoni che non erano in grado di svolgere le loro funzioni in tranquillità.
    Poi il suo cellulare aveva iniziato a suonare svegliandolo da quell’intorpidimento. L’aveva prontamente estratto dalla tasca e dopo aver letto l’identificativo del chiamante aveva risposto.
    “Spencer Reid!”

    Hotch aveva seguito con gli occhi Reid uscire dalla stanza, silenziosamente. Poi aveva invitato Garcia a continuare. “Dicevo che si trattava di un ragazzino che le si avvicinava di sera. Non voleva pagarla per avere i suoi favori e la sua presenza allontanava altri clienti. Non parlava, non faceva nulla, ma poteva affermare con certezza che aveva un comportamento strano.”
    “Nessun riscontro con qualche altra denuncia o qualche sospetto?” chiese Rossi.
    “No signore, la cosa strana è che qualche giorno dopo la vittima ha ritirato la denuncia dicendo che aveva inventato tutto per giustificare gli scarsi guadagni.”
    “Prentiss mi ha detto una cosa,” riprese David, “quando lei e Morgan hanno interrogato le prostitute, hanno notato che in molte non volevano nemmeno rispondere alle loro domande. Ma soprattutto non riusciva a capire perché l’unica che ha dato loro le informazioni non ha battuto ciglio nel vedere la foto della vittima...”
    “Sembra che nascondano qualcosa.” Concluse il capo.
    “Se si convincessero a parlare, forse potremmo scagionare Ronald Weems.” Intervenne l’agente Jareau prima che uno Spencer trafelato entrasse improvvisamente dalla porta.
    Tutti si voltarono a guardarlo preoccupati.
    “Morgan...ha chiamato...” disse nell’affanno, “...è scomparsa una prostituta, ma nessuno sa chi era il cliente che è andato con lei...”
    “David, raggiungiamoli.” Hotch invitò il collega a seguirlo afferrando il cappotto.
    Prima di uscire dalla porta si voltò verso JJ e il dottor Reid. “Potrebbe essere quello che ci serve per scarcerare Weems, vi faccio sapere e in caso ve ne occuperete voi.” Un cenno affermativo del loro capo e poi videro i colleghi attraversare l’open space e sparire oltre la porta a vetri.
    Penelope si voltò per tornare nel suo studio dopo aver guardato intensamente ancora una volta Spencer, che ora era rimasto solo con Jennifer. “Vado nel mio ufficio, fra poco cominceranno le telefonate dei giornalisti.” Disse la donna al ragazzo lasciandolo così solo.
    Ma Reid sapeva già quale era la prossima mossa per lui. Se veramente Weems era innocente sarebbe toccato a lui occuparsi della scarcerazione, e quindi gli avrebbe finalmente potuto parlare. Ma per farlo, prima aveva bisogno di qualcosa.
    Uscì dall’open space e raggiunse la porta dell’ufficio di Garcia. Bussò timidamente e poi aprì la porta. Penelope si voltò verso di lui, “Cucciolo, mi dispiace...” cominciò a dire ma fu interrotta dal ragazzo che si era richiuso la porta alle spalle.
    “Ho bisogno che tu mi faccia un favore.” Le disse prima di metterla al corrente di quello che aveva intenzione di fare.
     
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    CAPITOLO 11

    Le sue dita si intrecciavano nella chioma bionda della ragazza che stava baciando. Nelle sue orecchie risuonavano le sue stesse parole pronunciate poco prima. “Io cerco compagnia...”
    Guardava la donna sfilarsi via la maglietta e continuava a chiedersi perché questo non gli provocasse alcuna reazione. Poi portava una mano in tasca e il semplice contatto con il metallo freddo lo eccitava.
    Si adagiava sul letto, la prostituta cavalcioni su di lui. Iniziò a sorridere mentre lei cercava di piegarsi su di lui. Ma era stato più veloce.
    Gli occhi sbarrati di lei lo fissavano e lui sentiva già il calore del suo sangue scivolare dalla lama ancora conficcata nel suo petto fino alle sue dita.
    Proprio come aveva sempre immaginato. Forse anche meglio...e l’orgasmo iniziava a imporsi prepotente in lui.

    “Non possiamo rilasciare dichiarazioni al momento.” Continuava a ripetere JJ al telefono che non smetteva di suonare. Passavano pochi secondi da quando aveva poggiato la cornetta per l’arrivo di una nuova chiamata. Tutti sapevano già che era scomparsa una prostituta. Le notizie correvano veloci di bocca in bocca.
    L’ennesimo squillo. Ma questa volta era il suo cellulare. “Jareau...” rispose.
    “JJ, abbiamo una segnalazione per una scena del crimine. Ancora una volta un motel. Hotch è già lì con David e sta organizzando il trasferimento di Ronald Weems lì da voi. Tenetelo nella stanza degli interrogatori fino alla conferma che può essere scarcerato.” La aveva rapidamente informata Prentiss che stava raggiungendo con Morgan gli altri due agenti sul luogo segnalato.
    “Avete bisogno di essere raggiunti?” chiese Jennifer.
    “Per il momento no. Pensate al sospettato, in caso vi richiamiamo.” Affermò interrompendo poi la comunicazione.
    La giovane agente ripose il cellulare e dopo pochi secondi fu il telefono a squillare per informarla che Weems era già in arrivo. Erano veramente tutti molto efficienti.
    Riposta la cornetta, l’agente si avviò fuori per raggiungere il collega nell’open space. Lo trovò seduto alla scrivania, intento ad osservare qualcosa sul ripiano.
    “Spence...” lo chiamò avvicinandosi, ma prima che potesse vedere su cosa fosse così concentrato Reid raccolse qualsiasi cosa fosse tra le mani e lo nascose nella tasca interna della giacca. Rimase poi in attesa di sentire cosa dovesse dirgli JJ.
    La ragazza si riscosse e ricominciò a parlare. “Ha chiamato Emily. Hanno una nuova scena del crimine e stanno trasferendo qui Ronald Weems in attesa di una conferma di scarcerazione. Direi di tenerlo in sala interrogatori...” il ragazzo non le permise di terminare la frase.
    “Ottimo...vado dentro io con lui se non ti dispiace.” I suoi occhi si erano accesi come non accadeva da tempo mentre si alzava in piedi.
    “Fai pure, se questo può farti stare meglio...” gli sorrise JJ amorevolmente.
    Lui allungò timidamente un braccio verso la spalla di Jennifer. “Caffè?” chiese poi ritraendo la mano di scatto dopo qualche minuto di silenzio.
    “Ottima idea!” rispose la ragazza seguendolo verso l’area relax. Lo guardò preparare la moka e quando si voltò per porgerle la tazza lei non poté trattenere una domanda. “C’è qualcosa in questo caso che ti preoccupa, ho ragione?”
    “Si è vero...” Non riuscì a mantenere un contatto visivo. Si lasciarono quindi andare ad una silenziosa bevuta, senza approfondire l’argomento.

    La scientifica stava già analizzando le tracce organiche di quella stanza. David li osservava al lavoro, spostando poi gli occhi sul corpo senza vita di quella ragazza a terra. Stavolta erano arrivati prima che lo portassero via. La vittimologia corrispondeva. Ancora una volta la prostituta scelta aveva occhi azzurri e capelli biondi.
    “Stanno trasferendo Weems a Quantico. Cosa abbiamo qui?” chiese Hotch avvicinandosi a lui dopo aver parlato con il detective Carlson che si sentiva particolarmente scoraggiato dal dover ricominciare da capo con un caso che riteneva chiuso.
    “La vittimologia corrisponde.” Espose Rossi, attendendo poi notizie dal medico legale che stava facendo un esame preliminare.
    L’uomo si voltò verso i due agenti quando fu pronto a dare la sua diagnosi, “A prima vista sembra abbastanza chiaro che il motivo della morte è la pugnalata al petto. Ci sono diversi tagli sul resto del corpo...”
    “Come la precedente vittima.” Intervenne Dave, ma il dottore non aveva completato.
    “Quello che è diverso questa volta è che la vittima presenta una ferita lungo tutto il petto...potrò essere più preciso solo dopo averla portata all’obitorio. Per ora è tutto.” Concluse l’uomo sollevandosi da terra e riponendo la sua attrezzatura.
    “La scena è più pulita della precedente volta.” Sussurrò Hotch quando rimase solo con Rossi. “È evidente che c’è uno sviluppo nel modus operandi, si sta perfezionando.”
    “Te la senti di affermare che si tratta dello stesso uomo?” chiese David grattandosi il mento e continuando a rivolgere lo sguardo verso la donna a terra.
    “I capelli Dave...” accennò Aaron abbassandosi sulla vittima. “…tagliati e non sono qui...” ad un cenno affermativo del collega, l’agente Hotchner si rialzò e si avviò verso l’uscita per fare delle telefonate.

    In poco tempo le forze dell’ordine varcavano la soglia dell’open space della BAU, accompagnando il sospettato in manette. JJ posò la tazza ormai vuota sul piano e si diresse spedita verso di loro.
    “Agente Jareau. Dobbiamo prendere in custodia il sospettato. Vi prego di seguirmi da questa parte.” Li guidò verso la stanza degli interrogatori e in fretta anche il dottor Reid la raggiunse.
    Mentre le guardie sistemavano l’uomo dentro la sala, il piccolo genio le si avvicinò furtivamente.
    “Io...cioè...vorre..vorrei parlargli. Da solo. Ti dispiacerebbe?”
    “Non c’è problema, resto qua dietro.” Jennifer indicò il vetro che le avrebbe permesso di vedere dentro la stanza, ma si sarebbe rivelato un semplice specchio per chi era dall’altra parte.
    “No, intendevo...completamente solo.” La richiesta la lasciò senza parole per qualche secondo ma decise poi di accontentarlo.
    “Va bene, ma ascoltami bene.” Gli afferrò con forza un braccio. “Se succede qualcosa, non fare l’eroe e chiamami. Intesi?” un cenno con la sua testa accompagnato da un triste sorriso l’avevano convinta che avesse recepito il messaggio.
    L’agente Jareau ritornò nel suo ufficio, in attesa di un segnale da parte dei colleghi, e pregando che Spencer non si mettesse in qualche guaio solo dentro quella stanza.
    Dopo svariati minuti il cellulare suonò nuovamente.
    “Jareau.”
    “JJ, siamo certi che l’S.I. di questa scena del crimine sia lo stesso della precedente. A breve arriverà un fax che ti permetterà di avviare il procedimento di scarcerazione per Weems. Fatto questo, tu e Reid raggiungeteci subito.”
    “Ricevuto, Hotch.” Interruppe la conversazione riponendo il telefono sul tavolo e avviandosi poi alla stanza in cui il fax avrebbe recapitato il documento. Era una stanza spoglia, serviva solo come postazione per usare quell’apparecchio. La ragazza si guardava intorno camminando in cerchio, in attesa che emettesse qualche suono.

    Spencer era entrato nella sala interrogatori e si era richiuso la porta alle spalle. Aveva aspettato qualche secondo per essere certo che la sua collega fosse andata via e poi si era portato istintivamente una mano alla tasca della giacca accarezzandola.
    Aveva preso posto di fronte a Ronald e lo guardava. “Cosa sta succedendo?” chiese ad un certo punto l’uomo.
    “Presto potrebbe essere fuori di qui.” Rispose Reid non smettendo di guardarlo. Era diventata la sua unica ancora di salvezza. E invece a breve lo avrebbe rigettato nel caos più totale.
    “Un nuovo omicidio?” chiese spaventato.
    “I miei colleghi stanno indagando...” controbattè Spencer prendendo poi un respiro profondo. “Io volevo sapere se lei ha ricevuto delle visite. La sua guardia mi ha detto che non è venuto nessuno a trovarla, ma preferisco chiedere a lei.”
    L’uomo non capiva bene a cosa potesse servire tutto quello, ma si decise a rispondere comunque. Non aveva nulla da perdere. “In carcere nessuno. Ma appena sono uscito mi ha avvicinato qualcuno...”
    Spencer portò nuovamente la mano alla tasca e tirò fuori quello che custodiva gelosamente.

    Arrivato il documento, Jennifer si avviò rapida verso la sala interrogatori. Aprì lentamente la porta dell’anticamera e guardò attraverso il vetro quello che accadeva. Il collega era ancora dentro, le dava le spalle ma stava mostrando qualcosa a Weems. La donna riuscì a percepire solo la risposta di quest’ultimo.
    “Si lo conosco, è venuto da me al centro per senza tetto subito dopo la mia scarcerazione. Mi ha rivolto diverse domande, sui miei precedenti omicidi, e su di me. Era interessato soprattutto a conoscere quanto tempo era passato tra l’inizio delle mie fantasie omicide e la messa in atto delle stesse.”
    “Agente, c’è qualche problema?” chiese la guardia rivolta a JJ. Probabilmente doveva aver assunto qualche strana espressione nel tentativo di capire di cosa stessero parlando.
    “Oh no,” disse la ragazza ricomponendosi. “Prego.” Aggiunse poi porgendo il foglio che aveva tra le mani. “Potete avviare la scarcerazione a questo punto. Siamo certi non si tratti di lui.”
    I due ufficiali aprirono la porta per recuperare l’uomo. L’agente Jareau entrò velocemente subito dopo loro nella speranza di vedere cosa avesse mostrato Spencer a Ronald Weems.
    Al rumore della porta che si apriva, il dottor Reid alzò gli occhi e appena vide la collega, raccolse rapidamente quello che c’era sul tavolo e lo infilò furtivamente nella tasca posteriore sinistra dei pantaloni, alzandosi in piedi. JJ non era riuscita a cogliere molti particolari, aveva solo capito che si trattava di una fotografia.
    “Che succede?” le chiese. Lo sguardo di terrore di nuovo vivo e più forte nei suoi occhi
    “Non è stato lui, va scarcerato. Dobbiamo raggiungere gli altri sulla nuova scena del crimine.” Lei lasciò cadere in basso gli occhi, in direzione del luogo dove aveva nascosto gelosamente la foto. Automaticamente, seguendo la direzione del suo sguardo, lui portò una mano a protezione del suo segreto.
    “Andiamo...” le rispose superandola fuori dalla porta.
     
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    CAPITOLO 12

    “La divina Penelope per servirvi!” rispose l’allegra tecnica dell’FBI schiacciando con la sua penna colorata il tasto sul telefono alla sua sinistra.
    “Garcia, servirebbe che lei controlli questo nome: George Swide.” Chiese David mentre sostava di fronte al bancone della reception del motel continuando a consultare il libro in cui venivano registrati gli ingressi. Ovviamente il loro uomo aveva pagato in contanti. Mai nessuno che usasse una carta di credito facilmente tracciabile. Erano furbi.
    “Signore, non ho trovato nessun riscontro con quel nome.” Rispose la donna all’altro capo del telefono.
    “Un nome falso, c’era da immaginarselo.” Rifletté ad alta voce l’agente Rossi, formulando subito dopo una nuova richiesta. “Può dirmi se il motel di ieri sera ha un database elettronico per i clienti?”
    “Già fatto. E la risposta è si. Nessuno con questo nome però registrato né nella serata di ieri né in nessun’altra.” Disse Penelope continuando a inserire campi di ricerca nel suo computer.
    “Ottimo lavoro. Lei è veramente in gamba.” Rispose l’uomo con un furbo sorriso abbozzato sulle labbra.
    “La ringrazio.” Concluse riponendo il cellulare in tasca.
    Erano nuovamente ad un punto morto.

    Per tutto il tempo della strada non si erano rivolti la parola. Reid guidava guardando fisso la strada. Leggermente accigliato avrebbe potuto dire Jennifer che invece guardava fuori dal finestrino con il viso sorretto dal braccio. Era tardi e nessuno dei passanti che incrociava poteva sapere quello che stava accadendo a qualche isolato di distanza.
    La ragazza sospirò. Dal quantitativo di chiamate ricevute, avrebbe trovato molti giornalisti davanti a quel motel. Lei l’avrebbe potuto sopportare, era abituata. Ma il silenzio del collega e la sua inaspettata voglia di guidare, quelli erano delle novità.
    “Siamo arrivati.” Annunciò il ragazzo apprestandosi ad iniziare la manovra di posteggio accanto agli altri due SUV neri. Dovevano essere già tutti lì.
    Spento il motore scesero entrambi dal veicolo. JJ si voltò verso di lui e gli comunicò che sarebbe rimasta a tenere a bada tutte quelle telecamere e microfoni. Spencer aveva assentito e si era diretto verso il portone d’ingresso.

    “Eccoci.” Affermò Derek varcando la soglia della stanza con Prentiss.
    “È pieno di giornalisti qui fuori.” Aggiunse la donna mentre Hotch si voltava verso di loro.
    “JJ e Reid stanno arrivando.” Rispose guardando poi David rientrare nella stanza.
    “Nome falso e nessun riscontro dal motel di ieri sera.” Li informò l’agente anziano raggiungendo i due nuovi arrivati. “Praticamente dobbiamo ripartire da zero.” Lasciò andare un sospiro, voltandosi poi insieme agli altri verso l’ingresso da cui stava entrando Spencer.
    “JJ è rimasta fuori con i giornalisti.” Esordì portandosi poi vicino agli altri. “Cosa abbiamo?” era particolarmente impaziente di sapere cosa li aspettasse.
    “Prostituta ancora da identificare. Colpo al cuore come la precedente vittima, ma stavolta le ha anche procurato una ferita lungo tutto il petto.” Spiegò Dave accogliendolo con un sorriso. Che il giovane non ricambiò.
    “La scena è più pulita, credo si tratti veramente di qualcuno che si sta perfezionando vittima dopo vittima.” Continuò Emily, ma venne interrotta dalla voce di Reid.
    “Con che nome si è registrato il cliente alla reception?”
    “Nome falso e non corrispondente a nessuno di quelli che si erano registrati nella precedente scena del crimine. Ho già fatto controllare a Garcia.” Rispose Rossi.
    “Possibilità di riconoscerlo e di fare un identikit?” incalzò ancora Spencer.
    “C’è stato il cambio di turno, il portiere che li ha fatti entrare non lo stanno riuscendo a rintracciare...” rispose Hotch.
    “Fantastico!” il tono ironico del giovane era un po’ troppo sostenuto.
    “Calmati ragazzino...” Derek si avvicinò per calmarlo portandogli sulla spalla una mano che il dottore respinse energicamente.
    “Non ho bisogno di calmarmi.” Scandì lentamente. Uno sguardo volò tra Emily e David: erano seriamente preoccupati, non lo avevano mai visto reagire in quel modo. A calmare la situazione carica di tensione che si era creata intervenne il supervisore capo.
    “Fino a domattina non riusciremo ad avere maggiori notizie, o i referti dell’autopsia, quindi tornatene a casa, fatti una dormita e ci rivediamo domani mattina quando sarai più tranquillo.” Dopo queste parole Aaron indicò con il mento la porta d’uscita che il giovane ragazzo imboccò sbattendola dietro di sé.
    “Hotch, lo sai...” iniziò Morgan ma l’agente lo interruppe. Lo sapeva, ma non era una motivazione accettabile per giustificare un simile comportamento. Stavano facendo tutto il possibile e lui avrebbe fatto meglio ad aiutarli piuttosto che andare così in escandescenze.
    “Spero che siano soddisfatti, almeno fino a domani mattina...ho visto correre fuori Spence, cos’è successo?” l’agente Jareau si guardò intorno entrando nella stanza. Gli altri la guardarono ma non risposero alla sua domanda.
    “Cosa hai detto ai giornalisti?” chiese invece Rossi alla donna.
    “Che non possiamo ancora rilasciare dichiarazioni. È stato ritrovato un corpo, una prostituta, ma questo già lo sapevano, e che non siamo ancora in grado di accertare che sia collegabile a quello dell’altra sera.” Spiegò brevemente attendendo ora che le dessero qualche indicazione sul da farsi.
    “Noi abbiamo interrogato di nuovo le prostitute mentre eravamo di sorveglianza...” Cominciò Prentiss ma si interruppe quando Aaron aveva sollevato un braccio che prima teneva incrociato con l’altro al petto.
    “Quello che ho detto a Reid è vero. Aspettiamo i referti domattina e ci aggiorniamo in sala conferenze appena pronti.”
    In breve tempo tutti uscirono dalla stanza e si diressero ognuno al proprio SUV per tornare a casa. Almeno qualche ora di sonno l’avrebbero potuta fare. L’indomani avrebbero dovuto fare i conti nuovamente con la realtà.

    Aveva quasi superato i limiti di velocità. Ma non aveva raggiunto casa sua come gli era stato consigliato di fare. Era tornato a Quantico, perché sentiva che non si sarebbe potuto riposare.
    Mentre raggiungeva la sua scrivania e lanciava sopra questa la sua tracolla, portò la mano alla tasca posteriore dei pantaloni. Era ancora tutto al suo posto.
    Mentre spostava la sedia per sedersi fu raggiunto dalla voce di Penelope che si avviava verso l’area relax con la sua tazza colorata tra le mani. “Piccolo, che succede?”
    Si voltò mentre lei si avvicinava alla sua scrivania poggiandosi poi contro il piano di lavoro mentre lui si sedeva sulla sedia. “Non abbiamo nessun punto da cui partire. Due vittime e nessun maledetto indizio.” Ringhiò.
    “Tu hai sempre quel sospetto?” chiese la donna timidamente.
    “Lo hanno tutti, ma non vogliono dirlo.” Non riuscì a continuare spostando gli occhi verso la superficie liscia del tavolo.
    “Cucciolo...” continuò Garcia portandogli una mano sotto il mento e facendolo voltare di nuovo verso di lei. “Hai fatto la scelta giusta...”
    “Ho già sentito queste parole.” La interruppe Spencer cercando di sfuggire a quella presa, ma l’informatica non glielo permise.
    “Ehi...io ero lì con te. Ti ho aiutato. Se veramente credi che sia colpa tua, allora è anche colpa mia.” Era sincera nel pronunciare quelle parole.
    Reid non rispose, sospirò solamente per ricevere poi un buffetto sulla testa dall’eccentrica donna che continuò a parlare, “Riposati. Ne hai bisogno.” Lo lasciò finalmente andare mentre sorrideva camminando verso l’area relax, sua destinazione originaria.
    “Dovresti farlo anche tu.” Le gridò dietro lui avvicinando la sedia alla scrivania.
    “Io ho il mio caffè!” esclamò entusiasta sventolando la tazza psichedelica. Si voltò poi per prepararsi l’ennesima razione. Quando il fumo si sollevò dal bordo del recipiente in ceramica si voltò per tornare nella sua stanza. Il dottor Reid dormiva con la testa poggiata sul piano del tavolo. La donna non riuscì a trattenere un amorevole sorriso.

    Si era svegliato dopo qualche ora. Era confuso, stava cercando di capire dove si trovava. Era il suo ufficio e quella che vedeva subito accanto al suo occhio era la sua scrivania.
    Si sollevò sulla schiena che doleva leggermente per la strana posizione assunta nel sonno. L’intero open space era nella semioscurità, solo qualche persona lavorava al proprio rapporto con un piccola luce puntata sui propri fogli, così da non disturbare gli altri.
    Si sgranchì le ossa, poi ricordò cos’era successo. Aveva reagito in maniera sconsiderata davanti a tutti ed era stato gentilmente allontanato dalla scena del crimine. Quel caso lo stava consumando e aveva bisogno di riposo. L’istinto era quello di rimanere a lavorare, ma ormai non aveva più strade da controllare senza destare troppa curiosità in quelli che erano i suoi colleghi.
    Decise di dare ascolto alle parole di Hotch, sarebbe tornato a casa, avrebbe provato a dormire e poi sarebbe tornato in ufficio. Raccolse la tracolla e si avviò verso l’ascensore.
    Non aveva voglia di guidare, preferiva utilizzare la metropolitana, ma anche quella si rivelò presto una cattiva idea. Stava ancora scendendo nel sotto passaggio quando proprio il poggiare il piede su quel gradino riportò indietro la sua mente a quel giorno. Lo vedeva di nuovo di fronte a lui. Ricordava ogni minimo dettaglio.
    Lui teneva tra le mani un bicchiere di caffè, e quel giovane così timido l’aveva fermato, conosceva il suo nome, sapeva chi era. E lui, che doveva essere un profiler dell’FBI, non aveva capito niente, non aveva capito chi si trovava davanti e l’aveva semplicemente lasciato andar via.
    Si riscosse dai suoi pensieri e riprese a scendere verso il posto dove avrebbe staccato il biglietto che lo avrebbe portato in quel posto sicuro che era casa sua. E proprio quando strinse finalmente il pezzo di carta tra le mani sentì di nuovo quella sensazione, la stessa che lo aveva colpito quando con JJ stava portando Ronald Weems nel garage di Quantico. Si sentiva osservato.
    Si voltò circospetto, ma non incrociò i due occhi azzurri che tanto lo atterrivano in quei giorni non appena chiudeva le palpebre. Forse stava semplicemente immaginando tutto, la sua mente, che tanto temeva, gli stava giocando qualche brutto scherzo.
    Quella storia doveva finire, e sapeva come avrebbe fatto. Doveva semplicemente aspettare l’indomani mattina.
     
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    CAPITOLO 13

    L’agente Hotchner era arrivato l’indomani mattina molto presto come al suo solito e aveva immediatamente raggiunto l’ufficio di Penelope Garcia. Avevano ricevuto i vari risultati, compresa l’identificazione del cadavere, aveva fatto cercare notizie sulla donna, ma l’informatica non aveva avuto riscontri utilizzabili. Il capo le aveva quindi ordinato di preparare il resto del materiale per l’aggiornamento di JJ in sala conferenze e di raggiungerli lì anche lei.
    Si era poi portato nel suo ufficio a raccogliere il necessario, aveva visto arrivare Morgan e Prentiss che iniziavano a consultare incartamenti alle loro scrivanie e David che era passato a salutarlo prima di infilarsi nella sua stanza. E quando aveva visto varcare l’ingresso dell’open space da Penelope e Jennifer si era avviato nella sala conferenze, dove l’avevano subito raggiunto gli altri.
    “Siamo pronti?” chiese prendendo posto.
    “Manca Reid.” Avvertì Rossi guardandosi intorno. “Qualcuno l’ha visto o sentito?”
    Garcia si era sistemata gli occhiali sugli occhi prendendo poi posto attorno al tavolo. “Signore, ieri notte è tornato qui. Si era addormentato sulla scrivania, poi credevo fosse andato a casa, non so perché non sia ancora qui.”
    “Procediamo comunque.” Stabilì Hotch facendo cenno a JJ di mostrare i nuovi dettagli.
    “La prostituta è stata identificata, si chiamava Sarah Navy.” Cominciò a spiegare la liaison dell’FBI spostando le immagini sullo schermo con il telecomando che aveva tra le mani.
    “Io ho già controllato, abbiamo solo un certificato di nascita. I genitori sono morti entrambi quando era ancora bambina e non c’è altra traccia di questa donna da nessuna parte. Non è chiaro nemmeno a chi sia stata affidata.” Intervenne la tecnica informatica.
    “Ora che siamo in possesso di due vittime possiamo parlare di vittimologia.” Intervenne Rossi.
    “Bionde, occhi chiari. Non penso ci serva altro, le prostitute sono vittime ad alto rischio, è facile che vengano scelte solo perché sono facili da trovare.” Tagliò corto Morgan.
    “Possiamo ipotizzare che sia un modello?” chiese Emily sporgendosi in avanti.
    “Credo proprio di si, queste donne che stanno sulla strada sono tutte diverse, e proprio perché facili da trovare avrebbe potuto prendere chiunque. Invece ha scelto due ragazze somiglianti.” Rispose Rossi sotto lo sguardo vigile di Aaron che in seguito aggiunse altri dettagli.
    “Il modus operandi è invece cambiato tra le due vittime. Sempre un colpo al cuore, ancora una volta lesioni in altre parti del corpo, ma questa volta si è spinto oltre, ha deciso di aprirle il petto.”
    “Ha portato via qualche organo?” si informò Jennifer.
    “No, tutto al suo posto. Dimostra ancora di essere organizzato, nessuna traccia utilizzabile. La scena era anche più pulita, sta decisamente imparando e migliorando. È giovane e intelligente. Non credo si tratti di un imitatore però...” continuò David.
    “Perché lo pensi?” l’agente Prentiss si incuriosì.
    “Ancora una volta ha portato con sé i capelli della vittima. Weems non lo faceva, come non ha mai torturato le vittime dopo l’uccisione o ancor peggio non ha mai tagliato loro il petto. Credo che sia lo sfogo di una patologia, la realizzazione di una fantasia. E solo per puro caso queste somigliano a quelle del nostro precedente S.I.”
    “Il nostro profilo allora è errato?” intervenne Morgan.
    “No, è giovane, organizzato, sadico. Lo rilasceremo alla stampa per cercare un punto di partenza per le nostre ricerche, l’uomo non può passare inosservato. Ha terrorizzato anche Nancy Sulligan, spingendola a sporgere denuncia.” Concluse Hotch.
    “E se nessuno lo riconosce?” chiese JJ titubante.
    “Non serve un segnale dall’esterno. Io ho un nome...” la voce di Spencer arrivò dalla porta. Era appena rientrato, aveva il volto sconvolto che non lo aveva ancora abbandonato negli ultimi giorni. “Nathan Harris.” Dichiarò sfilando dalla tasca posteriore dei pantaloni una foto e poggiandola sul tavolo rotondo.
    “Ragazzino è una vecchia storia...” Derek non era disposto a credergli.
    “È giovane, mi aveva raccontato di avere fantasie sull’uccisione di prostitute. Aveva fatto accenno anche al taglio dei capelli. Io tenterei questa strada.” Insistette il ragazzo ancora in piedi.
    “Non conosco questa storia.” Si intromise David attirando l’attenzione di tutti. “Vorrei provare a capirne di più.”
    Il dottor Reid prese un respiro profondo girando poi intorno al tavolo fino a trovare una sedia vuota. Prese posto e cominciò a raccontare. “Quattro anni fa, Nathan Harris mi ha avvicinato prima che si scoprissero i cadaveri di Ronald Weems. Mi aveva visto ad una conferenza ed era interessato al profiling, mi aveva fatto domande sull’uccisione delle prostitute. Solo grazie a lui siamo venuti a conoscenza di quello che stava accadendo a Washington. Avevamo sospettato di lui, ma si era rivelato innocente. Gideon...” deglutì con sofferenza dopo aver pronunciato quel nome, “...beh lui lo aveva sottoposto ad una perizia psicologica ed era risultato chiaro che se non avesse seguito adeguate cure, sarebbe arrivato ad uccidere qualcuno.”
    “Hai i dettagli della perizia?” chiese Hotch poco intenzionato a lasciare tempo al ragazzino per concentrarsi su quello che era finalmente riuscito ad ammettere apertamente.
    “No, ma c’era un avvocato con loro, se non è nel database dell’FBI, lui avrà conservato i documenti sicuramente.” Non sembrava meno turbato ora che aveva vuotato il sacco.
    Aaron fece un cenno con il capo e si fermò a pensare. Poi riprense la parola. “Penelope, pensi di poter fare qualcosa per trovare questa perizia?”
    “Posso provarci, se c’è la troverò sicuramente.” Affermò sicura raccogliendo le carpette che si era portata dietro.
    “Reid vai con lei.” ordinò il capo e subito il ragazzo scattò in piedi seguendo l’informatica verso il suo ufficio. L’agente Hotchner si voltò poi verso i colleghi. “Prentiss, mi dicevi ieri sera che avevate parlato con le prostitute nuovamente...”
    Emily si sporse in avanti rispondendo di si con la testa, “Esatto, ci hanno detto che Nancy aveva ricevuto delle attenzioni da un ragazzino. Lo stesso era successo anche alle altre, ma lui le aveva avvertite di non avvisare la polizia. Per questa ragione non volevano parlare con noi e la nostra vittima aveva ritirato la denuncia. Erano atterrite dalle sue minacce.”
    “Vuoi muoverti sulla linea di Nathan Harris?” chiese Dave leggendo il dubbio negli occhi del suo capo.
    “Possiamo provare, ma con discrezione, fin quando non avremo ulteriori conferme. Prentiss, raggiungi Reid e non appena avrete finito da Garcia, andate ad interrogare la madre di Nathan Harris. Morgan e Rossi, voi tornate in strada con la foto di Harris e cercate di farvi dire dalle donne se il ragazzino a cui si riferivano era proprio lui. Io e JJ organizziamo la conferenza stampa per comunicare il rilascio di Weems e rilasciare il nuovo profilo.”
    In breve erano tutti pronti all’incarico che gli era stato assegnato.

    “Inutile che ti dica di metterti comodo come se fossi a casa tua.” Scherzò Penelope recuperando la sua sedia e portandola fino allo schermo principale della sua multi task. Si mise comoda e iniziò a far saettare le dita sulla tastiera alla ricerca della perizia psicologica. “Ecco qui tutte le perizie di Gideon. Anno?”
    “Duemilasei. Nathan Harris. Quantico, Virginia.” Rispose il dottor Reid.
    “Bingo!” fu l’esclamazione di Garcia quando con i campi da lei inseriti venne fuori un solo riscontro. “Non puoi immaginare come sale l’adrenalina quando questa scritta lampeggia davanti ai miei occhi.” Scherzò la donna, ma Spencer le disse di aprire il file senza perdere altro tempo.
    “È permesso?” chiese una voce alle loro spalle.
    “Emily, giusto in tempo per goderti la lettura della perizia.” Rispose l’informatica, dando subito dopo il comando per visualizzare il documento.
    Prentiss si avvicinò allo schermo insieme agli altri due colleghi e assunse la stessa espressione interdetta nel vedere le poche informazioni disponibili. Le loro aspettative furono distrutte all’istante.
    Il giovane Nathan Harris necessita di assistenza medica a tempo pieno, va ricoverato e tenuto sotto controllo. Nel ragazzo sono stati riscontrati impulsi psicotici. Tutto qui?” chiese Spencer con un misto di rabbia e stupore.
    “Cucciolo, non capisco. Non c’è altro, la registrazione di Gideon è questa, c’è anche la sua firma.” Rispose Penelope non volendo dubitare delle sue abilità.
    “Jason non avrebbe mai rilasciato una perizia così povera. C’è qualcosa di strano...” riflettè il giovane ad alta voce.
    “Hotch vuole che andiamo ad interrogare la madre di Nathan.” Comunicò Prentiss rompendo quel momento di smarrimento.
    “Vi do l’indirizzo.” Rispose Garcia digitando sui tasti.
    “La stessa casa dove siamo andati a prelevarlo la prima volta.” Fu la risposta di Reid nel leggere il risultato della ricerca.
    “Andiamo, magari lei ci chiarirà qualche dubbio.” Affermò Emily invitando il ragazzo a precederla fuori da quell’ufficio.

    “Hotch ho chiamato i giornalisti, li ho convocati tra un’ora qui alla BAU.” Informò JJ entrando nell’ufficio del supervisore capo, che alzò gli occhi dai fogli che stava compilando.
    “Io ho chiamato il detective Carlson per comunicargli che stiamo seguendo una nuova pista.”
    “Pensi che sarà quella giusta?” chiese la donna accomodandosi sulla sedia di fronte alla scrivania.
    Aaron sospirò senza riuscire a rispondere. La donna allora riformulò meglio la sua domanda, “Pensi che sarà una strada semplice da intraprendere?”
    “Nessuna strada è facile da intraprendere. Come pensi di organizzare il discorso per la stampa?” l’agente Hotchner era intenzionato a cambiare discorso.
    Jennifer si lasciò trascinare in quella nuova discussione senza insistere. “Pensavo di iniziare spiegando il motivo del rilascio di Ronald Weems e segnalando poi l’allerta per tutte le donne che lavorano sulle strade di Washington.”
    “Proporrei di non accennare a Nathan Harris fin quando non abbiamo una conferma.” Intervenne l’uomo alzandosi dalla poltrona e girando intorno al tavolo.
    L’agente Jareau scosse il capo in segno di assenso e si alzò a sua volta. A breve sarebbe andata in onda su tutte le reti, questa volta per evitare che dovessero trovare una nuova vittima per compiere il passo successivo. Questa volta si trattava di anticipare l’S.I. Stavano compiendo quelle procedure che avrebbero dato loro il vantaggio.
     
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    CAPITOLO 14

    Spencer continuava a guidare pensando a quello che avevano letto sul referto della perizia psicologica. Era impossibile che Jason Gideon avesse scritto quelle poche parole prive di senso, sperava per questo che la madre sarebbe stata d’aiuto. Lei era stata una pedina importante la prima volta che avevano incontrato il minorenne Nathan Harris, era stata lei quindi a dare la parola finale su ogni decisione nei riguardi del figlio. Si era adirata non volendo accettare che Nathan avesse dei problemi e necessitasse di un ricovero, ma per fortuna infine si era convinta per il bene del ragazzo.
    Erano scesi dal SUV e si erano avviati in quell’appartamento. Emily aveva bussato alla porta che dopo qualche secondo si era lentamente aperta rivelando una discreta signora con un caschetto biondo e degli occhi azzurri che si erano illuminati alla vista del ragazzo.
    “Dottor Reid?” chiese sbalordita mentre apriva di più il battente permettendo ai due agenti di entrare in casa.
    “Signora Harris...” fu la cordiale risposta di Spencer nell’atto di accomodarsi, mentre anche Prentiss si qualificava con la donna.
    “A cosa devo questa visita?” Sarah fissò le due figure sedute sul divano di fronte a lei e sfregò nervosamente le mani tra di loro.
    “Io...noi volevamo semplicemente qualche notizia di Nathan...” il dottor Reid era timoroso, non voleva esporre troppo il caso, ma prima voleva sondare il terreno.
    “Sa che il mio lavoro mi prendeva del tempo, me lo prende tutt’ora. Insomma, non lo vedo da tempo. Anzi, non l’ho mai visto. Non riuscivo ad accettare quello che gli stava accadendo, non a mio figlio...”
    “Signora ci sta dicendo che non l’ha fatto ricoverare?” chiese Prentiss allarmata per la verità che stava emergendo dalle parole della donna.
    “Oh si, certo. Alla fine l’agente Gideon mi aveva convinta, anche se l’avevo pregato di non rovinare il nostro nome e di scrivere nel rapporto sulla perizia solo lo stretto e necessario...” si interruppe per guardare lo sguardo che saettò da Emily verso Spencer che tirò un sospiro di sollievo. Non poteva accettare che Jason fosse completamente impazzito e non avesse emesso un referto corretto se non sotto la spinta di qualche fattore esterno. Ora sapeva quale fosse stato.
    “Abbiamo bisogno che ci racconti come è andata dopo che abbiamo rilasciato definitivamente Nathan.” Il tono del giovane, contrariamente alle aspettative era calmo. Voleva mettere la donna nelle condizioni perché si aprisse e dicesse tutto il necessario per mandare avanti l’indagine.
    Sarah Harris raccolse le forze per immergersi in ricordi di un passato doloroso e che avrebbe voluto cancellare con un semplice colpo di spugna, qualora fosse stato possibile, poi cominciò a parlare. “All’uscita dal distretto sono dovuta tornare a lavoro d’urgenza. Lui mi aveva promesso che sarebbe tornato a casa da solo. Era la sua ultima serata di libertà, l’indomani mattina avevamo deciso che saremmo andati alla clinica. Io sono tornata a casa quando lui non era ancora rientrato, sono andata a dormire. Era normale che rimanesse fuori, è un uomo, lo trattavo come tale. Poi l’indomani mattina sono dovuta uscire d’urgenza nuovamente. Sa noi medici...” prese un sospiro prima di ricominciare. “Al pomeriggio quando mi sono liberata siamo andati alla clinica. Da allora non sono andata a trovarlo o a vederlo nemmeno una volta. Ancora ora non ho accettato la situazione.”
    “Dovrebbe dirci il nome della clinica in cui è stato ricoverato.” chiese gentilmente Emily sporgendosi in avanti verso la donna che la guardò con occhi terrorizzati.
    “Gli è successo qualcosa?”
    “No, non ne siamo sicuri. Stiamo solo facendo dei controlli.” La tranquillizzò l’agente Prentiss con un sorriso e il tono più dolce che potesse modulare.
    “Alla clinica Saint James. Dottor Reid,” la donna si voltò di scatto afferrando con forza il braccio di Spencer. “Mi prometta che qualsiasi cosa scoprirete mi farete sapere...” lo stava implorando. Il ragazzo fece un cenno con la testa. “Una promessa non conta se non si fa ad alta voce...” lo riprese amorevolmente Sarah.
    “Glielo prometto.” Sussurrò l’agente prima di alzarsi con la collega per dirigersi verso l’uscita.
    Arrivati in macchina Emily non poté fare a meno di manifestare ad alta voce i suoi dubbi.
    “Fattore di stress?”
    “Cosa?” il magro ragazzo non aveva capito le parole di Prentiss.
    “La madre che lo abbandona...”
    “Potrebbe essere.” Era di poche parole, e ancora sconvolto.
    “Reid dì qualcosa, te ne prego.” La donna era preoccupata e cercò di scuotere il collega.
    “Lo ha abbandonato senza mezzi termini, ti rendi conto?” sbottò finalmente non allontanando gli occhi dalla strada che stava percorrendo.
    “Non mi stupisce per nulla. Se Nathan è quello che è dipende strettamente dalla famiglia che ha alle spalle. Nessun padre, la madre che non si curava di lui, dai, quale madre non si accorge che il figlio è malato? Ai suoi livelli è impossibile non farci caso.”
    Seguì un pesante silenzio, che dopo qualche minuto Emily infranse.
    “Stiamo andando in clinica?” chiese timidamente.
    “Si.”
    “Credi che sia ancora ricoverato?” indagò più a fondo nei pensieri del ragazzo che non aveva voglia di lasciarsi andare a confidenze.
    “Non lo so, ma lo spero...” pronunciò come se avesse scagliato una pietra.
    Prentiss si sistemò meglio sul sedile e il viaggio proseguì nel silenzio.

    Per la seconda volta in due giorni Jennifer si stava dando in pasto ai giornalisti per la conferenza stampa, ma questa volta le dichiarazioni le avrebbe rilasciate Hotch. Lei doveva solo essere lì pronta a sfoderare le giuste parole nell’eventualità in cui venisse rivolta qualche scomoda domanda.
    Alternarsi nel rilasciare le dichiarazioni davanti alle telecamere serviva per dare una maggiore idea di squadra e per evitare che in caso di fallimento o di smentita JJ non diventasse l’unico e solo capro espiatorio.
    Il segnale che stavano per andare in onda arrivò mentre Aaron sistemava i microfoni sul podio dal quale avrebbe parlato. Raccolse il fiato necessario e cominciò, “Ieri è stata rilasciata la dichiarazione che l’FBI aveva sotto custodia l’uomo ritenuto responsabile dell’omicidio di una prostituta qualche notte fa. Gli avvenimenti della notte scorsa hanno dimostrato che Ronald Weems era la persona sbagliata, quindi il sospettato è stato rilasciato nelle prime mattinate di oggi. Chiediamo pertanto a tutte le donne che lavorano sulle strade di Washington di prestare particolare attenzione ai clienti che le avvicinano. L’uomo che cerchiamo uccide le sue vittime in camere di motel, le pugnala al cuore. Pensiamo che il Soggetto Ignoto sia giovane e particolarmente disturbato, che viva con difficoltà la sua sessualità e che per questo provi sempre maggior piacere con i suoi atti criminosi. Si sta evolvendo, quindi crediamo che questa notte attaccherà di nuovo e possibilmente con maggior violenza. Chiunque noti una persona che corrisponde a questa descrizione è pregato di chiamare il numero di emergenza per un intervento immediato.”
    “Agente Hotchner, avete qualche sospetto?” un giornalista si sporse in avanti in cerca della dichiarazione da pubblicare in esclusiva nel suo articolo.
    L’agente Jareau salì sul podio dando gentilmente il cambio al suo capo. “Al momento non ci è permesso rilasciare altre dichiarazioni in merito. La polizia ha il profilo dettagliato dell’S.I., chiediamo la collaborazione di tutti perché questo caso si chiuda nel minor tempo possibile.” Un cenno del capo della donna comunicò che la conferenza era finita e i due agenti si allontanarono mentre i giornalisti insoddisfatti continuavano a fare pressione con le loro domande.

    Penelope stava continuando a processare informazioni sola nel suo ufficio. Fermarsi avrebbe voluto dire pensare, e non le sembrava la cosa più adeguata da fare in quella situazione. Meglio concentrarsi sul lavoro e cercare di scoprire qualcosa di utile prima che fosse veramente troppo tardi.
    Un lieve bussare alla porta la fece voltare prima di invitare il visitatore ad entrare. Era Aaron Hotchner, quindi lei istintivamente si portò in piedi.
    “Signore?” chiese preoccupata.
    “Nessuna novità.” Rispose il capo richiudendosi il battente alle spalle.
    Garcia si rilassò lievemente sedendosi nuovamente. “Ho provato a processare di nuovo il nome della seconda vittima, ma non ne ho acquistato nulla di più. È stata affidata alla nonna paterna, che è morta qualche anno fa lasciandola sola. È finita all’ospedale un paio di volte per lesioni, non ha mai denunciato il colpevole. Nessun precedente penale, nessuna traccia che porti da qualche parte. Un fantasma...”
    “Garcia, va bene così. Abbiamo una nuova strada da seguire ora. La perizia di Gideon?” ricordò poi.
    La donna si voltò verso lo schermo aprendo nuovamente il documento. “Solo questo Signore, è...è una cosa incredibile...” esclamò indicando il monitor vicino a lei.
    “Prentiss e Reid potrebbero avere una spiegazione anche per questo.” Sospirò l’uomo sistemandosi la cravatta.
    “Tu credi...” la donna fu interrotta dalla tempestiva risposta di Aaron.
    “Non lo so.” Dopo queste tre parole si voltò per scomparire dietro la porta lasciando Penelope sola con i suoi pensieri e i suoi computer.

    Vagavano da ore senza alcun risultato. Se la prima volta Morgan e Prentiss aveva estorto qualche risposta alle donne impegnate nelle strade di Washington, questa volta Derek e Dave non riuscivano nemmeno ad avvicinarle.
    Non appena cercavano di rivolgersi loro, queste scappavano. L’agente di colore aveva anche riconosciuto la ragazza che li aveva aiutati la prima volta, aveva provato a parlarle, ma l’amica questa volta l’aveva afferrata e portata via, sussurrandole parole che sicuramente potevano essere minacce.
    “E io che pensavo che vedendo un fusto come te avrebbero fatto a pugni per parlarti...” ironizzò l’agente Rossi fermandosi al centro del marciapiede che stavano percorrendo.
    Derek si arrestò a sua volta guardando verso il cielo al di là dei suoi occhiali da sole e facendo schioccare la lingua all’interno della bocca, “Sono pur sempre un agente federale.” Ribattè sornione.
    I due sorrisero per un attimo prima di rimettersi in marcia. David rigirava tra le mani la foto di quel ragazzino che per lui era uno sconosciuto. Era stato ritratto quando poteva avere qualcosa come quindici o sedici anni e i suoi occhi esprimevano sicuramente tutto il disagio che viveva.
    Ad un certo punto una presa ferma strinse il braccio di Rossi che si voltò di scatto per incontrare il viso di una donna giovanissima. Era terrorizzata. Morgan notò il movimento quando già la prostituta trascinava il collega verso un vicolo abbandonato e corse a passo spedito dietro di loro.
     
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    CAPITOLO 15

    “Agente Prentiss e Dottor Reid.” I due federali mostrarono i distintivi all’accoglienza della clinica Saint James all’interno di un edificio antico e immenso. Un uomo di mezza età seduto al di là del bancone li osservò interessato. “Volevamo delle informazioni su Nathan Harris, un vostro paziente...” spiegò Emily, ma la strana figura la interruppe con voce particolarmente allegra.
    “Errato signorina.” Rise.
    Prentiss si irrigidì guardando Spencer che non aveva idea di quello che stesse accadendo. “Come prego?” chiese profondamente interdetta.
    “Lei ha detto che è un nostro paziente, e questo non è vero.”
    “La madre ci ha dato il vostro recapito, l’ha ricoverato qui quattro anni fa.” Intervenne Reid con voce tremante.
    “Sapete? Io non sono autorizzato a dare informazioni, quindi forse è meglio che vi chiamo il medico.” L’uomo balzò dalla sedia trottando poi verso una piccola porticina al di là della quale scomparve.
    La donna si voltò verso il giovane scuotendo il capo interrogativa. “Siamo sicuri che non era un paziente quello?” domandò con il dito indice proteso verso la porta in cui lo avevano visto dileguarsi.
    “Buongiorno, sono il dottor Scott.” La voce profonda di un autoritario medico li raggiunse alle spalle.
    Il più rapido a voltarsi fu Spencer che mostrò il badge affermando, “Dottor Reid e Agente Prentiss.” Emily alle sue spalle aveva tirato fuori dalla tasca anche il suo tesserino. “Desideravamo parlare di Nathan Harris.” Il ragazzo magro deglutì profondamente dopo aver pronunciato quelle parole.
    “Seguitemi nel mio studio, così possiamo metterci comodi.” Li invitò cordialmente l’uomo facendo loro strada lungo un corridoio intervallato da porte con spesse sbarre di ferro.
    Raggiunto il suo ufficio, permise loro di entrare per primi. Si trovarono all’interno di una stanza elegantemente arredata, ogni fascicolo era meticolosamente sistemato negli appositi spazi. Quell’ambiente risplendeva di luce propria in quanto a ordine e pulizia. Prentiss non poté fare a meno di pensare che una tale precisione fosse normale visto quello che si trovava a dover affrontare ogni giorno quell’uomo; quello si rivelava essere l’unico posticino in cui poteva rimettersi in pace con se stesso.
    Il dottore la riscosse dai suoi pensieri facendo cenno ai due agenti di prendere posto sulle comode sedie di fronte alla scrivania che aggirò per sedersi alla sua poltrona di pelle. Si sporse in avanti poggiando i gomiti sul vetro del tavolo e incrociò le mani a sostenere il viso. “Nathan Harris...” cominciò a parlare. “Sicuramente una bella grana. La madre lo accompagnò qui il pomeriggio del suo ricovero circa quattro anni fa e poi scomparve. Quel ragazzo non ha mai ricevuto una visita da nessuno, era irrequieto, alternava momenti di confusione, con momenti in cui si chiudeva nel suo mondo interiore a riflettere. Aveva una grande intelligenza però, voleva sempre sapere cosa gli stavamo facendo e perché.”
    “Possiamo vederlo?” chiese improvvisamente Reid che non riusciva a trovare comodità sulla sedia su cui si era accomodato.
    “Dottore, non vorrei sconvolgerla. Ma lui non è più un nostro paziente.” Pronunciò Scott mantenendo la calma. Un bagliore saettò nello sguardo di Spencer prima di spegnersi. Emily si sentì in dovere di intervenire.
    “Ma come è possibile?”
    “Quando ha compiuto la maggiore età ha subito firmato la dimissione. Seguiva le cure, era stato ricoverato minorenne, sua madre era scomparsa, non potevamo impedirglielo. Anche se a mio avviso non era sicuro, doveva essere tenuto all’interno dell’istituto ancora.”
    “Come...come viveva il suo...essere...rinchiuso qui?” balbettò con difficoltà il giovane che non riusciva quasi a respirare.
    “Male. E oserei dire che sia quasi un eufemismo. Si sentiva costretto, ripeteva che non sarebbe mai uscito di qui. Aveva paura anche di se stesso.” Il dottor Scott prese un respiro profondo ad accompagnare le sue ultime parole, poi si lasciò andare con le spalle contro la poltrona.
    “Sa per caso dove sarebbe andato una volta uscito?” tentò l’agente Prentiss.
    “Ha detto che sarebbe tornato a casa...”
    “Cosa che non ha fatto.” Concluse Spencer interrompendo il medico. “Avete una cartella con i suoi referti?” domandò.
    “Certo, gliela vado a prendere subito. Vogliate scusarmi.” Cordialmente si congedò per uscire dall’ufficio.
    Il silenzio improvviso in quella stanza aveva mandato Reid in confusione, uno strano fischio gli tormentava le orecchie, mentre la vista gli si appannava. Si portò le dita a stropicciarsi le palpebre.
    Prentiss lo fissava soffrire e decise di rompere il silenzio, “Non è ancora detto nulla. Non vuol dire nulla che non sia più ricoverato.” Cercò di infondergli coraggio, ma quello che stava vivendo il collega era panico.
    “Prendiamo questi documenti e torniamo dagli altri prima di prendere qualsiasi decisione.” Pronunciò lui con pochissimo fiato spingendosi in avanti e strofinando i palmi delle mani sul pantalone.
    “Ecco qui tutto quello che ho trovato.” Il dottor Scott rientrò alle loro spalle sorridendo. “Qualcosa è andato perduto, diciamo che a volte anche i nostri assistenti meriterebbero di essere internati come pazienti.” Ironizzò non sortendo alcun effetto sui due agenti che non erano dell’umore adatto.
    “È stato gentilissimo.” Emily si alzò in piedi porgendo la mano all’uomo, lo stesso fece Reid alle sue spalle.
    “Per qualsiasi cosa sono a vostra disposizione.” Il medico li accompagnò cortesemente alla porta.
    In silenzio i due agenti ripercorsero il corridoio e videro la gente rinchiusa in quelle stanze che avevano tutta l’aria di prigioni, anche se ben sapevano che la prima prigione che tutte quelle persone avevano era proprio la loro mente.
    Sospirando raggiunsero il SUV e si diressero alla volta di Quantico.

    “Ma che...” il pensiero sussurrato da Rossi mentre la donna lo trascinava contro la parete del vicolo.
    In pochi secondi Derek fu al suo fianco, stava per afferrare la ragazza ma questa lasciò Dave prima che l’uomo potesse fare nulla.
    “Io lo conosco...” biascicò abbassando gli occhi.
    “Come?” intervenne Morgan mentre il collega si risistemava la giacca.
    “Questo ragazzino. Io lo conosco!” affermò senza dire altro indicando la foto ancora tra le mani dell’uomo.
    Derek sospirò alzando gli occhi al cielo, richiedendo quindi l’intervento del più paziente e distaccato David. “E hai qualcosa da dirci?” domandò freddo.
    “Lui ci spia, tutte quante. Ha anche minacciato molte di noi, anche me. Ma non mi importa, se potete toglierlo di torno sono più contenta.” Sciorinò la prostituta guardandosi poi intorno per assicurarsi che occhi indiscreti non li stessero guardando.
    “Ehi, hai altro da dirci?” si intromise Morgan spingendola quasi contro il muro. La ragazza scosse timidamente la testa in segno negativo per poi sgusciare via dalla morsa del ragazzo e scomparire oltre l’angolo.
    I due agenti si guardarono negli occhi, prima che Rossi interrompesse il silenzio. “Questo non vuol dire nulla di certo. Le spia, ma non per forza deve anche ucciderle, che sia un ragazzo disturbato l’avevamo capito anche prima.” Spiegò brevemente.
    Nessuna risposta dal ragazzo di colore che si incamminò nuovamente sulla via principale in direzione del SUV. “Torniamo a Quantico.” Disse semplicemente quando avevano quasi raggiunto la vettura.

    L’agente speciale Aaron Hotchner era nel suo ufficio a studiare referti e altri incartamenti quando un lieve bussare alla sua porta gli fece sollevare lo sguardo verso l’agile figura di Jennifer.
    “Hotch, ci sono tutti. Se vogliamo aggiornarci...” espose in tono calmo e pacato.
    “Arrivo subito.” Fece cenno l’uomo invitandola a precederlo. Lui richiuse ciò su cui stava lavorando, prese un foglio e si alzò dalla poltrona richiudendosi la porta alle spalle e raggiungendo la sala conferenze. Tutti occupavano le loro sedie intorno al tavolo. Tutti tranne il dottor Reid che come sempre ultimamente preferiva un’irrequieta posizione in piedi in un angolo della sala.
    “Qui ho il referto di Gideon sulla perizia psicologica.” Affermò posando il foglio sul tavolo. “Per chi non l’ha già letta...” concluse.
    Rossi si allungò sul tavolo per raccogliere il documento e leggerlo rapidamente.
    “Sappiamo il perché.” Lo anticipò Emily nel vederlo intento a proferire una domanda, “La madre di Nathan Harris ha chiesto a Jason di non screditare il loro buon nome, ma di scrivere lo stretto e necessario.” Spiegò.
    “La stessa madre che lo ha accompagnato al ricovero e l’ha abbandonato non avendo più sue notizie per i seguenti quattro anni.” Intervenne Spencer dal fondo.
    Derek batté un lieve colpo sul tavolo gettando indietro la testa, non sapeva come dire al ragazzino che loro sapevano per certo che fosse lui ad importunare le donne sulla strada. Parlò al suo posto Dave.
    “Noi siamo riuscite a parlare con una prostituta che ha riconosciuto nella foto del sospettato il giovane che le spia e le minaccia. Ma non ha saputo dire altro.” Gli occhi di tutti saettarono verso il dottor Reid che si premurò ad aggiungere:
    “So già che è in giro...alla clinica Saint James, dove Sarah ha detto di averlo ricoverato, abbiamo saputo che compiuta la maggiore età ha firmato per essere dimesso e le sue tracce si sono perse...” era incapace di dire qualsiasi altra parola.
    “Ma il fatto che sia stato riconosciuto come un molestatore di prostitute, non vuol dire che sia un assassino. Giusto?” chiese preoccupata JJ con l’intento di tranquillizzare il collega in primo luogo ma anche se stessa.
    Nessuno disse nulla, e Spencer concentrò la sua attenzione sulla cartella che teneva tra le mani, “I medici erano contrari al rilascio di Nathan, mi sono fatto dare i referti. Segue una cura meno invasiva di quella di Weems, nonostante i suoi problemi fossero maggiori. È sicuramente in grado di commettere un omicidio, anche nel caso in cui stia seguendo correttamente la somministrazione dei farmaci, cosa di cui dubito fortemente.”
    “Perché lo credi?” intervenne David.
    Il giovane arricciò le labbra prima di rispondere, “Non lo so...lo sento semplicemente.” Allungò quindi il fascicolo della clinica sul tavolo. Fascicolo che prontamente Hotch afferrò e lesse.
    “Ha mostrato grande intelligenza, ma non ha passato i test sotto provocazione. Tutti i sintomi psicotici sono presenti. Dobbiamo sapere il profilo che ne aveva fatto Jason con la perizia.” Sospirò sconfitto.
    “Se solo quella donna non l’avesse fatto praticamente sparire...” ringhiò Derek.
    Un lungo silenzio calò in quella sala, quando infine il volto di Reid si illuminò. Arrestò la sua camminata frenetica e si avvicinò al tavolo.
    “Un modo ci sarebbe...” esclamò e tutti rimasero in attesa di sapere cosa avesse in mente.
     
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