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Rabb-it

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  1. rabb-it
     
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    Sesto capitolo


    Las Vegas.
    Gli era venuto in mente di colpo, Reid non poteva che andare da sua madre, a cercare quel conforto di cui aveva bisogno in quel momento.
    Solo lei poteva aiutarlo a rimettere ordine nella babele di pensieri che si accavallavano nella mente del giovane.
    Dopo che era stata accusata di complicità nell’occultamento di un omicidio su cui avevano indagato tempo prima, era stata ricoverata nella casa di cura dove era ospite da anni, incarcerarla era fuori questione, lei non aveva fatto niente di male, testimone incolpevole della vendetta di un padre, e madre angosciata che potesse accadere la stessa cosa al figlio.
    Il crollo sarebbe arrivato negli anni, privando di fatto Reid dell’infanzia, anche grazie alla collaborazione o per meglio dire all’assenza del padre, che abbandonò moglie e figlio per non saper reggere al segreto che custodiva con la moglie.
    Ed il piccolo Spencer pagò il prezzo della debolezza del padre, se il detto le colpe dei padri ricadono sui figli ha un senso, nella famiglia Reid era questo.
    Non dovevano cercarlo, sapevano già dove si era diretto, lo disse al resto della squadra, Penelope disse che il suo nome non appariva in nessun volo diretto là.
    Stava proprio scappando da loro, non aveva preso l’aereo per lasciare meno tracce possibile, ma come poteva pensare che non avrebbero capito.
    Dette voce al suo pensiero.
    Ed ebbe la risposta che sperava di non sentire.
    “Vuole che lo troviamo, non sta scappando da noi, ma da se stesso.”
    “Lo so, è questo che mi spaventa, più di quello che forse è successo a Derek.”
    “Ma cosa è successo? Alla fine sappiamo solo che hanno catturato il soggetto ignoto, ormai ben poco ignoto. Che Derek è rimasto ferito, cosa sconvolge tanto Reid?”
    Hotch prese un foglio e lo passò a chi stava alla sua destra, che terminato di leggere lo dava al collega a fianco.
    Era lo stampato della mail di Reid.
    Vide lo stupore sui volti dei colleghi, si domandò se anche lui alla prima lettura non avesse trattenuto lo sconcerto per quelle righe.
    No, non lo aveva fatto, ma non c’erano stati testimoni.

    La prima a riprendersi fu JJ.
    “Ma siamo sicuri che lo ha scritto Reid, voglio dire…”
    “Non sembra proprio farina del suo sacco, è un delirio!”
    “Non ci credo, non può averlo fatto.”
    “Io invece temo di sì. Ha semplicemente avuto un crollo nervoso, sappiamo quante poche ore di sonno aveva accumulato in questi mesi, sappiamo quanto è stato sotto pressione, solo non vi abbiamo dato peso, perché lui è Reid.”
    “Semplicemente? Ti sembra una cosa semplice questa…è una follia.”
    “La follia lo spaventava a morte, per via della madre…”


    L’ultima frase era stata di Garcia, che ancora ricordava come una volta il genietto di Quantico, come lei lo chiamava, le avesse confidato che c’era una componente genetica nella schizofrenia. Vi aveva letto tutta l’angoscia di un figlio che spera che le statistiche negative non lo riguardassero.
    Quelle righe scomposte mettevano veramente paura.
    Ma continuava a ripetersi che non dormiva che poche ore da almeno una settimana, da quando Derek era stato ricoverato, e forse aveva solo bisogno di riposare per trovare lucidità.
    Non poteva e non voleva credere che fosse impazzito.
    Nessuno di loro era disposto ad arrendersi, non volevano perderlo.

    Il foglio stava al centro del tavolo, a debita distanza da ognuno di loro, come se cercassero di non vederlo, ma le parole scritte la sopra martellavano nella loro mente una dopo l’altra.

    Colpa era la più ricorrente.

    “Cosa farai?”
    Era stato Rossi a parlare, dopo alcuni minuti di totoale silenzio, rivolto ad Hotchner.
    “Per prima cosa voglio vederci chiaro, questa è una cosa che resta all’interno della squadra fino a che non sapremo i dettagli, da entrambi, di cosa è accaduto.
    Dobbiamo andare da Reid, prima che si cacci in guai peggiori nelle condizioni di stress in cui evidentemente si trova.”
    “Meglio levarla di torno allora.”
    Disse l’agente anziano ficcando quel foglio malefico nel tritadocumenti, tra gli sguardi di approvazione di tutti i presenti.
    “Sì, per ora è meglio così. Andiamo a Las Vegas, purtroppo dovremmo usare i mezzi tradizionali, non credo di poter spiegare l’utilizzo del jet senza un caso in corso in quella zona.”
    “E il fiato della Strauss sul collo è l’ultima cosa che ci serve.”
    “A lei penso io.”
    Disse JJ battagliera.
    Hotch abbozzò un sorriso stanco e tirato.
    “Il problema verrà dopo, quello che scopriremo potrebbe non piacerci, dobbiamo esserne preparati.”
    “Mi rifiuto di crederci fino a che non saranno tutti e due davanti a me a dirmi cosa è capitato!”
    Replicò l’altrettanto combattiva Penelope.
    “Concordo, mi rifiuto di pensare il peggio di Reid, nonostante quello che ha scritto lui stesso, evidentemente non era in se quando ha scritto quella mail.”
    Emily non era stata da meno.

    Rossi si volse verso Hotch e con un occhiata gli fece intendere che davanti a tre donne così decise non aveva nessuna intenzione di continuare ad insistere sul fatto che Reid poteva aver sbroccato, ci teneva alla pelle lui.
    “Probabilmente hanno ragione.”
    Hotch ricambiò lo sguardo.
    “Me lo auguro.”




    Dai rottami dell’autobus chi non era ferito avevano aiutato gli altri ad uscire dalle lamiere.
    Per fortuna non si era incendiato, e non c’erano state vittime, solo feriti lievi.
    Uno dei contusi era Reid.
    Era seduto insieme agli altri a bordo della strada quando un paramedico lo fece accomodare su di una barella e poi su un ambulanza.
    In stato confusionale non si accorse nemmeno che la sua tracolla era rimasta sul pullman, con i documenti, la pistola l’aveva lasciata a Quantico.
    Perse conoscenza mentre lo portavano all’ospedale, e per la prima volta da quasi una settimana il suo cervello conobbe un po’ d riposo, forzato.

    Continua...
     
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29 replies since 23/5/2010, 22:06   1417 views
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