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Rabb-it

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    Decimo capitolo



    “Effetti personali? Va bene, ho capito.”
    Hotch riagganciò e voltandosi verso il collega spiegò quello che Garcia gli aveva appena comunicato.
    “Ha detto che nella stazione di polizia dove ci stiamo dirigendo hanno registrato la presenza di alcune cose di proprietà del dottor Spencer Reid, in seguito ad un incidente in cui è stato coinvolto un autobus.”
    “E gli ospedali?”
    “Ha verificato, non risulta ricoverato da nessuna parte, forse perché privo di documenti.”
    “Dannazione!”
    Non servivano altre parole per spiegarsi a vicenda la frustrazione all’idea che gli fosse capitato qualcosa, non bastava Derek in ospedale. Ora forse anche Reid.
    Arrivarono alla centrale di polizia e fu con somma sorpresa che videro Spencer scendere da un automobile.
    Non li aveva visti, stava ringraziando l’infermiera che lo aveva accompagnato fino a lì a riprendersi la tracolla.
    “Sei stata molto gentile, se aspetti un attimo posso almeno pagarti i caffè che mi hai pagato prima.”
    “Non è necessario, eri in difficoltà, e mi hai fatto pensare a mio marito. Ti somiglia sai, lui ora è via in missione e vorrei che se ha bisogno ci fosse qualcuno ad aiutarlo, riguardati e salutami Washington D.C., siamo stati stanziati lì per anni prima di venire ad ovest.”
    “Grazie ancora, e buona fortuna.”
    La donna gli sorrise, ricambiando l’augurio, e se ne andò.
    Avrebbe preso un autobus per raggiungere sua madre, o noleggiato un auto, per prima cosa doveva farsi ridare le sue cose.
    Si voltò nella direzione dell’ingresso e… a momenti andò a sbattere contro Hotch fermo esattamente dietro di lui.
    Rossi era un paio di passi indietro.
    “…Hotch… io…”

    “Tu… ci devi un paio di spiegazioni, ma prima… come stai?”
    Chiese l’agente notando ecchimosi e tagli sul volto del giovane.
    “Non è nulla, il pullman su cui stavo si è rovesciato e… non mi ricordo con esattezza mi sono svegliato in ospedale questa mattina. Hai letto la mail?”
    “Quale mail?”
    Gli disse Hotch con un aria fintamente stupita.
    Rossi non batté ciglio, mentre Hotch proseguiva.
    “Ah dici la bozza del rapporto sui fatti della settimana scorsa che mi hai inviato per sbaglio prima di correggerla?”
    “Ecco… io… una volta mi hai detto che se avessi messo in pericolo la squadra mi avresti licenziato. E io ho messo Derek in pericolo, lo ho quasi ucciso!”
    “Quella volta mi riferivo ben ad altro, e spero che non sia questo il caso. Eravate in azione tu e Derek quando lo hai messo in pericolo?”
    “No, ma lo ho spinto io dalle scale da cui è caduto, Hotch!”
    “Volevi ucciderlo?”
    “NO! È stato un dannato incidente, non mi ero accorto del pericolo della scalinata e gli ho dato uno spintone, io…”

    Reid si fermò, notando come Rossi stesse sogghignando, dopo che Hotch aveva posto quella domanda assurda, poi guardò meglio il suo superiore e vide che pure lui tratteneva a stento un sorriso.
    “Tu… mi stai prendendo in giro!”
    “Solo un po’. Le spiegazioni ce le dovrai dare sul serio, ma sul fatto che con Derek fosse capitata una tragica fatalità in cui eri più coinvolto di quanto avessi ammesso con noi, mi era già venuto in mente, anche per una cosa che mi ha detto JJ mentre stavamo venendo qui. Andiamo a prendere le tue cose.”

    I due uomini si voltarono e presero a salire i tre gradini che portavano alla porta, Reid rimase un istante ad osservarli, erano corsi lì a cercarlo.
    I suoi amici.
    Si guardò un attimo in giro, come stupito che ci fossero solo loro due.
    Hotch e Rossi si accorsero di non averlo alle spalle.
    Lo guardarono osservare in giro.
    “Sono da tua madre, quando ci hanno detto che non eri da lei, noi ci siamo diretti qui. Con l’aiuto di Garcia.”
    Disse Rossi.
    “Da mia madre…”
    “…sai com’è dovevano salvarti dalle ire del tuo superiore.”
    Terminò Hotch, ridendo apertamente.

    Reid non sapeva se era più sconvolto all’idea che sua madre ora si stava sicuramente preoccupando per lui, o se a sconvolgerlo fosse il fatto che in poco più di un paio di minuti aveva assistito a ben due momenti di umorismo targati Hotchner.
    E Rossi sembrava stupito quanto il giovane.
    Una volta passi, ma due nello stesso giorno sono da annotare sul calendario.
    Istintivamente ad entrambi venne in mente di domandare al capo se stava bene, ma se lo tennero per se. Va bene che era di buonumore una volta appurato che Reid stava bene, però meglio non approfittarne.

    Reid raggiunse gli uomini in cima alle scale ed entrarono nella centrale, dove riprese possesso della sua tracolla.
    Poco dopo uscirono e si diressero verso la macchina che avevano preso a noleggio quel mattino, non era uno dei loro comodi suv neri, quelli erano forniti quanto erano in servizio, ora erano decisamente fuori servizio, e si erano arrangiati con gli autonoleggi.
    Reid osservò per qualche istante la vettura grigia davanti a lui.
    “Vi ho messi nei casini con il vicedirettore?”
    “No, per quello che ne sa lei stiamo tutti a casa per qualche giorno in pausa, dopo l’incidente di Derek è la prima volta che gliene abbiamo chiesto il permesso, non ha fiatato.”
    “Strano.”
    “Diciamo che un nostro comune amico vi ha messo una buona parola.”
    “Dice chi penso io?”
    Domandò Reid voltandosi verso Rossi.
    “Non saprei, preferisco non sapere i dettagli dei loschi maneggi del nostro capo.”
    Rossi si riferiva al loro collega, una specie di leggenda dell’Effebiai, a cui Hotch aveva dato una mano, e che era in ottimi rapporti con la Strauss, a differenza loro.
    Il capo in questione scosse piano la testa, evitando di rispondere ad entrambi.
    E la tenne bassa, per non far vedere che stava di nuovo ridendo.
    Si era sentito teso per tutta la giornata, e nel momento in cui si era trovato Reid malconcio, ed aveva capito che stava meglio, aveva sentito la tensione sciogliersi.
    Poi sarebbero arrivati i problemi, con le spiegazioni e i chiarimenti, ma ora si godeva l’attimo di pace.

    Continua...
     
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