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Rabb-it

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  1. rabb-it
     
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    Dodicesimo capitolo



    Forse era il caso di prendersi una pausa.
    Era il pensiero dell’agente Hotchner, mentre osservava il figlio correre avanti alla ricerca del dolce in compagnia dei cugini.
    Jessica e il marito stavano finendo di fare la spesa, il suo contributo era stato un po’ scarso.
    Troppo preso dal pensiero della discussione di quel mattino per concentrarsi su dettagli culinari come abbinamenti tra il pesce e un buon vino bianco.
    E non riusciva a non pensare ai risvolti peggiori del suo mestiere, tenendo costantemente d’occhio Jack, ma non voleva trasmettergli ansia, per cui lo lasciava allontanare.
    Con dentro il terrore peggiore di qualsiasi genitore, decuplicato dal fatto di conoscere per lavoro alcune tra le peggiori aberrazioni del genere umano.
    No, gli serviva una pausa, doveva staccare o Jack sarebbe cresciuto nel terrore e quello Haley non glielo avrebbe perdonato.
    Ma dopo quel mattino la pausa era ancora lontana.
    Non dopo quella lite.
    Troppe cose erano state dette, c’erano dei punti che dovevano essere chiariti prima che potesse lasciare la squadra per qualche giorno.

    Erano passati quasi tre mesi dall’incidente di Derek.
    E Derek voleva tornare in azione.
    L’afasia era alle spalle, aveva ritrovato coordinazione ed aveva superato brillantemente i colloqui con lo psicologo per l’abilitazione al servizio.
    I mesi di terapia riabilitativa e il riposo avevano dato i suoi frutti, ma lui quel mattino gli aveva impedito di tornare al lavoro.
    E l’uomo si era infuriato, erano settimane che si sentiva pronto e non si aspettava un rifiuto da parte sua, e non glielo aveva nascosto.
    Erano volate parole grosse.
    A causa dell’esplosione di rabbia di Derek aveva chiuso il discorso con una semplice frase:
    “Se un semplice -stai a riposo ancora una settimana- ti scatena in questo modo, forse dovrei pensare che sei stato un ottimo attore nei colloqui con lo psicologo.”
    Ma Derek Morgan non ci stava a vedersi etichettato come impulsivo e rimandato a casa in silenzio, ed aveva esagerato.
    “Strano, sullo psicologo avevo fatto un discorso simile a Dave quando TU volevi rientrare dopo poco più di un mese, dall’aggressione di Foyet, e si è visto il risultato!”
    Un silenzio di gelo era sceso nello studio.
    Per alcuni lunghi interminabili minuti rimasero fermi ed immobili, consapevoli del peso delle parole dette.
    Hotch prese una busta che era sulla scrivania ed iniziò ad aprirla con il tagliacarte, il rumore era appena percettibile, ma in quel silenzio veniva ingigantito a dismisura.
    “…io…”
    Iniziò Derek leggermente imbarazzato, cosciente di essersi fatto prendere dall’ira per la mancata riammissione in servizio. Non capiva le ragioni di quel suo costante ostruzionismo.
    Era da quando era rientrato a mezzo servizio, che si sentiva sotto esame, non ne poteva più.
    “Tu, hai solo detto la verità, avrei dovuto prendermi più tempo, ma Foyet non me lo ha lasciato, e non voglio che tu ripeta il mio errore.”
    “Io non sono stato aggredito.”
    “Ti ci è voluto un mese intero per spiegarci gli incubi in cui vedevi Reid torturarti, non serve una laurea per dirti che certe cose non si superano facilmente.”
    “Ma io so che non lo ha fatto.”
    “È stato comunque lui la causa del tuo ricovero, del coma, della riabilitazione. Dovrete lavorare insieme, e io non ve lo lascerò fare fino a che non sarò completamente certo che vi siete lasciati l’esperienza alle spalle.”
    “Sta alle mie spalle da un pezzo, solo tu sembri non accorgertene e vorrei capirne la ragione. È per quello che gli ho detto quando ero ubriaco? Mi ha detto che nemmeno se lo ricorda!”
    “Una settimana Derek, stai fuori dall’azione un’altra settimana, poi ne riparleremo!”
    “E poi ce ne sarà un’altra ed un’altra ancora. IO STO BENE MALEDIZIONE!”
    Ed era uscito sbattendosi la porta alle spalle.
    Senza dargli il tempo di replicare, non che avesse altro da dirgli per placarlo, anzi, forse era stato un bene.
    Erano stati tutti alla larga dal suo ufficio.
    Probabilmente davano ragione a Derek e credevano che stesse esagerando.
    Forse non avrebbero condiviso i modi e i toni, ma certamente il concetto sì, e visto con distacco non sapeva dargli torto nemmeno lui.
    Quando Erin Strauss gli aveva offerto il prepensionamento era stato tentato di buttarla fuori da casa sua a calci, il suo autocontrollo l’aveva salvata, anche se era certo che la donna non se ne era resa conto.
    Capiva bene la frustrazione di Derek, ma era altrettanto sicuro di essere nel giusto ad agire in quel modo, chissà… magari anche la Strauss lo era quel giorno.

    Pessimo paragone.
    Tornò al presente. Vide Jessica voltarsi ansiosa. C’erano entrambi i suoi due figli con lei, ma dov’era Jack?
    Un gelo improvviso calò su di lui.
    Jessica mormorò alcune parole.
    Ne percepì solo alcune, come se non fosse lì, come aveva potuto distrarsi al punto di perdere di vista il suo bambino.
    Scaffale dolci…in fondo…
    Una voce dall’altroparlante scandì il suo nome.
    “Jack Hotchner è alla cassa 14 ad aspettare il suo papà.”

    La cassa 14 venne raggiunta in un baleno.
    Jack era voltato verso la cassiera che si era messa davanti a lui accovacciata e gli stava facendo vedere i tasti del microfono, lei lo indicò al bambino, che si voltò sorridente ed era abbastanza vicino per farsi sentire a rispondere.
    “Sì, lui è il mio papà”
    Il cuore riprese i suoi battiti normali, ringraziò la donna che si era occupata di avvertirli, poi osservò Jack guardarsi in giro.
    Sembrava cercasse qualcuno, non badò a sua zia Jessica a pochi metri da loro.
    Il suo sguardo scorreva lungo gli scaffali, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
    “Jack, cosa è successo?”
    Il bambino deglutì un paio di volte, poi spiegò.
    “Non ho più visto i cuginetti e non eravate dove vi eravate fermati prima, così sono venuto dalla cassiera ed ho chiesto di chiamarti. Ma…”
    Le lacrime ora scorrevano sulle piccole guance del bambino, senza che Hotch avesse idea di cosa gli fosse capitato, erano trascorsi pochi minuti, meno di cinque, cosa poteva essere accaduto in quel breve lasso di tempo per spaventarlo tanto?
    Lo strinse a se. E il piccolo mormorò qualcos’altro.
    “…aveva detto che c’era la mamma…Voglio la mamma!”
    Nascose il volto stringendosi forte al suo babbo e pianse tutte le lacrime di rabbia all’idea che la sua mamma non era arrivata lì a consolarlo.
    Hotch notò il pallore sul volto della cassiera.
    “…Oddio… è colpa mia, ho visto che vi avvicinavate – disse indicando anche Jessica – e gli ho detto che stavano arrivando mamma e papà….oddio mi dispiace.”
    Jack continuava a singhiozzare inconsolabile.
    Hotch disse alla cassiera che lei non poteva sapere, e che la sua era stata una frase normalissima.
    Jessica si avvicinò per prendere il piccolo, ma lui fece segno di no con la testa e si strinse ancora di più al padre.
    Il marito di Jessica disse che avrebbero portato la spesa a casa ed avrebbero iniziato a preparare la cena, come concordato, intanto che lui stava un poco con Jack.
    Un cenno di assenso fu la sola risposta di Hotch.
    Se non mi fossi perso a pensare al lavoro, se fossi stato più presente, se… Calmati.
    Si impose.
    Il suo bambino aveva bisogno di lui, ora doveva trovare le parole giuste, per calmarlo e per fargli capire che sua madre avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere lì con lui.
    Andarono a sedersi su di una panchina, appena fuori dal centro commerciale c’era un piccolo parco.
    Rimasero seduti lì a lungo, padre e figlio a parlare, di Haley, del fatto che avrebbe voluto essere lì, ma non poteva, di come viveva nei loro ricordi.
    Ad un certo punto al suo piccolo ometto venne in mente una cosa.
    “Credo che la signorina alla cassa si sia spaventata. Sai è stata tanto gentile, mi diceva che non dovevo preoccuparmi, che saresti arrivato subito.”
    “Forse sì, ma credo abbia capito che non volevi spaventarla.”
    “Però le dovrei dire che ora sto meglio.”
    “Vuoi rientrare per dirglielo?”
    Era orgoglioso di lui, passata la burrasca si preoccupava per gli altri, come sarebbe stata fiera Haley di vederlo.
    “Sì, poi andiamo a cenare con gli zii, però!”
    E si diresse a passo spedito verso l’ingresso del centro commerciale.
    Hotch fece appena in tempo a seguirlo, non era certo tipo da lunghi tentennamenti suo figlio, altro moto di orgoglio. Altro ricordo agrodolce di cosa lui ed Haley avrebbero voluto per Jack. Serenità e sicurezza.

    La cassiera era ancora alla cassa numero 14, dava l’impressione di aver pianto anche lei, e videro che staccava dal turno.
    “Signora, sto bene.”
    Disse semplicemente Jack arrivandole vicino.
    “Oh, ciao piccolo. Felice di rivederti.”
    Lanciò un occhiata ad Hotch, colma di scuse.
    “Doveva succedere prima o poi, meglio che sia accaduto quando io ero presente, due assenze sono peggio di una.”
    “Lo so bene. Auguri, per tutto.”
    La frase era stata accompagnata da un lampo di dolore che passo fugace nello sguardo.
    Tese la mano ad Hotch, la strinse, poi si abbassò a dare un buffetto sulla guancia a Jack.
    “Un bravo ometto, è venuto subito alla cassa a dire di chiamarla, a volte ci arrivano piccini in lacrime da cui facciamo persino fatica a ad ottenere il nome tanto sono spaventati. Lui no, preciso e convinto: mi chiamo Jack potete dire al mio papà di venire qui?”
    “Ed eccomi, così la prossima volta imparo a non perderlo di vista.”
    “Credo sia scientificamente impossibile non perderli mai di vista, parola di ex-babysitter!”
    “Ora capisco la pratica!”
    “Sissignore, consumato mestiere.”
    “Il mio papà invece cattura i cattivi!” Intervenne Jack con orgoglio.
    “Un poliziotto, ora si capiscono un paio di cosette.”
    “Già una specie, ma non fanno corsi per imparare a fare i genitori.”
    “Sa cosa diceva sempre mio padre? Coi figli se fai sbagli, se non fai sbagli! Si va a tentativi.”
    “Questa è saggezza, forse i corsi li dovrebbe tenere suo padre, ho idea che avrebbe il tutto esaurito.”

    Continua...

    SPOILER (click to view)
    Questa cosa mi frullava in testa da un po', praticamente quando ho iniziato a scrivere questa mi era venuta in mente l'idea per una piccola oneshot solo su jack e il padre.
    Ma volevo prima finire "Quando", solo che ogni tanto mi tornava in mente, così me ne sono liberata... forse.
     
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29 replies since 23/5/2010, 22:06   1417 views
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