Dark Souls

Unsub/Robin89

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    Capitolo XV. Where are you?

    “Alzati, alzati agente Cameron Leane!” cercò di dare a quella voce nella sua testa per non scivolare nuovamente nella pazzia e nei sensi di colpa. Diede uno sguardo a quello che aveva davanti, un corridoio tanto per cambiare ma c’era una porta alla fine di esso, notò anche che lungo il perimetro era posizionata un'altra telecamera e non esisteva che la vedessero in quello stato.
    Afferrò il coltello e lo strinse nella mano, “maledetto”, fece forza sulle gambe e si alzò in piedi barcollante respirando profondamente. Riprese a camminare vedendo la destinazione sempre più vicina, una via d’uscita, la fine di tutto questo sperò. Arrivò a quella porta spinta da una nuova luce e speranza, aveva una lunga maniglia di ferro stile uscita di sicurezza, prese fiato e cominciò a spingere più che poteva. Niente, la porta non si apriva.
    Ripeté l’operazione facendo forza su gambe e braccia quando un’immagine le attraversò la mente, la vittima numero due, Allison Barnett, mentre compiva le stesse azioni e veniva pugnalata al cuore senza pietà. “Prova fallita, la peccatrice è stata punita”.
    Si girò di scatto con un morso di paura tagliando l’aria con il coltello credendo di colpire qualcuno, ma il corridoio era vuoto, la sua mente si stava prendendo gioco di lei, condizionata da quella situazione. Sentiva il petto gonfiarsi e sgonfiarsi ritmicamente, sbatté gli occhi più volte per essere sicura di quello che vedeva.
    No, non c’era nessuno era solo un’illusione. Il nervoso e la delusione crescevano sempre di più, strinse gli occhi e i denti e mosse i primi passi verso il bivio che si era lasciata alle spalle, così svoltò nuovamente a sinistra.

    - Patrick O’Brian, quarantasei anni – scandì Garcia – E’ un prete cattolico di origini irlandesi, è stato docente presso la Catholic High School di Biloxi per circa otto anni. Era uno degli insegnanti di Mary Oldbride. L’anno scorso è stato trasferito dall’Arcidiocesi a New Haven, presso la chiesa di Saint Gabriel.
    - Sai dirci altro di lui? – chiese Hotch.
    - Bambolina, abbiamo bisogno di un indizio. Dove può averle portate – Morgan continuava a fissare lo schermo.
    - C’è dell’altro… è originario di New Haven, a tredici anni fu internato in un ospedale psichiatrico. La diagnosi era “turbe psichiche con allucinazioni auditive”.
    - Cioè? – chiese Rossi.
    - Sentiva le voci – tagliò corto Reid – E’ possibile parlare con uno dei medici che lo tenevano in cura?
    - Difficile – ammise l’informatica – L’ospedale è stato chiuso svariati anni fa, i medici che lo avevano in cura sono tutti in pensione.
    Morgan sbatté il pugno sul tavolo. Leane era palesemente spaesata e non in se, continuava ad agitare il coltello nell’aria come se cercasse di ferire qualcuno. Dovevano trovarle prima di O’Brian.
    - Aspettate – Reid si voltò a guardare lo schermo – Hai detto che l’ospedale è stato chiuso. Cosa ne è stato della struttura?
    - Non era una struttura statale, apparteneva alla diocesi. Tutt’ora l’edificio è vuoto, non è stato destinato a nient’altro. Troppo costosa la ristrutturazione – Garcia fece una breve pausa – Dalle carte risulta che la chiesa che se ne dovrebbe occupare è… cavoli! La chiesa di Saint Gabriel!
    - Puoi mandarci l’indirizzo – Hotch si era scambiato uno sguardo di intesa con Reid – E’ probabile che si trovino lì.
    - Sta viaggiando verso i vostri palmari. Riportatemi indietro la francesina e dinamite. Possibilmente tutte intere.
    - Ci può scommettere, dolcezza – Derek era già sulla porta.
    - Andate avanti, io avverto la polizia e arrivo con i rinforzi. State attenti, quello psicopatico non è prevedibile, potrebbe decidere di non volersi arrendere.
    - Sappiamo cosa fare – annuì Rossi toccando la pistola.
    - Le riporteremo indietro sane e salve – garantì Prentiss.
    - Reid, vai anche tu.
    - Non riusciresti a tenermi qui, neanche se mi legassi – Spencer era già sulla porta.

    Non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando erano state rapite, di sicuro era troppo. Ronnie cominciava a sentire il peso della crisi mentre vedeva le pareti bianche verdastre passarle ai lati. Ora si rifiutava deliberatamente di correre, avrebbe sprecato troppe energie, continuava a camminare spedita concentrandosi su ogni dettaglio e rumore intorno a lei, il corridoio proseguiva verso destra e constatò che la aspettava un’altra lunga camminata, le sue gambe si muovevano per inerzia come se l’obiettivo fosse solo un miraggio.
    Non rendendosene conto arrivò alla fine prima di quanto potesse pensare, oppure era il suo cervello che non riusciva a calcolare più il tempo che passava. Si trovò davanti ad un muro bianco con ai lati due porte entrambe identiche a quelle incontrate fino ad allora, guardò prima una poi l’altra dopo di ché spalancò la destra, aprì quella di sinistra ed entrandovi richiudendola piano.
    Vi poggiò la schiena contro e restò ferma, sentiva di avere la pressione bassa e si sforzò di rimanere in piedi mantenendosi alla maniglia di ferro ma le gambe cedettero come due spugne morbide. Lasciò cadere il coltello a qualche passo da lei e si accasciò sul pavimento a pancia in giù, sentiva fischiare le orecchie e il cervello che scoppiava, strinse forte gli occhi e si lasciò sfuggire un lamento mentre con la mano si stringeva la maglietta.
    Il cuore cominciò a battere forte e velocemente, cominciava a sudare freddo, si voltò subito a pancia in su cercando aria fresca da mandare nei polmoni, iniziò a muovere la testa da una parte all’altra ansimando e scuotendo le gambe, si sentiva come un pesce intrappolato in una rete.
    “Resisti, non durerà ancora per molto”, si voltò nuovamente isterica verso il pavimento poggiandosi i gomiti continuando ad ansimare nervosamente, alzò gli occhi e fissò la telecamera a qualche metro da lei, non aveva più paura di guardarla, adesso ne aveva un bisogno disperato, “Dove siete?”.

    Garcia guardava Ronnie con le lacrime agli occhi. Non sapeva cosa esattamente stesse succedendo alla ragazza, ma stava male. La respirazione era visibilmente difficoltosa e Leane sembrava sul punto di perdere il controllo.
    - Coraggio dinamite, i ragazzi stanno venendo a tirarti fuori. Resisti!
    Spostò la sua attenzione sull’altra donna inquadrata dalle telecamere. Collins sembrava lucida, ma affaticata. Le sue doti fisiche non erano sviluppate quanto quelle mentali. Penelope la guardò mentre camminava a passo svelto, girando un angolo. Spostò l’inquadratura, ma di Sarah non c’era più neanche l’ombra.
    - Dove è finita? – si alzò in piedi di scatto e compose il numero di Derek.
    - Ehi, bambolina. Novità? – Morgan aveva messo il vivavoce.
    - Ho perso Sarah – balbettò la rossa.
    - Come l’hai persa? – Reid era vicino ad una crisi di nervi – Come diavolo hai fatto a perderla? E’ rinchiusa dentro un edificio sorvegliato da telecamere!
    - Ha girato l’angolo e come ho cambiato inquadratura… puff! Scomparsa!
    - Forse è un bene, Reid – Morgan cercò di essere rassicurante – Si è nascosta così bene che neanche le telecamere di quel posto infernale la trovano.
    - Ma dove sarà finita? – Reid cercò di trattenere le lacrime, anche se gli tremava la voce.
    - Sarah sa quello che fa – Emily gli posò una mano sul braccio – Se c’è qualcuno che può venir fuori da quella trappola, è lei.
    Spencer sperò con tutto se stesso che Prentiss avesse ragione.

    Continua…
     
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    Capitolo XVI. My escape

    Sapeva che la sua preda era da qualche parte, lì nascosta dietro qualche angolo che aspettava la giusta punizione per i propri peccati. Era sempre così e sempre lo sarebbe stato. Ragazze sciocche, che si facevano irretire da false promesse, anime che perdevano la retta via per loro scelta e poi andavano da lui piangendo e implorando perdono.
    Il perdono andava conquistato, non si poteva dire semplicemente “mi dispiace, ho sbagliato”. Dov’era il pentimento? Dov’era la redenzione? Lui dava loro la possibilità di tornare pure, anche se nessuna di loro era mai riuscita a superare la prova.
    L’unica sua consolazione era stata Mary. La dolce e cara Mary, così ferita, così pronta ad aprirsi alla giusta visione delle cose. Le aveva insegnato a punire senza pietà i peccatori che non volevano redimersi. Lei, non solo aveva colto le sue parole, ma le aveva fatte proprie.
    Un sorriso piegò le labbra del prete. A Biloxi aveva creduto che quei giovani da lui plasmati potessero portare la verità nel mondo, quella verità che gli arcangeli gli avevano annunciato quando, appena adolescente, aveva ricevuto la sua “chiamata”.
    Era molto più di un semplice sacerdote, lui era il braccio terreno dell’arcangelo Michele che guida le armate celesti. Lui aveva il potere di divulgare la felice novella. “Peccatori, pentitevi ed affrontate la prova che il Signore vi pone dinnanzi”.
    Solo quei ragazzi della scuola avevano capito che non era una prova metaforica, ma qualcosa di molto più concreto. Avevano rapito quei ragazzi cattivi per processarli, per metterli di fronte ai peccati che avevano commesso allontanandosi dalla parola del signore. Nessuno di loro si era piegato e quindi erano stati puniti di conseguenza.
    Nella sua continua lotta contro il peccato, aveva dovuto affrontare persino Lucifero. L’angelo traditore aveva osato provare a portare dalla sua parte uno dei suoi seguaci con false promesse, raccontando bugie. Ma lui era stato più forte persino del demonio. Aveva sconfitto l’angelo caduto e aveva epurato il suo esercito. Chiunque osasse sfidare la volontà di Dio meritava la morte ed ora lui aveva due peccatrici da inseguire.
    La donna dagli occhi di serpente, che sembrava vedere dentro le anime delle persone, e quella ragazza che, come aveva sentito lui stesso attraverso il microfono nascosto, si era donata al demone della droga. Meritavano di essere messe alla prova, ma nessuna delle due l’avrebbe superata. Erano irrimediabilmente due anime perdute, destinate all’inferno fin dalla notte dei tempi.
    Sapeva che i suoi proseliti lo fissavano dalle telecamere, che partecipavano con lui a quell’impresa. Giovani menti che chiedevano solo che qualcuno mostrasse loro la via. Avrebbe mostrato ancora una volta al mondo che chi pecca difficilmente torna indietro e si rende conto dei suoi errori.
    Si fermò ad un bivio, chiuse gli occhi ed invocò San Michele. Riaprì gli occhi e la prima cosa che vide fu l’impronta di una mano sul muro. Impronta lasciata con il sangue. Una delle due si era ferita mentre aggrediva il prescelto del signore e lui ora sapeva cosa fare.
    Svoltò sicuro a destra e si incamminò. Il topolino stava per finire in trappola.

    Si aspettava un impatto più forte. Fortunatamente alla fine dello scivolo c’era ancora un carrello per la raccolta del materiale, che slittando, aveva attutito il colpo.
    Sperava di essere stata abbastanza rapida nella sua decisione. Se l’S.I. stava seguendo i loro movimenti tramite il sito, era importante che non l’avesse vista infilarsi in quel vecchio scivolo per la biancheria sporca.
    Si tirò fuori dal carrello con fatica, sentiva un dolore sordo al ginocchio che aveva sbattuto violentemente contro la superficie di ferro. Sospirò pensando che forse aveva trovato il modo di seminarlo per il momento.
    La sua deduzione di poco prima si era rivelata esatta. Un vecchio ospedale. Ecco spiegato il colore delle pareti e le grate alle finestre. Durante la sua folle corse, aveva notato delle porte aperte, in una stanza era ancora presente una barella.
    Sicuramente si trovava nel seminterrato. Si guardò attorno, studiando ogni più piccolo dettaglio della lavanderia. Non c’erano telecamere. Uscì zoppicando e si trovò di nuovo in un corridoio. Unica differenza con quelli dei piani superiori, la totale assenza di circuiti di video-sorveglianza.
    Si poggiò alla parete per riordinare le idee e riprendere fiato. L’uomo che la inseguiva non voleva che occhi indiscreti vedessero quella zona, perché? Una speranza si fece largo in lei.
    Si incamminò scrutando nella penombra ogni più piccolo segno di presenza umana. Non si sentivano altri suoni che quello ovattato dei suoi passi. Fortunatamente, quella mattina, aveva scelto di indossare delle comode scarpe da ginnastica e dei jeans neri, invece del solito tailleur e delle consuete scarpe col tacco. Questo la rendeva più libera nei movimenti e più silenziosa nell’incedere.
    Aprì lentamente una porta e trovò quello che stava cercando.
    Un sorriso torvo le piegò le labbra.
    - A noi due, figlio di puttana.

    Ronnie aspettò che passasse il giramento di testa per provare ad alzarsi. Una volta sicura che non sarebbe caduta un'altra volta si portò fino al muro dove poteva reggersi ad un carrellino formato da quattro mensole una sopra l’altra. Era in piedi e guardava le mani poggiate all’ultima di quelle, il respiro era ancora affannoso e le tremavano anche le gambe, desiderava ardentemente un qualsiasi tipo di droga che facesse subito effetto, non riusciva più a scacciare quel pensiero, era un tarlo nella sua testa.
    Di tutte le emozioni e sensazioni che provava in quel momento dava ascolto soltanto alla rabbia, rovesciò il carrellino per terra che finì a qualche passo da lei, si girò e cominciò a sbattere più volte la mano sul muro lasciandosi sfuggire un’ urlo. Non sentiva neanche il dolore al polso a furia di sbatterlo con forza sulla parete.
    - Ti ammazzo schifoso bastardo fatti vedere!
    Quei pugni divennero sempre più deboli finché non si fermò, si voltò e si avvicinò al pugnale chinandosi per prenderlo, alzò lo sguardo su quello che aveva di fronte, un piccolo corridoio che portava ad una sala. Sospirò chiedendosi fino a che punto avrebbe retto psicologicamente, continuava a rispondersi che non le interessava, l’importante era resistere fino all’arrivo della squadra e non incasinare ancora di più la situazione con l’S.I.
    Il suo corpo era pervaso da momenti di debolezza in cui era lucida e di forza in cui perdeva il controllo, sperava solo che il killer stesse inseguendo lei e non Sarah.
    Andò al centro della sala e si guardò intorno, le pareti avevano delle piccole vetrate con all’interno quelli che sembravano essere stati degli uffici, ignorò qualsiasi cosa che non fosse una via d’uscita, così s’incamminò al centro dell’incrocio della sala e prese la via di sinistra sperando che la portasse a qualcosa di concreto.

    Le aveva perse entrambi! Com’era possibile? Frustrato, tornò sui suoi passi. Pensavano di essere riuscite a sfuggirgli? Povere illuse. Lui sapeva come ritrovarle e tra poco per quelle due non ci sarebbe stato scampo.
    Si mosse sicuro all’interno del vecchio ospedale. Prese le scale e scese fino allo scantinato. Percorse il lungo corridoio male illuminato, stava quasi correndo nella fretta di ritrovare le due peccatrici.
    Si impose di rallentare il passo e di calmarsi. Quelle due piccole streghe non sarebbero fuggite alla giusta punizione per i loro peccati. Vide la luce della sala monitor filtrare da sotto la porta.
    Sorrise soddisfatto, grazie al sistema di sorveglianza le avrebbe ritrovate in un baleno ed allora la caccia sarebbe ripresa più spedita.
    Girò la maniglia ed entrò sicuro nella piccola stanza. Avrebbe dato loro la punizione che si meritavano usando le loro stesse armi, quelle pistole che aveva trovato mentre le perquisiva.

    Morgan entrò per primo all’interno dell’edificio abbandonato. Rossi, Reid e Prentiss lo seguirono e si misero in posizione per coprire tutto lo spazio visivo di cui disponevano.
    - Dove andiamo adesso? – chiese Rossi, guardando i tre corridoi che si dipanavano dall’atrio principale.
    - Possiamo dividerci – propose Morgan – Adesso chiamiamo Garcia e cerchiamo di farci guidare dalle ragazze. Sono loro la nostra priorità.
    Spencer annuì deciso. Sicuramente salvare sua moglie era la sua priorità assoluta.
    Improvvisamente il silenzio fu rotto dal rumore di tre detonazione. Qualcuno aveva sparato con una pistola tre colpi in rapida successione.
    Si voltarono verso l’origine di quel suono e cominciarono a correre.

    Continua…


     
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    Capitolo XVII. You find me

    Sentì dei passi veloci arrivare verso di lei da dietro. Strinse più forte il pugnale e si poggiò al muro pronta a qualsiasi cosa fosse successa, forse. I passi si facevano sempre più vicini e pesanti, le mani tremavano ancora e il cuore batteva forte, non pensava a niente, aveva la mente vuota e annebbiata vicina a perdere nuovamente il controllo.
    - Ronnie?
    Non sembrava sentire quel nome, come se fosse frutto della sua immaginazione. Voltò l’angolo con la spalla e il coltello pronto a essere usato, Morgan si fermò di colpo vedendola e prontamente alzò le mani.
    - Ronnie sono Derek, metti giù il coltello.
    C’era qualcosa di strano negli occhi di Ron, erano fermi ed estremamente freddi, non reagì minimamente alla vista dell’amico, restava ferma a studiare il nemico.
    - Non è vero.
    - È tutto finito adesso, ti porto via da qui.
    - Non sei Derek sei solo un’illusione, smettila di prenderti gioco di me.
    Morgan cercò di abbassare le mani e di avvicinarsi a lei lentamente, Ron era completamente fuori di testa.
    - Non ti avvicinare!
    Derek non esitò, era a un passo da lei e aveva tutta l’intenzione di farla tornare alla realtà.
    - Vattene!
    Ronnie cercò di colpirlo con il pugnale, lui schivò la lama e le afferrò il polso, la disarmò lasciando cadere l’arma per terra. Ron gli tirò un ceffone che non ebbe nessun effetto, lo spinse con le mani sul petto e si divincolò cercando di raggiungere il coltello ma Derek la teneva stretta e l’abbracciò immobilizzandola.
    Si trovava con lui addosso e con le spalle al muro, non poteva fare niente se non restare con il fiatone e con la testa sulla sua spalla. Derek cominciò a carezzarle i capelli e la schiena mentre le parlava all’orecchio per calmarla.
    - Shh è tutto finito, ora sei al sicuro.
    Cosa stava succedendo? Era davvero Derek? Non era un’ illusione come quella di prima?
    Smise di agitarsi quando capì che quel corpo esisteva davvero, ma la sua astinenza stava arrivando al limite. Non si rendeva conto di quello che voleva dire e di quello che le uscì dalla bocca.
    - Ho bisogno di droga - “Ma cosa sto dicendo?”
    Morgan la scostò da sé e le prese la testa fra le mani.
    - Ehi non hai bisogno di nulla capito? tu sei più forte di questo lo sai bene non lasciarti ingannare.
    - Cosa mi sta succedendo? Sto diventando pazza?
    Le sue gambe cedettero, era distrutta dallo stress emotivo, non sentì neanche la risposta di Morgan, tutte le sue funzioni si spensero, si mise in stand-by, era libera. Si lasciò cadere a peso morto e Derek la prese in braccio.

    Quando riaprì gli occhi Cameron si trovò davanti un soffitto bianco con luci al neon. Sbatté le palpebre confusa e sentiva la testa pesante e indolenzita.
    - Ben tornata fra noi, bell’addormentata – una voce femminile calda e dal tono tagliente.
    Prima ancora di voltarsi, sapeva che si sarebbe trovata davanti due occhi verdi freddi ed imperscrutabili.
    Sospirò, ora non si sentiva pronta ad affrontarla. Si diede della codarda, in fin dei conti quella donna le aveva salvato la vita e doveva almeno dirle grazie.
    Provò a mettersi seduta, ma il dolore alla testa divenne una fitta lancinante e fu costretta ad abbandonarsi di nuovo sulle coltri che sapevano di disinfettante.
    - Se fossi in te, non farei gesti bruschi. Devi avere un mal di testa di proporzioni bibliche – la voce non tradiva la minima emozione.
    “Siamo tornate in modalità stitichezza emotiva, vero regina dei ghiacci?” Almeno riusciva ancora ad essere ironica e acida, anche se solo nella sua testa. Non sapeva perché, ma aveva la netta sensazione che non avrebbe mai trovato il coraggio di parlare così a Collins.
    - Dove mi trovo?
    - Con questa, agente Leane, vince il premio per la domanda più banale – c’era una nota divertita nella sua voce – Sei in ospedale, il povero Derek si è fatto venire quasi un’ernia per portarti fuori da quel posto.
    - Ci hanno trovati in tempo, allora. L’S.I.?
    - Gli stanno facendo l’autopsia in questo momento.
    Finalmente riuscì a voltarsi lentamente verso la voce che l’aveva accolta al suo risveglio. Nella camera c’erano solo lei e Sarah. Si chiese distrattamente dove fossero gli altri, poi pensò che aveva domande più importanti ed urgenti da fare.
    - Chi? Morgan immagino…
    - Io.
    A quell’affermazione Cameron spalancò gli occhi e si mise a sedere di colpo, guardandola stralunata. Non riusciva a capire quello che aveva appena sentito. L’S.I. era armato, il coltello che erano riuscite a sottrargli lo aveva lasciato a lei per difendersi, come diavolo aveva fatto ad ucciderlo?
    Sarah capì perfettamente quali percorsi avesse preso la mente di Leane, era una ragazza sveglia. Un sorriso triste le piegò le labbra e chiuse gli occhi. Non aveva mai ucciso nessuno, neanche Brunet quando aveva minacciato Spencer con la pistola. Di solito era Morgan quello che premeva il grilletto, lei si limitava a dar man forte al collega.
    - Durante la fuga, ho usato un vecchio scivolo per la biancheria sporca. Mi sono trovata nel seminterrato. Sapevo che O’Brian ci aveva preso le pistole, doveva avere un qualche tipo di rifugio all’interno dell’edificio. E’ stato abbastanza semplice trovarlo.
    - Poi è andata a cercarlo.
    - Non è stato necessario. Avevo lasciato delle tracce di sangue per indurlo a seguirmi, quando non mi ha più trovata è stato preso dal panico ed è tornato alla sala monitor – un’alzata di spalle – Mi sono limitata ad aspettarlo al varco. Come mi ha visto là dentro, mi si è avventato contro. Ho semplicemente agito d’istinto.
    Cameron meditò su quelle parole e sull’espressione di Collins. Non le aveva detto tutto, di questo era certa. Sapeva che la sua ex insegnante non sarebbe tornata sull’argomento, almeno non con lei.
    - Come avete fatto a trovarmi?
    - Le telecamere – Sarah riaprì gli occhi, trovandosi fuori dal suo territorio minato – E’ stato facile individuarti, Derek è corso a prenderti.
    - Gli altri, dove sono?
    - Arriveranno tra poco. Abbiamo fatto dei turni – Sarah si alzò dalla sedia con l’aiuto di due stampelle.
    Ronnie osservò il tutore che portava al ginocchio destro, il vistoso ematoma che aveva sullo zigomo, sempre a destra, e la fasciatura sulla mano sinistra. Combatté una profonda lotta interiore, non era da lei dire certe cose. Non faceva parte del suo carattere, odiava essere in debito con qualcuno.
    - Io… volevo dirle… - ingoiò un paio di volte “Cameron, forza! Non è difficile da dire, è solo una parola” – Grazie.
    - Se vuoi ringraziarmi, vedi di rimetterti presto. Non ne posso più di New Haven.
    - Siamo qui solo da due giorni – il tono acido era tornato più prepotente del solito – Siamo smaniose, eh?
    Collins la guardò sbattendo le ciglia un paio di volte, sollevò il sopracciglio e la scrutò attentamente.
    - Agente Leane, forse non le è ben chiara la situazione. Lei è qui da tre giorni.
    Tre giorni? Era stata incosciente per un periodo piuttosto lungo. Ecco spiegato perché avevano fatto a turni per tenerle compagnia. Sentiva ancora quella smania addosso e strinse i pugni fino a far diventare bianche le nocche.
    In quel momento la porta si aprì, lasciando entrare un Reid sorridente con due tazze di caffè in mano.
    - Ehi! Ti sei svegliata finalmente.
    Cameron non riuscì a ricambiare il sorriso. Sentiva la voglia disperata di qualcosa che sapeva estremamente sbagliato e pericoloso. Sentiva ancora i sudori freddi addosso.
    - Appena la dimettono possiamo partire – Sarah guardò suo marito – Avverti Hotch.
    - Certo – Spencer fece per uscire, ma la moglie lo richiamò.
    - Spencer? Quando torniamo a Washington… credo che Leane abbia bisogno di essere portata al cinema.
    - Al cinema? – chiese Ronnie sgranando gli occhi.
    Lei era ancora sull’orlo dell’abisso e quella pensava di mandarla a vedere qualche strano film?
    - Il film che devo finire di vedere, immagino* – disse Spencer con un sorriso.
    - Direi che la nostra Leane lo troverà molto istruttivo – Sarah fece l’occhiolino al marito e sorseggiò il suo caffè.

    Continua…

    * Riferimento all’episodio 3x16 “Memoria da elefante”.
     
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    Capitolo XVIII. What's happened?

    Tornata a Washington con mente decisamente più lucida rispetto l’ultima settimana si permise il lusso di riflettere su ciò che era successo constatando che il risultato finale era che si sentiva un vero schifo.
    Quel caso era iniziato male ed era finito peggio. Cameron cercava spudoratamente di evitare ogni sguardo con Collins o Reid, si limitava solo ad annuire con cenni del capo o semplici sì e no senza mai alzare la testa.
    Non ci riusciva era più forte di lei, non era abituata a dipendere da qualcuno specialmente durante il lavoro e sapere che la sua vita era nelle mani di qualcun altro, che sia stato un collega o un S.I. la destabilizzava.
    Lei era sempre stata abituata a cavarsela da sola, a tenere tutto sotto controllo, ad essere padrona di sé e della situazione… invece per la prima volta si era sentita impotente, una codarda, inutile e dannatamente in colpa per tutto.
    Se non si fosse allontanata non le avrebbe rapite, pensò, e non avrebbe dovuto lasciare sola Sarah al bivio, doveva ribellarsi e farsi mandare via a calci se fosse stato necessario. Il risultato era che aveva obbedito anche se dopo uno schiaffo, solo per non perdere altro tempo con l’S.I. alle spalle, aveva corso per i corridoi lasciando la situazione nelle mani di Collins.
    “Complimenti Cameron sei proprio un’agente dell’ FBI degno di essere preso a calci”. Si ritirò in bagno stufa di pensare a quanto era stata vigliacca, si lavò la faccia con acqua fredda e si guardò allo specchio, lei non era quella persona. Aprì lo sportellino in alto alla sua destra e guardò il barattolino di EN che prese tra le mani, in quel momento sembrava l’unica via d’uscita.

    Derek continuava a guardare la propria tazza di caffè, nell’attesa che l’altra parlasse. Sapeva che era successo qualcosa di cui lei non voleva parlare con nessuno, neanche Spencer. Erano giorni che girava intorno all’argomento e sul lavoro era piuttosto fredda con tutti.
    Niente più pause caffè per dire due stupidaggini e scoppiare tutti a ridere, niente più saluti calorosi quando arrivava, niente più sorrisi. Sarah nascondeva qualcosa e lui voleva farle dire cosa la tormentava.
    All’inizio della loro amicizia era lui a tormentarla per ore, anche nel cuore della notte, per avere un consiglio o solo per sfogarsi con qualcuno che lo capiva. Si era aspettato che lei si confidasse con Reid o con Emily, ma evitava accuratamente entrambi. Non era da lei scappare davanti alle cose, lei la vita l’affrontava di petto anche a costo di farsi male.
    Spencer gli aveva detto che quella sera aveva un impegno con Ronnie e che quindi sarebbe rientrato molto tardi. Aveva aggiunto, con noncuranza, che Sarah sarebbe rimasta a casa da sola tutta la sera. Era una richiesta di aiuto implicita, evidentemente neanche lui sapeva come comportarsi con la moglie.
    Si era presentato a casa loro senza preavviso, temeva che se le avesse detto che voleva passare a trovarla lei avrebbe inventato una scusa. Appena entrato si era diretto in cucina e aveva messo a fare il caffè, Sarah era rimasta in silenzio dal suo arrivo.
    - Reid mi ha detto che rimarrà fuori casa parecchio – provò a prenderla alla larga.
    - Sì, immagino di sì.
    - Ti dispiace restare sola? – continuava a guardarla, sperando che lei si sentisse incoraggiata a parlare.
    - A causa del suo lavoro, molto spesso passiamo giorni senza vederci – Sarah fece spallucce – Sarebbe sciocco lamentarsi per una sera in cui ha da fare. Aveva un impegno a cui non poteva rinunciare.
    - Me lo ha detto. Doveva portare Cameron da qualche parte.
    Collins non commentò. Si era chiusa in un mondo suo, dal quale gli altri erano banditi.
    - Non puoi continuare così, anche Reid è preoccupato.
    - Non capisco di cosa vi preoccupiate. Sto bene.
    Morgan sbatté violentemente una mano sul tavolo e fece sussultare Sarah.
    - Con chi credi di stare parlando?
    - Non voglio parlare con te – lo sguardo di lei non tradiva la minima emozione – Non voglio parlare con nessuno. Mi passerà.
    - Perché non vuoi farti aiutare? Capisco che tu non voglia parlare con gli altri, ma non puoi estromettere persino tuo marito.
    - Non merito aiuto – era quasi un sussurrò mentre chinava la testa per nascondere le lacrime che le riempivano gli occhi.
    - Cosa vai blaterando?
    - Se non lo dico a qualcuno finisco con l’impazzire – la donna si prese la testa fra le mani – Giurami di non dire mai niente a nessuno. Non voglio parlare con Derek Morgan, agente dell’F.B.I., sto per confidarmi con Derek Morgan il mio migliore amico. Chiaro?
    - Sarò una tomba – le promise posandole una mano sul braccio.
    - Non mi ha aggredito – scosse la testa – Quando è entrato nella stanza non gli ho dato il tempo di fare niente.
    - Mi stai dicendo che…?
    - L’ho ucciso, Derek. L’ho ucciso a sangue freddo – scoppiò in singhiozzi, incrociò le braccia sul tavolo e vi poggiò sopra la testa.
    - Eri stata rapita, drogata, quell’uomo aveva minacciato di uccidervi. Chi potrebbe biasimarti? Hai solo pensato che se non lo uccidevi, lui avrebbe ucciso te.
    - No, non ho pensato a niente. Ho solo premuto il grilletto – era distrutta – Come posso guardare in faccia Spencer e Chris ora? Io sono un agente federale, non un giustiziere.
    - Era una situazione di stress estremo. Cercavi di salvare te stessa e Ronnie.
    - Vuoi sapere qual è stato il mio ultimo pensiero coerente prima di sparare? Riuscivo solo a pensare che quel bastardo stava per portare via la madre a mio figlio.
    Derek si alzò e fece il giro del tavolo. La prese per le spalle e la costrinse ad alzarsi, prima di stringerla in un abbraccio consolatorio.
    - Hai fatto quello che dovevi per sopravvivere. Ecco perché puoi guardare tuo marito e tuo figlio a testa alta. Hai fatto quello che era necessario per tornare da loro.

    Erano le 19:00, il poligono di tiro ai piani bassi della sede della B.A.U. stava ormai per chiudere e Cameron continuava a sparare imperterrita alla sagoma nera riempiendola di buchi bianchi.
    Un giovane ragazzo le si avvicinò ricordandole l’orario e di riporre tutto l’occorrente nel magazzino, lei annuì e prima di eseguire gli “ordini” finì di scaricare del tutto l’arma sparando gli ultimi colpi. Si tolse le cuffie che poggiò sull’ apposito piano di legno, sospirò pensando che in fin dei conti nonostante il male alle spalle sarebbe rimasta volentieri ancora un bel po’. Riportò la custodia al ritiro delle armi e si diresse verso l’uscita.
    Con la coda dell’occhio vide una figura poggiata al muro che la fissava con le braccia incrociate.
    - Ehi – la salutò Reid con la mano e con un sorriso stampato sulle labbra.
    - Ehi – Ronnie non riusciva ancora a guardarlo.
    Rispose fredda e distaccata. Pensava che Reid, anche se non lo faceva vedere, le desse la colpa di aver messo in pericolo la moglie e aveva tutte le ragioni del mondo.
    - Immagino che sei venuto a portarmi “al cinema” – non credeva a quella messa in scena, sapeva che sotto c’era qualcosa.
    - Già, guarderemo tutto il film e non provare a svignartela a metà.
    In macchina era silenziosa e guardava fuori dal finestrino, sapeva che stava sbagliando tutto, non avrebbe dovuto aprire quel barattolino arancione che ora teneva sempre in borsa.
    Si sistemava ritmicamente i capelli e muoveva il piede su e giù, aveva passato otto ore al poligono per provare a dimenticare ma la voglia di prenderne un’altra scalpitava. Reid la guardava con la coda dell’occhio, rivide se stesso ai tempi della sua dipendenza. Sorrise tra sé, era bello sapere che ora toccava a lui dover aiutare una collega.
    - Dove siamo? – Ronnie si fermò a metà dello sportello della vettura guardando la struttura di fronte a lei con due poliziotti nel giardino.
    - Entriamo – Reid le sorrise un'altra volta facendole segno con la mano di seguirlo.
    Ron chiuse lo sportello e lo seguì tenendo la testa bassa.
    La sala era piena di poliziotti che stavano seduti di fronte ad una cattedra, a fianco di essa c’era un altro poliziotto che parlava al suo pubblico con un microfono. Ronnie aveva capito benissimo dove l’aveva portata.
    Le tornò in mente quello che le disse Sarah riguardo la sua conoscenza di qualcuno che c’era già passato, si voltò subito a guardare Spencer che mosse le labbra tirandole ai lati della bocca. Cameron riportò gli occhi sulla platea di agenti, incrociò braccia e gambe e si poggiò al muro,infondo non le costava nulla aspettare la fine del film.
    - Anch’io ti voglio bene Ronnie – Spencer vide un timido sorriso farsi spazio tra le labbra della ragazza.

    Continua
     
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    Capitolo XIX. Leane

    Sarah aveva deciso di accendere il camino, aveva sempre trovato rilassante sedersi davanti al fuoco e parlare con calma. Derek le faceva compagnia, avendo trovato posto su uno dei grandi cuscini che lei teneva sparsi per terra. Non avevano parlato molto da quando avevano lasciato la cucina, lei si limitava a stare lì abbracciandosi le ginocchia mentre le fiamme strappavano strani riflessi ai suoi occhi verdi.
    Morgan si trovava ad osservarla bene dopo tanto tempo. Sembrava diversa dalla ragazza che aveva conosciuto, aveva un’aria più matura e l’espressione del viso era più dolce. Sorrise ripensando a quella ragazzina scontrosa e arrogante che gli si era seduta di fronte tre anni prima. Una venticinquenne che credeva di avere tutte le risposte e il cui gioco preferito era “ignoriamo il resto del mondo, tanto non è interessante quanto me”.
    Per la prima volta si rese conto di quanto si somigliassero Collins e Leane: testarde, dure, determinate e con un bagaglio di problemi personali grosso come un tir. Decise di renderla partecipe dei suoi pensieri, per scioglierla un po’.
    - Sai, stavo pensando… - provò a cominciare.
    - Ehi due neuroni, pensare è una parola grossa detta da te – lo prese in giro lei.
    - Spiritosona! Il fatto che io non vada in giro a snocciolare statistiche e concetti astrusi come te e il tuo caro maritino, non vuol dire che non usi la materia grigia – gli rispose piccato lui – Quando fai così mi ricordi Ronnie.
    - Le sei molto affezionato, vero? – si girò finalmente a guardare il suo amico.
    - Sì, e devo dire che la cosa mi sorprende molto visto il nostro inizio.
    Sarah scoppiò a ridere.
    - Mi ricordo quel giorno, o meglio… quella telefonata - sembrava persa nei ricordi – Eri arrabbiatissimo con me e con lei.
    - Avevo tutti i motivi per essere arrabbiato – ora anche lui sorrideva – Aveva fatto piangere Garcia.
    - Raggio di sole è più tosta di quanto tu possa immaginare, non ha bisogno del cavaliere dalla scintillante armatura. E comunque le tue rimostranze non si sono fermate lì, mi sembra.
    Tornarono entrambi con la mente a quella telefonata di un anno prima.

    - E’ di un’arroganza allucinante! – Morgan era decisamente alterato.
    - E’ il suo primo giorno. Prima di sbranarla viva, dalle almeno una possibilità – Sarah cercava di mantenere la voce calma, aveva temuto quella telefonata per tutto il giorno.
    - Come diavolo ti è saltato in mente di far entrare in squadra quella tipa?
    - E’ un ottimo elemento. L’ho addestrata personalmente, vedrai che con il tempo…
    - Il tempo? Se non se ne va per la fine della settimana, o la sbatte fuori Hotch o io l’ammazzo. Quella è una bomba a orologeria.
    - Derek, tesoro… ti prego, calmati – cercava di rabbonirlo con la dolcezza, con scarsi risultati.
    - Non chiamarmi “Derek tesoro”! Non dopo averci fatto uno scherzo del genere. Quella si comporta come se fosse tanto speciale, beh glieli faccio riportare io i piedi per terra!
    - Accomodati pure – decise che l’indifferenza fosse la tattica più appropriata all’umore dell’altro – Spero che Spencer mi faccia sapere chi dei due sopravvivrà.
    - Sicuramente non lei – Morgan trasse un lungo respiro – Ok, hai vinto. Le darò una possibilità.
    - Grazie, due neuroni.


    - Vi somigliate molto, sai? – Derek le scostò una ciocca di capelli dal viso.
    - Sì, propri per questo l’ho scelta. Ogni tanto ho paura di aver commesso un errore di valutazione.
    - Ormai fa parte della squadra, è una di noi – Morgan le passò un braccio intorno alle spalle – Si è calmata parecchio.
    - Non abbastanza – Collins sembrava triste – Come mai nessuno l’ha mai fatta venire alla cena del venerdì?
    Morgan ritirò il braccio e si mise ad osservare il fuoco, cercando di evitare lo sguardo indagatore dell’altra.
    - Credo che il compito spetti o a te o a Reid.
    - Balle! Se la consideraste parte della famiglia non vi sareste fatti problemi di alcun tipo a portarla qui.
    - E’ che… non lo so, a volte ho come l’impressione che lei sia solo di passaggio. E’ la prima a non fidarsi di noi. Ogni tanto mi piomba in casa anche nel cuore della notte per un consiglio, ma non permette a nessuno di entrare nel suo intimo, se capisci cosa voglio dire.
    - Lei non si apre con voi e voi non vi fidate fino in fondo, chiaro.
    - E’ un po’ più complesso di così. Sai benissimo che la nostra forza è il fatto che ci appoggiamo uno con l’altro. Lei non si appoggia a nessuno, non permette a nessuno di aiutarla, crede di poter fare sempre tutto da sola. Cosa succederebbe se una volta non fosse in grado di tirarsi fuori dai guai?
    Sarah meditò sulle parole del suo amico e chiuse gli occhi.
    - Portate pazienza, ancora per poco. Sono sicura che lei finirà con l’aprirsi, accetterà il fatto che lavorare in squadra è l’unico modo.
    - E se si decidesse a farlo quando ormai è troppo tardi?

    Era tardi e Derek stava rientrando a casa sua, nella veranda in una panchina vicino alla porta c’era Cameron che lo aspettava. Lei lo scorse con la coda dell’occhio senza guardarlo interamente, si mise le mani in tasca e accavallò le gambe, lui rallentò alla sua vista e si diresse verso di lei.
    Ronnie si era chiusa e si ostinava ad avere meno contatti possibili anche con tutti gli altri, in particolare con Collins e Reid, mentre con Derek, Emily e Hotch s’impegnava a sembrare il più normale possibile cercando tuttavia di evitarli. Aveva imparato a costruirsi una maschera di salvataggio per le situazioni di emergenza, nessuno entrava nella sua testa e lei non faceva uscire nessun tipo di emozione che potesse tradirla. Ma aveva anche imparato a cedere con Morgan.
    - Hey – lo salutò lei con un cenno del capo.
    Lui la guardò di sottecchi poggiandosi ad una colonnina della veranda.
    - Come stai?
    “Bene, come sempre… no, uno schifo”, era indecisa su quale risposta dare ma forse ci mise troppo tempo.
    - Ti va di parlare?
    - Sì – mugugnò.
    Derek si sedette in una panchina di fronte a lei e si chinò poggiando i gomiti sulle ginocchia, gli occhi divennero due fessure mentre continuava a fissarla.
    - Mi ha detto Sarah che sei stato tu a portarmi via da quel posto, e che sono stata incosciente per tre giorni. Non ricordo molto degli ultimi momenti…
    - Non c’è molto da ricordare, quando ti ho trovato mi sei praticamente svenuta in braccio – decise che era meglio evitare il particolare che Ron l’aveva aggredito con il pugnale, altrimenti non si sarebbe mai data pace – Prima intendevo come stai veramente, non quello che vuoi farmi credere.
    - Noi due non parliamo mai dei nostri sentimenti, dovresti capirmi – continuava a guardare la punta delle scarpe.
    - Mi avevi promesso che non saresti più scappata.(1)
    - Infatti non sono scappata,lavoro ancora con voi mi sembra, no?
    - No – Morgan scosse la testa - Sei invisibile, ti ostini a comportarti come se non fosse successo niente. Hai saltato un appuntamento che Hotch ti ha preso con lo psicologo dell’Unità e non hai parlato a nessuno dopo il nostro rientro, neanche con me.
    - Forse perché c’è troppo da dire, o forse niente – sospirò amareggiata - Non so da dove cominciare.
    - Comincio io allora, hai ripreso a bere? (2)
    Cameron venne presa da un brivido e alzò la testa per guardarlo. Non si aspettava una domanda così diretta.
    - Non come prima.
    Derek aveva tutta l’intenzione di affrontare quel discorso, specialmente dopo aver sospettato dei suoi movimenti nel cucinino dell’ufficio, così andò fino in fondo.
    - Stai prendendo qualcosa? Farmaci?
    - Di cosa stai parlando?
    - Lo sai benissimo a cosa mi riferisco, non ci girare intorno.
    - Ma certo! - Ron si alzò dalla panchina energicamente – Per un ex tossica quale occasione migliore per riprendere a drogarsi! Infondo è questo che sono sempre stata, una drogata!
    - Ehi - gli ringhiò lui balzando in piedi a sua volta - Non ho detto questo Cameron, frena!
    La ragazza andava avanti e indietro e sospirava tenendo gli occhi chiusi.
    - Lo so’, scusa – poi lo aggirò e tornò a sedersi nella panchina bianca prendendosi la testa fra le mani.
    - Ti ho visto nel cucinino ieri, prima o poi dovevo dirtelo.
    Morgan si sedette vicino a lei che continuava a nascondersi il viso con le mani, così gliele spostò delicatamente.
    - Lo sai dove sono stata oggi? – continuò Ronnie guardando per terra - All’incontro per gli agenti che hanno dipendenze… non pensavo che sarebbe tornata una situazione simile a distanza di anni.
    - Non è colpa tua, sei stata drogata da lui, tu non avresti mai ricominciato per tua volontà.
    - Già, mi sono limitata a continuare la sua opera, sono troppo vigliacca per ammettere quello che ho fatto.
    - Ma ti senti quando parli o sei ubriaca anche adesso?
    - È la verità, ho deluso tutti, ho deluso me stessa. Dimmi cos’ho fatto di buono – gli occhi di Cameron tradivano ogni emozione che cercava di sopperire – E’ colpa mia se ci hanno rapite, l’ho lasciata sola per due volte, ha rischiato la vita per colpa mia e ha fatto di tutto per cercare di darmi una possibilità, e io cos’ho fatto? Sono scappata come un coniglio…
    - Non potevi fare altro che stare al suo piano, non è colpa di nessuno. Hai agito di conseguenza ed è andata così. E togliti dalla testa di aver deluso qualcuno. Se ci tieni a non farlo adesso vedi di non sprecare la possibilità che ti ha dato Sarah e di rimetterti in carreggiata - si fermò un attimo per essere sicuro che lo stesse seguendo e che non si fosse persa nei suoi pensieri – Ci sei già passata Ronnie, sei più forte tu di questo, lo sei sempre stata e non sei sola neanche ora. Rivoglio la mia migliore amica più in forma di prima, chiaro?
    Ronnie sospirò e tirò su col naso, sentiva gli occhi bagnarsi e poggiò braccio e testa sopra la spalla di Derek, così cominciò a singhiozzare.
    - Mi dispiace..


    (1) Salvation – capitolo 13
    (2) Salvation – capitolo 11
     
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    Capitolo XX. Collins

    Reid chiuse piano la porta di casa ed inserì l’allarme. Si stupì nel vedere un lieve bagliore provenire dal salone, era convinto di trovare sua moglie profondamente addormentata al suo ritorno.
    Invece Sarah era ancora lì davanti al cammino, dove Derek l’aveva lasciata circa un’ora prima. Sapeva di dover affrontare Spencer e preferiva farlo subito invece di rimandare all’infinito, quella conversazione sarebbe stata piuttosto difficile ed aspettare ancora avrebbe peggiorato le cose.
    Spencer si tolse la giacca ed allentò la cravatta, mentre si accomodava sul cuscino accanto a lei. Le mise un braccio intorno alle spalle e l’attirò a sé, mentre le reclinava il capo e si abbandonava sulla sua spalla. Rimasero un po’ così, abbracciati in silenzio a guardare il fuoco.
    - E’ passato Derek – non sapeva bene da dove cominciare.
    - Lo avevo immaginato. Avete parlato?
    - Sì, un po’ – improvvisamente si girò verso di lui con gli occhi lucidi ed affondo il viso nell’incavo del collo del marito – Mi dispiace.
    - Per cosa? – Spencer cercava di consolarla come poteva.
    - Per averti fatto stare in pensiero, per aver rischiato così tanto, per tutto.
    - Hai fatto quello che ritenevi più giusto. Ronnie era in seria difficoltà e tu hai agito di conseguenza.
    - Non dovevo farlo, dovevo pensare prima a te e Christopher.
    - Sarah, se non ti fossi comportata come hai fatto… non saresti stata la donna di cui mi sono innamorato – le baciò la fronte e la strinse ancora di più – Anch’io al tuo posto avrei agito nello stesso modo, questo fa di me un cattivo padre o un cattivo marito?
    - No, fa di te l’uomo più adorabile che io conosca – sorrise contro il petto di lui – C’è dell’altro e lo sappiamo entrambi. Dopo che mi avete trovato, quando siete entrati in quella stanza, io… non sono stata del tutto sincera.
    - Non lo voglio sapere. Hai fatto quello che dovevi per tornare da me e questo mi basta. Per quel che mi riguarda lui ha provato ad aggredirti dopo che avevi recuperato la pistola e tu sei stata costretta a sparargli.
    - Da quando ci raccontiamo le bugie anche fra di noi?
    - Questa è l’unica verità, lui ti aveva minacciata. Anche se non lo aveva ancora fatto, ti avrebbe aggredito appena avesse avuto il tempo di reagire. L’unica che sa come sono andate veramente le cose sei tu, l’inchiesta è stata chiusa e tanto basta.
    - Derek lo sa, gliel’ho confidato.
    - Se glielo chiederai domani, ti dirà che tu hai agito per legittima difesa.
    - Se Hotch lo venisse a sapere…
    - Dopo quello che è successo con Foyet? Non credo che direbbe niente. Noi ci atterremmo sempre alla prima versione che hai fornito.
    - Io e Derek abbiamo parlato anche di altre cose.
    - Tipo?
    - Leane.
    - Perché ho la vaga impressione che per te quella ragazza sia un’ossessione?
    Sarah rise e si scostò per guardarlo in faccia.
    - Ti ricordi la nostra conversazione il giorno prima del suo ingresso nell’unità?
    - E come potrei mai dimenticarla – Reid alzò gli occhi al cielo in un gesto teatrale – Quando vuoi sai essere un moglie despota.
    - Ti avevo chiesto solo un favore.
    - Chiesto? Non ti ho mica sentito chiedere per favore.
    Risero tutti e due persi nei ricordi.

    Spencer continuava a guardare nel proprio piatto, spostando il cibo con la punta della forchetta, mentre Sarah non gli staccava gli occhi di dosso.
    - Non credo sia così difficile, no? – lo guardava di traverso e imbronciata.
    - Perché è così importante?
    - E’ nuova, non ha mai lavorato in squadra e ha un caratterino che sicuramente la metterà in diretto scontro con Derek.
    - Mica vorrai che le faccia da baby-sitter?
    - Devi solo essere gentile con lei, questo ti risulta piuttosto facile. Poi, se per caso dovessi incontrarla nel cucinino… e, che so… volessi provare a metterla a suo agio, io non ci vedrei niente di male.
    - Sarah, perché non mi dici chiaramente cosa sta succedendo? L’hai scelta tu e Hotch e tua zia l’hanno approvata, quindi?
    - Eh… diciamo che… l’approvazione non è stata indolore.
    - Dimmi che non hai insistito come al solito – gli basto uno sguardo per avere la risposta – Ok, vediamo di salvare il salvabile. Che tipo è?
    - La classica ragazza di venticinque anni, direi – provò a glissare sulla domanda.
    - Adesso mi hai fatto capire che c’è qualcosa che non va…
    - Ma è così difficile fare semplicemente quello che ti ho chiesto?
    - Se è così impossibile, mi spieghi come hai fatto a farla entrare nella squadra?
    - Persuasione… - ammiccò maliziosa.
    - Cioè?
    - Te lo mostro subito – si alzò solo per sedersi nuovamente sulle gambe di lui.
    Fu molto persuasiva quella sera e Spencer decise che non era così difficile, in fondo, fare quello che gli aveva chiesto.

    - Il suo primo giorno è stato qualcosa di memorabile – ricordò Spencer – Mai visto Morgan così arrabbiato.
    - Eppure adesso è parte integrante della squadra – rifletté un momento prima di continuare – Ho chiesto a Derek perché nessuno l’ha mai invitata alla cena del venerdì.
    - Credi che sia pronta?
    - Non lo so, non credo. Lo dimostra il fatto che continua ad evitarci.
    - Direi “evitarti”.
    - Avete risolto?
    - E’ stato più facile del previsto. Credo che se non l’affronterai tu, lei non farà mai il primo passo.
    - Possibile che io debba andarle sempre incontro?
    - Smettila di fare così. Per quanto tu faccia la cattiva con lei, io so perfettamente che tu adori quella ragazza.
    - Non riesco a nasconderti proprio niente, vero?
    - E’ il problema di aver sposato un profiler.
    - Sai, non me ne sono mai pentita – lo baciò con trasporto.
    Senza parlare spenserò il camino e si avviarono mano nella mano verso la camera da letto.

    Cameron era nel cucinino per prendersi una tazza di caffè, cominciò a sorseggiare quando sentì rumore di tacchi avvicinarsi. La stava evitando da quando erano tornate al lavoro e lo avrebbe fatto anche adesso, buttò la tazzina vuota nel cestino, fece per andarsene e aprì la seconda porta per fare il giro.
    - Leane! – era la voce di Sarah.
    Fermò la porta a metà e la richiuse piano restando nella piccola stanzetta, si girò con le spalle al muro e la testa bassa per non guardarla negli occhi. “Stupida vigliacca prima o poi la devi affrontare tanto vale farlo ora”, alzò decisa il viso e la guardò.
    Era tornata ad essere la “regina delle nevi”, come la chiamavano all’Accademia. Dura, fredda e decisa, la fissava con occhi di ghiaccio come aspettando che fosse lei la prima a parlare.
    Ronnie si sentiva nervosa, non era ancora in condizioni di affrontare quell’atteggiamento duro e freddo. Era ancora in riabilitazione e non sapeva bene cosa dire o fare.
    - Professoressa – provò a sembrare disinteressata.
    - Mi stavo giusto chiedendo se lei lavorasse ancora qui o se ne fosse già andata.
    Quell’asserzione gelò Leane, che guardò la donna con paura. Che le stesse dicendo che non c’era più posto per lei all’unità?
    - Di cosa sta parlando? – si maledisse per il tremito della propria voce.
    - Sta facendo di tutto per evitarmi, ma visto che anch’io lavoro qui ha solo due possibilità – incrociò le braccia e la squadrò da capo a piedi.
    - Cioè?
    - Ho da’ le dimissioni e se ne va, quindi evita il problema alla radice. Oppure…
    - Oppure?
    - Mi affronta e la facciamo finita.
    Cameron si guardò le punte dei piedi e cercò di riordinare le idee. Fu interrotta dal tono perentorio di Collins.
    - Si può sapere cos’ha? Perché mi evita?
    - Io… me lo chiede pure? Dopo che per colpa mia…
    - Per colpa sua cosa? E’ stata una mia scelta, lei hai solo ubbidito agli ordini.
    - Se non mi fossi allontanata…
    - Sì, effettivamente quello è stato uno sbaglio, un grosso sbaglio. Specialmente dopo che Hotch si era raccomandato di non separarci mai, per nessun motivo – Sarah si limitò a fare spallucce – Credo le servirà da lezione per la prossima volta.
    - Non è arrabbiata con me?
    - Leane, il mio essere arrabbiata con lei ormai è diventato il mio status quo. Credo che non riuscirei più a farne a meno, ma questo non deve impedirle di fare il suo lavoro. Credo che questo metta fine alla discussione. Comunque, se le può interessare, la squadra si sta riunendo per un nuovo caso.
    Si incamminò verso la sala riunione, ma dopo pochi passi si voltò verso la ragazza alzando un sopracciglio.
    - E’ ancora dei nostri o ha intenzione di rimanere lì invece di venire a lavorare?
    Il tono sarcastico che aveva usato destò definitivamente Cameron, che incrociò il suo sguardo con aria di sfida.
    L’agente Cameron Leane è tornata, pensò Sarah, attenti criminali.

    Fine
     
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