Dark Souls

Unsub/Robin89

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    AUTORE: Unsub/Robin89
    TITOLO: Dark souls
    RATING: Arancione
    GENERE: sentimentale, azione, introspettivo.
    AVVERTIMENTI: LongFic
    PERSONAGGI: squadra BAU, nuovi personaggi
    DISCLAIMER: I personaggi non ci appartengono(tranne quelli da noi inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    NOTE: spoiler 6 stagione.

    Prologo

    Sede dell’F.B.I., Quantico, Virginia.
    Sarah era seduta di fronte a Hotch, ancora visibilmente turbato dalla partenza di JJ. Lei lo scrutava e cercava di decidersi a fargli la sua proposta.
    - Non credo che tu sia venuta qui solo per consolarmi della perdita di JJ – la prevenne lui.
    - Infatti. Io… voglio rendermi utile. Sai che ho lezione solo di mattina e che il pomeriggio sono a disposizione delle matricole che vogliono approfondire gli argomenti trattati. Non viene quasi mai nessuno, sono pochi quelli veramente interessati al profiling – prese un respiro e si buttò – Potrei fare una prima scrematura dei casi e poi proporti solo quelli che richiedono un intervento diretto della squadra. Sai che sono una profiler, questo è qualcosa che posso fare senza problemi.
    - JJ partiva con noi…
    - Già. Non credo di poter ricoprire il ruolo di JJ. Voglio dire… sai che la diplomazia non è decisamente il mio forte e che odio i giornalisti…
    - Decisamente! – rispose Hotch con un accenno di sorriso.
    - Torno a ripeterti che potrei fare una prima scrematura dei casi, questo alleggerirebbe di molto il tuo lavoro. Inoltre se proprio fosse necessario, potrei partire qualche volta con voi. Sai che il mio contratto lo prevede.
    - E come faresti con Christopher?
    - Ho già parlato con mio padre. Lui sarebbe disposto a darmi una mano.
    - Lo faresti davvero?
    Lei si alzò sorridendo.
    - Anche se non lavoro più in questo ufficio, voi rimanete la mia famiglia. Si fa quello che si deve per proteggere la propria famiglia.
    - Buffo, è quello che ha detto JJ una volta.
    - Siamo d’accordo?
    - Si. L’hai già detto a Spencer?
    - Ne abbiamo parlato. Lui è d’accordo o almeno non è proprio contrario – rispose lei alzando le spalle.
    - Bene. Direi che puoi cominciare da domani.
    - Allora… a domani.
    - A domani Collins.

    Uscì dall’ufficio e scese nell’openspace ormai quasi deserto. L’unico membro del team ancora presente era Cameron, intenta come al solito a lucidare la sua pistola. Le due si guardarono e Sarah si avvicinò alla sua scrivania.
    - Agente Leane, non riesce proprio a tenerla in ordine questa scrivania, vero? – il suo sguardo di ghiaccio si posò sulla sua ex allieva.
    - Ho altro a cui pensare, professoressa – Ron alzò lo sguardo su di lei e corrugò la fronte.
    La professoressa Collins era sempre molto critica con lei. A volte si domandava cosa Spencer ci trovasse in un ghiacciolo del genere. Lui era cosi gentile che il contrasto era nettissimo con sua moglie.
    - Vada a dormire, Leane. Un buon profiler deve essere riposato, nel corpo e nella mente – dicendo cosi si avviò verso l’ascensore lasciandosi la ragazza alle spalle.
    Leane la osservò andare via e poi riprese a lucidare la sua pistola. Decisamente fra lei e la moglie del suo collega non scorreva buon sangue. Si domandò perché lei era cosi fredda ed avesse sempre quell’aria di disapprovazione nei suoi confronti.
    Sarah intanto premette il pulsante dell’ascensore e le porte si chiusero. Si lasciò andare ad un sorriso. Voleva spronare quella ragazza. Anche se il suo atteggiamento probabilmente faceva capire tutt’altro, Leane era stata la sua allieva preferita e si aspettava molto da lei. Si, quella ragazza era stata il migliore acquisto per la squadra ed era orgogliosa di averla addestrata lei stessa.

    Leane rimase ancora qualche minuto seduta alla sua scrivania, la vista cominciava ad appannarsi ed era estremamente stanca, aveva il piede destro appoggiato al ginocchio sinistro a formare una P e la schiena scivolava sempre più giù. Se continuava a strofinare la pistola si sarebbe addormentata senza neanche accorgersene e Hotch le avrebbe tirato un secchio d’acqua. Sarah aveva ragione, aveva decisamente bisogno di dormire anche se non le aveva dato soddisfazione nella risposta, maledetto orgoglio. Mise al suo posto il panno e infilò la pistola nella fodera, in quel momento anche Hotch uscì dall’ufficio per andarsene.
    - Leane? So quanto desideri un letto al posto della sedia ma non è possibile. Domani ti voglio al cento per cento.
    - Come faremo senza JJ? – chiese accennando al suo ufficio vuoto.
    - Per questo vi voglio tutti in ottima forma più del solito, abbiamo un agente in meno e dobbiamo organizzarci come meglio possiamo.
    - Ci sarà la professoressa Collins? – Hotch rimase un attimo sorpreso poi annuì. Non doveva dimenticare che Ron vedeva, sentiva e intuiva tutto.
    - Si, ci aiuterà con la scrematura dei casi e qualche volta partirà con noi. Dovresti esserne contenta sei stata sua allieva.
    - Oh… si che lo sono… - sollevò un sopraciglio maliziosamente, più che contenta era curiosa di misurarsi con lei, non le piaceva quell’aria di superiorità che si trascinava addosso di “so tutto io”. Almeno adesso aveva l’opportunità di dimostrarle che non era solo la sua ex allieva migliore, ma uno dei profiler migliori della squadra.

    A volte sono le persone più improbabili a cambiarci la vita sempre nei momenti in cui non te lo aspetteresti.
    (Damiano Bello)

     
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    Capitolo I. Well Comeback

    La lezione era appena finita e Sarah si era prontamente rifugiata nel suo ufficio. Quei ragazzi l’avrebbero fatta impazzire prima o poi, cosi poco attenti, cosi poco interessati a conoscere quello che un giorno avrebbe potuto fare la differenza fra la vita e la morte.
    Era ancora appoggiata contro la porta con gli occhi chiusi, quando una risatina la desto dal suo attimo di pace. Apri gli occhi e si trovò davanti Spencer con un’espressione divertita sul viso.
    - Sono cosi tremendi?
    - Prova tu ad insegnare a un branco di saputelli che considerano il profiling una disciplina non indispensabile. Alcuni di loro hanno espresso il desiderio di entrare nell’unità. Dovranno passare sul mio cadavere!
    - Cosi difficile trovare almeno un ragazzo interessato? – chiese lui accigliandosi.
    - L’ultima volta che ho visto qualcuno degno di nota è stata Leane – sospirò lei – Ti devo ricordare che è entrata nell’unità un anno fa?
    - Tesoro – le disse lui prendendole le mani – Non troverai mai nessun’altro come Cameron e questo lo sai bene anche tu.
    - Voglio addestrare bravi profiler – disse lei abbassando gli occhi – Sai quanto me che è importante potersi fidare dei propri compagni. Non autorizzerei mai l’ingresso nell’unità di uno studente meno che lodevole.
    - Sei sempre stata una perfezionista. Lo sai cosa ci vuole per tirarti su di morale?
    - Cosa? – rispose lei dubbiosa.
    - Un bel pranzo che ho tutta l’intenzione di offrirti. Dopo di ché tornerai nel tuo ambiente naturale.
    Finalmente, alla prospettiva di rientrare nella squadra, un sorriso le illuminò il viso. Non l’aveva mai ammesso con nessuno per orgoglio, ma quel lavoro le mancava da morire.

    Sarah e Spencer uscirono dall’ascensore insieme, si attardarono fuori dall’openspace e si sorrisero.
    - Pronta per tornare nell’arena? – le chiese lui.
    - Mai stata più pronta in vita mia.
    Spencer le aprì la porta e la tenne aperta per permetterle di passare. Come arrivò in prossimità delle scrivanie si ritrovò, non sapeva neanche lei come, nell’abbraccio di Emily che la stringeva come per non lasciarla andare mai più.
    - Ci sei mancata, Sarah – disse all’amica.
    - Anche voi, Emily. Ma cerchiamo di ricordarci che è solo un prestito. Quando Hotch avrà trovato qualcuno in grado di rimpiazzare JJ mi rispediranno giù all’Accademia.
    - E allora speriamo che Hotch non trovi mai nessuno – disse Derek facendosi avanti per abbracciarla a sua volta.
    - Speriamo, due neuroni, altrimenti chi ti tiene d’occhio? – cominciò a stuzzicarlo lei.
    - Sturati le orecchie, ciuffo buffo, sono io che guardo le spalle a te, non il contrario – rispose lui strizzando l’occhio.
    - Ah, si? Ti devo ricordare il caso Patterson? – disse lei sollevando un sopracciglio.
    - Guarda che la tua è stata solo fortuna! – rispose lui piccato.
    - Ringrazia la sua “fortuna” se sei ancora qui a raccontarlo – si intromise Emily ridendo.
    Derek le circonda le spalle con un braccio e poi le da un sonoro bacio sulla guancia.
    - Sono contento di riaverti qui, mi sei mancata premio nobel – le dice sorridendo.
    - E tu sei mancato a me, pollice non opponibile.
    Il baccano che facevano nell’openspace fu notato da Hotch e Rossi, che prontamente uscirono dai rispettivi uffici e si precipitarono nell’openspace per darle il bentornata.
    - Collins, finalmente sei tornata – l’apostrofa Rossi dandole un pacca sulla spalla.
    - Ehi! Spostatevi tutti che c’è un mega-abbraccio in arrivo – disse una voce allegra alle loro spalle.
    Penelope era in piedi sulla porta del corridoio e la guardava con un sorriso. Poi si affrettò a stringerla fra le braccia.
    - Quando parlavi di mega-abbraccio non scherzavi – disse Sarah ridendo – Se continui cosi mi soffochi.
    - Non preoccuparti, non lascerei mai Christopher da solo nelle mani di Reid – scherzò la rossa.
    - Credo che sia arrivato il momento per me di mettermi al lavoro – rispose Sarah tornando seria – Dove mi posso sistemare?
    - Non sono riuscito a trovare ancora una sistemazione adatta – Hotch era visibilemnte contrariato – Ci sono un sacco di uffici vuoti ma pare che non riesca a procurartene uno. Per il momento dovrai accontentarti della sala riunioni, ma vedrò di risolvere la situazione il prima possibile.
    - Non preoccuparti, la sala riunioni andrà benissimo – Sarah sentiva un tuffo al cuore al pensiero di rimettere piede lì dentro.
    Si avviò sicura verso le scale, i fascicoli erano impilati sul tavolo. Si soffermò un momento per guardare quella stanza che le riportava alla mente tanti ricordi. L’ultimo, il più triste, la sua festa di addio alla squadra. Sospirò soddisfatta, era di nuovo a casa e sperava di poterci rimanere per molto tempo. Si mise a sedere e si tuffò subito nel lavoro.

    Ron era seduta al suo posto intenta a compilare un rapporto quando il suo lavoro venne interrotto dall’arrivo di Sarah. Lo sapeva dal giorno prima che sarebbe arrivata ed era stata l'ultima persona ad aver visto Hotch, dunque non si scompose più di tanto per andare a farle le feste come gli altri.
    Aspettò che lei si avvicinasse alla sua scrivania prima di rivolgerle la parola.
    – Buongiorno professoressa Reid, felice di poter lavorare insieme – si sforzò alla fine.
    Non sopportava di doverla chiamare “professoressa Reid”, avrebbe preferito chiamarla semplicemente Collins. Restò alla sua scrivania per tutto il tempo osservando le feste di benvenuto. Vedeva Sarah scherzare con Derek, poi si accorse che involontariamente aveva assunto un espressione da cane da guardia e agitava un piede freneticamente. Aveva visto il braccio di lui circondarla e sentì il suono del bacio sulla guancia, adesso stava anche agitando la penna con la mano, si accorse dell’atteggiamento che aveva assunto e cercò di riordinarsi. Non pensava che la vista di quella donna insieme a Derek potesse darle così fastidio.
    Infondo lui le aveva raccontato un miliardo di volte il suo rapporto con Sarah prima di lei, dunque avrebbe dovuto aspettarsi un riaffiorare della loro complicità sul campo. Quando Sarah si accomodò nella sala riunioni, nell’openspace non si sentiva altro che felicitazioni per il suo ritorno. Si mise in piedi e si sedette sulla scrivania, il rapporto era finito doveva solo consegnarlo, decise di andare a prendere un caffè e fu seguita da Derek.
    - Lo sai che ti voglio bene vero? – non si aspettava quella domanda, si girò con aria perplessa - Ti sei dimenticata che sono un profiler?
    - Si vede il bagliore nei tuoi occhi a miglia di distanza… potresti accecarmi… - gli parlò senza togliere gli occhi dalla tazzina.
    Lui scoppiò in una risata.
    - E adesso chi è che fa la gelosa?
    Si girò verso di lui pronta per tornare nella sala.
    - Devo consegnare un rapporto non ho tempo per parlare delle mie gelosie, e comunque ti ci puoi strusciare quanto vuoi … - gli passò di fianco, lui la fermò per un braccio, l'altro glielo passò sulle spalle e le diede un bacio vicino all’occhio.
    - Stupida ragazza – le disse lasciandola libera.
    “Non ho bisogno del contentino” avrebbe voluto dirgli in contrasto con la sua voglia di affetto, così ricambiò il sorriso.
    - Cattivo ragazzo.
    Ritornò al suo posto più soddisfatta di prima.
    Passarono un paio di ore in religioso silenzio, ognuno intento a compilare o leggere fascicoli nella propria postazione. Venne distratta solo da Reid che tornando dal cucinino portò una tazza di caffè a Sarah.

    Spencer entrò nella sala riunione e si fermò sorridente. Come al solito lei era cosi concentrata sul suo lavoro che non si era accorta della presenza di un’altra persona nella stanza. Era sempre stato cosi quando lavoravano insieme. Quando due giorni prima lei gli aveva palesato la possibilità di aiutare la squadra con la scrematura dei casi, lui non aveva reagito bene.
    Non voleva che lei fosse di nuovo in pericolo, avevano un figlio a cui pensare. Ma ora tutti i suoi dubbi era stati fugati dalla prospettiva di vederla di più. Fra il lavoro della squadra e l’impegno di insegnante di lei non riuscivano quasi mai a stare un po’ di tempo insieme. Poterla anche solo guardare, attraverso i vetri dell’openspace, era estremamente piacevole. E poi c’erano le pause caffè…
    - Hai intenzione di darmi quella tazza di caffè o preferisci rimanere lì impalato a fissarmi? – Sarah si girò con un sorriso malizioso stampato sul volto.
    - Stavo facendo un tuffo nel passato – disse lui posando il caffè sul tavolo – Ti ricordi il primo giorno che eri tornata, durante l’incidente?
    Anche se non ne avevano mai parlato, avevano un tacito accordo. Quando si riferivano all’amnesia di Sarah, al periodo della loro infelicità, parlavano di un “incidente”. Sarah l’aveva sempre considerato solo quello, un incidente di percorso durante la felicità che lui aveva portato nella sua vita.
    - Quando tu cercavi di riconquistarmi? – disse lei afferrando il caffè.
    - Tu eri già cotta di me, ancora prima che ci provassi – disse lui pavoneggiandosi.
    - Se è per questo lo sono ancora – disse lei strizzandogli l’occhio.
    Il sorriso sul volto di lui si allargò ancora di più. Si riscosse e guardò l’orologio.
    - E’ meglio che torni al lavoro ora. Altrimenti rischio di fare tardi anche questa sera.
    Le si alzò dalla sedia per avvicinarsi a lui. Lentamente tolse un capello dalla sua giacca e con le mani la sistemò meglio. Si guardarono per un istante che per loro è senza tempo e lui si chinò a baciarla.
    - Cerca di non distrarti troppo – disse lei sorridendo.
    - TU cerca di non distrarmi troppo – risponde lui uscendo dalla sala.

    Cameron riusciva a vederli bene dal suo posto, anche se non capiva di cosa stessero parlando. Non aveva mai visto Spencer così sciolto e felice e non capiva come riusciva ad esserlo proprio con lei così dura e fredda. Erano completamente agli antipodi non c’entravano niente l’uno con l'altro,
    Forse” pensò “è per questo che stanno bene insieme, perché si completavano a vicenda… lei sembra così tenera e dolce con lui, un'altra persona insomma. Peccato lo sia solo con lui”.
    Comunque non approvava neanche le storie tra colleghi, lei non sarebbe mai riuscita a tenere le distanze con la persona amata, soprattutto in campo. Avrebbe dato tutte le sue attenzioni a lui e questo avrebbe raddoppiato le sue sofferenze. Ma quando si era innamorati si poteva superare tutto, si disse, e quei due lo erano.
    D’altronde non poteva neanche lamentarsi più di tanto del carattere di Sarah dato che era molto simile al suo, forse anche troppo: due ghiaccioli determinati e sicuri di se, come potevano andare d’accordo? Non doveva lasciarsi influenzare dalla sua presenza, avrebbe pensato solo a dare il meglio di se come sempre e più di prima, dato che l’aveva addestrata lei, e l’ultima cosa che voleva era deluderla.
    Reid ritornò alla scrivania e Ron cercò di smettere di pensare, ripose gli occhi sui fascicoli e tornò a leggere.

    Continua…
     
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    Capitolo II. A new case?

    Sarah continuava a sorseggiare il caffè, mente buttava un occhio ai movimenti nell’openspace. Non le era sfuggita la reazione di Ron alle effusioni fra lei e Derek. La ragazza era gelosa, ora era lei la nuova compagna di Morgan e questo Sarah lo capiva bene. Fra quei due c’era una complicità tutta speciale e la cosa la faceva sorridere. Pensava alle lunghe conversazioni avute con il ragazzo a proposito della “ragazzina”, come la chiamava lui.
    La vide alzarsi e dirigersi nell’ufficio di Hotch e anche questo la mise di buonumore. Ricordava tutte le titubanze del suo ex capo quando gli aveva mostrato il fascicolo della sua allieva più promettente. A ripensarci ora la scena aveva una vena comica. Il sempre compassato Hotch che si allentava sempre di più la cravatta, mano a mano che proseguiva nella lettura del fascicolo. D’improvviso aveva alzato lo sguardo su di lei con un’espressione stravolta sul viso.
    - Spero tu stia scherzando… questa è una bomba a orologeria. Non credo proprio che sia adatta ad entrare nell’unità.
    Si era dovuta addentrare in un terreno a lei non famigliare: la persuasione. C’erano voluti un sacco di incontri in privato a porte chiuse, un sacco di emicranie per Hotch e una vagonata di anti-acido per lei. Alla fine, come al solito, la sua testardaggine l’aveva spuntata sulle rimostranze dell’agente supervisore. Convincere sua zia a non buttarla fuori dopo tutti i casini in cui Ron si metteva di continuo era stato qualcosa di snervante, che fra parentesi le era costato un raddoppio settimanale della cena di famiglia.
    Eppure era disposta a tutto per tenere quella ragazza inchiodata a quella scrivania. Ormai Ron faceva parte della famiglia e nessuno doveva più mettere in dubbio che quello era il suo posto.
    Piano piano tutta la squadra sembra sul punto di finire il lavoro sui dossier, mentre lei fissava un fascicolo con insistenza. Come primo giorno sperava di riuscire a fare un buco nell’acqua e di dover assegnare solo dei profili preliminari, senza coinvolgere i ragazzi in qualcosa di pericoloso.
    Sbuffò esasperata e tornò a guardare la scrivania che un tempo era sua, Ron si stava avvicinando dopo essere stata in bagno, ma prima di mettersi di nuovo a sedere si avvicinò a Spencer con un sorriso furbo stampato sul volto. Scompiglio i capelli biondo miele del ragazzo, che si affrettò a cercare di rimetterli in ordine. Mentre si sedeva alla sua scrivania disse qualcosa a Derek e Emily, che si misero a ridere. Dopo di che tirò fuori la sua adorata pistola e cominciò quello strano rituale che Sarah non riusciva a capire.
    Ron poteva passare anche delle ore a pulire quella pistola. Ogni volta, che per qualche motivo, era andata da Hotch passando davanti a lei, l’aveva trovata a lucidarla come un’ossessa. Beh, pensò, ognuno a le sue manie.
    Sospirò, pensando che non poteva più rimandare. Si alzò con piglio deciso e si avviò verso l’ufficio di Hotch. Mentre camminava nel corridoio sopraelevato si scambiò un’occhiata con Spencer. Lui aveva capito e aveva assunto una posizione di attesa mentre lei spariva dietro la porta dell’ufficio.
    - Hotch?
    - Collins, hai già un caso per noi? – chiese lui stupito.
    - Purtroppo temo di si – disse lei con titubanza.
    - Cosa c’è? E’ una cosa grave?
    - Giudica tu stesso – disse lei aprendo il fascicolo e poggiandolo sulla scrivania.
    Hotch lo esaminò superficialmente, fino ad arrivare alle foto delle vittime. Sgranò gli occhi e incrociò lo sguardo con quello di Sarah.
    - Non può essere – disse con poca convinzione.
    - Lo spero anch’io… ma se fosse? – chiese lei con uno sguardo preoccupato.
    - Va da Garcia e preparate la presentazione – disse lui prendendo in mano il telefono – Io chiamo la polizia locale.
    Lei riprese il fascicolo e cominciò ad avvicinarsi alla porta, quando Hotch la richiamò indietro.
    - Collins, se è come pensiamo…
    - Dovevo partire con voi, giusto?
    - Sì, avverti Jason che dovrà fare da baby-sitter al piccolo Christopher per un po’ di giorni. Spero di poterti rimandare a casa il prima possibile, ma…
    - Devo comunque andare prima a casa. Non ho la valigia con me.
    - Passa da Garcia e poi vai a casa. Fra un’ora ci ritroviamo in sala riunioni per presentare il caso al resto della squadra. Spero tu ti sia sbagliata – disse lui chiaramente preoccupato.
    - Lo spero tanto anch’io, Hotch.

    Nell’openspace, tutti non le levarono gli occhi di dosso per un momento mentre si dirigeva all’ascensore. Spencer la raggiunse di corsa nell’atrio dove gli altri non potevano sentirli.
    - Cosa è successo? Dove vai? – chiese preoccupato dallo sguardo di lei.
    - A casa a fare le valigie, dove partire con voi. Vi spiegheremo tra un’ora.
    - Sarah, sei sicura di sentirtela? – lui le poggio una mano sulla spalla.
    - Non si tratta di sentirsela o meno, dobbiamo andare – disse lei ricominciando a camminare – Vado a salutare Chris e poi torno.
    Spencer tornò indietro spaesato, Sarah sembrava essere letteralmente sopraffatta dal caso. Cosa diavolo aveva trovato in quei fascicoli?


    Ron aveva notato gli spostamenti frenetici di Sarah, mollò la pistola e si rivolse ai colleghi.
    - Che dite, nuovo caso in arrivo?
    - Dalla sua faccia temo proprio di si – le rispose Derek.
    - Finalmente un po’ di movimento! .. Ancora un po’ seduta qui e avrei sciolto la pistola con le mani….
    - Attenta a come parli ragazzina che poi mi tocca tenerti a bada – le strizzò l’occhio mentre lei gli fece una smorfia .

    Continua…
     
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    Capitolo III. Something from the past

    Sarah entrò nella sala riunione dove la squadra l’attendeva. Dietro di lei Garcia e Hotch sembravano due cani bastonati. Collins percepiva la tensione del resto del team, legata all’incertezza di cosa stesse effettivamente succedendo. Pensò con rammarico che la spiegazione avrebbe riaperto ferite non ancora rimarginate.
    Mentre Hotch e Penelope si accomodavano, lei prese il telecomando. Quel gesto le fece tornare in mente JJ, l’aveva sempre vista con quell’aggeggio in mano ed ora toccava a lei dare spiegazioni che avrebbe preferito non fossero necessarie. Si disse infine che le spiegazioni non sarebbero servite appena gli altri avessero visto la foto dei due cadaveri.
    - New Haven, Connecticut. Le vittime sono due studentesse universitarie. Clementine Baldwin di diciannove anni e Allison Barnett di venti.
    Sarah si tacque sotto lo sguardo attento degli altri, ingoio a vuoto un paio di volte e poi premette il pulsante che accendeva il monitor. Apparvero i corpi ormai senza vita di due giovani donne, tutte e due avevano un pugnale conficcato nel petto. Con un altro click sul telecomando apparve il dettaglio dei pugnali. La forma dell’impugnatura era piuttosto insolita.
    Non serviva dire niente, i volti dei suoi ex colleghi indicavano che avevano fatto anche loro lo stesso collegamento mentale. Il primo che si riscosse fu Rossi.
    - Non è possibile, lì abbiamo arrestati tutti.
    - Questo non possiamo saperlo – preciso Prentiss non staccando gli occhi di dosso a Sarah – Nessuno di loro ha collaborato. Abbiamo arresto i tre ragazzi che erano presenti in quella palestra e Mary Oldbride, ma non sappiamo se ce ne fossero altri.
    - Questi due omicidi, credo, rispondono a questa domanda – rispose Derek stringendo le palpebre – Cosa facciamo, Hotch?
    - Collins verrà con noi. Per il momento andremo tutti a New Haven. In caso Reid e Collins si sposteranno a Biloxi per interrogare di nuovo Mary Oldbride.
    - Sempre che lo psichiatra ce lo permetta – interloquì Sarah abbassando gli occhi – Sai che ha perso qualsiasi contatto con la realtà. Credo sarebbe fatica sprecata anche con gli altri ragazzi.
    - Perché? – chiese Garcia – Sono in prigione, possiamo interrogarli quando vogliamo.
    - Peccato che i loro avvocati abbiano presentato appello. Si sono sempre dichiarati innocenti addossando tutte le responsabilità a Mary, diranno di non saperne niente.
    - Adesso pensiamo ad arrivare a New Haven e poi valuteremo la situazione – disse Hotch – Forse è solo una coincidenza.
    Nessuno di loro aveva l’aria di crederci molto.
    - Io cerco nei file relativi al vecchio caso e anche nei vecchi articoli di giornale. Forse mi è sfuggito un nome – disse Garcia pronta.
    - Credo che dovremmo anche riguardare gli interrogatori fatti all’epoca – intervenne Morgan convinto – Garcia potresti fare una lista degli studenti universitari che provengono da Biloxi?
    - Pensi che sia uno studente universitario? – interloquì Cameron appoggiata alla parete.
    - All’epoca i ragazzi coinvolti avevano fra i sedici e i diciassette anni. Se è uno di loro adesso andrà all’università – spiego Prentiss.
    - Altre idee? – chiese Hotch non distogliendo lo sguardo da Sarah.
    Stranamente non partecipava alla riunione, si era chiusa in se stessa. Doveva scuoterla in qualche modo, ma si disse che rischiava l’effetto contrario. Inoltre, quel caso gli portava alla mente ricordi non piacevoli, di quando si era comportato come un’adolescente innamorato e non come il capo dell’unità. Preferì soprassedere, decidendo di parlare in separata sede con Reid, l’unico a cui lei desse sempre ascolto.

    Sarah fu la prima a lasciare la sala riunioni. Arrivata all’openspace si fermò vicino alla sua vecchia scrivania e rimase semplicemente lì a guardarla. Troppi ricordi legati a quel caso, troppi sensi di colpa. Sentì una stretta decisa sulla sua spalla, Spencer era lì fermo e la guardava. Lei non si lasciava andare a manifestazioni di affetto in pubblico, lei era quella ferma e decisa dal temperamento di ghiaccio. Eppure al solo ricordo di quel caso le venne naturale cercare rifugio nelle braccia di lui.
    Il resto della squadra non aveva ancora lasciato la stanza e li osservava attraverso i vetri.
    - Hotch, credi che sia proprio necessario portarla con noi? – Derek osservava Collins con fare apprensivo.
    - Lei più di tutti noi conosce i dettagli del vecchio caso. L’ha risolto lei. Dobbiamo essere sicuri che non sia solo una coincidenza, nel caso la rimetterò sul primo aereo per Washington.
    - Questa storia non mi piace – Rossi aveva accavallato le gambe e continuava a fissarsi la scarpa.
    - Neanche a me – intervenne Prentiss – Possiamo cavarcela da soli, senza sottoporla di nuovo a quello stress.
    - Potrebbe seguirvi in collegamento da qui – suggerì Garcia – Sai che sono brava ad organizzare queste cose.
    - Lei è d’accordo, ha già fatto le valigie. Volete dirglielo voi che non siamo sicuri che regga? – Hotch sospirò avviandosi al suo ufficio.
    Come aspettando quel gesto da parte sua il resto della squadra raggiunse la ragazza nell’openspace per darle conforto, almeno cosi si dicevano.
    La realtà è che avevano tutti paura per lei, ricordavano anche troppo bene come quel caso l’avesse coinvolta a livello emotivo. Era letteralmente fuggita dalla squadra, rifiutandosi persino di parlare con Reid per quasi una settimana.
    Quando l’avevano vista tornare il lunedì successivo avevano tirato tutti un sospiro di sollievo. Nessuno si sarebbe meravigliato se avesse deciso di mollare tutto dopo quel caso. Lei non fornì mai spiegazioni di dove era andata in quei giorni e il resto del team non gliene chiese.

    Cameron era in piedi con la schiena poggiata alla parete, le braccia conserte e le gambe incrociate, sembrava si fosse messa in stand-by. Non sapeva niente del vecchio caso riguardante Oldbride, odiava sentirsi apparentemente inutile e in quel momento era così. Guardava incuriosita e stupita quel siparietto che si stava creando intorno a lei, tutti sapevano qualcosa, tutti avevano qualcosa da dire riguardo quegli omicidi solo lei era l’unica estranea. Non ne poteva più di fare la spaventa passeri a guardare gli altri mentre cercavano di risolvere il caso. Si staccò dalla parete e raggiunse Morgan che in quel momento era solo. Si avvicinò con passo deciso, gli prese un braccio e lo tirò leggermente verso di lei. A quel tocco il ragazzo si girò di scatto.
    - Ron! non ti avevo sentita, mi hai fatto prendere un colpo.
    - Forse eri troppo concentrato sui tuoi pensieri – rispose fredda - Qualcuno mi spiega cosa sta succedendo?
    - Che vuoi dire?
    Lei sospirò .
    - Voglio dire che mi sento un pesce fuor d’acqua piombato qui per caso. Io non so nulla del vecchio caso e in più state tutti facendo i cani da guardia a Collins! Perché avete paura che non regga?
    - È stato un caso piuttosto delicato, sopratutto per lei …
    - Allora raccontamelo. Sono qui per questo – disse alzando un sopraciglio.
    Morgan distolse lo sguardo per un attimo verso l’openspace.
    - Mary Oldbride era l’ S.I. - tornò a guardare lei - Aveva ucciso i responsabili della morte del suo ragazzo, Robert, che era morto cadendo dal tetto della scuola. Lei era con loro, aveva visto tutto. La trovammo in tempo prima che uccidesse l’ultima complice, ma Robert somigliava tantissimo a Reid, tanto che Mary si convinse di rivederlo in lui. Sarah cercò di farla ragionare in tutti i modi con la complicità di Reid ma non ci riuscì, così Mary cercò di aggredirla con un pugnale ma feci in tempo a spararle…
    Morgan sospirò e riprese il discorso.
    - Non fu una storia facile da digerire. Tornati a Quantico, Sarah si prese una settimana libera..
    Cameron lo ascoltava in silenzio facendo scorrere le immagini nella sua mente.
    - Voi avete fatto tutto il possibile non avete nulla da rimproverarvi – scosse la testa come se per lei quel pensiero fosse così banale - Possiamo arrivare a capire il perché delle loro azioni non possiamo pretendere di poterli controllare come pedine, quello che è successo è solo conseguenza delle azioni di Mary, della sua follia.
    Morgan la guardò senza rispondere, se fosse stata al posto di Sarah non la penserebbe così si disse. Ma anche lei aveva ragione, loro erano stati pedine di Mary e non potevano controllarla.
    - Raggiungiamo gli altri – le disse vedendola in attesa di una qualsiasi risposta mentre lo guardava curiosa .
    - Ok – rispose un po’ contrariata.
    Avrebbe voluto restare per ore a parlare di quello che successe, di quello che provava lui, voleva sapere ogni minimo dettaglio sulle azioni e sensazioni che vissero loro come se ci fosse stata anche lei, ma non volle forzare Morgan. Si fece bastare quello che le aveva detto.
    Ora che aveva più o meno chiara la situazione poteva scacciare quelle sensazioni di disagio e concentrarsi sul caso. Dovevano pensare al presente adesso.


    Continua…
     
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    Capitolo IV. Teacher and student

    Interno del Jet
    Sarah aveva recuperato il suo solito autocontrollo e sedeva seria vicino a Hotch. Sul sedile di fronte Morgan e Rossi la scrutavano preoccupati, mentre Prentiss, Reid e Leane erano seduti dall’altra parte del corridoio e continuavano a studiare i fascicoli. Almeno all’apparenza, in realtà Ronnie stava studiando la sua ex insegnante e il suo sguardo freddo e distaccato. Possibile che quella donna non avesse emozioni umane? Anche quando aveva abbracciato il marito nell’openspace era sembrata solo leggermente confusa, non aveva avuto nessun tipo di crollo emotivo. Perché tutti si preoccupavano? La Collins non sembrava un tipo cosi delicato, era sicuramente affetta da “stitichezza emotiva”, come disse una volta un suo compagno di corso.
    - Ci sono altre connessioni con gli omicidi di Biloxi? – Hotch chiuse il fascicolo di scatto, voltandosi verso la donna mora.
    - Le vittime erano tutte belle ragazze e da quello che ho capito erano anche molto popolari – Sarah punto i suoi occhi verdi in quelli scuri di Cameron – Il problema adesso è capire se ci sono ulteriori collegamenti. Il primo passo è andare sulle scene dei ritrovamenti e cercare…
    - Dalle foto non sembra esserci – la interruppe Prentiss continuando a guardare le foto – Forse è solo una coincidenza oppure qualcuno che, all’epoca, ha letto i resoconti del caso apparsi sui giornali.
    - Un copycat? – Spencer sembrava dubbioso – Il particolare dell’impugnatura non era stato reso noto, come non è stato reso noto cosa abbiamo ritrovato sulle scene dei delitti.
    In quel momento il monitor posto sulla parete in fondo all’aereo si accese, mostrando una serissima Garcia che continuava a digitare sulla tastiera.
    - Allora, non ho trovato riscontri di studenti universitari provenienti da Biloxi. Per quanto riguarda i filmati degli interrogatori sono in viaggio verso la casella postale di Sarah. Sto passando al setaccio i vecchi articoli, volete anche quelli?
    - Sarebbe utile, raggio di sole, sì – Sarah continuava a fissare qualcosa all’interno dei dossier.
    - Ok, spediti anche quelli. Posso fare altro per te, francesina?
    - Per il momento non mi viene in mente altro, grazie – si voltò verso Hotch aspettando un suo commento.
    - Io qualcosa da chiederti l’avrei – si intromise Ron – Puoi cercare Susan Billings? Vorrei sapere che fine a fatto…
    - Perché? – le chiese Collins inarcando un sopracciglio – Credi sia coinvolta?
    - Non si sa mai. E’ l’unica sopravvissuta, almeno che noi sappiamo. Sicuramente potrà dirci se altri ragazzi erano presenti all’incidente di Robert Summers.
    - Non è stato un’incidente – l’espressione di Sarah ora era dura come l’acciaio – Si è trattato di un omicidio, anche se il giudice ha deciso di non procedere contro quei “bravi ragazzi”.
    - Scusi professoressa – Ron tirò fuori uno dei suoi sorrisetti ironici – La prima regola non era non lasciarsi mai coinvolgere?
    Collins chiuse il fascicolo di colpo girandosi verso la ragazza con lo sguardo pieno di astio. Leane la stava sfidando? Beh, avrebbe trovato pane per i suoi denti. Aveva straviziato quella mocciosa, era ora che qualcuno la rimettesse al proprio posto. L’aveva protetta fino a quel momento, ma questa volta la ragazza non l’avrebbe passata liscia, avrebbe scoperto che c’era un abisso fra lavorare in un team della B.A.U. ed essere una profiler.
    - Garcia, aspettiamo tue notizie – Hotch cercò di fermare quello scontro sul nascere.
    - Passo e chiudo, capo.
    - Arriveremo a New Haven in serata, andremo direttamente in albergo e cominceremo le indagine domani. Vi voglio tutti riposati, quindi niente uscite per fare baldoria.
    Il resto del volo fu molto silenzioso, anche troppo per i gusti di Morgan che sperava con tutto se stesso che Sarah lasciasse cadere la provocazione senza reagire. Sapeva perfettamente che la sua amica avrebbe fatto di tutto per rimettere Cameron al suo posto, sperava solo che non ci andasse giù troppo pesante.

    New Haven, Connecticut
    La mattina dopo, nel garage dell’albergo trovarono tre SUV neri messi a loro disposizione. Hotch si girò verso la squadra per impartire gli ordini, continuava a tenere d’occhio Collins che sembrava estremamente calma e fredda. Sapeva per esperienza che quell’atteggiamento in lei non preludeva niente di buono. Leane l’aveva provocata, senza sapere in che pasticcio si era cacciata con la sua linguaccia lunga e il suo modo di fare strafottente. Sarah era una donna estremamente ligia al dovere e professionale, ma c’era anche una cattiveria assopita in lei e Cameron rischiava di svegliarla. L’aveva sperimentato in prima persona. Finalmente si decise a parlare.
    - Reid e Rossi dal medico legale, controllate se ci sono altri riscontri. Morgan, Collins e Leane sui luoghi dei ritrovamenti – indugiò un momento voltandosi verso Sarah – Sai cosa cercare. Prentiss con me.
    Le squadre appena formate si avviarono alle proprie destinazioni, l’atmosfera era pesante. Morgan prese le chiavi e si avviò alla macchina seguito dalle due ragazze. Sarah non permise a Leane neanche di provare a salire davanti, con un gesto deciso aprì la portiera e si mise a sedere sul lato del passeggero. Cameron era visibilmente seccata e a riprova della sua contrarietà sbatté lo sportello più forte del dovuto. Morgan scosse la testa preparandosi ad una giornata quanto mai lunga e snervante.


    Ron si sedette al centro del sedile per poter avere sotto controllo entrambi, non voleva che Collins la fissasse dallo specchietto, l’aveva già fatta irritare abbastanza prendendole il suo posto davanti. L’aveva provocata volontariamente sul jet e lei si era limitata fulminarla con lo sguardo, Leane era fin troppo emotiva e impulsiva per capire quell’atteggiamento freddo e distaccato, al suo posto avrebbe sbottato incollerita. Morgan le aveva detto che questo era stato un caso particolare per tutti e specialmente per lei ma non sapeva esattamente cosa la legava a tutta quella faccenda e vista la sua indole calma e fredda di certo non aveva bisogno di tutta quella compressione da parte della squadra.
    Già da quando aveva saputo che avrebbero lavorato insieme l’aveva presa come una sorta di sfida, infondo l’aveva addestrata lei, era inevitabile che Leane cercasse di provocarla e sfidarla. Avrebbe fatto di tutto per dimostrarle che era una brava profiler e non le importava se questo voleva dire calpestarle i piedi ogni tanto, era la prima volta che poteva avere un confronto diretto con lei sul campo e ne avrebbe approfittato per metterla alla prova, un minimo di emotività doveva pur averlo da qualche parte. Per adesso era stato solo un botta e risposta silenzioso fatto di gesti e sguardi, si chiedeva fino a che punto avrebbe retto la sua ex insegnante.
    Nel SUV c’era silenzio e l’aria traboccava di tensione, nessuno osava dire niente soprattutto Morgan per paura di accendere la miccia, in compenso sollevava gli occhi di tanto in tanto nello specchietto per scrutare Ron che fissava un punto fuori dal finestrino. Leane sapeva essere davvero irritante quando voleva e Morgan sapeva bene anche questo, si trovava in mezzo a due fuochi e sperava solo che Cameron non superasse il limite o si cacciasse in qualche casino.

    Arrivati nel luogo del primo ritrovamento scesero tutti e tre dal SUV. Collins aveva in mano le foto scattate dalla polizia e continuava a guardare il parco con la fronte aggrottata. Annuì grave e si affiancò a Morgan, che rimaneva fermo vicino a Cameron.
    - Laggiù – indicò un punto poco distante – Agente Leane resti qui.
    - Come? – Ron le lanciò uno sguardo di fuoco.
    - Dobbiamo cercare una cosa. Lei può benissimo rimanere qui – guardò la ragazza dall’alto in basso come cercando di valutarla – Non dovrebbe essere un incarico complicato rimanere a distanza mentre io e Derek controlliamo una cosa.
    Leane era pronta a rispondere ma sentì la mano ferma di Morgan sul suo braccio, il ragazzo di colore non si voltò neanche a guardarla.
    - Andiamo Sarah.
    Ron sbuffò indispettita. La Collins aveva tutta l’intenzione di lasciarla fuori da quel sopralluogo.

    Derek e Sarah camminarono fianco a fianco fino al punto delineato dal nastro giallo. Non si scambiarono una parola, come ai vecchi tempi uno sguardo era sufficiente. Collins si posizionò al centro della zona delineata dalla polizia e poi cominciò a guardarsi lentamente intorno, mentre Morgan si limitava a fissarla con le braccia conserte.
    - Sarah, vacci piano. Ronnie è molto suscettibile sul lavoro.
    - Se l’ho addestrata bene, è abbastanza tosta da reggere. Altrimenti vuol dire che non ha la stoffa – era troppo concentrata su quello che dovevano cercare per prestare molta attenzione al suo amico.
    - Era proprio necessario lasciarla indietro come una pivellina?
    - Credo che sia ora che capisca qual è il suo posto e visto che voi ci andate con il guanto di velluto…
    - Tu hai tutta l’intenzione di andarci con il pugno di ferro, giusto?
    - Là – indicò un albero coperto per metà da un cespuglio.
    - Andiamo a vedere.
    Indossarono i guanti e si chinarono davanti al punto indicato di Sarah. Con cautela Derek cominciò a spostare i rami del piccolo arbusto fino a scoprire qualcosa. Sarah si alzò in piedi e si girò verso la macchina. Ronnie era appoggiata allo sportello con le braccia e le gambe incrociate e uno sguardo che era tutto un programma. Sarah sorrise pensando di intuire gli epiteti che la ragazza stava indirizzando alla sua persona.
    - Agente Leane, può portarci la macchina fotografica?
    Cameron si riscosse prontamente, afferrò quello che aveva chiesto Collins e si mise a correre nella loro direzione. Una volta arrivata si avvicinò per osservare quello che Derek aveva trovato e cominciò a scattare foto.
    - Cosa vuol dire? – chiese incerta continuando a guardare quegli strani simboli.
    - A quanto pare un vecchio amico di Derek è tornato a farci visita – interloquì Sarah con lo sguardo preoccupato rivolto a Morgan.
    - Dobbiamo avvertire Hotch – il moro tornò in posizione eretta – Nessuno di noi deve rimanere mai da solo.
    - Decisamente – convenne Collins.

    Continua…
     
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    Capitolo V. I will survive

    Le veniva in mente solo un appellativo ripensando alle parole di Sarah dette poco prima: “STRONZA!”. Chi si credeva di essere per trattarla come una principiante? Non era certo il suo burattino e non era più la sua insegnante! Aveva sentito la pazienza scemare quando con quegli occhi l’aveva squadrata dall’alto verso il basso, era pronta ad esplodere quando sentì la mano di Morgan come un avvertimento, così si limitò a chiudere gli occhi e trattenersi da ogni commento poco pulito.
    L’aveva provocata sul jet ed era pronta ad ogni reazione, le poteva urlare in faccia qualsiasi cosa, poteva provocarla a sua volta ma non doveva metterle i bastoni tra le ruote sul lavoro, non doveva trattarla come se non esistesse, non doveva impedirle di dimostrargli chi era e questo la faceva andare in bestia più di ogni altra cosa.
    Sarah era sempre stata molto critica con lei, anche durante l’addestramento era stata bravissima a farla sentire inutile come una pivellina da quattro soldi e quando le veniva toccato nell’orgoglio andava su tutte le furie, chissà quanto si deve essere sforzata per permetterle di fare almeno le foto. Se la risposta di Sarah alla sua provocazione era fare di tutto per escluderla avrebbe reagito di conseguenza, ossia avrebbe fatto di tutto per non permetterglielo.

    Stazione di polizia
    Morgan stava mettendo al corrente il resto del team dalla loro scoperta. Erano tutti seduti intorno ad un tavolo e appena Leane mostrò loro le foto scattate cominciarono a fare ipotesi. L’unica che non partecipava alla discussione era Collins, apparentemente persa in un mondo tutto suo.
    - Dobbiamo riprendere in mano il vecchio profilo ed aggiornarlo – Hotch si alzò per posizionarsi davanti al tabellone.
    - Quindi stiamo parlando di un ragazzo tra i diciotto e i ventidue anni – cominciò Prentiss.
    - Psicopatico e sociopatico – intervenne Reid – Ossessionato dalle belle ragazze popolari, vuole punirle per i peccati che lui immagina.
    - Dovremmo chiedere a Garcia di cercare nei computer delle vittime – Rossi continuava a lisciarsi il pizzetto – Potrebbe esserci un blog simile a quello di tre anni fa che parla delle possibili vittime.
    - Le due ragazze non venivano da Biloxi, non possono far parte del piano originale – Morgan sembrava un leone in gabbia, intento a fare su e giù nella sala.
    Gli occhi di Cameron si spostavano dall’uno all’altro, mentre rimaneva seduta a braccia conserte e gambe accavallate. Sentiva la necessità di dire qualcosa anche lei, voleva dimostrare di essere brava quanto gli altri. Specialmente dopo come Collins l’aveva trattata quella mattina, al solo ricordo sentì il sangue ribollire di nuovo. Cominciò ad aprire bocca, senza avere bene in mente cosa dire, ma fu interrotta.
    - Secondo me partiamo dal presupposto sbagliato – Sarah alzò finalmente gli occhi, anche se non guardava nessuno di loro – Anche se ho riguardato i filmati fino alla nausea non ho trovato niente in quei ragazzi. E se il nostro Mikael non fosse stato uno studente?
    - Cosa vuoi dire? – Morgan sembrava perplesso.
    - Se fosse stato qualcuno che ha usato la tragedia di Mary per manovrarla? – continuava a ragionare ad alta voce – Stavo pensando che nessuno dei ragazzi, a detta dei professori, era particolarmente religioso.
    - Mentre il nostro S.I. conosce molto bene la teologia – intervenne Rossi ridestandosi a sua volta – Oserei dire che la sua è un’ossessione.
    - Decisamente, ricordate i messaggi? – Prentiss sfogliò velocemente i vecchi dossier – Ricordate cosa ci dissero i professori?
    - Quella non è la scrittura di Oldbride – Hotch si avvicinò al tavolo, mettendosi alle spalle di Sarah – Qualcuno scriveva quei biglietti al posto dei ragazzi.
    - Che poi si limitavano a lasciare il messaggio – finì Reid – Il vecchio profilo va accantonato. Dobbiamo ripartire da zero.

    Sarah camminava lungo il corridoio sorseggiando un caffè, si sentiva come svuotata. Aveva sognato il proprio ritorno sul campo da quando Hotch aveva accettato la sua proposta di aiutare la squadra, ma non era come l’aveva immaginato. Quel caso era stato troppo personale, aveva scosso le sue certezze e i dubbi che l’avevano attanagliata in quel periodo tornavano più prepotenti che mai nella sua mente.
    Riusciva a immedesimarsi troppo bene in Mary Oldbride. Sapeva per esperienza personale quanto potevano essere cattive le ragazze delle scuole superiori nei confronti dei meno popolari. Non tutti mandavano giù il rospo, qualcuno si ribellava a quello stato di cose. Ricordava gli articoli sui casi di ragazzi che entravano a scuola con un’arma da fuoco e facevano una strage. Aveva sognato di farlo anche lei ai tempi del liceo.
    Reid era fermo al centro del corridoio con le mani in tasca e la guardava con una faccia che era tutto un programma. Niente più fughe, era questo l’accordo, ma quando erano tornati a Quantico lei era fuggita più veloce della luce. Era andata dall’unica persona che in quel momento pensava potesse aiutarla a superare i suoi timori, con il risultato che finalmente aveva capito che l’unico al mondo che poteva tenerla all’Accademia era il ragazzo che ora l’aspettava immobile.
    Si fermò solo quando erano cosi vicini che i loro corpi quasi si sfioravano, guardava in quelle iridi color nocciola. Sperava che non ci fosse nessuno in giro, perché sentiva l’impellente bisogno di un contatto fisico con lui, anche minimo. Era più forte di lei quel desiderio e così allungò una mano a sfiorare il viso di lui delicatamente in una carezza che voleva essere di conforto.
    - Ho parlato con Morgan – lo sguardo di lui si era fatto duro.
    - So quello che faccio – lei invece era tranquilla e continuava a percorrere i lineamenti di lui con un dito.
    - Non credi che tirando troppo la corda rischi di spezzarla?
    - Non la conoscete bene, se credete che basti questo a spezzarla – sorrise in modo dolce scostandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio – E’ come me, forte e dura. Non basta una parola per metterci a terra.
    - Lei ieri ha esagerato, ma non andarci giù troppo pesante – finalmente Spencer si lasciò andare a guastarsi quel contatto fra loro.
    - Non prometto niente, a meno che… - un sorriso furbo e malizioso le arricciò le labbra.
    - Da me o da te? – sapeva perfettamente dove stava andando a parare la moglie.
    - Da me, ti aspetto stasera – gli posò un bacio all’angolo della bocca e si incamminò verso la sala riunioni.

    Spencer era nella sala relax intento a prepararsi un caffè. Si chiedeva dove fosse stata Sarah in quella settimana di tre anni prima, ma scacciò il pensiero infastidito. Non ne avevano mai parlato, nonostante lui all’inizio l’avesse tormentata. Dopo il caso a Miami lei aveva promesso di non fuggire più da lui, eppure di ritorno da Biloxi aveva preso una settimana di ferie e se l’era svignata chissà dove e chissà con chi.
    Aveva parlato di un vecchio amico che forse poteva rispondere alle sue domande, ma poi aveva aggiunto che le uniche risposte che le servivano erano fra le sue braccia. Le aveva creduto, aveva voluto credere che fosse l’unico a cui lei si appoggiava, ma ora voleva delle risposte.
    Si voltò sentendo di non essere più solo, Ronnie era ferma sulla porta e lo fissava con fare indagatore. Spencer sospirò, pensando che quasi sicuramente lei era nascosta dietro un angolo mentre lui parlava con Sarah. Quando voleva Leane sapeva essere più silenziosa di un gatto e, anche se nessuno glielo aveva mai detto, tutti sapevano che usava questa dote per spiare discorsi che non la riguardavano.
    - Qualcosa non va? – cercò di assumere l’espressione più innocente possibile.
    Cameron rimase a guardarlo ancora un attimo, poi lentamente si avvicinò chiudendo la porta e si fermò a pochi passi da lui. Reid corrugò la fronte, non sapeva cosa aspettarsi da quella ragazza. Lei finalmente aprì le labbra, lasciandolo completamente spiazzato.
    - Avrei preferito che rifiutassi il suo invito per stanotte almeno continuerebbe a darmi filo da torcere, sai mi sto quasi divertendo.
    - Hai sentito proprio tutto eh? – la guardò accigliato.
    - Passavo di qua involontariamente – ora si era poggiata al muro con le mani in tasca e un sorrisino maligno stampato in faccia. Reid la guardò più attentamente tenendo fermo il caffè tra le mani.
    - Hai esagerato ieri Ronnie, non avresti dovuto provocarla.
    - Io faccio il mio lavoro e lei fa il suo, se quello che le dico non le sta bene non m’interessa ma non deve impedirmi di lavorare. E poi era la verità che le piaccia o no.
    - Non voglio che vi facciate la guerra a vicenda, specialmente con questo caso...
    - Sopravvivrò, non voglio stare neanche un passo dietro di lei, comincio a non sopportarla più.
    - Tu non conosci Sarah come la conosco io, non sai fin dove può arrivare se continui a sfidarla.
    - Su una cosa ha ragione, non basta una parola per buttarmi a terra, dovrà passare sul mio cadavere.
    Reid scosse la testa, gli sembrava di parlare con Sarah. Quella ragazza era più testarda di un mulo.
    - Tu non sei contenta se non ci sbatti la testa, vero?
    Lei alzò le spalle dandogli ragione poi si avvicinò mettendogli una mano fra i capelli morbidi, lo guardò con occhioni dolci mentre glieli scompigliava allegramente.
    - Non preoccuparti non dovrai raccogliere i miei pezzetti per strada – non ci credeva nemmeno lei mentre lo diceva, cercava di auto convincersene.
    - Lo spero per te, so che non sei così forte come fai credere, anche tu hai i tuoi punti deboli.
    Fu il turno di Ronnie a rimanere spiazzata, si rimise le mani in tasca guardando altrove.
    - Il problema è scoprirli – girò gli occhi nuovamente su quelli nocciola di lui - anche tu sei in cerca di risposte vero?
    Reid la guardò senza rispondere. Ron era sicuramente imprevedibile, lasciò cadere il discorso senza pretendere nient’altro e si avvicinò alla porta aprendola, poi si girò sorridendogli timidamente.
    - Anch’io ti voglio bene Reid.

    Continua…
     
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    Capitolo VI. The room

    Sarah cercò di alzarsi, ma la testa continuava a girarle. Il senso di nausea era soffocante e non riusciva ad aprire gli occhi. Sentiva una superficie dura e liscia sotto il suo corpo, strinse gli occhi e fece appello a tutta la sua testardaggine. Doveva alzarsi e capire dove si trovava.
    Dischiuse appena le palpebre, si rese conto di essere sdraiata a pancia in giù su un pavimento. Percorse tutta la lunghezza della superficie con gli occhi, fino ad incontrare la parete in fondo. Spoglia e scrostata, di un colore indefinito fra il verde e il grigio.
    Girò lentamente il collo fino a poter guardare nella direzione opposta. Intravide la sagoma di una persona, distesa a terra come lei. Sbatté più volte le palpebre cercando di mettere a fuoco quel corpo distante pochi passi. Folti capelli castani, fisico esile, gambe magre. Un fulmine le attraverso la mente. Leane!
    La ragazza era svenuta o peggio, non riusciva a scorgere il benché minimo movimento. Una paura primordiale la attanagliò e si costrinse, con immenso sforzo, a cercare di tirarsi su. Riuscì a mettersi carponi e si tastò il volto e la testa. Niente ferite, ma il senso di intontimento persisteva, probabilmente era stata drogata. Ma da chi? Come era arrivata in quel posto?
    Scosse piano la testa cercando di chiarirsi le idee, ma l’unico pensiero che le veniva in mente era la necessità di assicurarsi che Cameron fosse viva e stesse bene. Sempre carponi si trascinò fino al corpo immobile della collega. Le tastò il collo alla ricerca di pulsazioni, che dopo attimi di angoscia finalmente avverti sotto la pressione delle dita. Il cuore batteva, anche se lento e in maniera irregolare. Esaminò superficialmente il capo della ragazza e, una volta assicuratasi che non avesse ferite, la voltò lentamente.
    Sembrava addormentata, ma come alzò una pupilla si rese conto che la realtà era ben diversa. Qualcuno le aveva drogate e rapite, rinchiudendole in quel posto. Sapeva che la squadra le stava sicuramente cercando e prego che riuscisse a trovarle presto.
    Preoccupata dal respiro rantolante dell’altra prese una decisione. In ginocchio, agganciò le spalle di Ronnie e la trascinò con se verso la parete. Vi posò la propria schiena e poi si tirò addosso la ragazza. Ringraziò il cielo che Leane fosse cosi magra ed esile da permetterle di spostarla, se fosse stata leggermente più pesante non avrebbe potuto eseguire quella manovra. Accomodò il torso di Cameron contro il suo petto e le fece poggiare la testa sulla sua spalla, stando attenta che le vie respiratorie fossero libere. Le tirò indietro la testa con una mano e cercò di sistemarsi con lei addosso.
    Una volta riuscita nell’intento di far respirare meglio Ronnie si concentrò su quel posto. Gli effetti della droga stavano lentamente passando, così che il suo cervello fosse più reattivo alla situazione di pericolo che avvertiva.
    La stanza era semibuia, l’unica luce era una lampada di emergenza collocata su un muro laterale. Si trovava in una sala rettangolare dai pavimenti spogli e le pareti scrostate, altre loro due non c’era nient’altro all’interno. Sulla sua destra era posizionata una porta di ferro dall’aspetto pesante, non c’erano finestre né altre vie di fuga. Alzò lentamente gli occhi sulla parete di fronte a lei e li chiuse di scatto con un singulto.
    Simboli tracciati con quella che sembrava vernice rossa
    מיכאל
    Erano prigioniere di Mikael, su questo non c’erano dubbi. Ma come erano finite nelle mani di quel pazzo?
    Lottò con se stessa e la propria mente, doveva ricordare. La memoria era la loro unica possibilità.

    Aveva ascoltato la conversazione fra Ronnie e Spencer da dietro la porta chiusa. Sorrise pensando che Leane non poteva immaginare “come” la sua ex professoressa fosse sempre al corrente di tutto. Cameron non era la sola ad origliare conversazioni che non la riguardavano.
    Si incamminò velocemente lungo il corridoio, voleva essere fuori portata quando la porta fosse stata riaperta. Non le piaceva l’intimità che c’era fra quei due, era sciocco essere gelosa ma non riusciva a trattenersi. Anche con JJ era stata la stessa cosa, sospirò pensando che fra lei e la ex addetta stampa della squadra era sempre stata guerra.
    Non si era mai considerata un tipo geloso, il fatto che ora Ronnie fosse la migliore amica di Derek non intaccava minimamente la sua corazza. Ripensò a quello che Spencer aveva detto alla ragazza: “anche tu hai i tuoi punti deboli”. Sì, decisamente anche Sarah Collins aveva il suo punto debole, quel nervo scoperto aveva un nome e un volto: Spencer Reid.
    Ogni volta che qualcuna era gentile con lui, oppure mostrava troppo interesse per il timido ed impacciato genio della squadra, lei sentiva il sangue ribollirle nelle vene.
    Fortunatamente la porta era chiusa, immaginava che Ronnie avesse fatto un gesto di affetto verso Reid. Se avesse assistito alla scena le sarebbe saltata agli occhi come una gatta selvaggia, alla faccia di quella che alcuni studenti chiamavano la sua “stitichezza emotiva”. Un largo sorriso le illuminò il volto, se solo Cameron Leane avesse saputo quanto in realtà era umana ed emotivamente coinvolta…
    Aprì la porta della sala destinata a loro, l’unico presente era Hotch che continuava a studiare la lavagna dove avevano preso appunti sul caso. Gli si accostò in silenzio e lui non sembrò stupito di trovarsela accanto. Lo guardò di sottecchi, non era mai riuscita a prenderlo di sorpresa. Un altro dei misteri della squadra…
    - Hotch? – si impose di fissare il caffè contenuto nel bicchiere di carta che teneva in mano.
    - Dimmi Collins, novità?
    - No. Mi chiedevo… come fa a sapere sempre che sono io?
    - Il tuo profumo… lo riconoscerei fra mille.
    Si guardarono e Sarah trattenne il respiro. Nonostante quello che si erano detti il giorno del suo matrimonio(1), lui la guardava ancora in quel modo. Non si era arreso, non trovava rassegnazione. Sbatté le palpebre per distogliere lo sguardo, come sempre si sentiva in colpa nei suoi confronti. Forse se fosse stata più dura, se gli avesse mentito dicendo che non ci sarebbe mai potuto essere niente fra loro a prescindere dalla situazione…
    Si rimproverò, non era da lei rimuginare sul passato, né tanto meno fantasticare di dire bugie. Spencer la rimproverava spesso di essere sempre e comunque sincera, anche a costo di essere brutale. Ma aggiungeva sempre che amava quel lato del suo carattere, lei era una persona sincera e vera.
    - Smettila di tormentarti – il tono di lui le fece venire le lacrime agli occhi – Non è colpa tua, non è colpa di nessuno. Non si può decidere di chi innamorarsi… Prima o poi mi passerà.
    Sarah si ostinava fissare il bicchiere che teneva in mano, non era sicura di riuscire a reggere lo sguardo di quell’uomo così speciale. Sicuramente Aaron meritava qualcuno al suo fianco, una donna che sapesse apprezzarlo veramente.
    - Ti dico una cosa e poi torniamo a concentrarci sul caso, d’accordo? – le posò delicatamente una mano sulla spalla e lei assentì – Ho cominciato a frequentare una donna. E’ una brava persona, vedova con un figlio a carico. A Jack è simpatica.
    Si guardarono di nuovo e Sarah gli regalò un timido sorriso. Sperava che quella donna prendesse definitivamente possesso del cuore del suo ex superiore. Anche se avevano avuto i loro “scontri” augurava ogni bene a Hotch.


    No! Non doveva soffermarsi su particolari inutili! Sentì Cameron rantolare di nuovo fra le sue braccia. Era scivolata e la testa era reclinata in avanti. Riportò la ragazza nella posizione originaria e le tirò di nuovo indietro la testa per permetterle di respirare più agevolmente.
    Sentì una lacrima di frustrazione scenderle lungo la guancia e l’asciugò con un gesto stizzito. Non era il momento di cedere, doveva uscire di lì. Doveva salvare se stessa e Leane. Aveva un marito e un figlio da cui tornare, non avrebbe permesso a quel pazzo psicopatico di avere la meglio.
    Respirò profondamente e cercò di sgombrare la mente. Il suo cervello riprese a lavorare in modo frenetico. Doveva trovare la risposta che le avrebbe portate fuori da quel posto.

    Continua…

    (1) “Profiler” capitolo XIX “The caos in my mind”.
     
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    Capitolo VII. Wake up

    Sarah era leggermente intontita dal narcotico che le era stato somministrato. Leane era ancora incosciente e non sembrava prossima al risveglio. Collins era atterrita dalla situazione: due agenti federali drogati e rapiti da uno psicopatico che giocava all’angelo vendicatore. Se le avessero detto che si sarebbe ritrovata in una situazione del genere, non ci avrebbe mai creduto.
    Era sempre molto prudente sul campo, non abbassava mai la guardia e anche quando doveva fare irruzione prendeva tutte le precauzioni necessarie. Quello che rimproverava più spesso alla sua ex allieva era l’impulsività, il fatto di non pensare mai alle conseguenze delle sue azioni. Ronnie aveva dimostrato in più di un’occasione di essere troppo avventata e di non prevedere le mosse degli S.I. a cui dava la caccia.
    E ora si trovavano tutte e due nella medesima situazione: prigioniere e in procinto di scontrarsi con un pericoloso assassino. Sospirò pensando all’ironia della cosa. Un sorriso amaro le arricciò le labbra, nonostante tutto il suo buonsenso era in un mare di guai in compagnia di una ragazza che probabilmente la odiava. Lei, invece, non provava nessun tipo di sentimento negativo per Cameron. L’aveva scelta e credeva fermamente che con il tempo sarebbe diventata la profiler migliore che avesse mai addestrato.
    Decise che era il momento di darsi una mossa e cominciare a fare qualcosa di concreto per togliere entrambe da quel pasticcio. Perlustro di nuovo la stanza con gli occhi, stavolta più lentamente, alla ricerca di un appiglio. Finalmente la vide, posizionata nell’angolo in altro proprio di fronte a loro. Una piccola telecamera di sorveglianza. Ora riusciva a ricordare…

    La porta si spalancò facendo entrare un affannato Morgan seguito dal resto del team. Reggeva ancora in mano il cellulare e aveva uno sguardo deciso negli occhi.
    - Bambolina, sei in viva voce. Puoi ripetere?
    - Ho utilizzato gli indirizzi IP che mi avete procurato. Mentre cercavo nella loro “spazzatura virtuale” ho trovato un sito… - Garcia era evidentemente agitata.
    - Come a Biloxi… un blog? – chiese Rossi mettendosi a sedere.
    - No, qualcosa di completamente diverso. Vi ho inviato il collegamento tramite computer.
    Sarah si avventò, letteralmente, sul suo portatile e fece in modo che le immagini venissero rimbalzate sul grande monitor appeso alla parete. Si aprì una schermata di un sito chiamato “La prova del purgatorio”. C’era una specie di piantina interattiva. Varie stanze collegate da alcuni corridoi. Sarah provò a cliccare su una delle stanze e subito si aprì una finestra laterale con le immagini della stanza.
    - Ma cosa diavolo…? – cominciò Leane osservando interessata quella nuova scoperta.
    - Dici bene, dinamite – quello era il soprannome che Garcia aveva affibbiato alla irrequieta profiler – Qui il diavolo c’entra e come. E’ una specie di reality show. A quanto pare i presunti peccatori vengono rinchiusi in quel posto, spiati da telecamere e la loro unica salvezza è trovare l’uscita.
    - Come fai a sapere queste cose? – le chiese Reid.
    - Ho navigato sul sito per riuscire a scoprire qualcosa. Chi l’ha aperto è irrintracciabile. Ci sono una ventina di proxi che rimbalzano il segnale da una parte all’altra del globo, sto lavorando per capire da dove vengono le immagini – Garcia si fermò e fece un lungo sospiro – Credo che dobbiate vedere una cosa…
    Sullo schermo parti una sequenza di immagini. La vittima numero due, Allison Barnett, correva lungo un corridoio scarsamente illuminato. Repentinamente si fermava davanti ad una porta e provava ad aprirla tirando. Per aiutarsi aveva poggiato il piede contro la parete e le braccia erano tese nello sforzo. Improvvisamente una figura incappucciata apparve dietro di lei. La afferrò saldamente e la girò facendola sbattere contro la parete. La ragazza continuava a muovere le labbra, cercava di parlare con il suo assalitore. La figura alzò un braccio, impugnava una lama e la conficcò con decisione nel petto della ragazza.
    Rimasero tutti attoniti, avevano appena assistito all’omicidio di una povera ragazza, la cui unica colpa era di essere finita nel mirino di un pazzo. Lo schermo divenne improvvisamente buio e una scritta apparve a grandi lettere rosse.
    - “Prova fallita, la peccatrice è stata punita” – lesse a voce alta Sarah, che subito dopo scosse la testa e si mise a sedere – Garcia c’è altro?
    - No, non ho trovato riscontri per quanto riguarda studenti provenienti da Biloxi. Susan Billings in questo momento si trova a Los Angeles, ha intrapreso la carriera di modella.
    - Grazie, Garcia – si intromise Hotch, ancora visibilmente scosso – Per il momento è tutto. Tienici aggiornati.
    - Senz’altro.
    Il silenzio scese nella sala riunioni. Erano tutti frastornati dalla visione di quel filmato. Lentamente, ognuno di loro, prese posto a sedere.
    - Profilo? – domandò Hotch, cercando di recuperare il controllo.
    - Maschio, bianco, tra i venticinque e i trentacinque anni – cominciò Reid.
    - Istruito, fisicamente in forma, intelligente – era il turno di Prentiss.
    - Fa un lavoro che gli permette di interagire con ragazzi giovani, adolescenti per lo più. Ha un aspetto innocuo che infonde sicurezza, quasi sicuramente le vittime lo hanno seguito di loro spontanea volontà – Morgan continuava a massaggiarsi la testa.
    - E’ rispettato nella comunità. Sicuramente è una figura di spiccò per questi ragazzi – si intromise Sarah con fare sicuro – Scapolo, non ha legami famigliari…
    - Come fa a dirlo? – chiese Leane accigliandosi.
    - Il suo modus operandi – Collins non la degnò di uno sguardo – Per fare tutto questo: quella specie di labirinto, il sito, i rapimenti… Deve potersi muovere in piena libertà, non ha nessuno che gli chieda dove è stato. Se avesse una famiglia, qualcuno si sarebbe già accorto che c’è qualcosa che non va’.
    - Da dove cominciamo? – chiese Rossi tornando a guardare il resto del team.
    - Io proporrei di interrogare le amiche delle vittime – si fece avanti Leane – Se veramente si fidavano del loro assalitore, doveva essere qualcuno che conoscevano…
    - Leane e Collins, voi andate ad interrogare la compagna di stanza della Barnett. Reid e Morgan voi andata da quella della Baldwin. Io, Prentiss e Rossi continueremo a lavorare sul profilo – Hotch impartiva gli ordini sicuro e deciso – Vi raccomando la massima prudenza, non dividetevi per nessun motivo. Se è veramente lui, siamo in pericolo. Chiaro?
    Quattro teste assentirono mentre si dirigevano verso la porta.


    Il sito! Come un lampo afferrò ancora più saldamente Ronnie e mosse le labbra a formulare la frase “E’ viva, sbrigatevi”. Se il resto del team stava guardando, dovevano sapere che le loro compagne erano vive e stavano bene, almeno per il momento.
    Accostò la bocca all’orecchio della ragazza ancora svenuta, dovevano prepararsi allo scontro. Anche se il video su internet era senza audio, non significava che non ci fossero microfoni nascosti da qualche parte. Radunò le idee e poi cominciò a bisbigliare nell’orecchio di Leane.
    - Cameron, so che puoi sentirmi. Sei stata drogata, ma tu sei più forte di quel veleno. Combatti, devi svegliarti prima che sia troppo tardi – si fermò incerta su come proseguire, doveva scuoterla in qualche modo – Morgan sarà in pensiero per te, per non parlare degli altri. Ti prego, fallo per loro. Reagisci.
    Non sapeva cosa altro dire per farla svegliare, non poteva scrollarla o alzare la voce. Doveva fare tutto nel massimo silenzio possibile, se l’S.I. si fosse accorto che si erano svegliate, sarebbe andato a cercarle e lei non poteva trascinarsi dietro un corpo, non ne aveva la forza.
    Sentì una lieve pressione sulla mano che aveva messo intorno alla vita di Leane, sperò di non essersi sbagliata. Si rincuorò sentendo un gemito provenire dalla ragazza, vide le palpebre tremare. Stava reagendo.
    - Ti prego, Cameron, svegliati – aveva la voce rotta dal pianto e dalla paura – Dimostrami che sei una profiler in gamba e non una stupida ragazzina che gioca a fare l’agente federale.
    Di nuovo un movimento quasi impercettibile del corpo stretto a lei. Il respiro era diventato affannato, mentre gli occhi lottavano per aprirsi.
    - Io non gioco mai – la voce era impastata e gli occhi ancora chiusi ma lentamente stava riprendendo coscienza.
    - Dimostramelo, agente Leane. Rendimi fiera.

    Sentiva la voce di Sarah sussurrarle nell’orecchio come se fosse lontana anni luce. Aveva gli occhi socchiusi e le palpebre erano pesanti come cemento, da quella piccola striscia che riuscì ad aprire vedeva tutto sfocato e appannato, gli arti erano ancora intorpiditi ma cercò disperatamente di riprendere il controllo del corpo. Le uscì un altro gemito lottando contro lo stordimento, conosceva quella situazione c’era passata migliaia di volte non poteva certo farsi mettere ko adesso. Faceva respiri profondi e lunghi come se avesse l’asma, sentiva il corpo poggiare su quello della collega ma voleva cambiare posizione così cercò di concentrarsi su tutto il suo corpo lottando con la sua determinazione. La testa le stava scoppiando, girò il capo al lato e mosse le gambe lungo il pavimento, si sporse verso sinistra allungando una mano per terra lasciandosi scivolare. Poggiò la schiena sulla superficie fredda lentamente, riuscì ad aprire completamente gli occhi con un enorme sforzo.
    Sentiva risuonare ancora le parole di Collins nell’orecchio, non era il momento di lasciarsi andare, vedeva il soffitto sopra di lei girare vorticosamente, aveva ancora quel senso di nausea che la opprimeva. Chiuse gli occhi ed aspettò mentre riprendeva il senso della realtà e riordinava le idee. Quando li riaprì qualche secondo dopo la stanza aveva smesso di girare, ora doveva concentrarsi su quello che stava succedendo. Le aveva detto che erano state drogate e rapite… fece forza con le mani sul pavimento e si mise a sedere con la schiena al muro, girò gli occhi lungo il perimetro della stanza riuscendo lentamente a mettere a fuoco tutto, mentre ispezionava con lo sguardo veniva assalita da piccoli ricordi: il video, le stanze, i corridoi… erano finite sicuramente in quel casino.
    Vide la scritta sul muro e si girò verso la collega.
    - Che cosa..?
    - Mikael…
    Leane restò immobile a guardare il volto della collega che di sicuro non aveva mai visto così, l’aveva sentita piangere e aveva sentito la sua paura nella voce mentre cercava di svegliarla e di sicuro l’ultima cosa che voleva vedere al suo risveglio era la sua ex insegnante che dava segni di cedimento.
    - Le sembra il momento di piangere? – si era affiancata ancora di più per poterle parlare sottovoce, muoveva ancora a fatica la lingua – Se crede di farsi prendere dal panico si sbaglia di grosso, quel figlio di puttana mi ha fatto arrabbiare e noi usciremo di qui..chiaro?

    Continua…
     
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    Capitolo VII. Angst

    - Dove diavolo sono finite? – Morgan urlava mentre dava un pugno alla porta della sala.
    Hotch scosse la testa mentre continuava a fissare il cellulare, sembrava incredibile che un’ora prima avesse sentito Collins. Sollevò lo sguardo verso il resto della squadra. Erano tutti preoccupati dopo il suo resoconto di quella telefonata. Garcia cercava ancora di rintracciare il segnale, ma con scarsi risultati. Il telefono era stato spento.
    Rossi si mise a sedere davanti a lui e lo fissò intensamente. Era arrivato il momento dell’intervista cognitiva.
    - Rilassati – la voce di Dave era quasi ipnotica – Chiudi gli occhi e prova a ricordare. Qualsiasi cosa può essere utile.

    Aveva risposto alla chiamata di Collins, era arrabbiato con quelle due. Invece di tornare indietro come previsto erano finite chissà dove.
    - Si può sapere dove siete?
    - Stiamo seguendo una pista – breve pausa di Sarah, che sembrò rivolgersi a Ronnie – Non allontanarti, dobbiamo rimanere insieme. Hotch, quella ragazza, Barnett, aveva dei problemi psicologici a detta della sua compagna di stanza. Si sentiva in colpa per qualcosa e si era rivolta ad un’assistente, che però non sapeva come aiutarla.
    - E quindi?
    - Nello studio di quest’ultimo ho trovato un dépliant e… - un rumore di sottofondo, come un tonfo – Leane? Cosa diavolo stai combinando?
    Attimi di silenzio, il respiro affannoso di Collins, come se stesse correndo da qualche parte.
    - LEANE! – era agitata – Hotch è successo qualcosa… Leane rispondimi.
    - Cosa sta succedendo? – era agitato anche lui a quel punto.
    - Non lo so, forse ha avuto un malore… - altra breve pausa mentre la ragazza chiamava la collega – Mandate qualcuno! Ci troviamo…
    Una serie di rumori attutiti, una serie di farfugli come se qualcuno provasse a parlare attraverso un fazzoletto. Un altro tonfo e poi una voce maschile.
    - Pessima mossa, loro saranno le prossime.
    - Chi diavolo…?
    Non poté finire la frase, la chiamata era stata interrotta.


    Spencer alzò lentamente la testa, aveva uno sguardo vacuo. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
    - Avevano trovato qualcosa nello studio di quell’assistente – cercava di farsi coraggio, ma la voce tradiva la sua angoscia – Dobbiamo parlare di nuovo con la sua coinquilina e farci dare il nome di quel tale.
    - Giusto – intervenne Prentiss – Hanno scoperto qualcosa, l’hai detto anche tu che seguivano una pista. Un dépliant che hanno trovato in quello studio.
    - Prentiss, tu e Rossi andate da quella ragazza. Se necessario tirate l’assistente giù dal letto. Voglio che entriate in quello studio il più in fretta possibile – mentre i due lasciavano la stanza, Aaron prese il telefono e compose il numero di Quantico – Garcia?
    - Notizie? – la ragazza era agitata come tutti – Le avete trovate?
    - No. Se è lui, sicuramente le ha portate in quel posto – Hotch cercava di mantenere la calma – Devi controllare il sito di nuovo, devi darci un indirizzo.
    - Ci sto lavorando – l’informatica fece una pausa prima di esclamare – O mio dio!
    - Cosa c’è Garcia? – Spencer si era alzato in piedi.
    - Sono loro. Vi passo subito il collegamento.
    Il monitor sulla parete si accese, mostrando una delle stanze del labirinto virtuale. Due corpi erano stesi a terra a pancia sotto, due ragazze more dai capelli lunghi. Hotch, Morgan e Reid si avvicinarono allo schermo, alla ricerca di un minimo movimento delle due.

    Reid continuava a fissare lo schermo ipnotizzato,mentre dentro di sé continuava a incoraggiare Sarah “Riprenditi, ti prego, muoviti. Lui potrebbe arrivare da un momento all’altro. Devi svegliarti!”.
    Finalmente, come in risposta alle sue preghiere, vide la moglie muovere la testa. Un movimento lento e quasi impercettibile. I tre uomini trattenerono il fiato, nella speranza che non fosse stato un riflesso incondizionato.
    Di nuovo un movimento, più deciso, del capo che ora veniva girato lentamente nella direzione dell’altra ragazza. Collins fece forza sulla mani, riuscì a mettersi carponi e a trascinarsi fino all’altro corpo presente nella camera.
    - E’ viva – Hotch sembrava immensamente sollevato.
    - Ma Ronnie? – Morgan era ancora agitatissimo.
    Videro la donna mora trascinare l’altra fino alla parete e poi eseguire una serie di manovre sul corpo inerme.
    - Cosa sta facendo? – Derek quasi non batteva le ciglia nel timore di perdersi anche il minimo movimento.
    - Sta cercando di liberare le vie respiratorie – Reid si aggrappava alla sua mente analitica per non impazzire – E’ una tecnica per farla respirare meglio.
    - Quindi anche Leane è viva, grazie al cielo – Aaron si passò stancamente una mano sul viso.
    Improvvisamente Sarah alzò lo sguardo verso la telecamera e lentamente cominciò a muovere le labbra. Stava cercando di trasmettere un messaggio.
    - Cosa sta dicendo? – Derek provò a mimare gli stessi movimenti con le labbra – “E’ viva, sbrigatevi”. Maledizione!
    Si sentivano impotenti davanti a quelle immagini. Potevano vedere le loro colleghe ma non potevano aiutarle.
    Pochi istanti dopo videro Sarah che cercava di parlare a Ron ancora svenuta ma non riuscivano a capire cosa stesse dicendo,la bocca era nascosta dai capelli della ragazza.
    - Avanti Ronnie svegliati,svegliati! – Morgan strinse un pugno mentre dava voce ai suoi pensieri.
    Rimasero tutti in silenzio e immobili con gli occhi sempre fissi sulle immagini aspettando un qualsiasi movimento finché notarono le gambe di Ron spostarsi dopo aver detto qualcosa in risposta alla collega.
    - “Io non.. io non gioco mai” – Reid ripetè le parole di Leane che aveva il viso diritto verso la telecamera.
    Seguirono i suoi movimenti mentre si accasciava al pavimento per poi mettersi seduta nella stessa posizione di Sarah.
    - Te lo faccio vedere io chi non gioca - Morgan sbuffò e si passò una mano in testa seguito da sospiri di sollievo degli altri.
    L’unica certezza che avevano adesso era che le due ragazze erano vive e che potevano guardarle.

    Leane e Collins erano ancora sedute una di fianco all’altra, Cameron spostò gli occhi verso la telecamera distogliendo subito lo sguardo intuendo che sicuramente i loro compagni le stavano guardando. Il respiro le stava tornando più o meno regolare col passare dei secondi, cercò di scacciare via l’agitazione e ogni minima angoscia che poteva assalirla, se anche lei si fosse fatta prendere dal panico non ne sarebbero mai uscite vive e sarebbero impazzite prima di essere uccise come quella ragazza.
    Al contrario l’unica cosa che provava Cameron in quel momento non era né paura di morire né di non essere trovate in tempo dalla squadra… anzi più che non averne cercava di auto convincersene, sentiva solo crescere la rabbia per essere finite in quel casino, frustrazione e una voglia matta di mettere le mani addosso a quello psicopatico.
    Studiò il suo corpo con gli occhi constatando di non avere ulteriori ferite o qualsiasi cosa potesse impedirle di fuggire, infine si voltò verso Collins intenta ad asciugarsi le ultime lacrime, parlandole avrebbe dato coraggio a lei e contemporaneamente si sarebbe distratta liberando la mente.
    - Si ricorda cosa mi ha detto quel giorno per farmi tornare nella squadra?
    - Si Leane – la voce tradiva ancora la paura e il pianto.
    - Beh glielo ripeto: “non ti ho fatto entrare nella squadra per arrenderti alla prima difficoltà”. Io ora dico la stessa cosa a lei, la mia insegnante Sarah Collins non è una che si arrende alla prima difficoltà, io non mi sono arresa né adesso e tantomeno lo farò in futuro, il mio orgoglio me lo impedisce – indicò la telecamera con un dito – Ci staranno guardando immagino, di sicuro Reid non la vuole vedere in questo stato dunque se vuole rivederlo da viva ritorni, almeno finché non usciamo di qui, la Sarah Collins che conosco io.
    - Leane – gli occhi di Collins si erano fermati su un punto della ragazza.
    - Cosa? – Ron aggrottò la fronte seguendo la sua direzione.
    - Le tue mani,stanno tremando..
    Ronnie abbassò il viso e le fissò per un attimo poggiate sulle cosce, venne assalita da un brutto presentimento mentre le guardava vibrare e di sicuro non era per l’agitazione visto che era paurosamente calma e con mente fredda, per quanto si potesse concentrare non riusciva a farle smettere. Le nascose tra le cosce alzando le spalle.
    - Non è niente, mi passerà. Pensiamo a come uscire di qui piuttosto.

    Continua…
     
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    Capitolo IX. Abstinence

    - Non è niente, mi passerà. Pensiamo a come uscire di qui piuttosto.
    Sarah continuava a guardarla. Sembrava aver dimenticato la paura e l’angoscia, era concentratissima sulle mani di Cameron. Sospirò scuotendo la testa.
    - Di cosa ti facevi? – guardava un punto della stanza.
    - Di cosa parla? – Ronnie si mise automaticamente sulla difensiva.
    - Qualsiasi cosa ci abbia dato per drogarci ha avuto su di te un effetto molto più forte. Quel tremore alle mani poi racconta una storia che non puoi negare – tornò a fissare la ragazza, lo sguardo impenetrabile.
    - Non è questo il momento per questi discorsi – Leane era nervosa, non voleva rivangare il suo passato – Dobbiamo pensare a come uscire di qui.
    - Non possiamo fare molto, almeno finché lui non comincia il gioco.
    - Come, scusi?
    - Ricordi il filmato? La ragazza scappava lungo un corridoio, non era rinchiusa come noi.
    - Alla fine è apparsa una scritta – le pupille di Cameron si dilatarono, comprendendo cosa la sua compagna cercava di dirle – “Prova fallita”… quindi…
    - Sì, ci metterà alla prova. Non so in cosa consisterà, ma non dubito che il nostro “gentile ospite” ci fornirà tutti i ragguagli necessari al gioco – Sarah tornò a fissare la telecamera – Allora, di cosa ti facevi?
    - Conosce così bene i sintomi? – un’idea balenò nella mente dalla giovane profiler – Anche lei?
    - No, ma conosco qualcuno che ne è uscito. Abbiamo parlato spesso della riabilitazione e dei sintomi.

    Morgan continuava ossessivamente a fissare la scena. Le sue due migliori amiche erano prigioniere e lui era impotente davanti a questo fatto. Si sentì nuovamente come quando Henkel rapì Reid, la stessa angoscia, la stessa frustrazione.
    - Di cosa staranno parlando? – chiese senza voltarsi.
    - Non ne ho la minima idea – Hotch si era seduto e si massaggiava le tempie – Credi sia importante?
    - No. Se avessero avuto un indizio su dove le ha portate, Sarah avrebbe trovato il modo di dircelo.
    Reid non partecipava alla conversazione, aveva visto qualcosa che non gli piaceva. Morgan e Hotch non ci avevano fatto caso, ma per lui il tremore delle mani di Leane aveva un significato preciso. Sapeva che c’era qualcosa nel passato della ragazza, qualcosa che l’aveva segnata profondamente, ma aveva sempre pensato che riguardasse la morte dei suoi genitori.
    Ora la verità su quello di cui Ronnie non voleva parlare si era palesata davanti ai suoi occhi. Cameron era un’ex-tossicodipendente e qualsiasi cosa le avesse dato l’S.I. stava per scatenare in lei una crisi di astinenza.
    Sarah continuava a farla parlare cercando di distrarla. Avevano affrontato molte volte il discorso su cosa avesse passato lui dopo la sua dipendenza da Dilauded, comprese le sue crisi di astinenza. Era penoso vedere Ronnie in quello stato, ma la ragazza sembrava reagire bene. Sperava solo che Sarah riuscisse a farle mantenere la concentrazione su quello che era il loro scopo ultimo: uscire sane e salve da quel labirinto.

    - Dunque ha capito benissimo cosa mi sta succedendo.
    - Si,negarlo da parte tua sarebbe inutile.
    Sarah aveva ragione, non potevano fare niente da sole in quella stanza finché quel pazzo non avesse dato il via alla prova, se le stava guardando sarebbe entrato da un momento all’altro o gli avrebbe dato in qualche modo le indicazioni. Tanto valeva rispondere alle sue domande senza troppi giri di discorsi e dirle quello che voleva sapere, già era nervosa, se avesse cercato di tergiversare su un discorso che non voleva affrontare si sarebbe innervosita ancora di più.
    - Mi facevo di cocaina, interessante no? Vuole sapere altro?- Sarah sentì una punta di acidità nel suo tono.
    - Come ne sei uscita?
    I ricordi di Ron tornarono involontariamente.
    - Non da sola questo è sicuro, altrimenti a quest’ora sarei morta da un pezzo.
    - Perché non me ne parli? – Sarah continuava a guardarla interessata, doveva farla parlare.
    Ronnie sbuffò chiudendo gli occhi cercando di separare la mente da quello che diceva come se parlasse senza ascoltarsi.
    - Mi trovò un poliziotto a Los Angeles in mezzo alla strada, stavo andando in overdose e mi portò all’ospedale appena in tempo – fece una pausa incerta su cos’altro dire – non avevo già più nessuno,i miei erano già morti e non potevo tornare in Spagna da sola così sono rimasta con lui. Io stavo in un centro di recupero per tossici, quando non ero lì mi portava nel dipartimento di polizia così al posto della cocaina cominciai a sparare al poligono di tiro per distrarmi. Ci sono rimasta due anni e nel frattempo bazzicavo nel dipartimento, lì ho cominciato ad interessarmi di psicologia e alla sezione di criminologia, così iniziai a studiare e a rimettermi in carreggiata dimenticando il resto, la cocaina non era più indispensabile a quel punto.
    Sarah la guardava impietrita, come poteva una ragazza sbandata essere divenuta un’agente dell’FBI grazie alla sua forza di volontà? Non sapeva cosa risponderle. Ronnie finalmente aprì gli occhi incrociando quelli di lei mentre si voltava, almeno per poco era riuscita a distrarsi.
    - Non sono più quella ragazza.
    - Lo so bene Leane..
    Ronnie girò gli occhi nuovamente verso le mani, non la smettevano e sentiva il nervoso crescerle dentro mentre cercava a tutti i costi di mantenere la calma e la lucidità.
    Cameron sapeva benissimo che l’apice della crisi di astinenza arriva tra le 24-48 ore, ma non disse niente alla compagna e anche se probabilmente lo sapeva pure lei non si azzardò ad aggiungere altre preoccupazioni, sperò solo di uscire di lì prima che succedesse il peggio.
    - Dunque ce ne stiamo buone qui a non fare niente finché non sapremo qualcosa? – aveva chiuso nuovamente gli occhi e cercava di controllare il respiro.
    - È l’unica cosa che possiamo fare per adesso oltre che pensare.
    - Continui a farmi parlare allora.
    - Tu ricordi come siamo finite qui?
    - L’ha detto lei: ci hanno drogate e…
    - Sì, ma prima? Ricordo il sito e ricordo che Hotch ci ha mandate dalla compagna di camera di Barnett, ma tra quello e il risveglio qui c’è il vuoto – guardò Cameron, sperando che almeno lei ricordasse qualcos’altro.
    La ragazza continuò a sbattere le palpebre interdetta. Si passò una mano fra i capelli con un gesto nervoso e poi tornò a fissare la sua ex insegnate.
    - Vuoto. Cavoli! – buttò indietro la testa e si mise a guardare il soffitto – Può essere importante, potrebbe dirci chi ci ha rinchiuse qui.
    - Già… - Sarah tornò a chiudere gli occhi e cercava di concentrarsi – Quella ragazza… Alice…
    - Walters, il cognome è Walters – senza abbandonare la sua posizione, Leane cercava di riordinare le idee – Bionda, occhi chiari, fisico atletico… iscritta a…
    - Sociologia, mi pare… Ha detto qualcosa sul conte di Barnett, qualcosa che riguardava i sensi di colpa…

    - Allison si sentiva in colpa – la ragazza bionda tirò su col naso – Veniva da una famiglia molto religiosa, il prototipo della brava ragazza assennata, poi due settimane fa durante una festa… oddio, forse non c’entra niente.
    - Tutto può essere importante – cercò di incoraggiarla Collins – Non conta se a lei sembra irrilevante, per noi è fondamentale riuscire a ricostruire la vita della sua amica nelle ultime settimane.
    Alice annuì vigorosamente, stringendo le labbra. Prese un altro fazzolettino dalla scatola e si soffiò il naso, poi tornò a guardare i due agenti federali.
    - Due settimane fa Allison fece una cosa di cui poi si pentì… - si interruppe un momento riprendendo fiato – Fece sesso con un ragazzo che conosceva appena, io le dissi che era normale. Voglio dire… al college si sperimenta… Ma lei non l’ha prese bene, cominciò a dire di aver peccato, che sarebbe andata all’inferno e cose così. Io le consigliai di andare da uno dei consulenti psicologici dell’università e la convinsi a prendere appuntamento. Aveva bisogno di aiuto, ma io non mi sentivo all’altezza.
    - Sa se si è incontrata con questa persona? – Leane continuava a rimanere in piedi e ad osservare l’alloggio.
    - Credo di sì… sì, sicuramente. Lo so perché il giorno dopo sembrava diversa, più rilassata… diceva di aver trovato qualcuno che la capiva e poteva guidarla.
    Collins fece un cenno a Cameron. Forse avevano trovato l’uomo del profilo. Tornò a guardare la ragazza con un’espressione incoraggiante.
    - Lei conosce questo consulente?
    - No.
    - Come ha fatto a rintracciarlo?
    - C’era un volantino in bacheca… aspetti, dovrei averlo ancora nell’agenda. Ora glielo prendo.
    Sarah sorrise e si rilassò leggermente… avevano una pista.


    Cameron cercò di alzarsi lentamente.
    - Stai seduta, non fare rumore – la redarguì Sarah.
    - Ho bisogno di sgranchirmi le gambe non ce la faccio più.
    Si mantenne con le mani al muro mentre si metteva in piedi, improvvisamente sentì la testa girare e si poggiò alla parete stordita.
    - Cos’hai?
    - Niente.
    Scosse il capo con una mano tra i capelli e cominciò a camminare lentamente nel raggio di qualche metro.
    - Sto cercando di ricordare, ma non ci riesco – guardava per terra girandosi una ciocca tra le mani, il pensiero di avere il vuoto in testa la faceva imbestialire. Si fermò di fianco a Sarah e fissò un punto del pavimento davanti a lei. Erano entrambi in silenzio concentrate sui loro ricordi.

    Continua…
     
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    Capitolo X.

    - Ricordi il consulente? – chiese Sarah.
    - Sì, vagamente… un tipo insignificante – Ronnie si portò un dito alle labbra cercando di ricordare – John qualcosa…
    - Markis? Markolis? – provò Collins.
    - Markinson! – il viso di Leane si illuminò – John Markinson.

    La studio non era altro che un piccolo ufficio di due stanze messo a disposizione dall’università. Gli psicologi erano tre e dovevano seguire gli studenti che presentavano problemi di inserimento.
    I due agenti si avvicinarono convinti ad una ragazza seduta dietro la scrivania che stava leggendo un libro. Mostrarono le proprie credenziali, mentre la ragazza sbarrava gli occhi stupita.
    - Perché siete qui? – chiese.
    - Abbiamo problemi di inserimento – ironizzò Leane acida.
    Sarah le diede una leggera gomitata e sorrise rassicurante alla ragazza, che era evidentemente spaventata.
    - Siamo qui per un’indagine. Lei è la segretaria?
    - Ehm… io studio qui. Mi pagano per far accomodare le persone e per impedire che qualcuno entri durante i colloqui, tutto qui.
    - Certo, capisco – il sorriso di Collins si era allargato ulteriormente – Bisogna pur arrotondare le entrate, giusto?
    - Già, io ho una borsa di studio, ma la mia famiglia non naviga nell’oro.
    - Ragazza coscienziosa, mi congratulo. Ehm… per caso ha visto questa ragazza? – le mostrò una foto di Barnett.
    - Qui passa tanta gente – rispose dubbiosa, prendendo in mano la foto – Aspettate… sì! Mi ricordo di lei. Era terribilmente agitata quando è venuta, il dr. Markinson ci ha impiegato un quarto d’ora buono per convincerla ad entrare nell’altra stanza. Continuava a dire che nessuno poteva aiutarla, sembrava una pazza.
    - Ha notato qualcos’altro? – insistette Cameron.
    - Era particolarmente interessata a quei dépliant laggiù. Nessuno li legge mai, invece lei li ha sfogliati tutti. Anzi, ora che ci penso, prima di andare via è ripassata davanti all’espositore e ne ha preso uno.
    - L’ha più vista? – chiese Sarah accigliandosi.
    - No e la cosa non mi sorprese – l’espressione del volto tradiva indifferenza per quella ragazza – Non ha neanche finito la prima seduta. Dopo dieci minuti si è catapultata fuori, dicendo che non le serviva una terapia psicologica.
    - Per caso ricorda che tipo di dépliant ha preso? – provò di nuovo Collins.
    - No, ma sono quasi tutti uguali.
    Leane si era messa a parlare con lo psicologo del campus, terrorizzandolo letteralmente. Sarah non le aveva prestato attenzione, concentrata su quell’espositore. Alla fine si voltò verso la sua compagna e si avvicinò ai due. Sorrise pensando che Markinson probabilmente non avrebbe mai più aiutato gli studenti, Ronnie aveva fatto capire di considerarlo un sospettato e gli aveva palesato la possibilità di passare al setaccio la sua vita privata.
    Collins le posò una mano sulla spalla, come a trattenerla da ulteriori uscite infelici e regalò un largo sorriso allo psicologo.
    - Grazie della collaborazione dr Markinson – prese un biglietto dalla tasca e glielo porse – Se dovesse venirle in mente qualcos’altro, qualsiasi cosa, la prego gentilmente di volermi contattare. Ora la lasciamo al suo lavoro.
    L’uomo prese il biglietto con un’aria sospettosa, poi guardò la ragazza che l’aveva tormentato e fece un segno all’altra.
    - Se volete che le persone siano disponibili con voi, dovreste cambiare il tipo di approccio.
    - Come? – Leane era sul piede di guerra, ma Sarah la prese per un braccio e cominciò a trascinarla fuori.
    - Ha perfettamente ragione, grazie del consiglio.
    Arrivate a metà corridoio, Ron si libero della presa dell’altra con uno strattone.
    - Si può sapere che le prende? – era arrabbiate – Quello è un sospettato. Le ricordo che stiamo cercando una persona che abbia un qualche tipo di influenza su questi ragazzi, chi meglio di uno psicologo.
    - Glielo dico subito agente Leane – le regalò uno dei suoi sguardi di ghiaccio – Prima di partire in quarta avrebbe fatto meglio a darsi un’occhiata intorno.
    - Come ha fatto lei? – ironizzò la ragazza – Non ha partecipato minimamente all’interrogatorio di Markinson!
    - Avevo trovato qualcosa di molto più interessante – dicendo così le mostrò il volantino, che Ron prontamente le strappò dalle mani per leggere – Ricordi cosa ci ha detto la compagna di stanza di Barnett a proposito della sua famiglia?
    - Cavoli! – Leane la guardò stralunata – E ora?
    - Andiamo a fare una “chiacchieratina” con questa persona – si avviò lungo il corridoio con passo sicuro, poi si girò verso l’altra – Allora? Che fai vieni o rimani qui?
    Cameron si era incantata a studiare il volantino tra le sue mani, al richiamo di Collins alzò la testa indispettita pronta a ringhiare. S’infilò il foglio in una tasca interna del giubbotto in pelle, rimproverandosi di essersi fatta riconoscere anche in quell’occasione s’incamminò decisa verso Collins.
    - Certo che vengo – chiuse il discorso acida.
    Senza degnarla di uno sguardo, superò l’ex insegnante che scosse la testa seguendola.


    Il telefono squillò e prontamente Hotch rispose mettendo il vivavoce.
    - Hotchner.
    - Sono Prentiss. Abbiamo delle novità. A quanto pare, oggi pomeriggio due donne, che si sono presentate come agenti federali, sono venute ad interrogare il dr. Markinson, del consultorio del campus – Emily fece una breve pausa – Una delle due si è comportata in modo sgarbato e ha interrogato il dottore come se fosse un sospettato.
    - Leane – risposero in coro Morgan, Hotch e Reid.
    - Cavoli. Non la conosciamo affatto, vero? – Prentiss tornò subito seria – A quanto pare l’altra donna si è interessata principalmente ai dépliant di un espositore, ha richiamato la sua collega e sono uscite dirette chissà dove. Sarah ha lasciato un biglietto da visita a Markinson, pregandolo di ricontattarla nel caso ricordasse qualcos’altro.
    - E’ tutto? – chiese Morgan.
    - No. Il dottore ha provato tutto il pomeriggio a richiamarla con scarsi risultati, partiva sempre la segreteria. Dice che Barnett continuava a farneticare di peccato ed espiazione. Inoltre anche lei era ossessionata da quei volantini.
    - Che tipo di volantini sono? – Reid era visibilmente ansioso.
    - Per lo più di gruppi di auto aiuto, ma ce ne sono un paio di alcune congregazioni religiose che si offrono di aiutare “giovani che hanno perso la retta via” e cose del genere.
    - Prendete quei volantini e portateli qui. Dobbiamo comunicare a Garcia… - Hotch cercava di mantenersi lucido.
    - Mi sono permessa di contattarla. Le ho fornito i dati delle varie associazioni con i numeri di telefono da contattare. Ci sta già lavorando. Io e Rossi dovremmo esseri lì fra venti minuti, siamo per strada – Emily chiuse la conversazione.
    - Forse abbiamo qualcosa su cui lavorare – Morgan si girò verso Spencer che era tornato a guardare lo schermo.
    Il giovane genio era sull’orlo di una crisi di nervi, ma nessuno poteva biasimarlo. Derek gli si avvicinò e gli strinse delicatamente una spalla.
    - La troveremo, vedrai.
    - Non abbiamo molto tempo.
    Hotch si alzò a sua volta e si affiancò al ragazzo, dall’altra parte.
    - Faremo in tempo, quelle due sanno badare a loro stesse. Riusciranno a tenere a bada l’S.I. abbastanza a lungo.
    - Smettetela! – Reid si scostò e si passò una mano fra i capelli, tesissimo – Sono disarmate, devono smaltire la droga che è stata loro somministrata, lui può vedere loro ma non viceversa, e oltretutto Leane…
    - Leane cosa? – Derek corrugò la fronte, chiedendosi perché Spencer avesse interrotto la sua analisi della situazione in modo così brusco.
    - Niente… lasciamo perdere. Concentriamoci su quello che abbiamo – non voleva tradire il segreto della sua collega.

    Continua…
     
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    Capitolo XI. Deep inside

    I ricordi stavano tornando a pezzi lentamente ma era già qualcosa, almeno non stavano brancolando nel vuoto come nei primi momenti. Leane si era nuovamente seduta vicino a Collins con le ginocchia alzate, le braccia intorno alle gambe e il viso verso il soffitto. Sarah dal canto suo restava immobile e fissava concentrata un punto a caso della parete di fronte, si girò verso la collega e la guardò sedersi al suo fianco, era pallida e aveva un’espressione di marmo, non trapelava nessun sentimento da quegli occhi verdi.
    Sospirò mentre poggiò la schiena al muro. Erano lì da qualche ora e le sembrava di esserci da giorni, i minuti passavano lenti e pesanti senza che succedesse niente, era snervante stare lì a non fare nulla,avessero almeno qualcosa su cui ragionare… invece potevano solo concentrarsi a rievocare gli eventi che le avevano portate fin lì.
    Cameron evitava qualsiasi contatto visivo con la telecamera al contrario di Sarah che sembrava trovarne un appiglio. Guardare quell’obbiettivo sarebbe stato come guardare in faccia i suoi compagni uno ad uno mentre viveva quell’incubo e lei non voleva far trasparire niente di cosa stesse provando, era convinta che se avesse ceduto nel guardarla, Morgan soprattutto, si sarebbe accorto che in realtà era terrorizzata. Invece lei voleva essere forte e fargli credere che era tutto apposto, di non preoccuparsi che ce l’avrebbe fatta, così costruì un muro invisibile tra lei e quella telecamera che non si azzardava ad oltrepassare.
    Chi gliel’avrebbe mai detto che sarebbe finita chiusa in un labirinto nelle mani di uno psicopatico senza che potesse fare nulla per difendersi? Oltretutto con l’ultima persona che si sarebbe mai immaginata di vedere vicino a lei, con tanto di crisi di pianto da parte di Collins e crisi di astinenza da parte sua. Se non fosse terrorizzata da quello schifo di situazione si sarebbe messa a ridere, per concludere tutto ci mancava solo una ramanzina di Collins ed era apposto.
    Pensò a come stessero reagendo i loro compagni: “Morgan starà sicuramente distruggendo qualche porta, Hotch sarà una statua, come se non fosse successo niente, idem Emily e Rossi, Garcia si sarà fusa con la tastiera, Reid starà per avere un infarto e io sono sull’orlo di un precipizio”.
    Ricacciò indietro le lacrime e soffocò tutte le emozioni che volevano uscire “Non è il momento di cedere!io non cedo mai! che fine ha fatto il mio orgoglio!”. Sentiva le mani tremare come foglie e l’ansia che faceva largo insieme alla rabbia. Non si azzardava minimamente a poter pensare che non ce l’avrebbe fatta, alla possibilità che avrebbe potuto lasciare per sempre la sua “famiglia”, no, quella possibilità non esisteva per Cameron.
    Scacciò via altri pensieri prima che s’impossessassero della sua mente, qualunque cosa le avesse dato l’S.I. le aveva risvegliato voglie e istinti che aveva sconfitto da tempo. Affondò la testa nelle gambe facendo profondi respiri e si perse nei pensieri. “Dove siete? Perché quando dobbiamo salvare noi gli altri facciamo sempre in tempo e adesso che tocca a noi sembra non finire più? Perché ci mettete così tanto? Smettila Ronnie di piagnucolare, arriveranno in tempo e usciremo da qui sane e salve perché è così che deve andare. Nessuno mi può rapire, nessuno si prende gioco di me, sono io che ho sempre tutto sottocontrollo e allora adesso perché sono finita qui? Cosa ho sbagliato? Schifoso pazzo psicopatico, se ti trovo t’infilo una pallottola in mezzo agli occhi!”.
    Si girò verso Collins che sembrava altrettanto concentrata nei suoi pensieri “Dev’essere proprio arrivata al limite se sono riuscita a vederla piangere per la prima volta, non credo ricapiti più un occasione simile, è più fredda di un pezzo di ghiaccio, uscita di qui le riprenderà sicuramente la stitichezza emotiva… e a me che succederà?”.

    Sarah continuava a concentrarsi sulla telecamera, cercando di non farsi distrarre dai movimenti di Leane che continuava a spostarsi nervosa. Sapeva che Spencer poteva vederla e cercava di mantenere il controllo, se lui l’avesse vista cedere avrebbe perso le speranze e questo non doveva accadere.
    Si concentrava sulla necessità di mantenere una faccia da poker con Leane, la ragazza non doveva capire che lei era terrorizzata. Sapeva che i problemi con la sua ex allieva sarebbero cominciati entro ventiquattro ore dal momento in cui erano state drogate e lei non sapeva quanto era passato esattamente. Quando la crisi di astinenza si fosse presentata, Cameron avrebbe dovuto trovare un’ancora di salvezza in lei.
    Doveva essere più dura e spietata dal solito, doveva punzecchiarla, incitarla, scuotere l’orgoglio ipersviluppato della ragazza. Dovevano uscire di lì, lei doveva tornare da suo figlio sana e salva. L’unica sua possibilità era mantenere la ragazza sotto controllo e non permettere agli altri della squadra di arrendersi.
    Il pensiero di Chris era un chiodo fisso per lei. Aveva visto il piccolo Jack tramutarsi in un bambino taciturno, attaccato al padre in maniera morbosa. Aveva convinto Aaron a lasciarglielo sempre più spesso, in modo che potesse giocare con il piccolo Christopher e trovare una sorta di “madre surrogato” in lei. La cosa sembrava funzionare, ma come avrebbe reagito il piccolo Hotchner se anche a lei fosse successo qualcosa?
    Poi c’era suo padre, l’immenso senso di colpa che gli leggeva negli occhi ogni volta che si guardavano. Non ne avevano mai parlato apertamente, ma sapeva che Jason si era pentito della decisione presa prima della sua nascita. Suo padre era logorato anche dalla decisione che aveva preso vent’anni dopo: quella di mandarla a Lione per metterla al sicuro dalle insidie del loro lavoro.
    Nessuno dei due era bravo ad esternare i propri sentimenti e questo era sempre stato fonte di incomprensioni e risentimenti da parte di entrambi. Con il tempo Spencer aveva imparato a fare da mediatore fra loro, spronandoli a essere più espansivi, a parlare, a capirsi.
    Doveva lottare per Derek, il suo migliore amico. Quante chiacchierate fino a notte fonda, quante risate e quanti discorsi seri. La persona più simile a lei all’interno della squadra, quello che non parlava mai dei suoi sentimenti. Sorrise ricordando quante spinte nella giusta direzione aveva dovuto dargli per convincerlo che meritava la felicità, che anche lui poteva amare e essere riamato.
    Emily, con cui aveva diviso le pene di un amore che credevano non corrisposto, con cui aveva gioito nello scoprire che entrambe sbagliavano. Con lei aveva scoperto la complicità femminile, un’amica fidata con cui parlare, una sorella che non le negava mai un dolce sorriso e un abbraccio.
    Hotch, l’uomo a cui aveva spezzato il cuore, ma per cui provava un’infinita tenerezza. Quando pensava che il suo amore per Spencer non fosse ricambiato aveva vissuto l’inferno e quindi poteva capire il suo ex capo. Empatia, una delle doti necessarie per essere un bravo profiler. Anche se si nascondeva dietro il suo sguardo di ghiaccio, lei possedeva quella dote e proprio per questo i suoi slanci verso quell’uomo che non sorrideva mai erano dettati da una profonda comprensione.
    Rossi, che oltre ad essere un bravo profiler, era anche uomo estremamente perspicace. Lui aveva intuito da subito la verità che si celava dietro il suo rapporto di amore-odio con Jason. Non aveva mai detto niente e si era limitato a vegliare su di lei nell’ombra. Una frase gentile qui, una pacca sulla spalla là… sempre pronto ad incoraggiarla, a farle sentire che non era sola.
    Garcia che illuminava con un sorriso la stanza. Ore ed ore passate nel suo ufficio a parlare di programmi e applicazioni, di pettegolezzi e di facezie. Sempre pronta a tirarla su con una battuta o un soprannome assurdo, lesta nel sorridere e rallegrare le loro vite. Dolce come lo zucchero e forte come l’acciaio. Sempre in pensiero per i suoi “ragazzi”, non poteva darle quel dolore.
    E poi… c’era lui. L’uomo che l’aveva “guarita” dalle ferite che le aveva procurato Mark. Spencer era stato dolce, passionale, paziente ed estremamente comprensivo. Le aveva regalato la gioia di vivere, le aveva insegnato a svegliarsi al mattino con un sorriso sulle labbra.
    Tutti pensavano che fosse un uomo fragile, ma non lo conoscevano veramente. Nonostante tutto quello che la vita gli aveva fatto, lui riusciva sempre a rialzarsi con un sorriso sulle labbra. Lui era forte, non si arrendeva mai. Non voleva essere lei a farlo cadere di nuovo, no! Lei avrebbe reagito e sarebbe tornata da lui, perché questa era l’unica cosa che contava.
    Si alzò in piedi di scatto e si voltò a guardare Leane con la determinazione dipinta sul volto.
    - In piedi, agente – il tono era perentorio – E’ ora di darsi da fare.

    Si alzò immediatamente a quell’ordine, con la stessa determinazione dell’ex insegnante.
    - Era ora, mi stavo annoiando.

    Continua…
     
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    Capitolo XII. The plane

    - Quanto pesi? – Sarah la guardava spassionatamente.
    - Cos’è? Invece di pensare ad un piano per uscire di qui, ci diamo alle chiacchiere fra donne? – il caratteraccio di Leane era esasperato dall’imminente crisi di astinenza.
    - Congratulazioni, agente Leane, vedo che il suo senso dell’umorismo non risente della situazione – Sarah continuava a fissarla – Si rende conto che lui può vederci ma noi non possiamo vedere lui?
    - E allora? – Cameron incrociò le braccia.
    - Io sono per il gioco ad armi pari – un sorriso ironico piegò le labbra di Collins – Venga con me e si tolga le scarpe.
    Senza aspettare la risposta, la donna si avvicinò all’angolo della stanza dov’era posizionata la telecamera. Con un brivido Ronnie capì dove stesse andando a parare l’altra.
    - Ma così tagliamo fuori anche gli altri – la guardava sbigottita.
    - Si staranno muovendo per trovarci, non si preoccupi – Sarah guardò ancora nella telecamera – Non possiamo permetterci di partire svantaggiate.
    Cameron annuì e si tolse le scarpe prima di raggiungere l’altra. Sarah la issò fino alla piccola telecamera e Ron staccò i fili che la tenevano accesa.

    - Cosa diavolo stanno facendo? – Derek aveva visto Cameron togliersi le scarpe e Sarah avvicinarsi all’obiettivo.
    Spencer cercò di mantenere la mente lucida. Sapeva perché era necessario farlo, ma si sentiva morire dentro alla prospettiva di non potersi assicurare che la moglie stesse bene.
    Improvvisamente il monitor si riempì di neve, come i televisori senza antenna. Hotch si alzò dal suo posto con gli occhi sbarrati.
    - Sono impazzite?
    - No, cercano di riequilibrare la situazione – disse Reid dando le spalle a tutti – In questo modo l’S.I. non può tenerle d’occhio e loro hanno una possibilità di prenderlo di sorpresa.
    - Ma così ci hanno chiuso fuori! – Morgan diede un altro pungo alla porta.
    - Sarah sa quello che fa – Spencer cercò di attaccarsi a quel pensiero.

    Cameron si era seduta per terra e si stava rimettendo i suoi adorati anfibi. Sarah le dava le spalle e continuava a guardare la porta, la postura tradiva una certa tensione.
    - E ora? – Leane si rimise in piedi.
    - Sarà lui a dover venire da noi – Collins non staccava gli occhi dalla porta – Sa qual è la prassi in queste situazioni, vero?
    Leane scosse la testa. Non aveva mai dovuto affrontare una cosa simile e non riusciva a ricordare niente del genere durante il suo addestramento.
    - Derek – bisbigliò Sarah guardandola solo un momento.
    Ronnie finalmente capì. Le manovre di accerchiamento che aveva studiato con Morgan, ecco a cosa si riferiva l’altra. Annuì rincuorata, sì decisamente quella poteva essere la loro unica possibilità.

    Sembravano passate ore, invece che pochi minuti. Si sentiva solo i respiri delle due donne dentro la stanza. Improvvisamente Sarah si tese e fece un gesto all’altra.
    Rumore di passi pesanti lungo il corridoio dietro la porta. C’era qualcuno fuori dalla stanza, sicuramente il pazzo che le aveva imprigionate. Una voce maschile parlò, prima ancora che la serratura scattasse.
    - Pessima mossa, mie care. Potevate stare tranquille ancora un po’, ma visto che insistete tanto credo che per voi sia arrivato il momento del giudizio.
    Un uomo con un cappuccio e una lunga tunica entrò nella stanza e rimase fermo sulla soglia. Le braccia lungo i fianchi, in atteggiamento di attesa. Sobbalzò quando si rese conto che contro le sue aspettative le due non si trovavano vicine, ma erano posizionate sui due angoli estremi della camera.
    Guardò ora l’una, ora l’altra, incerto su cosa fare. Poi pensò di aver individuato l’anello debole ed estrasse il pugnale. Ancora un attimo di indecisione e poi si avventò su Cameron.
    La ragazza prontamente schivò il colpo, mentre da dietro Sarah assestava un calcio sulla schiena dell’aggressore. Per il dolore l’uomo lasciò cadere la sua arma, che Leane afferrò prontamente. Come l’uomo tornò a voltarsi, Collins partì con un altro calcio. Stavolta il movimento era dal basso verso l’alto ed impattò in maniera sicura sulle parti intime dello sconosciuto.
    Afferrò la mano di Cameron e si precipitò fuori dalla loro prigione. Chiuse la porta e cercò di tenere la maniglia verso l’alto, in modo che il loro sequestratore non potesse uscire.
    - Trova qualcosa per bloccarla! – Sarah tirava come una disperata.
    Leane si guardò intorno e notò una spranga di ferro che sembrava della lunghezza giusta. Con perizia la posizionò tra il pavimento e la maniglia, in modo che quest’ultima non potesse scendere per liberare il loro aggressore.
    - E ora? – chiese Ronnie con il fiato corto.
    - Corri più veloce che puoi! – le intimò Sarah cominciando una folle corsa.
    La seguì più veloce che poteva, non avevano la minima idea di quale fosse la direzione, l’obiettivo per il momento era correre immaginando una via d’uscita da lì.
    Non sapeva da quanto tempo stava correndo, vedeva solo corridoi davanti a lei oltre la figura di Sarah, improvvisamente cominciò a vedere tanti puntini bianchi tra lei e le pareti, appena trovò un angolo nel muro vi appoggiò le mani sbattendo contro di esso senza riuscire a rallentare in tempo. Sarah si girò non sentendola più alle sue spalle.
    Ronnie vedeva tutto nero e le girava la testa, si appoggiò con la schiena al muro per un momento per non rischiare di perdere l’equilibrio e cadere.
    - Leane! Le sembra il momento per un sonnellino?
    - Un attimo! Un attimo accidenti!
    - Era così fiacca anche durante l’addestramento?
    “Stai zitta!”. Cominciava a sudare e si fece una mezza coda con un legaccio che portava al polso. Il fischio alle orecchie sparì e la vista tornò normale almeno per il momento.
    - Non sono fiacca!- era pronta a continuare quella folle corsa verso chissà dove.

    Sarah cercava di farsi forza, era evidente che Leane era sull’orlo del baratro. Si chiese quanto ancora avrebbe resistito prima che la crisi entrasse nel pieno e le togliesse ogni possibilità di lottare. Fece un respiro profondo e prese la sua decisione.
    L’uomo era destro. Statisticamente ad un bivio avrebbe preso la direzione della sua mano dominante. Afferrò Cameron per un gomito e la portò in fondo al corridoio a T. Due strade si dipanavano davanti a loro, due vie di fuga. Esitò un solo istante, poi sentì il rumore della leva di metallo che avevano usato per bloccare la porta.
    Loro erano in trappola e quell’uomo si sarebbe liberato presto. Afferrò Cameron per le spalle e la guardò intensamente.
    - Ascoltami bene, sturati quelle maledette orecchie e segui alla lettera le mie istruzioni…
    Gli occhi di Ronnie si granarono mano a mano che l’altra le dava le stringate direttive da seguire.
    - NO! – non poteva credere a quello che Collins le stava chiedendo.
    La mano di Sarah partì prima che l’altra se ne rendesse conto. Leane si portò la mano sulla guancia che bruciava per l’impatto, mentre la sua ex insegnante la scuoteva esasperata.
    - Farai quello che ti ho ordinato e senza discutere!
    - E’ un suicidio.
    - Fallo e basta!

    Continua…


     
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    Capitolo XIII. Alone

    Sarah aveva preso la sua decisione, ma Leane non sembrava disposta a cooperare. Aveva dovuto schiaffeggiarla per farla tacere una volta, Cameron doveva fare quello che lei gli aveva ordinato.
    - Allora, ripeti cosa devi fare? – lo sguardo di Collins non tradiva nessun tipo di emozione.
    - Devo andare a sinistra, se mi trovo davanti ad un bivio come questo devo sempre svoltare a sinistra, mai a destra – ripeté Ronnie, respirando profondamente.
    - Brava – Sarah le diede un leggero colpetto sulla spalla – Hai ancora il pugnale?
    - Sì – la ragazza lo tolse dalla cinta, dove l’aveva incastrato – Forse è meglio che lo prenda lei…
    - No, è la tua sola speranza nel caso ti trovasse.
    - E lei come si difenderà? – Cameron la guardava sempre più stupita.
    - Io non sono sull’orlo di una crisi di astinenza, sono ancora in grado di ragionare lucidamente.
    - Perché devo andare a sinistra? – Leane aggrottò la fronte.
    - Perché lui è destrorso…
    - Come? – non seguiva il ragionamento.
    - Secondo uno studio scientifico, davanti ad un bivio si è sempre portati a prendere la direzione della mano dominante – spiegò Collins guardandola ancora negli occhi – Ora vai, cerca di nasconderti. Mi raccomando, qualsiasi cosa succeda cerca di rimanere al riparo.
    - E’ un suicidio! – mille pensieri si affollavano nella mente confusa della giovane.
    - Ce la faremo, vedrai. Gli altri ci stanno cercando, il tuo unico compito è di tener duro fino al loro arrivo.
    - Ma lei come farà? – si rifiutava di incrociare il suo sguardo.
    - Non preoccupartene adesso, vai. Non farmi perdere tempo.
    Anche se esitante, Leane cominciò ad incamminarsi verso sinistra. Un pensiero attraverso la mente di Collins, non voleva pensarci ma era un’eventualità da non scartare.
    - Leane… se mi dovesse succedere qualcosa… dì a mio figlio che gli volevo bene e dì a Spencer… - un sorriso le incurvò le labbra – Non importata, lui lo sa.
    Cameron rimandò indietro le lacrime.
    - Non dica un'altra parola – la voce aveva ripreso l’acidità e l’esasperazione per quella situazione.
    Sarah Collins, la persona più fredda e scostante che conoscesse stava rischiando la vita per darle una possibilità. Si sentiva da schifo, ma sapeva che la donna aveva ragione. Oramai sentiva la crisi arrivare galoppante, il malore di poco prima era solo l’assaggio iniziale. A parti invertite lei non avrebbe avuto speranze.
    Guardò il corridoio davanti a lei e fece una promessa silenziosa “Un giorno mi sdebiterò, quindi non faccia scherzi e veda di uscirne sana e salva”. Si voltò e vide la donna ferma con gli occhi chiusi, poi riprese fiato e cominciò la sua corsa.

    Non si era più voltata da quando aveva lasciato Sarah al bivio, doveva resistere a tutti i suoi impulsi di rifiutarsi, di tornare indietro. Doveva solo fare ciò che le aveva detto, quella sembrava l’unica via d’uscita possibile, almeno per lei.
    Teneva il coltello stretto nella mano mentre correva, per ora c’era solo un lungo corridoio che si parava davanti a lei, lo percorse cercando di non pensare a niente, di tenere la mente lucida concentrandosi sulla presa dell’arma. Anche se era cintura nera di judo e con il coltello se la cavava piuttosto bene in quel momento l’unica cosa che voleva era la sua pistola a darle protezione e sicurezza, non era in grado di avere riflessi abbastanza lucidi per un combattimento corpo a corpo.
    Non si era mai sentita le gambe così pesanti fino a quel momento, non poteva certo levarsi gli anfibi e lasciarli in giro “Non fa niente son tutti muscoli continua a correre e non ci pensare”.
    Rallentò di colpo quando vide il muro davanti a lei, non c era un bivio a T ma solo la possibilità di svoltare a sinistra. Svoltò la curva e quello che vide era lo stesso panorama di prima: corridoi-pareti, pareti-corridoi, “Non voglio più vedere un labirinto neanche sullo schermo di un computer”.
    Adesso non correva più, doveva riposarsi così cominciò a camminare con passo veloce, gli unici suoni che sentiva erano il rumore dei suoi passi, i lunghi capelli che battevano sulla schiena e il suo respiro affannoso, reso pesante dall’affaticamento e dalla crisi imminente.
    C’era troppo silenzio per riuscire a non farsi sorprendere dai propri pensieri, incrociò le braccia e strinse i denti soffocando un’altra volta le lacrime. Era impossibile non pensarci, era più forte di lei, si sentiva dannatamente in colpa per aver dato retta a Sarah.
    Non avrebbero dovuto dividersi, non doveva permetterglielo, se gli fosse successo qualcosa per questa stupida decisione non se lo sarebbe mai perdonato, di sicuro avrebbe abbandonato per sempre la squadra, incapace di guardare in faccia Reid senza sentirsi uno schifo e una vigliacca.
    Si fece sopraffare improvvisamente da un pensiero e si fermò incerta se dargli ascolto o continuare ad eseguire gli ordini, si girò indietro e vide la strada fatta fino ad allora, c’era un silenzio tombale, si avvicinò al muro e vi poggiò la fronte, chiuse gli occhi e lottò contro quel pensiero che le martellava la testa “Torna indietro stupida vigliacca stai correndo come un coniglio impaurito! Hai lasciato da sola Sarah Collins che sta rischiando la vita per te e l’unica cosa che stai facendo è correre! Ma che ti è preso? Cameron Leane non scapperebbe mai, raggiungerebbe Sarah e affronterebbe quello psicopatico una volta per tutte e vada come deve andare! Avresti dovuto ucciderlo quando ce l’avevi di fronte con il coltello in mano, sai che succederà adesso? Troverà prima lei e la farà fuori, a te esploderà la crisi prima che ti raggiunga e sistemi anche te così l’unica cosa che vedranno Morgan e Reid saranno i vostri corpi a pezzi!
    BASTA! SMETTILA!”. Sbatté violentemente la mano aperta sul muro con tutta la rabbia che aveva, come se fosse l’unico modo di far smettere quella voce insistente. Riaprì gli occhi e guardò il coltello alla mano destra, se lo girò un paio di volte fra le dita, si sedette per terra in un angolo che poteva nasconderla ad una prima occhiata e mandò la testa all’indietro, richiuse le palpebre e si concentrò sulla lama che scorreva lieve sulla guancia come una carezza.
    Voleva aprire gli occhi e vedere l’intera squadra sorridere, invece vide solo il solito corridoio tetro e aniconico. “Okay sto impazzendo questo è chiaro, e non è il momento di farsi prendere dalla pazzia… più tardi forse, se sarò viva”.
    Si alzò e constatò i sintomi della crisi, brividi, sudore freddo, spossatezza, nervosismo, esaurimento, rabbia e un desiderio dimenticato da tempo che si faceva spazio in lei prepotente.
    Pensò a quanto stesse dando fuori di matto Morgan nel tentativo di trovarle, aveva bisogno di lui e di un suo abbraccio invece non c’era nessuno, si asciugò una lacrima con la mano.
    Sono l’agente Cameron Leane, sto bene, la squadra ci troverà, non ho bisogno di quella cosa e devo solo eseguire gli ordini come ogni giorno”. Guardò il corridoio che aveva lasciato a metà e riprese a correre.

    Sentì Cameron cominciare a correre e per lei fu il segnale che era arrivato il momento. La guardò allontanarsi e una volta sicura che Leane avrebbe eseguito i suoi ordini, guardò la mano che poco prima si era poggiata sul pugnale. La ragazza era talmente agitata che non si era resa conto dei movimenti di Collins. Si era deliberatamente tagliata ed ora il sangue cominciava a filtrare attraverso le dita.
    Di nuovo quel rumore metallico, decisamente l’S.I. stava facendo di tutto per liberarsi, non aveva molto tempo. Guardò la telecamera posta all’angolo del corridoio e sorrise. “Dammi la forza”, dedicò un ultimo pensiero a Spencer e Chris. Appoggiò la mano sul muro poco dopo la svolta del corridoio, macchiandolo con il suo sangue e strusciando la mano da sinistra verso destra. L’uomo avrebbe sicuramente notato quella macchia.
    Si asciugò rabbiosamente una lacrima che era sfuggita al suo rigido controllo e cominciò la sua folle corsa.
    Il corridoio era delineato da pareti scrostate, come la stanza dove erano state rinchiuse, il colore era indefinito, fra il verde e il grigio. Qualcosa le martellava in testa. Vide delle finestre con delle sbarre verso l’esterno. Si fermò solo un attimo a contemplare il mondo al di fuori di quell’inferno.
    Vedeva solo alti alberi e non sentiva rumori provenienti da fuori. Brutto segno, erano in un’area virtualmente deserta. Riprese a correre seguendo il corridoio e cercò di distaccare la mente concentrandosi su un indizio che potesse aiutare gli altri a trovarle.
    Dopo un paio di svolte si trovò davanti una grossa porta, con delle maniglie anti-panico. Entrò decisa e si trovò davanti una nuova speranza.
    SCALE!” Si sentiva euforica fino a che un rumore attutito non la fece sobbalzare. La spranga di ferro era caduta, quell’uomo era di nuovo libero di cercarle e finire il suo lavoro. Prese un profondo respiro e guardò ancora una volta le scale.
    Cominciò a scenderle di corsa, sperando che l’uomo la seguisse e lasciasse in pace Leane che ora stava combattendo una battaglia tutta personale.

    Continua…
     
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    Capitolo XIV. Who is he?

    Morgan continuava a giocare con il mouse, cambiando continuamente la telecamera di riferimento, cercava disperatamente Sarah e Cameron. Sapeva che erano chiuse in una stanza e che avevano staccato il circuito di collegamento, ma se il killer seguiva il solito schema presto le avrebbe liberate.
    Vide una figura aprire una porta ed entrare con in mano un pugnale. Trattenne il fiato, sperando che non fosse andato direttamente dalle ragazze. La porta si riaprì poco dopo, Cameron si catapultò fuori seguita da Sarah che richiuse la porta e si sforzava di bloccarla.
    - Sono libere! – l’urlo di Morgan fece sobbalzare il resto del team.
    Puntarono tutti gli occhi sul monitor, era inquadrato un lungo corridoio dove Cameron si muoveva alla ricerca di qualcosa, mentre Collins rimaneva attaccata alla porta e la tirava con tutte le sue forze.
    Leane andò in soccorso della collega con una spranga metallica che sistemo sotto la maniglia, poi le due cominciarono una folle corse.
    - Sono riuscite a scappare! – Derek non staccava gli occhi da quelle immagini rassicuranti.
    - Ma ora devono trovare l’uscita – fece notare Reid – Non sappiamo cosa sia successo là dentro. Potrebbero solo averlo imprigionato.
    - Oppure sono riuscite a stordirlo – Emily si aggrappava a qualsiasi speranza.
    - Qualunque cosa siano riuscite a fare, hanno poco tempo – fece notare Rossi tamburellando nervoso sul tavolo.
    Morgan continuava a cambiare inquadratura seguendo le due all’interno del labirinto. Videro Ronnie sbattere contro una parete e Sarah che le si avvicinava.
    - Cosa diavolo sta succedendo? Ron è molto in forma, perché diavolo non regge il ritmo? – Derek era sconcertato.
    Spencer guardò l’amico di sottecchi, non sapeva esattamente quanto fosse noto agli altri sul passato della ragazza, ma si rese conto che non era più il momento di indugiare.
    - Crisi di astinenza – sentenziò scuotendo la testa.
    - Leane non è una drogata – Prentiss difese subito l’amica.
    - O almeno non più – Reid non mollava.
    - Cosa te lo fa dire? – Morgan si stava alterando.
    - Qualsiasi cosa gli abbia dato l’S.I., ha scatenato in lei una crisi di astinenza.
    - Sei sicuro? – chiese Hotch.
    - Fidati, ne so qualcosa – ammise il genio chinando il capo.
    - Vuoi dire che sono rinchiuse lì dentro, con un pazzo che le insegue e Ronnie sta andando in crisi di astinenza? – Morgan si passo le mani sulla testa, cominciava a sudare – Cos’altro può succedere?
    Videro Collins trascinare Leane lungo il corridoio, fino ad un bivio, afferrarla per le spalle e scuoterla, mentre le diceva qualcosa. Videro chiaramente Ronnie dissentire ed in risposta fu colpita da uno schiaffo.
    Le due donne si fronteggiavano, la prima a chinare il capo fu Cameron. Sarah le disse ancora qualcosa e la ragazza tirò fuori un coltello, che sicuramente aveva preso al killer. Collins vi passò sopra una mano e lo spinse indietro.
    Leane si incamminò verso sinistra mentre Sarah rimase ferma con gli occhi chiusi. Morgan spostò ancora l’inquadratura e videro Cameron cominciare a correre. Sarah riaprì gli occhi, si voltò verso la telecamera e sorrise, poi chinò la testa e si osservò il pugno chiuso.
    - Perché si sono separate? E’ una follia! – Morgan era sempre più vicino a perdere il controllo.
    - Sarah vuole provare a salvare Leane – Reid ingoiò a vuoto un paio di volte – Ti prego, non lo fare.
    Collins guardò ancora una volta l’obiettivo e le sue labbra formarono lentamente la frase “mi dispiace”.
    - No! – Spencer si spostò in avanti come se potesse afferrare sua moglie e impedirle di fare quella scelta.
    La donna aprì lentamente la mano sinistra e la passo sul muro, lasciando una chiara impronta di sangue che andava verso destra. Dopo di ché cominciò a correre lungo il corridoio.
    - Si sta portando dietro l’S.I. – Prentiss era allibita.

    Correva spinta solo dalla sua forza di volontà staccando il cervello dal resto del corpo. Rallentò nuovamente cominciando a camminare non appena vide il corridoio diramarsi nel suo primo bivio a T, si fermò col fiatone tra le due vie, guardò prima una poi l’altra, due possibilità identiche tra loro.
    Sobbalzò sentendo in lontananza un eco metallico, doveva essere la spranga che l’S.I. era riuscito a togliere dalla porta, ci sarebbe voluto poco tempo prima che avesse raggiunto una delle due e non c’era molto da pensare, fece come le aveva raccomandato Collins e svoltò a sinistra.
    Riprese il suo cammino con passi lunghi e spediti cercando di fare meno rumore possibile, nella mano si arrovellava il coltello che in quel momento sembrava essere il suo giocattolo preferito. L’aria che incontrava il suo viso mentre camminava le faceva sentire una guancia fredda e umida “Adesso non mi rendo conto neanche di piangere” pensò tra di sé, si passò una mano sul viso non così delicatamente asciugandosi la guancia destra, posò gli occhi sul palmo della mano e si fermò di colpo concentrandosi su quel liquido scuro. Gli occhi si stavano abituando alla penombra del corridoio ma di certo quelle non erano lacrime.
    Poco prima si era passata “dolcemente” la lama sul viso ma non era ferita né lì né in altre parti del corpo, quando capì a chi apparteneva quel sangue il coltello cadde sul pavimento seguito da Ronnie che restò in ginocchio a fissarlo, eppure l’aveva contemplato anche prima ma aveva la mente offuscata da troppi pensieri per rendersi conto di quello che vedeva realmente. Restò con le mani poggiate sul pavimento sentendo tremare le braccia e tutto il resto del corpo, non sapeva se per la crisi o se per la rabbia verso se stessa “Cosa diavolo ho fatto?” continuava a ripetersi e questa volta non ebbe dubbi, furono le lacrime a scorrerle sul viso.

    Sarah cercò di riprendere fiato poggiandosi alla parete, sapeva di non potersi permettere lunghe pause ma aveva un disperato bisogno di riordinare le idee.
    Ricordava di essersi recata ad un centro di ascolto per giovani con problemi spirituali, prima di entrare aveva chiamato Hotch. Con la coda dell’occhio aveva notato Cameron allontanarsi dietro un angolo e aveva provato a chiamarla indietro.
    Rumori confusi, come di una colluttazione e poi un tonfo sordo. Era corsa e una volta svoltato l’angolo aveva trovato Leane riversa sul selciato. Si era inginocchiata vicino a lei ed aveva provato a scuoterla non ottenendo nessun risultato. Mentre parlava con Aaron, qualcuno le aveva messo un fazzoletto sulla bocca.
    Ricordava di aver lottato furiosamente e poi aveva avvertito un doloro, come una puntura, sul braccio. Prima che tutto diventasse buio era riuscita a vedere un dettaglio importante: un collarino da sacerdote.
    Sì volto con gli occhi sgranati verso la telecamera più vicina.
    - Un prete – cercò di scandire bene le parole – E’ un prete!

    Hotch fissava Collins, mentre Derek continuava a seguire i movimenti di Leane. Vide distintamente la donna voltarsi verso la telecamera e dire qualcosa facendo una pausa tra una parola e l’altra.
    Si concentrò sulle labbra di Sarah e poi si precipitò sul telefono. Compose il numero e mise il vivavoce.
    - Garcia – la rossa spumeggiante non era in vena di scherzi.
    - Ci sono preti in quella lista che ti abbiamo fornito?
    - Quella dei volantini?
    - Esatto, ci sono dei preti? – Hotch era concentratissimo.
    - Sì, un paio.
    - Vedi se ci sono collegamenti con Biloxi.
    - Subito! – una breve pausa – Sì, uno di loro viene da Biloxi. O mio dio!

    Continua……
     
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