Attimio di follia

di Emily†

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  1. Emily†
     
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    Autore: Emily†
    Titolo: Attimi di follia
    Rating: Arancione
    Avvertimenti: Long-fic
    Personaggi/coppia: Emily Prentiss, Team
    Spoiler: nessuno
    Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, ad esclusione di quelli da me inventati, sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    Note: Ambientato più o meno attorno all’episodio ‘Demonologia’.

    Attimi di follia



    1.Slipped away



    “I miss you, miss you so bad
    I don't forget you, oh it's so sad
    I hope you can hear me
    I remember it clearly

    The day you slipped away
    Was the day I found it won't be the same”



    Quel giorno faceva freddo. Nevicava.
    La neve scendeva gelida e taciturna dal cielo com’era silenziosa la marcia funebre verso il cimitero.
    La bara era ricoperta da un mantello di crisantemi bianchi. Ogni tanto si vedeva qualche ramo cadere a terra e venire calpestato com’era accaduto alla vita di Matthew. Come la vita di quel fiore, anche lui è stato schiacciato da un’altra vita, senza motivo, soltanto per la fede.
    Al canto di John, Emily si chinò lentamente per raccogliere un crisantemo. Lo tenne in mano, stretto. La neve cadeva sui petali confondendosi e raggelando le mani arrossate della donna. Lo strinse a se mentre John camminava al suo fianco e le teneva per un braccio.
    Il cimitero era ricoperto da un lenzuolo bianco e tutto attorno a loro pareva essere in attesa di abbracciare quella vita che se n’era andata come se volesse avvisare il mondo ‘Ehi! Matthew non era indemoniato! Aveva solo perso la via!’ ed abbracciarlo per donargli conforto ed amore, quell’amore che la sua famiglia non era riuscita a trasmettergli.


    “I didn't get around to kiss you
    Goodbye on the hand
    I wish that I could see you again
    I know that I can't
    I hope you can hear me
    cause I remember it clearly
    The day you slipped away
    Was the day I found it won't be the same”



    Non aveva ancora versato alcuna lacrima, non riusciva a credere che quello che stava vedendo fosse davvero la realtà e continuava ad dondolarsi nel pensiero che tutto quello fosse solo un incubo dal quale presto si sarebbe svegliata. E non appena sveglia lo avrebbe rivisto con il sorriso e con la sua solita parole gentile nei suoi confronti e quelli di John; li avrebbe stretto forte ed avrebbe esclamato – Oggi si va a fare il pupazzo di neve!
    Lui era così spontaneo, sereno e libero. Ma forse Emily ricordava solo il Matthew del passato. – John… - mormorò.
    Lui la strinse forte a sé e sorrise tristemente. – Si?
    - Credi che adesso sia libero?
    Annuì. – Libero come questa neve che amava tanto.
    Emily alzò gli occhi. Vide la neve, ma la vide diversa come se le stesse sorridendo. Una lacrima calda le scivolò sul viso: era la prima lacrima che aveva versato per lui. Aveva aperto gli occhi ed aveva capito che Matthew era morto davvero, non c’era più.
    La gente si fermò attorno alla fossa scavata per deporre la bara. Lei e John si misero in disparte, in fondo osservando in silenzio ed ascoltando le parole di un prete che non sapeva nulla di Matthew.


    “I had my wake up
    Won’t you wake up
    I keep asking why
    And I can’t take it
    It wasn’t fake
    It happened, you passed by

    Now you are gone, now you are gone
    There you go, there you go
    Somewhere I can't bring you back

    Now you are gone, now you are gone
    There you go, there you go,
    Somewhere your not coming back

    The day you slipped away
    Was the day I found it won't be the same noo..
    The day you slipped away
    Was the day that I found it won't be the same...”



    Era stato legato, era stato obbligato a restare immobile per ore gridando aiuto e nessuno era corso a salvarlo, nessuno lo aveva liberato. Nessuno, nemmeno la sua famiglia.
    Il peso e l’angoscia la stavano distruggendo, il peso di quella colpa, il peso di ciò che gli aveva fatto le attanagliava lo stomaco e le lacrime le bruciavano la gola impedendole di respirare lentamente.
    Lasciò cadere il fiore a terra, si voltò e senza salutare con un addio il suo migliore amico che non avrebbe mai più rivisto, se ne andò via. John non la seguì, sapeva che aveva bisogno di stare sola.
    Emily percorse velocemente la strada che la separava dal cimitero al suo ufficio. Non aveva tempo per cambiarsi d’abito, il suo lavoro la chiamava e voleva scappare da quel luogo infausto che l’opprimeva il cuore.
    Hotch le aveva dato qualche giorno di permesso, ma lei non voleva assolutamente lasciare il lavoro perché sapeva che si sarebbe distrutta ripensando a Matt. Doveva lavorare e dimenticare quanto gli mancava e quanti si sentiva in colpa per ciò che gli aveva fatto.
    Entrò nell’edificio dove risiedeva la BAU ed entrò negli uffici levandosi il cappotto sporco di neve. Gli occhi erano arrossati ma aveva smesso di piangere.
    Si sedette alla sua scrivania e cominciò a sistemare la pila di fascicoli che aveva impignato davanti a lei. Si stropicciò gli occhi, si schiarì la gola e prese il primo della pila.
    - Prentiss… - una voce la prese alla spalla.
    Non si voltò e rimase a fissare i suoi fogli – Ciao Morgan.
    - Cosa ci fai qui? – chiese severo facendola girare e vedendo il suo volto triste.
    -Dovevo… io… i fascicoli… - cercò di dire indicando i fogli.
    - Emily vai a casa…
    Scosse il capo. – Preferisco lavorare…
    - Allora vieni con noi… c’è un nuovo caso…però non credo sia il momento per…
    - Va bene. Di cosa si tratta?
    - Rapimento di una donna. I dettagli ce li darà fra poco Hotch!





    SPOILER (click to view)
    Spero vi piaccia =( è la mia prima FF di CM


    Edited by Emily† - 5/2/2011, 20:41
     
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  2. Emily†
     
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    2.Un nuovo caso




    "Le lacrime più amare versate sulle tombe, sono per le parole inespresse e per le azioni mai compiute."

    (Harriet Beecher Stowe)




    - Cos’abbiamo? – chiese Reid sedendosi al canto di Emily. La fissò per un istante notando il suo silenzio.
    - Mary Brian. Bianca. Ventotto anni è sparita misteriosamente due giorni fa con sua figlia di sei mesi. – iniziò JJ in piedi dietro ad Hotch. – Era appena stata dal parrucchiere con delle amiche e l’indomani avrebbe dovuto partecipare ad un brunch, ma non è mai arrivata.
    - Brunch? – dev’essere una persona di gusti raff…
    - Reid taci per favore. – intervenne Morgan tirandogli una piccola sberla sul braccio. Quel giorno il giovane era in vena di scherzi ed era già stato appurato al suo arrivo quando si è presentato con un cappello da cowboy.
    - Si, Reid. È la figlia di Katie Rose.
    - La famosa imprenditrice di New York? – Chiese Rossi sorpreso. – Hanno chiesto qualche riscatto?
    JJ scosse il capo. – Malauguratamente no. La casa era in ordine, tranne per qualche macchia di sangue, il medico legale ha riscontrato essere il sangue della donna.
    - E il bambino? – Emily si schiarì la voce prima di parlare.
    - Non si sa nulla. La notizia è apparsa su tutti i giornali di New York e la polizia ha setacciato tutta la zona senza successo.
    - Ci sono state altre scomparse?
    - Si, Hotch. Un’altra ragazza all’incirca della stessa età è stata rinvenuta morta in un bosco. Le due ragazze si conoscevano ma la polizia di zona crede in una coincidenza.
    - Questo lo decideremo noi. – Hotch si alzò in piedi e raccolse tutti i documenti, poi si rivolse al team. – Partiamo fra un’ora. Andate a casa, preparate le vostre cose. Si parte per NY. Garcia cerca tutti i possibili collegamenti fra Mary Brian e – si girò verso JJ.
    - Ami Sanders.
    - Ami Sanders. Fatti mandare tutte le informazioni sulla sua morte. Emily tu tornatene a casa. – disse infine.
    - No! – esclamò alzandosi in piedi. – Vengo anch’io.
    - Emily ti aveva detto che non volevo vederti in ufficio per i prossimi giorni. Vai da tua madre e riposa.
    - Non ho bisogno di riposare, Hotch. Ho bisogno di lavorare. – i suoi occhi esprimevano dolore e sofferenza, ma Aaron lesse anche una forte nostalgia di felicità. Quella felicità che prima colorava il suo viso e le sue labbra e che ora lasciavano spazio solo al dolore ed al lutto.
    Lesse qualcosa di nascosto, di celato. C’era qualcosa che Emily non gli aveva detto. Annuì. – Va bene. Ma voglio che alla fine del caso tu ti prenda qualche giorno di ferie.
    Lei annuì senza aggiungere altro ed uscì vittoriosa dalla stanza. Si recò alla sua postazione e prese il cellulare che squillava sulla scrivania.
    - Prentiss.
    - Ehy. – disse la voce di John. – Sei alla BAU?
    Emily annuì mugugnando.
    - Passo a prenderti e ti accompagno a casa. Non vorrai andarci a piedi.
    - Grazie.
    - Dai scendi. Sono qua sotto ad aspettarti. – ci fu un lungo attimo di silenzio, poi aggiunse. – Matthew, l’ultima volta che l’ho visto, ha chiesto di te. Sorrideva nel ricordarti, diceva che avrebbe tanto voluto rivedere il tuo sorriso, per cui ti prego, fallo per lui. Sorridi e non piangere.
    - Non è facile.
    - lo so. Ma quelle lacrime lo farebbero solo soffrire. Lui è felice adesso, è libero come la neve, come il vento. Non ci ha lasciato, Em. Vive nei nostri cuori e tu lo sai meglio di me.
    Emily non rispose. Riattaccò la comunicazione, prese il cappotto e la borsa e, con un triste sorriso, salutò quegli amici che presto avrebbe rivisto sull’aereo che li avrebbe condotti su un nuovo caso.
    John la stava aspettando appoggiato alla portiera della berlina nera. La osservava come una ragazzina sconsolato, le andò vicino e l’unico gesto che fece fu quello di abbracciarlo. – Em, non ti sono stato accanto in Italia, perdonami...
    Lei si divincolò da quell’abbraccio che le provocava soltanto angoscia e sofferenza, lo guardò negli occhi come aveva fatto centinaia di volte quand’erano a Roma e gli sorrise dolcemente. – Sei molto caro, John. Grazie.
    Salirono sull’auto nera e partirono in direzione dell’appartamento di Emily. Il cuore le pulsava nel petto come se volesse scoppiare, la gola le bruciava: avrebbe voluto dire tante cose a Matt, ma ormai era tardi. Troppo tardi e questo, piano piano, la logorava nel profondo.

    SPOILER (click to view)
    Scusate se è un pò corto

     
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  3. Emily†
     
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    3. Ciò che resta





    L’atmosfera a NY era tesa.
    L’aria era intrisa di elettricità e l’umidità penetrava rabbiosa e gelida nelle ossa.
    Rossi e Prentiss camminavano in direzione della casa di Mary Brian mentre il cielo non progettava nulla di buono. Era grigio, uggioso e carico di presagi. Non c’era nulla in quel giorno tetro che riuscisse a far affiorare un sorriso ne a Emily né a David.
    - L’uomo dovrebbe essere passato per forza da qui. – mormorò l’agente speciale Rossi indicando il viale di terra e ciottoli che li conduceva all’entrata dell’abitazione. – Purtroppo, qualsiasi impronta è stata cancellata dalla pioggia. – alzò gli occhi al cielo e pensò immediatamente che avrebbero dovuto sbrigarci prima che il cielo si aprisse e liberasse la pioggia che progettava di lasciar andare sulla terra.
    - Non avremmo comunque trovato nulla. Chissà quanta gente ha calpestato sia il prato che il viale, compresi noi.
    Rossi annuì. Si avvicinarono all’entrata e varcarono la soglia. La casa era ampia, fredda. I riscaldamenti dovevano essere spenti da diverso tempo. – È tutto in ordine.
    - Ho visto. Non c’è segno di scasso, né di colluttazione. – mormorò Emily salendo le scale assieme a Rossi. Lui si guardava attorno come un bambino curioso affamato di qualsiasi impronta o indizio potesse esser interessando per il ritrovamento di Mary. Le scale erano pulite, non c’erano macchie di sangue ma il tappeto del piano di sopra era spostato.
    - Che l’abbiano trascinata via? Le macchie di sangue provenivano dalla camera da letto?
    - No – corresse Emily. – JJ ha detto dalla camera del bambino. Al principio credevano che il nostro uomo volesse il piccolo, ma poi hanno cambiato orientamento.
    - Come mai?
    - Alcuni testimoni hanno dichiarato che Mary lasciava sempre a casa il bambino da solo mentre andava a fare la spesa. Sfruttava il fatto che Sarah dormiva al mattino. Avrebbe potuto rapirlo in quel frangente.
    - Incoscienza.
    - Già. – approvò Prentiss entrando nella stanza da letto del neonato. Tutto sembrava in ordine: la polizia aveva affermato che non mancasse nulla.
    - Guarda… - Emily si avvicinò al lettino. – Non ci sono ne coperte ne il cuscino.
    - Probabilmente il nostro uomo ha avuto la cortezza di portarsi dietro qualcosa per coprirlo.
    - Per cui è un uomo meticoloso, che si prende cura della sua vittime… almeno dei più piccoli. È scrupoloso: non si è fatto sentire da nessuno e non ha avuto problemi ad entrare. Per cui…
    - Controllava le mosse della donna da tempo.
    - Ma quanto? Sembra quasi che sia stata Mary ad aprirgli la porta.
    - Controlliamo che non ci sia qualcuno che le volesse male. Torniamo dagli altri.
    Rossi scese le scale, Emily invece tentennò un istante non appena vide la foto della bambina in braccio alla madre. Si commosse vedendo il sorriso di quel volto tanto piccolo illuminate la foto, la madre, invece, aveva un espressione passiva, quasi non gli importasse della creatura che teneva fra le braccia.
    - Emily… - Rossi la chiamo posandole una mano sulla spalla.
    - Arrivo.
    - Ho avvisato gli altri. Hotch mi ha detto che il team ci aspetta direttamente in albergo. È tardi e vuole che tu in primis e gli altri riposiate.
    - Non sono stanca. – scosse il capo. Grazie a quel caso aveva completamente dimenticato il funerale di quella mattina e si sentiva leggermente alleggerita da tutto ciò.
    - Non importa. Ceneremo mentre parliamo del caso e poi andremo a dormire. Domani, sveglia molto presto.


     
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  4. Emily†
     
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    4. Tears




    - Pascal disse: Ciascuno esamini i propri pensieri: li troverà sempre occupati dal passato e dall’avvenire. Non pensiamo quasi mai al presente, o se ci pensiamo, è solo per prenderne lume al fine di predisporre l’avvenire.
    Così, non viviamo mai ma speriamo di vivere ed è inevitabile che non siamo mai tali – Rossi si sedette accanto ad Emily mentre gli altri componenti del team erano indaffarati in una partita a poker. Lei era rimasta seduta al tavolo, in disparte come una bambina sgridata e messa in punizione dalla mamma; non aveva toccato cibo e tutti lo avevano notato ma Hotch aveva imposto di non forzarla: avrebbe pensato lui a parlarle. A malincuore, JJ si morse la lingua per evitare di obbligarla a mangiare e Reid dovette iniziare a scherzare con Morgan per non incorrere in qualche consiglio patetico da darle, di fatti, nessuno di loro sapeva bene come comportarsi con lei e per quale motivo si sentisse in colpa in tal modo.
    - Sofocle disse: I più grandi dolori sono quelli di cui noi stessi siamo la causa. – rispose lei senza guardare l’uomo in volto ma continuando a giocherellare impaziente e distrattamente con il tovagliolo.
    - È inutile ferirsi continuando a pensare al passato. Devi riprenderti e vivere il presente, perché è questo che conta. Non devi tentare di riprendere a vivere immergendoti nel lavoro senza pensare a quanto è accaduto. Devi accettare – le posò una mano calda sulla spalla e le sorrise – Devi reagire, perché nonostante la tua debolezza in questo momento, so che potrai farcela. So che sei una donna tenace, altrimenti non saresti qui.
    Emily sospirò. Alzò il voto e guardo Hotch seduto a pochi metri da lei che cercava di concentrarsi sul lavoro mentre risate allegre animavano l’atmosfera.
    Avrebbe voluto unirsi alla partita, ridere, gioire, ma il ricordo di ciò che aveva perso, il ricordo di ciò che aveva ucciso la legava alla sedia come manette di ferro pesanti e gelide.
    Il ristorante dell’albergo che avevano prenotato era ormai deserto. Era tardi, quasi le undici e mezzo di sera, e la gente era uscita a fare un giro o a festeggiare il sabato sera in qualche locale o pub.
    Si alzò dalla sedia – Grazie. Sei un vero amico. – mormorò in un sussurro.
    Rossi le prese il polso e glielo strinse amichevolmente. – Fai una bella dormita Emily. Lascia andare tutti i tuoi pensieri, piangi, sfogati. Poi lascia andare tutto alle spalle.
    Lei non rispose nemmeno a quella frase e lasciò il ristorante diretta all’ultimo piano dell’albergo dove un terrazzo immenso ed illuminano dalla luna le pareva l’unico luogo dove poter respirare senza avere alle spalle qualcuno che la compatisse.
    Camminò lentamente, si appoggiò alla ringhiera ed osservò il cielo scuro dove una palla pallida e rotonda padroneggiava. Aveva smesso di piovere e l’aria aveva il profumo della neve. Non nevicava, ma probabilmente a poco l’avrebbe fatto.
    - Dovresti parlare. – la voce inconfondibile di Hotch la cullò teneramente. Si voltò quel che bastava per vederlo avvicinare con la code dell’occhio. – Dovresti parlarmi. – ripeté.
    - Perché?
    - Perché in tal modo sarà più facile uscirne.
    - Credevo di esserne già uscita. Tempo fa. – fissò le luci che dondolavano nel buio di New York come lanterne cinesi che volavano in cielo. – Lo credevo davvero.
    - Alcune ferite mantengono vivi i ricordi. Ci saranno sempre cicatrici sulla nostra pelle. – le si avvicinò e se appoggiò anche lui alla balconata.
    Emily abbassò lo sguardo. Si sentiva vulnerabile accanto a lui e ciò la intimoriva. Sapeva che non sarebbe riuscita ad essere forte dinanzi a quell’uomo tanto serio e severo, ma dal cuore morbido e caloroso.
    - Vedi, credo che David abbia ragione. Ho sentito ciò che ti ha detto. – la guardò in volto. – Sofocle ha ragione secondo me. Dice che il dolore che proviamo, il dolore più grande è causa nostra, ma bisogna distinguere se sono cause utopistiche ed inventate dal nostro inconscio per giustificare una perdita, oppure la reale verità.
    - Se ti dicessi che tutto ciò non è frutto del mio inconscio?
    - Non so se potrei crederci. Non ti reputo una persona capace di una cosa simile. Avrai commesso errori, ma non credo siano stati questi errori a portare Matthew alla morte; una morte programmata da una famiglia troppo legata alla fede. Lui non voleva morire.
    - E invece è causa mia! – esclamò girandosi scossa da brividi di collera nei suoi confronti. Nei confronti di se stessa e di quel corpo che ripugnava. – È causa mia se ha perso la strada, è causa mia se ha imboccato la strada sbagliata, una strada dove la gente si droga, dove lui…– una lacrima le si impigliò fra le ciglia scure – dove lui si è smarrito.
    Hotch si girò verso di lei e le posò le mani sulle braccia. – Ascolta, qualunque cosa tu possa aver fatto non potrà mai avere portato un ragazzo alla morte.
    - Lui… lui conosceva la Bibbia a memoria, Hotch ed a causa mia ha messo tutto in discussione. Ha perso la fede, ha provato vergogna nell’essere cristiano, un ripugno esasperato verso la religione.
    - Avevate quindici anni. Eravate dei ragazzi, è normale che a quindici anni si abbia confusione in testa. Anche io misi in discussione tutta la mia vita.
    Emily scosse freneticamente la testa. – Lui era importante per me. Tanto.
    - È comprensibile, è stato il tuo primo amore.
    - Non per questo. – si affrettò a dire con le lacrime che le bagnavano il viso pallido. – Lui è stato l’unico, oltre a John, a farmi sentire amata, a farmi sentire un’amica.
    - Con me puoi parlare, sappilo Emily.
    Lei si zittì: era la prima volta che la chiamava per nome e lei si sentì improvvisamente smarrita.
    - Con me puoi aprirti, con me puoi stare serena Emily. Ti prego, credimi! – di scatto la prese fra le braccia e la strinse forte. – Emily, io non posso vederti così. Ne io ne tutti gli altri del team: siamo una famiglia, siamo la tua famiglia. Con me puoi aprirti.
    - Matthew è stato l’unico a tenermi la mano, ad aiutarmi quando…
    - Quando?
    Emily socchiuse gli occhi. Si ritrovò ancora a quel giorno. Quel giorno di pioggia quando, seduta su un lettino di un ospedale romano, piangeva e teneva la mano al suo migliore amico. Il dolore era grande, fisico, mentale. Un tutt’uno.
    - Quando rimasi incinta. Avevo solo quindici anni e non poteva parlarne con mia madre. Era una ragazzina, volevo solo essere accettata… nel modo sbagliato chiaramente… - le lacrime cominciarlo a bruciarle la gola ed a bagnare le se guance a fiumi. – lui rimase con me quando abortii. Non volevo nessuno, volevo stare sola ed invece lui mi tenne la mano. Rimase con me e non volle allontanarsi.
    - Era il padre?
    Scosse il capo. – No. Ma lo fece lo stesso. È colpa mia, capisci?
    Lui continuò a stringerla e le baciò la testa – Non dire sciocchezze. Se l’ha fatto è perché ritenne essere la cosa giusta, ciò che realmente voleva.
    Lei si staccò da lui. – Resta il fatto che è ucciso Matthew. Ho ucciso un’altra vita, ho ucciso mio figlio! – non aggiunse altro e se ne andò via lasciando Hotch con la tristezza nel volto.

    SPOILER (click to view)
    Ho utilizzato un pezzo della conversazione avuta fra Em e Rossi. Scusate, ma non c'erano molte altre parole per dirlo.

    Spero vi sia piaciuto!!!!
     
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  5. Emily†
     
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    5.Veleno




    Hotch sedeva sul letto della sua camera, accanto Rossi dormiva ancora, ma lui non riusciva a riprendere sonno.
    Aveva passato la notte a girarsi e rigirarsi nel letto sognando e risognando le parole dette da Emily sul balcone. Come poteva credere di avere ucciso qualcuno? Hotch non se ne capacitava.
    Si alzò dal letto, ormai mancava poco all’ora in cui la sveglia li avrebbe richiamati sull’attenti. Si tolse il pigiama ed indosso il suo completo grigio scuro e la cravatta. Si mise le scarpe e scese di sotto per fare colazione.
    Si stupì quando vide JJ seduta al tavolo del team mentre sorseggiava silenziosamente un tè caldo. Hotch le si sedette accanto dopo aver ordinato un caffè e le sorrise – Buongiorno.
    - Ciao Hotch. Mattiniero vedo.
    - Potrei dire lo stesso di te.
    Lei abbassò lo sguardo. – Non ho dormito molto stanotte.
    - Nemmeno io. – il cameriere posò la chicchera con il caffè davanti ad Aaron e se ne andò salutando cordialmente.
    - Emily?
    - Già. – Sospirò. JJ notò immediatamente la venatura di preoccupazione che riempiva i suoi occhi, era la prima volta che lo vedeva così strano e così sovrappensiero. – Spero solo riesca a reagire… crede che la morte di Matthew sia colpa sua…
    - Sta notte ho dormito con lei. Sembrava una bambina bisognosa di affetto, non deve avere avuto un’infanzia molto serena nonostante sua madre sia una persona famosa e ricca.
    - Vivere nell’alta società non è mai un divertimento, soprattutto se non hai accanto persone che ti stiamo vicine quando ne hai il bisogno. Ho lavorato per sua madre per qualche mese e raramente la vedevo assieme a sua figlia, di solito la vedevo in compagnia della domestica russa.
    - Abbiamo un problema. – ad un tratto la voce di Morgan li prese alle spalle. Non si sedette al tavolo e non fece colazione, sembrava agitato e nervoso. – Hanno trovato il corpo di Mary Brian.
    Aaron si alzò in piedi. – Dove?!
    - Periferia di Brooklyn.
    - Chiama gli altri, di loro di fare colazione, non voglio assolutamente che lavorino senza aver mangiato qualcosa poi raggiungetemi all’ufficio di polizia. – detto questo se ne andò di corsa indossando il suo cappotto. JJ si accorse che non aveva toccato cibo.


    “Ogni impulso che soffochiamo ci avvelena l’esistenza!”

    (Il Ritratto di Dorian Gray)




    Un’ora dopo, il team bussava alla porta dell’ufficio assegnato al loro capo.
    Reid sbadigliava, probabilmente un caffè doppio non gli era servito, JJ e Morgan tenevano in mano valanghe di fascicoli e Rossi un PC portatile dove aveva inserito tutti i documento e la webcam per connettersi con Garcia a Quantico. Emily, invece, silenziosa come sempre, teneva in mano un sacchettino di carta bianco che consegnò con un piccolo sorriso a Hotch – Mi hanno detto che non hai mangiato nulla. – disse solo, poi si sedette imitando gli altri colleghi.
    Aaron rimase un attimo stupito da quel gentil gesto – Grazie… - le mormorò impercettibilmente. Poi si rivolse al gruppo di ragazzi, un po’ addormentati e stanchi, che sedevano attorno al tavolo.
    - Mary Brian è stata trovata morta in un sobborgo di Brooklyn questa notte. La polizia ha già fatto tutti i rilevamenti e non hanno trovato nulla di rilevante. Stessa morte di Ami Sanders, accoltellata all’addome per nove volte e poi strangolata. – distribuì delle foto sul tavolo. – Qui dove l’hanno trovata. Rossi e Prentiss andrete all’obitorio a parlare col medico legale. JJ e Reid parlerete con la famiglia e Morgan ed io analizzeremo il profile dell’ S.I.
    - Il bambino? – chiese Emily osservando la foto. Una donna era sdraiata a terra, coperta da un lenzuolo rosso, il viso sporco di sangue, gli occhi chiusi e l’espressione di terrore sul volto. Totalmente differente dalla donna tristemente serena che aveva intravisto in una cornice a casa di Mary Brian.
    Hotch scosse il capo – Non sanno nulla. Non si hanno tracce del bambino.
    - È un uomo che ha fatto tutto questo. Scrupoloso, probabilmente con uno stress emotivo preesistente. – JJ poggiò i gomiti sul tavolo. – Dobbiamo stendere un profile immediatamente, il bambino dev’essere ritrovato.
    - JJ ha ragione. La vita del bambino ha la priorità su tutto. Sarah ha solo sei mesi, non voglio avere sulla coscienza la vita di un bambino. Muoviamoci a trovare l’S.I.
    Il bussare della porta fece voltare Hotch e l’intera squadra. Emily nascose il viso dietro le mani incapace di sopportare lo sguardo della donna che vide dietro il vetro della porta.
    - Signore, - un agente della polizia di NY entrò dalla porta seguito da una donna particolarmente distinta e ben avvolta in un tailleur nero. – l’ambasciatrice Elisabeth Prentiss vuole parlare con voi.
    - Buongiorno ambasciatrice. – Hotch la salutò stringendole la mano ed indicandole di entrare nella stanza congedando l’agente. Emily non parve affatto felice di vedere la madre in quell’istante e si limitò a scivolare leggermente sulla sedia tentando di farsi invisibile.
    - È inutile che ti nascondi cara, sai bene perché sono qui.
    Emily alzò gli occhi al cielo mentre il team la guardava con sguardi interrogativi. – so che cosa hai in mente e ti ho già detto di no. – si limitò a rispondere incrociando le braccia dinanzi al petto.
    Elisabeth si voltò verso Hotch e lo fissò con uno sguardo stranamente umano e dolce che intimorì molto sua figlia ed il resto del team - Katie Rose è una mia carissima amica, signor Hotchener. Sono appena stata da lei a Manhattan ed è sconvolta da quanto è successo. È convinta che il bambino sia ancora vivo e che presto ritornerà a casa.
    - E per questo motivo ha organizzato una serata in onore della figlia. – mormorò sprezzante Emily. JJ la fissò stranita, non aveva mai visto l’amica tanto furente nei confronti della madre e, soprattutto, vederla lasciare trasparire i suoi sentimenti davanti agli altri. Di solito si chiudeva a riccio e soffriva o si arrabbiava in silenzio ma, quella mattina, sembrava quasi che stesse per rompersi in mille pezzi.
    - Esattamente. Katie crede che il colpevole dell’omicidio della sua Mary sia Mark Anderson, l’ex fidanzato di Mary. Per questo motivo ha organizzato, per questa sera, una serata di gala per ricordare la povera figlia e per onorare la vita della piccola Sarah ed augurarsi il suo ritorno a casa sana e salva.
    - Alla festa ci sarà anche Mark Anderson?
    Elisabeth annuì. – Katie Rose vorrebbe che partecipaste anche voi. – si rivolse al team me guardò soltanto il volto della figlia che lasciava trapelare una smorfia di disgusto. Non sopportava quel genere di ricorrenze soprattutto se di messo c’era una figlia morta ed una nipote scomparsa. Era raccapricciante.
    - Ambasciatrice, oggi andremo da Katie Rose per interrogarla su quanto sa e se riterremo opportuno indagare su Mark Anderson parteciperemo alla festa di questa sera.
    - Sono felice di sentirvelo dire. – si alzò distintamente e salutò con un cenno delicato del capo. Poi si rivolse alla figlia – In ogni caso, noi ci vediamo questa sera al Palace.
    Emily non rispose.



    SPOILER (click to view)
    Un abbraccio a tutti i miei lettoriiiii


    Edited by Emily† - 6/2/2011, 16:30
     
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  6. Emily†
     
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    6. Ferite e Denaro



    Il cadavere di Mary Brian era sdraiato sul lettino metallico e freddo dell’obitorio. Un corpo nudo, violentato e coperto fin sopra ai fianchi con un lenzuolo bianco. Il volto pareva finalmente sereno, non più contratto dal terrore come nella foto; alcuni lividi erano in contrasto con la pelle cadaverica.
    Ferite di ogni misura erano incise sul suo ventre come se l’S.I. avesse voluto punirla per qualche motivo.
    - L’ha pugnalata nove volte all’addome. – il medico legale mostrò le ferite che tagliavano la pelle della donna. Rossi corrugò la fronte cercando qualche significato di quelle nove accoltellate che, apparentemente, non avevano senso. – Era ancora viva.
    - L’ha uccisa strangolandola? – Emily si tenne in disparte. Non volle vedere più del dovuto del corpo straziato di quella povera ragazza.
    - Si. Le ha tolto l’aria come se avesse voluto toglierle qualcosa di importante.
    - Credi che abbia un significato, Dave?
    - Può darsi. Come potrebbe essere uno schizzo frenico preso da un raptus omicida… - si fermò a riflettere. – Ma secondo me è tutto pianificato. Anche Ami Sanders è morta nel medesimo modo, come se volesse punirle per qualche motivo.
    - Si, ma quale? E perché prendere anche la bambina? – domandò mentre uscivano dall’obitorio e si dirigevano al SUV sotto l’ombrello per proteggersi dalla neve che cadeva imperterrita dal cielo.
    - Potrebbe anche darsi che i timori di Katie Rose non fossero infondati e che l’ex fidanzato centri davvero qualcosa.
    - E se fosse il padre della bambina? Si sa qualcosa su di lui?
    Rossi scosse il capo. – Credo sarà una delle domande che verranno poste alla madre. E credo che l’offerta di questa sera di andare alla festa in onore della piccola Sarah non sia una brutta idea.
    Emily sospirò. – se lo dici tu.
    - Perché ti fa tanto ribrezzo questa festa? Infondo è per la figlia morta e per la bambina rapita…
    - Credi davvero che lo facciano per questo?
    - Per mia figlia, se ne avessi le possibilità economiche, lo farei volentieri.
    - Nella vita bisogna scegliere fra guadagnare denaro e spenderlo: non si ha il tempo di fare entrambe le cose.
    - Edouard Bourdet. – aggiunse infine Rossi aprendo l’auto e accompagnando Emily con l’ombrello per non farla bagnare. Lei salì in macchina ed attese che lui la raggiunse.
    - ho già visto quella donna. Katie Rose non aveva interesse per ciò che capitava alla figlia, lei aveva tempo solo per occuparsi del suo denaro.
    - Dimmi la verità. Non sopporti proprio questo genere di feste, vero?
    Scosse il capo decisa. – Odio le feste pompose che da mia madre con le sue amiche. Champagne, abiti firmati, gioielli di famosi stilisti… mi sembra solamente pacchianeria messa in mostra. Vista da fuori può apparire una vita meravigliosa… ma dentro… è come una prigione dorata dalla quale non puoi uscirne.
    - Conosci molti invitati di questa sera?
    - Un po’. Molti di loro venivano a Yale con me. Nell’elite di Manhattan si va a Yale o Harvard.
    Rossi mise in moto, inserì la prima e partì immergendosi nel traffico newyorkese.

    - Mary Brian, come la descrive la madre, era una ragazza solare, attorniata da amici. Aveva conosciuto Ami Sanders ad Harvard e non si erano più perse di vista. Uscivano con la stessa compagnia, frequentavano gli stessi ambienti altolocati ed andavano negli stessi negozi da vip. – espose Hotch la team riunito nuovamente attorno a quel tavolo di legno della caserma di polizia. – Mark Anderson non aveva preso bene il fatto che Mary fosse rimasta incinta di un altro uomo e da quel momento aveva iniziato a perseguitarla. La chiamava spesso a casa, le mandava regali e le scriveva lettere.
    - Un vero e proprio esempio di persecuzione.
    - Esatto JJ. La Brian si era spesso lamentata con la madre ed il padre, ma non avevano mai chiamato la polizia perché non trapelassero strane informazioni sulla famiglia.
    - Ad esempio Sarah Brian. Non si sa chi sia il padre. – mormorò Emily.
    - Nemmeno la famiglia lo sa. – Morgan e Reid si guardarono.
    - Non sa di chi è la nipote. Non hanno voluto segnalare alla polizia le persecuzioni di Mark Anderson eppure organizzano una festa? Credono che domani non saranno in prima pagina sul NEW York Times?
    - Dobbiamo cercare di tenere lontano i giornalisti. Prentiss, tua madre non riuscirebbe a farli stare alla larga?
    Lei scrollò le spalle. – Non saprei. La serata è nella residenza privata dei Rose, in un attico al Palace. I giornalisti non avranno accesso all’appartamento però trapeleranno certamente notizia…A queste feste è moda invitare qualche giornalista in modo che faccia pubblicità. – fece spallucce. – Diciamo che la morte della figlia servirà per alzare le quote della società di Katie Rose.
    - Perfida. – mormorò Reid ridacchiando.
    - No. – Rossi intervenne – È il modo di essere dell’alta società. I soldi sono più importanti. Se si può unire l’utile al dilettevole e guadagnarci, perché non farlo?
    - Si tratta di una figlia morta e di una nipote sparita! – JJ era incredula davanti a tutto quello che era stato detto.
    - No, piccola. Emily ha ragione. – Morgan si alzò in piedi per andare a prendere un bicchiere d’acqua.
    - Cosa si sa di Mark Anderson?
    - Tua madre ci ha riferito che parteciperà alla festa di questa sera.
    - Difficile chiamare festa un party per un defunto. – fece notare Reid con il suo classico tono da ragazzo composto.
    - Benvenuto nell’alta società. – esclamò sprezzante Prentiss.
     
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  7. Emily†
     
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    CITAZIONE
    Dedico questo capitolo a Franci;; e Pur!

    7. Oltre la festa




    La grande sala dell’appartamento era illuminata da un lampadario in cristallo che pendeva dal soffitto come una gemma preziosa; ovunque c’erano camerieri in abiti eleganti che portava su vassoi calici di champagne e tartine prelibate dall’aspetto invitante e raffinato.
    Elisabeth Prentiss era in piedi in mezzo alla sale e teneva banco con qualche sua storia appassionante che aveva vissuto in Russia, o forse in Germania o a Roma. Insomma, appassionava gli ospiti che pendevano dalle sue labbra.
    Quando Hotch, Rossi, JJ, Reid e Morgan arrivarono alla festa tutto era uno strepitio di gioia e serenità.
    - Wow, quanto dolore nel volto di queste persone. Inizio a pensare che Emily avesse ragione a disprezzare queste usanze.
    Hotch incrociò con lo sguardo Elisabeth Prentiss che venne lo incontro con un sorriso abbagliante. Era avvolta in un lungo abito crema, semplice ma spettacolarmente ingemmato di cristalli. – Sono felice che siate arrivati. Mia figlia deve esser da qualche parte. Oh! Eccola! – indicò una ragazza seduta sul divano al canto di un’altra donna dai capelli biondi. Non parevano particolarmente divertite dall’atmosfera serena ed allegra.
    Hotch la vide con in mano un bicchiere di champagne. Stava osservando il tappeto mentre la ragazza al suo fianco le parlava come se fosse una sua vecchia amica. Probabilmente lo era davvero, ma lui non poteva saperlo.
    - La ringrazio, ambasciatrice.
    - Fate cose se foste a casa vostra. Vado a vedere se Katie è pronta a presenziare alla festa – detto ciò fece un lieve saluto agli altri membri del team e se ne andò.
    Emily, in quel momento, vide i suoi amici e, con un sospiro di sollievo, si congedò dalla bionda e li raggiunse.
    Hotch non l’aveva mai visto una Emily così diversa dal solito. Indossava un abito nero molto scollato, una collana di perle argentee ed un bracciale da tennis luccicante come un diamante. Gli orecchini di cristalli pendevano dai suoi lobi ingarbugliandosi fra i suoi capelli ondulati. – Ragazzi. – li salutò.
    Hotch dovette riprendersi un istante, ma alla fine ricambiò il saluto. – Scoperto qualcosa?
    - Si, Mark Anderson è stato anche con Ami Sanders. Non potrete mai immaginare cosa si riesce a tirar fuori da questa gente in veste non ufficiale. Amano pettegoleggiare.
    - Ecco il legame. – esclamò Morgan che indossava un tailleur gessato che gli risaltava particolarmente il fisico scolpito. – che altro hai scoperto?
    - Ami ha tradito Mark con un altro uomo e lui è venuto a saperlo. Il ragazzo di Ami è morto in un incidente ed in seguito ha tentato di farsi perdonare da Mark, ma quest’ultimo stava già con Mary.
    - Però, chiacchiera molto questa gente. – JJ ridacchiò.
    - Più di quanto immaginate. La maggior parte di loro non lavora e si ritrova nelle sale da te a parlare e sparlare della gente che li circonda.
    - Emily sai dov’è Mark?
    - Laggiù. Non ci ho parlato. – indicò un uomo che rideva vicino al pianoforte assieme ad una rossa tutto pepe.
    Mark era un tipo esuberante, apparentemente composto e fermo.
    Hotch si avvicinò velocemente a quell’uomo, mostrò il distintivo e si fece seguire in un luogo più appartato. Emily andò con lui.
    - Mark Anderson cosa ci puoi dire di Mary Brian? – gli domandò non appena furono sicuri che nessun altro potesse seguirli.
    - Era una puttana. – freddo, conciso. – Si è meritata quella fine da cagna.
    - Lei crede davvero che qualcuno meriti quella fine? – intervenne Prentiss sconcertata dalle dichiarazioni di quell’uomo.
    - So cosa volete da me. Accusarmi per l’omicidio di Mary, ma non ce la farete mai. Non sono stato io ed i miei avvocati sono pronti a proteggermi qualunque cosa succeda.
    - Non stiamo proprio accusando nessuno signor Anderson. Vogliamo solo sapere quand’è stata l’ultima volta che ha visto Mary Brian.
    - Venerdì quattro dicembre. Ero stato a casa sua, lei mi aveva respinto e me ne sono andato. Non l’ho più rivista. Ho saputo dai media della sua scomparsa e della sua morta.
    - Cosa ci dice del bambino?
    - Agente Prentiss – Emily non ricordava di essersi presentata così si ritrasse di qualche passo. – Quella bambina non era mia. A causa sua quella bambina non era mia.
    - Cosa intende dire?
    - Intendo dire che quando rimase incinta di mio figlio – iniziò ad urlare e la cosa fece innervosire molto Hotch che si mise davanti ad Emily. Stranamente sembrava che Mark ce l’avesse con lei. – Abortì! Decise che era meglio così, poi sei mesi dopo mi venne a dire di essere incinta di un altro uomo e mi ha buttato fuori dalla sua vita!
    - Stia calmo! – urlò Hotch spingendo via Emily quando vide che l’uomo cominciava a compiere passi nella sua direzione. – Non alzi la voce o mi costringerà ad interrogarla in un ambito ufficiale!
    Mark rise, alzò il flute di champagne e guardò Emily – Le donne servono solo per fare figli. Non esiste che una donna abortisca, non esiste. È omicidio e come tale si richiede vendetta. – se ne andò lasciando senza parole Prentiss che dovette sedersi su un divano per evitare di cadere.
    - Emily stai bene?
    Le si portò una mano alla tempia, forse aveva fatto male a non toccare cibo nemmeno quella sera. – Io… si… si sto bene… - il cuore le batteva forte nel petto come se volesse esplodere da un momento all’altro. Le parole di Mark l’aveva distrutta, si rivide in Mary e, senza motivo, l’ansia le prese il fiato.
    - Ti porto in albergo… forza… - lui le mise una mano dietro la schiena e l’aiuto ad alzarsi. – Andiamo…
    Lei cercò l’equilibrio che le serviva per restare in piedi e si fece accompagnare fino all’ascensore.
    JJ vide la sua amica pallida e le corse vicino. - Em!!
    - Oh, JJ tranquilla. È un calo di pressione…
    - Non direi, deve mangiare qualcosa, ma si ostina a non volerlo fare. La porto in albergo. Tu resta qui con gli altri e cercate di scoprire qualcosa. Noi prendiamo un taxi.
     
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  8. Emily†
     
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    CITAZIONE
    Questo capitolo è dedicato a Franci e tutte le ragazze appassionate della coppia Hotch/Emily

    8. Quella notte



    "Il miglior modo di amare una cosa è pensare che potremmo perderla."

    (Gilbert Keith Chesterton)




    Hotch l’aveva obbligata a mangiare un po’ di riso in bianco servito nella sua camera cosa che Emily aveva accettato con molto disappunto. Aveva mangiato a fatica quel piccolo piatto di riso bianco, non aveva per nulla fame e non aveva voglia di mangiare nulla. Purtroppo, sotto la supervisione del suo comandante non poteva di certo rifiutare, così, in silenzio religioso dovette ubbidire senza troppe storie.
    - Così ve bene. – disse Hotch quando ebbe finito.
    Lei lo guardò con sguardo di disappunto, uno sguardo da imbronciata che fece sorridere finalmente Hotch. – Finalmente, è da tanto che non cambi espressione. Sei sempre triste, arrabbiata è meglio di niente.
    Lei distolse lo sguardo timidamente.
    - Emily, non pensare a quello che ha detto Mark. Lo so che lo stai facendo e ti dico di non farlo perché è sciocchezza.
    Lei sorrise di malincuore. – Perché? Non sono stata poi così diversa dal nostro S.I.
    - Emily che cavolo stai dicendo?? – scatto in piedi, ma questa volta lasciò trapelare rabbia nella sua voce. Non poteva credere che Emily lo pensasse sul serio. Non poteva pensarle, era una cosa assurda che andava al di là della normale concezione.
    - Quello che penso. Sei stato tu a dirmi che di te potevo fidarmi, che potevo aprirmi e sì! – si alzò anche lei in piedi – è proprio quello che penso. Non scherzavo. Anche io ho ucciso una persona ed ho condotto alla morta un’altra.
    - Matthew ha scelto da solo la sua via.
    - Ma se non lo avessi trascinato nei miei problemi forse… forse ora… sarebbe ancora vivo… - si risedette sul letto di Hotch, questa volte si strinse i se stessa restando in silenzio senza guardarlo.
    Lui le andò accanto e le si inginocchiò davanti prendendole le mani. – Emily, non farti del male così. Aveva quindici anni, cosa avresti potuto fare?
    - Esiste l’adozione! Avrei potuto darlo in adozione…
    - Ma Emily… è vero, avresti potuto. Ma a cosa ti può servire auto infliggerti queste sofferenze? È passato. – le strinse forte le mani accarezzandogliele. – Ascoltami, facciamo tutti degli errori nella vita – le prese il viso fra le mani e le si avvicinò con molta calma. – Il gioco sta nel reagire… hai fatto quello che una ragazzina di quindici anni riteneva giusto fare. Ovvio che ora, a distanza danni, trovi orribile quello che hai fatto però hai la possibilità di avere altri figli, non puoi pensare di essere come un S.I.
    - Hotch… io… era mio figlio…
    - È vero, ma credi davvero che lui ti voglia male per questo?
    - È più facile morire che veder morire gli altri…*
    Lui non la lasciò finire di parlare e poggiò le sue labbra sulle sue. Iniziò ad assaporare le sue lebbra passandole le mani fra i capelli scuri per poi baciarle le guance. – Sei una sciocca… - le sussurrò infine all’orecchio. – Non posso vederti così, Emily… ne io, ne gli altri del team. Noi tutti ti volgiamo bene…
    - Hotch – mormorò. – Cosa mi stai dicendo?
    - Dopo la morte di miei moglie credevo che tutto sarebbe finito, che la mia vita fosse finita. Proprio quello che pensavi tu. Credevo di averla uccisa. Ma così non è stato. Lei ha dato la vita perché un domani il mondo potesse essere migliore. Se avessi avuto quel bambino non avresti mai avuto la forza di darlo in adozione ed ora non saresti qui, davanti a me a lasciarti guardare come sei realmente. Forte, determinata, ma anche fragile ed estremamente buona. – le sorrise accarezzandogli la guancia bagnata con il dorso della mano. – Sei la mia Emily. È solo grazie a te se sono riuscito ad uscire dell’incubo che ho vissuto. A te sembra di non aver fatto nulla, ma mi bastava guardarti, vederti lavorare al mio fianco o ascoltarti parlare.
    - Cosa mi stai dicendo, Hotch?
    - Ti sto dicendo che per me sei importante Emily Prentiss, ti sto dicendo… che ti amo…
    Emily non disse nulla, i portò una mano alla bocca incredula davanti a quello che Aaron le aveva appena detto. L’aveva sempre osservato da lontano, in silenzio ed in disparte, credendo che fra di loro ci fosse solo semplice amicizia o rapporto lavorativo ed in quell’istante si sentiva dire di essere la donna che amava.
    Il suo cuore mancò un battito. – Oddio… - disse fra le lacrime – Io… io…
    - Ssth… non sei obbligata a ricambiarmi. Perdonami… ma dovevo dirtelo, dovevo farti capire quanto soffro nel vederti così.
    - Anche io ti amo… - le sue labbra articolarono quella frase quasi in un sussurro silenzioso. – Da tanto… ma tu… tu eri… eri sposato… sei sposato Hotch…
    - Mia moglie sarebbe felice se amassi di nuovo… è passato tanto dalla sua morte e credo che sia arrivato il momento di amare ancora…
    La prese fra le braccia e rimase con lei tutta la notte. Non gli interessava se all’arrivo Rossi lo avrebbe trovato con Emily fra le braccia, era ciò di cui aveva bisogno. Le ore passavano, ma David non si fece vedere. Hotch immaginò che si fosse fermato nella camera di Morgan e questo lo rasserenò. Non gli importavano le spiegazioni che avrebbe dovuto dare il giorno dopo, non gli importava ciò che sarebbe accaduto. In quel momento voleva tenere fra le braccia la sua dolce amata e basta. Tutto il resto era secondario.












    *Dottor House – Allison Cameron
     
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  9. Emily†
     
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    9. Adesso che ti ho trovata…



    "Nessuno arriva in Paradiso con gli occhi asciutti."

    (Thomas Adams)




    Quando schiuse gli occhi, Hotch era ancora al suo fianco. Era sveglio e la osservava: la cosa le rese piuttosto impacciata tanto da coprirsi il volto di scatto con il lenzuolo bianco del letto.
    Lui scoppiò a ridere. – Stanotte non ti nascondevi… - Lei arrossì sotto il lenzuolo che le venne subito tolto dalla faccia. – Su, fammi un sorriso, Emily…
    Lei, per la prima volta da giorni, disegnò sul suo volto una striscia di serenità. Si mise a sedere coprendosi con il lenzuolo e gli si avvicinò dolcemente abbracciandolo. Lui la strinse forte a sé e le disse: - Adesso non ti lascio più andare via. Hai capito? Adesso che ti ho trovata, non ti succederà più nulla…
    - Dici davvero?
    - Si, Emily… si…
    - E…
    - Che c’è? – la spostò quanto bastava per guardarla negli occhi, quegli occhi intensi e luminosi che amava tanto.
    - E gli altri?
    - Gli altri non avranno nulla da dire. Hai visto? Dave non è tornato stanotte…
    Emily arrossì. Si sposto verso il bordo del letto e si rimise il reggiseno e le mutandine per poi rindossare il vestito della sera precedente – Sono le sei. Credo che sia il caso che torni da JJ. Mi farà il terzo grado e non saprei che cosa dirla…
    - Di la verità, in fondo non c’è nulla di male in quello che è accaduto fra noi.
    Lei annuì e dopo che lui l’ebbe baciata ancora, uscì dalla camera camminando in punta di piedi tenendo fra le mani i tacchi per non svegliare nessuno.
    - Dove credi di scappare Prentiss! – ecco che Rossi l’aveva beccata in fragrante. – Ho dormito sul divano della camera di Morgan e Reid per te raccontando loro che ti eri addormentata sul mio letto, ma certamente non mi hanno creduto. Ora voglio sapere per filo e per segno quello che è successo con Hotch altrimenti…
    - Ma…
    - Sbaglio o non sono il tuo confidente??
    - Non sbagli…
    Ci fu un attimo di silenzio, poi lui scoppiò a ridere e l’abbracciò – Tranquilla, Emily. Non c’è bisogno che tu mi spieghi. So già tutto, o meglio… so quello che devo sapere. Lascio il terzo grado a JJ. Lei purtroppo non mi ha creduto e nemmeno Morgan e Reid ma li ho minacciati di ucciderli se ti avessero infastidito.
    - Grazie Dave. Sei un amico. – sorrise.
    - Finalmente un sorriso, come sono contento. Adesso corri! Vai!


    Il vero amico è quello al quale non si ha niente da dire

    (Tristan Bernard)





    Un’ombra scura camminava silenziosa sotto la neve.
    In testa un cappello scuro, avvolto in un cappotto nero pareva un corvo disperso nel bianco del mattino.
    Il sole stava alzandosi nel cielo, ma lui rimase seduto su quella panchina, un ghigno di divertimento sul volto ed in mano un orecchino di diamanti.
    Lo fissava, lo stringeva e rideva.
    - Prima o poi pagherai anche te. – sibilò, poi scoppiò a ridere. Imboccò la diciottesima strada e varcò la soglia di un grande edificio fatto di vetrate: era un albergo lussuoso. Le porte si richiusero, salì le scale e sparì nei corridoi.
     
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  10. Emily†
     
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    10. Indizi



    "L'assoluzione del colpevole condanna il giudice."

    (Publilio Siro)



    JJ aspettava Emily seduta a gambe incrociate sul suo letto.
    Non appena entrò in camera il suo sguardo la controllò da cima a fondo come una radiografia. – Hai fatto sesso.
    Emily rimase senza parole da quell’affermazione diretta dell’amica. – Ma… ma…
    - Ma un tubo! Adesso mi dici tutto o non uscirai di qui tanto facilmente!
    Prentiss alzò gli occhi al cielo cercando un modo per fuggire da quella situazione, si levò con un gesto rapido la collana di perle e la posò sul suo comodino dopo aver raggirato il suo letto dove JJ si era appostata. Si levò il braccialetto da tennis.
    - Ehi!
    - Che c’è?! Non farmi spaventare JJ!
    - L’orecchino?
    - Cosa?
    - Non dirmi che ti sei fatta mangiare l’orecchino da Hotch!
    Emily arrossì come un pomodoro e si portò le mani ai lobi notando subito che aveva soltanto un orecchino. L’altro mancava. – Non so dove sia finito. Sarà rimasto…
    - In camera di Aaron – civettò lei scoppiando poi a ridere.
    L’amico scosse il capo slacciandosi la zip dell’abito e rimanendo in intimo.
    - Hai un succhiotto sul fianco!
    - JJ!!! BASTA!! – imprecò mentre l’amica continuava a ridere come una matta sul suo letto – Devo dirlo a Will!
    - JJ per cortesia, ricomponiti, alzati e vestiti che dobbiamo fare colazione ed andare in riunione!
    Dopo essersi ricomposta dallo sghignazzare, JJ si alzò da letto e, imitando la collega ed amica mentre continuava a punzecchiarla, si vestì con una maglietta a collo alto ed un paio di pantaloni a righe bianche e nere. L’amica fece lo stesso ed indossò un dolcevita rosso ed un paio di jeans.
    Uscirono assieme dalla camera chiudendola con una carta magnetica che poi JJ ripose nella sua borsa. Mentre attraversarono il corridoio un uomo, che proveniva dalla porta opposta, andò addosso ad Emily facendola cadere a terra. – Ohi! Ohi!
    - Mi scusi Signorina. – disse l’uomo.
    Lui le diede la mano e lei l’afferrò senza problemi. La mano era fredda e ruvida, molto mascolina e rovinata, per nulla curata. – Non si preoccupi, signore. – rispose guardandolo in volto, un volto scuro fasciato da un paio di occhiali da sole.
    Si salutarono cordialmente ed ognuno prese la sua strada.
    - Em sei certa di non esserti fatta male?
    - Ma si, JJ! Va tutto bene! Tranquilla. Sono solo caduta! – disse per tranquillizzarla.
    Scesero al piano terra e si sedettero al tavolo dove già tutto il team era accomodato per fare colazione.
    - C’è un problema.
    - Quale? – domando JJ a Morgan mentre prendeva una brioche.
    - Garcia ci ha detto che anche Ami Sanders era rimasta incinta ed aveva abortito.
    - Per cui abbiamo un S.I. che ha rapito due donne che hanno avuto un aborto. Ma non abbiamo nessun legame con la bambina rapita. Perché l’ha rapita? – Reid sorseggiò il caffè.
    - Mark… - mormorò Emily. – Mark ieri sera ci ha detto che Mary era rimasta incinta di lui ma aveva abortito e se l’S.I. fosse lui?
    - Mandiamo una volante a prenderlo.
    Hotch telefonò immediatamente in centrale ed ordinò al commissario di andare a prelevare Anderson il più in fretta possibile. – Stanno andando a prenderlo.
    - Dobbiamo trovare le prove.
    - Le abbiamo noi le prove – mormorò Rossi guardando Emily. – La prima vittima ha graffiato il nostro S.I. e sotto le unghie aveva dei frammenti della sua pelle. Potremmo fare un’analisi del DNA.
    - Ottimo. Ottimo. – ripeté Hotch. – Dobbiamo prenderlo prima che trovi un’altra vittima.
    - Ma Mark Anderson aveva contatto soltanto con Ami e Mary, nessun altro.
    - Potrebbe allargare le sue mire, Morgan.
    - Molto S.I. dopo aver iniziato non riescono a smettere e trovano altre vittime. – Rossi bevve in un sorso il suo caffè. – Dobbiamo sbrigarci prima che succede qualcosa di irreparabile ed in più dobbiamo pensare al bambino.
    - Le farmacie. – esclamò Emily alzandosi di scatto dalla sedia. – Un bambino ha bisogno di latte in polvere, pannolini, insomma tutte cose che si possono acquistare in farmacia. Mark non andrebbe mai in un supermercato, troppo da gente di Brooklyn per lui che vive nella ricca Manhattan.
    - Emily ha ragione. Mandiamo a controllare le farmacie di zona e chiediamo se qualcuno l’ha visto. – Reid si alzò e prese la sua tracolla. – Certamente potrebbe aver mandato qualcun altro…
    - Un complice credi? – JJ prese la sua borsa e si avviò assieme agli altri verso il SUV posteggiato fuori. – Chi potrebbe essere?
    - La governante? – propose Emily. – È l’unica che potrebbe prendere ordini da lui.
    - Sappiamo chi è la governante?
    Hotch scosse il capo. – Non abbiamo ritenuto opportuno domandarlo.
    - Datemi un istante. – disse Emily e prese in mano il cellulare mentre saliva sul SUV in messo a Reid e Morgan.
    Lasciò squillare diverse volte il telefono finché una donna dall’accento russo non rispose – Pronto?
    - Dorotha?
    - Buongiorno signorina Emily! – si udì dall’altra parte. Emily inserì il viva voce in modo che tutti potessero ascoltare.
    - Dorotha ho bisogno un favore.
    - Mi dica tutto, signorina.
    - Sai dirmi il nome della Governate di Mark Anderson? Vive in un attico al Queen Elisabeth!
    Ci fu un attimo di silenzio, poi un’esclamazione – Da! Da!
    - Sì? Perfetto! Potresti darmi il nome?
    - Si chiama James Patricson!
    - Vive con la famiglia?
    - Njet, signorina Emily. Vive in un piccolo appartamento nella periferia di Brooklyn!
    Hotch si voltò per fissare Emily. Si erano capiti entrambe e, come loro, l’intero team aveva capito perfettamente il collegamento.
    - Spassiba Dorotha, mi sei stata di grande aiuto!









    SPOILER (click to view)
    In russo:
    Da = si
    Njet = No
    Spassiba = Grazie


    Un abbraccio a tutti
     
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  11. Emily†
     
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    11. Infiltrata




    - Maledizione!! – urlò iracondo Hotchener entrando nell’ufficio dove il team era riunito.
    - Che succede Hotch? – Reid si spaventò nel vederlo entrare con il viso tirato dall’ira.
    - È sparito! Mark Anderson è non in ufficio, né al suo domicilio. Non si riesce a trovare.
    - Perfetto!
    La situazione stava giorno dopo giorno peggiorando. Era passata una settimana, la polizia aveva setacciato ogni angolo di Brooklyn e di Manhattan, ma di Mark e di James Patricson nemmeno una traccia. Non erano riusciti a trovare prove della loro colpevolezza, ma questa strana fuga doveva pur significare qualcosa ed Hotch era sempre più convinto che Mark centrasse qualcosa.
    Un sabato mattina, mentre il team era seduto al solito tavolo in collegamento webcam con Garcia, Morgan ebbe un’idea che Rossi appoggiò appieno. – Garcia, Mark Anderson ha per una seconda casa fuori Manhattan?
    - Dammi un istante tesoro. – la si sentì trafficare sul Pc e dopo qualche secondo esordì con un – Bingo!! Bei ragazzi miei, Mark Anderson ha una villa poco fuori New York
    - Grande piccola!
    - Non gioite ragazzi! Le utenze sono chiuse da tempo e non vi sono segni di abitazione. La villa è stata chiusa dopo che gli Anderson hanno fatto banca rotta.
    - Banca rotta? – chiese Emily insospettita. – Quando?
    - Vi ho contattato per questo. La vostra bella cervellona ha scoperto che Mark Anderson, alla morte del padre che gli ha lasciato in eredità parecchi soldi e, credetemi, gli zeri sono parecchi, beato lui! Mark ha giocato tutto a Las Vegas indebitandosi fino al collo.
    - Classico. – JJ incrociò la braccia davanti al petto.
    - Ma come si fa a perdere a Las Vegas?!
    - Dottor Reid non faccia il figo! – rise Garcia conoscendo la bravura del giovane nel gioco e nelle scienze statistiche. – Comunque! È riuscito a rientrare del debito, il suo conto in banca contava 40.000 dollari di scoperto, grazie alla donazione della zia materna, morta l’anno scorso. Da quel momento la banca è stata coperta e la casa chiusa.
    - Dev’essere ancora a Manhattan. – mormorò Emily riflettendo su ciò che aveva appena detto Garcia.
    Hotch le andò accanto guardandola con un’espressione talmente dolce da scioglierla. Gli altri se ne accorsero e dovettero reprimere un piccolo risolino.
    - Come fai a dirlo?
    - Beh perché chi ha vissuto come lui nello sfarzo e gode nell’avere ricchezza non si allontanerà mai dall’oro. Mark Anderson ha viaggiato molto durante la sua vita, vero Garcia?
    - Confermo! Ha viaggiato in tutto il mondo. A suo nome ci saranno prenotate nel giro di tre anni venti suite di enormi alberghi dalla Russi al Portogallo.
    - Ora che non ha più denaro come prima – continuò Emily – se si allontanasse dall’alta società verrebbe totalmente tagliato fuori e la gente inizierebbe a pensare che lui non possa vivere all’altezza dei suoi colleghi finanzieri.
    - Quindi secondo te è ancora a Manhattan?
    - Esatto. Se un aristocratico vuole sparire ed ha particolare agganci come Mark, state pur certi che ce la farà.
    - Secondo te qualcuno lo protegge?
    - Forse proteggere no. Ma qualcuno si sta occupando di lui.
    - Una donna? – propose Reid.
    - Se così fosse dovrebbe avere le stesse caratteristiche della altre due. Ma chi? Garcia c’è stata qualche segnalazione di scomparsa nell’ultima settimana?
    - Nessuna capo.
    - E se fosse un uomo? – Reid si strofinò le mani e si strinse nel maglione marrone. Aveva freddo ed effettivamente nell’ufficio il riscaldamento pareva non funzionare. – Non stiamo partendo da presupposto che Mark sia il nostro S.I. e non abbiamo indagato su nessun altro. Se realmente fosse lui chi ci dice che si sta facendo aiutare da una donna? E se fosse un uomo? Infondo, gli uomini preferiscono essere aiutati da un uomo, probabilmente più potente di lui in affari. – si alzò in piedi sperando che la passeggiata intorno alla stanza servisse a qualcosa. – Marshal ha detto che L'economia è lo studio dell'uomo nei suoi affari quotidiani.
    - Quindi ci stai dicendo che?
    - Sto dicendo, Dave, che Prentiss ha ragione. Anche secondo me non si è allontanato dai suoi affari.
    - Secondo te se interrogassimo qualcuno potremmo scoprire qualcosa?
    - No. – rispose ferma ad Hotch che gli si era seduto accanto. – Questa gente sparla dei propri amici, ma si difende a spada tratta davanti alla polizia. Non parlerà mai.
    - Allora dobbiamo trovare un modo per farla parlare. – JJ parve avere un’idea. – E se ci pensassi tu Emily?
    - Io?
    - Si, esatto. In fondo conosci questa gente meglio di noi. Sei nata in questo ambiente.
    - E non l’ho molto apprezzato, non ricordarmelo JJ.
    - È troppo pericoloso, non se ne parla nemmeno. – Hotch si alzò in piedi e fissò il team. – Sanno tutti che Emily fa parte dell’FBI, chi vuole darla a bere?
    - E invece no… - fu stranito nel vedere la donna alzarsi con un’espressione sicura e serena allo stesso tempo disegnata sul volto. – Ho alcuni agganci anch’io Agente Hotchener. – Bisogna far giungere alla stampa che questo caso è stato chiuso per mancanza di prove.
    - Potrebbe essere un’idea, ma potrebbe essere pericoloso per la prossima vittima.
    - Ma sarebbe l’unica soluzione JJ.
    Hotch rimase in silenzio riflettendo. Non pareva affatto convinto del piano di JJ e Emily. – No, no ragazze. È troppo rischioso.
     
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  12. Emily†
     
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    12. Paura




    - Martin Luther King disse: La paura bussò alla porta. La fede andò ad aprire. Non trovò nessuno.
    - Cosa mi stai dicendo, David?
    - Lei ha avuto fiducia. Ora tocca a te. Abbi fede.
    Alla fine, Hotch aveva capitolato ed aveva acconsentito ad Emily di indagare fra le sue vecchie amicizie di Manhattan. Aaron stringeva fra le mani un bicchiere di Scotch, la tensione attraversava la sua spiana dorsale come elettricità pura; il suo stomaco era stretto in una morsa e l’idea di lasciare andare da sola la donna che amava non lo rasserenava di certo. – Io mi fido di lei ed ho fede. È degli altri che non mi fido.
    - Di cosa hai paura?
    Lui sospirò nervosamente e si poggiò allo schienale dalla sedia. – Dave credo che questa storia sia troppo complessa perché uno di noi lavori solo.
    - Hai paura per lei?
    Lui tacque e sorseggiò il suo alcolico. Fissò due ragazze bionde ad un tavolino poco distante che bevevano un Brandi, poi tornò a guardare il suo bicchiere.
    - Ti ha raccontato, immagino sia per questo che tu sia preoccupato.
    - Già.
    - La vedo più serena da una settimana a questa parte… grazie a te, Hotch. Piano piano supererà tutto ma non è legandola ad una sedia che l’aiuterai. Deve affrontare le sue paure ed i suoi timori.
    - Pareva conoscerla. – disse ad un tratto senza terminare di ascoltare quello che Rossi aveva da dirgli.
    David si fece portare un caffè macchiato e guardò l’amico. – Chi?
    - Mark Anderson.
    - cosa vuoi dire?
    - Dico che la guardava con un’espressione che non mi è piaciuta. Come se la conoscesse…
    - E Emily?
    Hotch scosso il capo. – No, non mi ha dato impressione di conoscerlo… ho accettato che indagasse da sola, ma voglio assolutamente sapere dove va, con chi e cosa si dicono.
    - Aaron non credi di esagerare?
    Lui si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra dell’immensa sala dell’albergo che dava su una NY illuminata. – No, Rossi. Ho un brutto presentimento ma non saprei dirti il motivo.
    Rossi lo seguì. – Va bene. Chiameremo Garcia e faremo mettere sotto sorveglianza il suo cellulare. Sapremo sempre dove andrà. Va bene?
    Hotch annuì. Guardò fuori dalla finestra domandandosi dove Emily potesse essere in quel momento. – Chiamala. Voglio sapere dov’è.
    - Ma Hotch è da sua madre!
    - Voglio esserne certo!


    "La paura bussò alla porta. La fede andò ad aprire. Non trovò nessuno."

    (Daniel Defoe)




    - Mamma ti ho detto che sto bene, non insistere. Non c’è alcun motivo per cui sono venuta da te!
    Emily cercava disperatamente di convincere la madre che non stava lavorando a nessun caso sotto copertura, era un cosa che spaventava particolarmente Elisabeth. – Perché non mi pari sincera?
    - Perché tu devi sempre farmi l’interrogatorio? – passeggiava irrequieta nell’immenso salone dall’attico della madre, la sua vecchia casa quando frequentava ancora il liceo a Manhattan. Era ampio, luminoso e con una immensa vetrata che dava sulla città illuminata. Aveva sempre detesta quella casa dov’era stata prigioniera per anni.
    - Non è un interrogatorio!
    - E invece si!
    - Signorina Emily! – l’inconfondibile voce di Dorotha le scaldò l’animo. La vecchia donna dai capelli grigia raccolti in uno ciniong composto sulla nuca le andò incontro abbracciandola.
    - Oh Dorotha, da quanto tempo!
    - Signorina sono così felice di rivederla. La sua camera è pronta ed è rimasta uguale a quando viveva qui. Come sono felice ambasciatrice! – si rivolse poi ad Elisabeth Prentiss.
    - Sei molto gentile, Dorotha. – in quel momento squillò il cellulare di Emily. La donna sorrise alla governata ed andò a trafficare nella sua borsa nel disperato tentativo di trovare il cellulare che continuava a trillare insistente.
    - Prentiss. – esclamò non appena l’ebbe trovato.
    - C’è qui una persona che vuole sapere se sei arrivata sana e salva a destinazione.
    - Dave, dì a Hotch che sono ancora viva. – sorrise. Si avvicinò alla vetrata ed osservò il panorama.
    Chissà se anche lui stava osservando quel meraviglioso panorama notturno.
    La sensazione di disagio che aveva provato fino a quel momento si tramutò in una dolce sensazione di affetto che soltanto il ricordo di Matthew le donava.
    Salì le scale per recarsi al secondo piano dell’attico dove avrebbe potuto restare tranquilla nella sua camera che dava sul parco del sontuoso palazzo dove la madre aveva voluto vivere perché il colore dei muri della loro casa a Central Park non erano di suo gradimento. Il marito aveva cercato di farle cambiare idea, ma senza troppo successo.
    - Già fatto, ma la cosa non sembra aver avuto effetto. È piuttosto preoccupato…
    Emily rise sentendo quell’affermazione. Arrossì. – devo solo conversare con delle amiche e bere tè con qualcuna di loro in qualche bar esclusivo. Cosa vuole mi capiti?
    - Ho paura che creda che Mark ti rapisca e ti sevizi. – si sentì ridere dall’altra parte della cornetta.
    - Eh adesso! Avviso che non ho mai avuto una storia con lui. È la prima volta che lo vedo. – rispose serenamente sedendosi sulla trapunta celeste del suo vecchio letto. Ai muri c’erano ancora i vecchi quadri che suo padre le aveva dipinto durante un estete a Parigi.
    - Devi proprio avergli rubato il cuore, lasciamelo dire…
     
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  13. Emily†
     
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    13. Memories




    - Gli inviti, i fiori e lo champagne. Ecco cosa ci manca da fare. – disse Amber, una biondina alta e magra seduta accanto a Emily in un piccolo e lussuoso piano bar accanto a Central Park. Prese un’oliva dal piattino dinanzi a lei e lo scrutò senza motivo apparente. – Ah, ti ricordi Jennifer Parker? La trovavi simpatica?
    Emily non riusciva a trovarsi particolarmente a suo agio in quell’atmosfera tanto perfetta ed altolocata, ma dovette sforzarsi il più possibile per apparire realistica – La ricordo sempre con lo stesso cerchietto in due anni di scuola.
    Amber scoppiò in una risata disgustata – Quel cerchietto era orribile! – esclamò. – Però la sua borsa era perfetta! – disse poi legandosi i capelli biondi in una treccia. – Voglio dire, Emily. Pensa a quant’è di classe portare una semplice borsa nera e non quelle stampe zebrate e leopardate che hanno tutti. Sono di tale cattivo giusto, non trovi?
    Emily emise un sospiro nervoso, poi annuì – E la tua giacca leopardata allora?
    - Beh ma quello è vero leopardo!
    Il piano bar era affollato di studentesse delle superiori che bevevano alcolici come vip senza che i genitori potessero dire nulla. Loro potevano, erano ricche. A loro era concesso ogni cosa.
    - Allora tesoro – Amber la fissò – Dimmi di che pettegolezzi eri curiosa. So tutto ciò che serve per mandare sul lastrico Bill Gates. – So tutto sull’amante di Harry Jenson, il banchiere della dodicesima strada ed anche del figliastro di Marta Cooper che ha messo incinta una del primo anno dal liceo.
    Emily si mise le mani fra i capelli. Non ricordava Amber tanto pettegola o forse è solo il tempo che abbellisce i ricordi? – E che mi dici di Mark? Mi stava dicendo l’altra sera che è stato lasciato da quella Mary.
    - Oh cara, si! – rise sorseggiando lo champagne- - Pensa che oggi ho letto che i tuoi colleghi hanno chiuso l’indagine perché siete senza prove. Povera Mary. Mah, forse le stava bene!
    - Perchè?
    - Ma lo sapevano tutti che se la faceva con la feccia di Brooklyn. La figlia è di un barista dei sobborghi e non nell’elite. Pensa la povera Katie come sarà distrutta da questa notizia. Ma davvero non sapevi nulla?
    Emily scosse il capo bevendo lo champagne dal flute. – No, credo di essermi persa il numero duecentosettanta di Gossip.
    - No, è il settecentonove, cara.
    - Ah, si. Scusa.
    - Pensa che il padre di quella povera bambina è un cantante che suona in un complesso Punk rock. Oltraggioso!
    - Si, senz’altro. – Emily la fissò con sguardo assente.
    - In più Mark dice di non sapere nulla.
    - A si? E quando te l’ha detto?
    Amber rifletté un istante. – L’atro ieri!
    Bingo!, pensò Emily aguzzando l’udito. – L’hai incontrato?
    - Per caso. Ma tu davvero non l’hai mai visto? È strano. Eppure è uscito diverse volte con noi quando vivevi qui e frequentavi la scuola a Manhattan.
    Emily rifletté velocemente, ma non riuscì a focalizzare quello sguardo.
    - Ma sì! Tesoro lo chiamavamo Andy!
    Emily sussultò e per poco non rovesciò lo champagne sul tavolo. Ricordò il volto di quel ragazzino, chiaro e severo, che amava tanto festeggiare le serate nei pub più in d’America. – Ma uscì poche volte con noi…
    - Esatto, però ricordo che gli piacevi. – si alzò e si diresse verso il bancone dove servivano le insalate e si preparò un piatto di lattuga condita con pochissima salsa di soia. Emily parve disgustata.
    Avrebbe preferito un toast piuttosto che dell’erba per aperitivo, ma Amber preferiva l’insalata: il piatto della dieta l’aveva sempre chiamato.
    Amber guardò Emily mentre condiva l’insalata. – Davvero non lo ricordi? È così un bel ragazzo! Tu l’hai sempre rifiutato.
    - Io proprio non lo ricordo. Non ti stai confondendo con Jenny? Era lei forse.
    - No, quella bambinetta era sempre attaccata alle gonne della mamma. Figurati se pensava ai ragazzi, lei badava solo allo shopping. –si risedette al tavolo. – Eri tu quella di cui Andy si era infatuato. Ma poi tu sei partita per Roma.
    Emily si alzò in piedi. – Devo scappare Amber. Ti chiamo. – ansiosa, quasi preoccupata prese la sua borsa nera di velluto e la mise in spalla, recuperò il cappotto e si diresse verso l’uscita del locale.
    - Ciao cara! – udì da lontano.
    Corse verso l’auto, l’aprì e vi salì sopra. Non riusciva a credere a ciò che ricordava. Non poteva esserselo dimentica, non poteva aver cancellato un pezzo della sua vita in quel modo. Non in quel momento.
    Si mise le mani fra i capelli e chiuse gli occhi. Si dondolò per un istante mentre i ricordi le pervadevano la mente, poi si riscosse. Non poteva di certo ricordarsi di lei erano passati ormai anni. Lei aveva solo quindici anni. Erano cresciuti, il tempo era passato e la mente invecchia, i ricordi sbiadiscono.


    "Gli anni che fuggono, inarrestabilmente, ci portano via una cosa dopo l'altra."

    (Quinto Orazio Flacco)

     
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  14. Emily†
     
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    14. Missing



    "Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano."

    (Antoine De Saint-Exupéry)




    Emily sedeva su una panchina di un parco poco distante l’albergo dove alloggiava da quasi due settimane la BAU. Era un luogo tranquillo, rilassante dove riusciva ad estraniarsi da tutto. Il lettore mp3 era posato sulle sue gambe coperte da una bella minigonna nera con dei disegni bianchi, mentre teneva le cuffie nelle sue piccole orecchie rosate. Aveva i capelli slegati che le davano una bellezza naturale, socchiuse gli occhi mentre il vengo caldo le sfiorava il viso.
    Ascoltava una triste musica che le riaffiorava molti ricordi, troppi. ‘Missing’
    Già.. una mancanza. Che cosa le mancava? Tutto.
    Erano passati quattro giorno da quando aveva lasciato l’albergo ed era tornata da sua madre rischiando di mettere in pericolo la sua vita. Ormai le cose si stavano complicando sempre più e lei non aveva ancora rivelato la verità ad Hotch. Come poteva dire alla squadra chi era realmente Mark Anderson? Come poteva scoprirsi così, lei che a fatica si era aperta con Dave?
    In lontananza vide Reid camminare verso di lei. In pochi istanti le si sedette accanto – Buongiorno.
    - Dottor Reid! – si tolse le cuffie e ritirò il lettore nella borsa posata sulle gambe.
    - Voglio che tu sappia che abbiamo dovuto legare Hotch per non farlo venir qui.
    - Non poteva?
    - L’ha chiamato la Strauss. È incazzata nera perché il caso procede a rilento.
    - Invece no. Una mia vecchia amica ha incontrato Anderson qualche giorno fa. È qui, è ancora a Manhattan.
    - Perfetto, sguinzaglio gli agenti.
    - No!
    - Perché no? – si sorprese Spencer.
    - Perché non sappiamo ancora dove sia! Se dovessimo mandare pattuglie a cercarlo si nasconderebbe ancora di più e per noi sarebbe la fine. Non ritroveremo mai la bambina!
    - Emily non farti prendere troppo da questo caso!
    Prentiss non rispose. Abbassò la testa e ripensò alla fotografia ritrovata a casa di Mary: lo sguardo allegro della bambina, i suoi occhi che sapevano di vita ed emanavano la voglia di giocare, di ridere e piangere. Non meritava un simile trattamento, non meritava di perdere la sua mamma e cadere nella mani di un pazzo.
    - Dai, ti riaccompagno a casa. Appena saprò qualcosa ti farò chiamare da Hotch, nel frattempo non fare mosse avventate e ricorda che il tuo cellulare è sotto controllo. Garcia non so che cosa ha fatto ma dice che sei sul suo PC 24 su 24.
    Emily sorrise apprezzando tutta quella protezione, si alzò in piedi ma quando vide il mondo girarle attorno e scoprì che stare seduta era la soluzioni migliore.
    - Ehi Emily! – Spencer le si sedette accanto. – Tutto bene?
    - Solo un calo di pressione… - si massaggiò la tempia, poi lo fissò rasserenandolo.
    - Vedo, però mi sembra che tu stia esagerando troppo con le indagini. Cerca di riposare tra una ricerca e l’altra. Hai la possibilità di farlo e dato che il caso va a rilento fallo. Per una volta ascoltami.
    - Per una volta non fare il dottorino e stai tranquillo. – si alzò appoggiandosi a Reid. Trovò l’equilibrio necessario e respirò a pieni polmoni. – Tutto ok adesso! Dai ci sentiamo più tardi allora.
    - Ti accompagno a casa.
    - No, non ce n’è bisogno. Posso tornare a piedi…
    - Sicura?
    - Certo.
    Si salutarono. Reid non ne fu molto convinto, ma cedette. Non poteva fare altro e certamente lei non gli avrebbe permesso di riaccompagnarla a casa sostenendo di non esser più una bambina.
    Emily guardò il suo amico e collega sparire all’orizzonte e la malinconia le prese il cuore. Avrebbe voluto ritornare da loro, ritornare dal suo Hotch, eppure aveva promesso di trovare qualcosa.
    Ce l’avrebbe fatta, doveva farcela. Era un sfida col suo passato.
    Raccolse la borsa, la mise in spalla e passeggiò dalla parte opposta del parco.
    Il vento era gelido, ma il cielo non dava segno di pioggia né neve.
    Fu, però, uno strano rumore alle sue spalle che la rese irrequieta. Si voltò di scatto senza vedere nessuno alle sue spalle. Mise una mano nella borsa sfiorando il metallo della sua pistola nera che rese più tranquilla.
    Continuò a camminare finché qualcosa non la prese alle spalle.
    Qualcuno le premette un panno sulla bocca, cercò di divincolarsi ma senza successo.
    Con la coda dell’occhio vide un uomo.
    Un uomo con gli occhiali da sole.
    Una lacrima le rigò il viso chiaro
    Poi il buio.
     
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  15. Emily†
     
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    15. Angoscia



    "Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo. "

    (Primo Levi)




    Morgan stava giocherellando con un porta chiavi quando lo squillo del cellulare non glielo fece cadere di mano. Brontolando prese il telefono dal comodino accanto al suo letto e gridò a Reid di muoversi a terminare la sua doccia dato che a breve sarebbero dovuti andare in riunione con Garcia.
    Sorpresa inaspettata fu quella di vedere il nome di Penelope che si illuminava vivace sul suo schermo del telefonino. – Dimmi piccola! – rispose con eloquenza.
    - Niente piccola e niente scherzi! Il cellulare di Emily è sparito dal mio PC.
    - Come sarebbe a dire è sparito? Gioca a nascondino? – rise lui infilandosi le calze.
    - Derek Morgan non fare troppo lo spiritoso!
    - Ehi bambolina, ti sento preoccupata. – mormorò fermandosi un istante di fare qualsiasi cosa.
    - Infatti lo sono. Sul mio PC vedo tutti i vostri spostamenti, ho tracciato i vostri cellulari per cui so dove andate, cosa fate…
    - Ehi, piano piano genietto! Spero tu non sappia cosa diciamo!
    - No, ma soltanto per via della privacy, sappi però che potrei benissimo farlo! comunque! l'ultima segnalazione che ho avuto del cellulare di Emily era questa mattina assieme a Reid. Poi più nulla!
    - Su, non sarà mica una tragedia! avrà staccato il cellulare per riposare un po’, che c'è di male!
    - C'è di male che dovete controllare! e subito!
    - Ok, ok! allerto subito la squadra e ti faccio sapere qualcosa!
    - Attendo tue notizie! - rispose agitata e chiuse la comunicazione. Morgan si precipitò in bagno col sottofondo dei lamenti di Spencer che richiedeva un po’ di privacy. - E finiscila! siamo fatti alla stessa maniera! MUOVITI, RIUNIONE STRAORDINARI ORA!
    - Cosa vuol dire ORA? - gridò dal box chiudendo l'acqua.
    - Significa in questo istante Reid!

    L'abitazione della signora Prentiss era al 994 della Fifth Avenue, un edificio elegante con portieri in guanti bianchi, di fianco a negozi esclusivi e di fronte al Metropolitan Museum. I Prentiss possedevano metà dell’ultimo piano. L’appartamento contava quattordici stanze, fra cui quattro camere da letto con bagno annesso, un soggiorno di dimensioni spaventosi e due fantastici salottini con mobili antichi ed uno studio arredato ad opera d’arte dove Elisabeth Prentiss riceveva i suoi colleghi.
    Quando Hotch e il team varcarono la soglia dell’appartamento trovarono ad attenderli una donna in abito da cameriera con i capelli grigi legati in una treccia. – Benvenuti. – disse soltanto e li fece entrare a sedersi nel salotto decorato con vasi di fiori freschi appena acquistati.
    Il team si lasciò cadere sulle poltrone e divani di velluto rosso. – Lei è Dorotha? – domandò JJ fermandola prima che potesse andarsene.
    - Si. Sono Dorotha, molto lieta. La signorina mi ha parlato molto di voi, purtroppo non è in casa adesso.
    - Non sa dove potrebbe essere?
    - Dorotha chi c’è? – domandò la signora Prentiss sbucando dal corridoio. Appena vide il team sorrise e i avvicinò contenta. – Benvenuti agenti, sono felice di rivedervi. Come state?
    - Bene, Ambasciatrice. Siamo qui per Emily.
    Hotch sperava con tutto se stesse che la sparizione del cellulare dallo schermo di Garcia fosse solo un caso.
    - Strano. La mia Emily non è in casa… - la donna guardò la domestica.
    - La signorina è uscita questa mattina presto. Doveva incontrarsi con la signorina Amber.
    - Dove? – quello che irritava di più Hotch era i essere seduto in un salotto per sapere dove fosse Emily pur avendo la brutta sensazione che le fosse accaduto qualcosa.
    - Mah… non saprei.
    - Credo siano andate a Central Park. La signorina Amber voleva organizzare una festa. – rispose la cameriera che pareva saperne di più di Elisabeth.
    JJ si alzò in piedi e si avvicinò all’ampia vetrata con gli occhi lucidi. Aveva paura. – Non vi ha detto null’altro?
    Elisabeth Prentiss si massaggiò il collo nervosamente. – Allora era vero che stava lavorando sotto copertura. – disse severa. – Non ho voluto parlarmene e continuava a dirmi di stare tranquilla che non aveva nulla di strano da fare per l’FBI.
    Hotch chiuse gli occhi e li massaggiò reprimendo quelle lacrime che avrebbero voluto fuggire sulle sue guance.
    - Sono certo che Emily stia bene!
    - Dottor Reid… io… - iniziò la donna, ma Dorotha, sedendosi accanto all’ambasciatrice per accarezzarle la schiena, intervenne. – Ieri sera era nervosa, ha mangiato pochissimo e stami è uscita presto. Mi pareva pallida e preoccupata, ma non ha voluto dirmi nulla.
    - Ambasciatrice con lei non ha parlato? – Morgan si spinse oltre.
    La donna si alzò asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di seta. – Se Emily non ha parlato con Dorotha di certo non l’ha fatto con me. – rispose a malincuore. – Fin da quando era bambina io restavo a casa lo stretto indispensabile per cambiarmi o per vedere se Emily stava bene, poi era sempre affidata alle cure di Dorotha.
    - Signora non dica così…
    Hotch si alzò in piedi. – Signora Prentiss dobbiamo sapere se per caso sa qualcosa di Mark Anderson!
    - Perché mi fa questa domanda?
    - Anche la signorina me l’ha domandato ieri sera, signora.
    - Come Dorotha?
    - Mi continuava a domandare nervosa se ricordavo un certo Mark Anderson e qualche giorno prima mi ha domandato del loro governate. Mi ripeteva che la signorina Amber, qualche giorno fa, le ha riferito che questo signore usciva con loro quand’erano ragazzi. Ma lei non si ricorda di lui.
    - Lo conosceva? – domandò Rossi alzandosi in piedi. – Ne è certa?
    - Emily sembrava non ricordarlo, ma io avevo in mente il viso del signorino quando era più giovane. Andavano alle stesse feste e frequentavano lo stesso istituto.
    - Ne è davvero sicura? – Rossi parve in preda ad una crisi di nervi ed anche JJ sembrava particolarmente scossa.
    - Si, si. Ricordo anche che lui odiava essere chiamato Mark e si faceva soprannominare Andy. Però dopo qualche mese siamo partiti per Roma e così credo che la signorina non l’abbia più visto. Io lo ricordo perché spesso andavo a trovare il loro governante, sa, era un caro amico.
    - James?
    - Si agente Hotchener.
    - Sa dirci dov’è adesso Mark Anderson?
    Dorotha scosse il capo. – Mi dispiace, ma mi hanno detto che è partito questa mattina.
    - Dov’era diretto?! – Reid si avvicinò alla donna.
    - Alla… alla sua vecchia villa al mare.
     
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21 replies since 3/2/2011, 21:28   1097 views
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