Phantom from the past

Robin89

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  1. robin89
     
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    Non c’era più l’isterismo, le urla, quella pazzia che l’aveva posseduta, rimaneva solo una rabbia tramutata in silenzio. Non parlava con nessuno, non rispondeva se le rivolgevano la parola, camminava a testa bassa ignorando il mondo circostante, inghiottendo la rabbia dentro di sé.
    Si era fermata poggiandosi al SUV.
    - La sto facendo impazzire Hotch, non mi piace per niente – Derek seguiva i suoi movimenti da lontano.
    - Hai fatto la cosa giusta – gli rispose lui accanto - meglio arrabbiata che in arresto.
    Derek sospirò amareggiato lasciando cadere il discorso, Hotch invece, prima di tornare tutti al dipartimento e poi in albergo, si avvicinò lentamente all’irrequieta profiler.
    Ronnie aveva le gambe incrociate e si passava un proiettile fra le dita che toglieva e rimetteva nella cartuccia della pistola per poi caricare e scaricare l’arma nervosamente, le mani tremavano e intorno a lei solo quel rumore metallico e le luci delle sirene.
    Alzò distrattamente lo sguardo quando vide la figura dell’uomo avvicinarsi nel buio, poi riprese il suo “gioco”.
    Hotch si parò di fronte a lei che sembrava ignorarlo.
    - La vendetta non riporta le cose come vorresti – disse con tono paterno - spero che lo capirai come ho fatto io, quindi per quanto riguarda oggi, ottimo lavoro agente Leane.
    Si allontanò nuovamente lasciandola sola, lasciandola riflettere su quella frase che ancora non accettava con la rabbia e i rumori che essa provocava intorno a lei.
    ****
    Tornarono al dipartimento solo per prendersi le loro borse e dirigersi poi all’albergo, Ronnie camminava avanti a tutti, li precedeva in ogni mossa e fu la prima a rientrare in macchina senza fiatare, ignorò persino Rynolds lasciandosi alle spalle i profiler parlare con lui, informarlo che sarebbero rimasti altri giorni finche Emily non fosse stata dimessa dall’ospedale. Di andare al diavolo Ronnie gliel’aveva già detto e non aveva più nulla di cui parlare con quell’uomo..le aveva già rovinato la vita abbastanza per meritarsi altre sue attenzioni. Arrivarono all’hotel contornati da altrettanto silenzio tombale, Ronnie si limitava a sbattere le portiere senza nascondere il suo nervosismo, poi si ritrovarono nel pianerottolo quando parlò Hotch.
    - Cercate di riposare, sono stati giorni lunghi pesanti, domani mattina andremo all’ospedale da Emily e appena sarà in condizioni di poter volare partiremo subito, la Strauss è alle calcagna.
    Hotch non finì neanche di parlare che fu interrotto dallo sbattersi della porta della camera di Ronnie, si girarono a guardare pensierosi quel pezzo di legno chiuso senza un preavviso, loro si concessero uno scambio di “buonanotte” almeno prima di congedarsi ognuno nelle proprie stanze.

    Ronnie gettò sul letto la pistola e giubbotto, si spogliò in pochi secondi come se i vestiti le dessero un prurito da fermare subito, la prima cosa che fece fu infilarsi sotto l’acqua fredda della doccia, fremeva dal farlo, lo desiderava dal momento in cui entrò in contatto con Howell.
    Fradicia prese la spugnetta rossa che stava nell’angolo e si strofinò con vigore la parte che le era stata leccata dall’uomo con la scure, strofinò con rabbia e singhiozzando senza lacrime lasciando segni rossi sulla pelle, strofinò per far andare via ogni traccia della sua presenza in quel corpo che le era stato violato per due volte, ma l’ultima era stata la peggiore, perché era cosciente .. perché costretta immobile veniva umiliata davanti agli occhi dei suoi colleghi e amici impotenti.
    Sentiva ancora su di lei la mano dell’uomo giocare con il suo seno e la lingua carezzarle il collo, rabbrividì al ricordo e gettò la spugna in un angolo sostituendola con le mani, senza badarsene si graffiò la pelle con le unghie e chiudendo forte gli occhi prese ad abbracciarsi come per proteggersi, come se lui fosse ancora lì a poterla toccare. Si sedette nel fondo della doccia mentre l’acqua le scivolava addosso attaccandole i lunghi capelli alla schiena vergognandosi del suo corpo mortificato, di quello che aveva lui aveva pubblico, neanche in quel momento riuscì a piangere.

    Dopo un’ora che rimase sotto la doccia, si stava asciugando e si accingeva a vestirsi, jeans e un maglioncino leggero chiaro, era ancora scalza quando sentì bussare, istintivamente portò la mano alla pistola, ma rendendosi conto della sciocchezza la ritrasse e si avvicinò piano.
    - Sono Derek, apri. Devo parlarti – la voce risuonò oltre la porta.
    - Io no. Non voglio parlare con nessuno, specialmente con te.
    - Avanti apri! Resto qui a bussare tutta la notte – la minacciò.
    Sapeva che ne era capace, così aprì la porta restia all’imminente dialogo, gli alzò uno sguardo gelido che era un chiaro invito ad uscire da dov’era entrato.
    - Sei convinto di poter venire qui, farmi una ramanzina e risolvere tutto?
    - Voglio solo farti ragionare – rispose lui avanzando nella stanza.
    - Non voglio! Questa volta non bastano due schiaffi a farmela passare! – si mosse per scansarlo e uscire dalla stanza ma lui glielo impedì parandosi di fronte e mettendole una mano sulla pancia.
    - Non provare neanche a toccarmi – ringhiò a voce bassa, gli afferrò il braccio con la mano e glielo spostò bruscamente, lui rispose subito prendendole i polsi con entrambe le mani, glieli sollevò sopra la testa e la spinse contro il muro con le braccia in alto dopo di che si avvicinò con il corpo così tanto da poterle fermare le gambe con le sue, in caso avesse tirato qualche calcio. Ronnie cercava di resistere alla sua forza senza risultati – fammi uscire, ti ho detto che non voglio parlare! – gli gridò sentendo la schiena aderire al muro.
    - Non ci penso neanche! Adesso mi ascolti ragazzina – sbottò lui tenendola in quella posizione.
    - Sei uno stronzo! Non sono la tua marionetta!
    Le sbattè i polsi alla parete con un tonfo, prima di iniziare il discorso aspettò un momento di silenzio da parte sua in cui sussultò al colpo ricevuto.
    - Cosa sarebbe successo se non ti avessi allontanato? – disse guardandola in faccia.
    - Lo sai benissimo, l’avrei ucciso e avrei goduto mentre lo guardavo morire – lei rispose senza guardarlo, fissando un punto distante da lui.
    - No, lui sarebbe morto e tu ora saresti in una cella con due manette al posto suo.
    - Non m’importa lo vuoi capire! L’unica cosa che volevo era vederlo morto e tu mi hai impedito di far finire quest’incubo! – finalmente voltò gli occhi a fissarlo duramente e rispondere con ira - Tu gli hai salvato la vita! Hai salvato la vita a un assassino che ha sparato a Emily! vergognati!
    Derek alzò una mano e Cameron chiuse forte gli occhi convinta di prendersi lo schiaffo più forte di tutti, Morgan picchiò invece un pugno sul muro a un passo dal suo viso facendola spaventare e mozzare il fiato, quella frase aveva scoperto i suoi nervi.
    - Lo sai benissimo che non è vero Cameron! – le gridò in faccia - Lo sai benissimo dannazione! Non ti permettere mai più! Non dire mai più una cosa del genere!
    Ronnie rimase immobile con gli occhi chiusi subendo la sua furia, sentiva il suo respiro pesante scivolarle nel collo, l’aveva provocato parecchio e si pentì di quella frase nel momento in cui la sentì nell’aria.
    Restarono in silenzio per qualche secondo in cui Derek cercò di farsi scivolare quelle parole di dosso, era arrabbiata e non sapeva cosa diceva pensò, ma aveva esagerato, quello schiaffo avrebbe dovuto meritarselo.
    - Non avresti ottenuto niente, è quello che voleva lui lo capisci? – riprese cercando di riprendere il controllo - L’avresti ucciso, sì, per lui sarebbe finita in quel momento e per te sarebbe iniziata la fine della carriera.
    - Ne sarebbe valsa la pena.
    Le picchiò nuovamente i polsi al muro sentendo un rumore sordo - SMETTILA! Smettila di darla vinta a lui! - Ronnie aveva chiuso di nuovo gli occhi sentendo male ai polsi, aspettava nella paura che Derek la finisse di sbraitarle contro, lo detestava quando la trattava così, la spaventava e se non era lei ad avere il controllo della situazione questo la mandava in tilt. Era immobilizzata e non aveva il coraggio di affrontarlo, si sentiva nuda, scoperta, vulnerabile.. come faceva a sentirsi nuda anche in quell’occasione?
    - Mi stai facendo male, lasciami – gli disse con aria sofferente, ancora non lo guardava.
    Ubbidì lasciandola lentamente e notando il rossore dei polsi si sentì in colpa, lei abbassò le braccia e la testa verso queste mentre prese a massaggiarsi le parti rosse, lui si limitò a fissarla e calmandosi un po’ sospirò.
    - Lo avresti ucciso, ma i tuoi incubi e le tue paure non sarebbero morte con lui, forse è quello che pensavi in quel momento ma quando ti saresti guardata allo specchio avresti visto un’assassina non un agente federale. Saresti diventata uguale a lui e dopo aver avuto la tua vendetta personale ti saresti accorta dell’errore troppo tardi, quando nessuno ti avrebbe potuto aiutare saresti finita in carcere al posto suo, perché per loro non era un serial killer, era un uomo ferito e disarmato. Era questo che volevi? Dovevo lasciarti diventare un’assassina? Dovevo lasciarti distruggere la tua vita perché hai perso la testa in un momento di rabbia?
    Cameron lo ascoltava senza proferire parola, in silenzio e a testa bassa veniva colpita con vergogna da quella verità. Derek le tirò su il viso senza ottenere però il suo sguardo.
    - Dovresti essere fiera di quello che sei, un’agente federale che ha fatto il suo lavoro..non delusa per non essere diventata un’assassina e ti dico un’altra cosa Ronnie, sono orgoglioso di te, perché ti sei fidata di noi, ti sei fidata di me e hai messo la tua vita nelle nostre mani, lascia almeno che la salvi fino infondo.
    Vide il suo viso bagnarsi di lacrime che cadevano nel pavimento e non emettevano nessun suono.
    - Ci sono momenti in cui il nostro lavoro fa schifo e in cui sei guidato solo dalla vendetta e dall’odio.. e in cui saresti in grado di trasformarti in uno di loro – disse senza nessuna emozione.
    - Lo so’, per questo cerchiamo di aiutarci fra di noi, altrimenti diventiamo pazzi.
    Ron si asciugò una lacrima con le dita, imbarazzata sollevò la testa e Derek notò i graffi sul collo preoccupandosi ancora di più dello stato mentale in cui stava nascosta Ronnie. Non disse niente limitandosi a continuare.
    - Vorrei non vederti così ma faccio quello che posso, vorrei che avesse quello che si merita quanto te ma possiamo limitarci al nostro spazio..il resto non è compito nostro, mi dispiace.
    - Sono solo arrabbiata perché non è giusto, non doveva finire così, Emily non doveva essere ferita, lui non dovrebbe essere vivo, e io non dovrei sentirmi sconfitta, ma è così che mi sento e ancora non posso farci niente.. mi dispiace per quella frase, non te la meritavi.
    - Lo so’, hai la lingua troppo lunga.
    Ronnie restò in silenzio e avvolta nell’imbarazzo, quel senso di vergogna per essere stata “stuprata” davanti a loro era ancora ben vivo e adesso era di fronte a uno del suo pubblico, il coraggio di affrontare come prima il loro sguardo sarebbe cresciuto col tempo.
    - Beh non me lo chiedi un abbraccio? – chiese lui con tono retorico e impaziente.
    - Cosa stai aspettando? È tanto tempo che ne ho bisogno..
    Se l’avvicinò subito e questa volta era tutt’altro che violento, Ronnie abbandonò la testa sulla sua spalla ricacciando indietro le lacrime e poco dopo si beò delle carezze che riceveva alla schiena e ai capelli.
    - Passerai anche questa – le disse armoniosamente.
    - Sono stanca di passarci sopra, vorrei qualche soddisfazione ogni tanto.
    - Arriveranno anche quelle – continuò a carezzarla.
    Ronnie in quel momento se fosse stata un gatto avrebbe fatto le fusa - Rimani sempre uno stronzo anche se mi coccoli – disse a occhi chiusi godendosi la protezione delle sue braccia.
    - E tu una stupida ragazzina esaurita.

    Continua…

    commenti tesore ^^

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  2. robin89
     
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    Erano le prime ore del pomeriggio e dopo aver lasciato la stanchezza nei letti d’albergo si erano diretti subito all’ospedale aspettando impazienti quella notizia che allietò i loro sorrisi e i loro cuori.
    Cameron quella mattina non riuscì a dormire, troppi pensieri brulicavano ancora nella sua testa che non riusciva a mettere in stand-by, quando riuscì a prendere finalmente sonno venne svegliata, facendole dimenticare la possibilità di riposare.
    La ferita e la vergogna subita quella notte era ancora aperta e la rabbia non era ancora passata nonostante il tentativo di Derek di riportarla coi piedi per terra, era troppo presto per accettare ancora tutto, così il suo atteggiamento non era cambiato in quelle poche ore, restò piuttosto silenziosa e diffidente con tutti, meno con Derek, ma la sua presenza restò comunque nell’ombra e tra i pensieri preoccupati di Hotch e Reid.
    Poi improvvisamente, come quando la primavera bussa alle porte portando una ventata di colore dopo le tempeste buie dell’inverno, i profiler in sala d’attesa ricevettero la notizia del risveglio di Emily.

    L’ultima cosa che aveva visto prima di perdere coscienza era il panico di Derek, l’ultima cosa che aveva visto in sogno era il suo sorriso, la prima cosa che vide quando aprì gli occhi fu il suo viso di fronte al suo.
    - Bentornata dolcezza - gli occhi di Derek le brillavano di felicità a breve distanza mentre le teneva una mano fra le sue, guardava il suo viso pallido contornato dai capelli neri che risaltavano nel cuscino bianco.
    Lei si limitò a sorridergli e prima di parlare si guardò attorno, una camera d’ospedale e una cannula nasale per farla respirare, un dolore lontano le prendeva il fianco sinistro quando cercò di muoversi nel letto rialzato, ancora debole e un po’ confusa la prima cosa che le venne in mente fu il come fosse arrivata in quel posto.
    - Cos’è successo? – chiese riportando gli occhi sui suoi, l’unica cosa che le dava sicurezza in quel momento.
    - Stavamo per entrare in casa dell’S.I., Thomas Howell, prima che ti sparasse, ti ricordi?
    In un baleno appena udita quella frase le ritornò alla mente la scena come se fosse in terza persona e mille pensieri le invasero la mente, facendo volare il suo battito alle stelle.
    - Dov’è lui? Dove sono gli altri? Come sta Ronnie? - cercò di mettersi seduta mentre Derek aggrottò la fronte.
    - Ehi sta ferma! – poi posò lo sguardo sul cardiogramma notando l’agitazione che aveva provocato quella frase – calmati non devi agitarti Emily, stanno tutti bene, l’S.I. è stato arrestato prima dell’alba e..
    - … quel bastardo non è morto? – lo interruppe lei guardandolo con delusione.
    Derek si sentì colpito e affondato in quel momento, riprese con tono titubante – no.. non è morto, abbiamo organizzato il piano con Ronnie ed è andata così, mi dispiace. L’importante è che sia finito tutto – aggiunse amareggiato -torniamo a casa appena verrai dimessa, tra un paio di giorni.
    - Ma io sto bene, voglio uscire di qui – disse decisa.
    - No, tu non vai da nessuna parte, te ne stai buona finche non lo dice il medico.
    - Sto bene ti dico! Posso andare via anche oggi stesso – continuò testarda.
    - No! La smetti di fare Ronnie? Voi due mi farete impazzire!
    - Perché? Non sei già pazzo di me? – fece smorfiosa lei.
    Derek si avvicinò al viso – sì, da morire – le baciò le labbra, entrambi impazienti di quel tocco si lasciarono andare in un attimo di passione. Si staccò poi dal suo viso guardandola serio negli occhi.
    - Mi hai fatto venire un infarto quando ti ha sparato, credo di aver avuto paura per la prima volta in tutta la mia vita.
    - Pensavi davvero che avrei lasciato Meredith nelle tue mani? Devi ancora imparare a metterle i pannolini, non te la scampi così facilmente! – lei era tutt’altro che seria, cercava di scrollarsi di dosso la paura e di mostrare solo il lato positivo.
    In quel momento la porta si spalancò facendo entrare Ronnie.
    - Quanto ci mettete voi due a farvi le fusa? Lascia un po’ di Emily anche per noi Derek - esclamò avanzando nella stanza. Lui si voltò prima da lei poi da Emily che lo guardava divertita – gelatina rossa tesoro, tra 2 minuti sul mio tavolino.
    - Ai vostri ordini – si arrese lui scuotendo la testa, si alzò spostando la testa di Ronnie da un lato con una mano prima di uscire e Cameron prese così il suo posto nella sedia accanto a Emily.
    - Come stai? – le chiese subito.
    - Potrei stare meglio senza un buco nella pancia, tu?
    Fece spallucce – anch’io bene, anche se potremmo stare meglio entrambe.
    - Sono contenta che sia finito tutto bene, ha detto Derek che avete organizzato un piano stanotte.
    - Sì, lo abbiamo arrestato, è finito tutto – rispose Ronnie nascondendo i suoi veri pensieri.
    - Beh dovrete raccontarmi tutto per filo e per segno – si scurì in viso diventando seria – mi dispiace non averti aiutata fino alla fine.
    - Meglio così, non avrei sopportato un'altra vita sulla coscienza, meno eravamo meglio era, almeno per me. Tu vedi di rimetterti in piedi in fretta, odio Los Angeles.
    - Fosse per me andrei via oggi stesso ma Derek mi legherebbe al letto.
    - Beh anche Hotch… e non sarebbe male – un sorriso malizioso ricoprì le sue labbra e scoppiarono entrambe a ridere.
    La porta si aprì nuovamente facendole voltare su un Derek sorridente con un barattolino di gelatina rossa e un cucchiaino a portata di mano, in quel momento Emily notò un graffio sul labbro di Ronnie.
    - Che cos’hai al labbro? – le chiese preoccupata che fosse il ricordo di un'altra lotta con l’S.I.
    - Non è niente è solo un graffio..
    - È stato l’S.I.? – continuò lei.
    - No tranquilla, è stato il tuo dolce Derek..sai – occhi maliziosi - è che a letto gli piacciono gli schiaffi.
    Il viso di Emily divenne bordeaux e chiuse gli occhi a fessura su di lei che fulminata in quello sguardo si prese un'altra pacca da Derek – vuoi un altro schiaffo ragazzina? Quello te lo sei meritata, Emily dovevi vederla, era una pazza isterica.
    - E voi due volete finire in ospedale al posto mio per caso? Immagino avrete un sacco di cose da raccontarmi quando uscirò di qui.
    Ronnie fece una smorfia a Derek.
    - Possiamo raccontarle anche noi? – la voce di Reid entrò nella stanza insieme alla presenza di un Hotch sorridente accanto a lui.
    La famiglia si riunì intorno ad Emily che si riempì di sorrisi, risate e chiacchiere persee dimenticate in quei giorni orribili.

    Continua….

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  3. robin89
     
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    fazzoletti in mano, almeno per me :cry:


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    Erano trascorsi due giorni dal risveglio di Emily in cui il team era passato dall’albergo all’ospedale al dipartimento, Emily litigava ogni minuto con i medici per farsi dimettere al più presto, Derek stava ai suoi ordini e Hotch cercava di mantenere il gregge unito. Ronnie risultava perennemente con la testa fra le nuvole, ancora di più quando ricevette la notizia che Thomas Howell era vivo e sarebbe stato chiuso in carcere in attesa del processo.
    - Dov’è Leane? – chiese Hotch guardandosi attorno, erano al dipartimento pronti per raggiungere l’aeroporto.
    - Mi ha mandato un messaggio e ha detto che ci raggiunge direttamente sul jet – informò Reid a mani in tasca.
    - Nessuno ha idea di dove possa essere andata?
    - Io un’idea ce l’avrei – rispose Derek.
    - Allora vai a prenderla, non voglio che giri da sola con i giornalisti alle calcagna.
    Derek annuì prendendo le chiavi del SUV mentre si allontanava dai compagni.

    Il prato del cimitero era verde e nell’aria c’era una leggera brezza che scompigliava le foglie degli alberi provocando una dolce melodia, non era una bella giornata di sole come l’ultima volta che c’era stata, era un cielo uggioso, grigio, triste e conferiva al paesaggio un’atmosfera pacifica come se esistesse solo lei al mondo.
    L’erba spettinata passava sotto i suoi stivali finchè questi si fermarono davanti a due lapidi, si fermarono anche i suoi occhi a leggere quei nomi scolpiti nella pietra che non vedeva da tanto tempo.
    Infilò la mano in tasca e prese la collana d’oro della madre, si avvicinò al giardinetto della tomba e scavò una piccola fossa con le mani, il tanto da metterci dentro la catenina e ricoprirla poi con la stessa terra. In 12 anni non era mai andata a trovare i suoi genitori nella loro nuova “casa” nonostante andasse in quel cimitero almeno una volta al mese da circa due anni. Rimase in silenzio, senza passare altro tempo davanti alla tomba Leane proseguì il suo cammino tra le tombe e dopo una certa distanza le comparve davanti il vero desiderio per quella fuga dal team, fermò gli occhi e sospirò, la sensazione di malinconia e tristezza la pervase subito, sempre la stessa ogni volta che andava a trovarlo. Dopo aver dato un’occhiata al sepolcro prese il mazzo di fiori colorati sulle tonalità del rosso, bordeaux e fucsia che aveva appena comprato e cominciò a decorare come più le piaceva il piccolo giardinetto.
    Una volta finito, soddisfatta del suo lavoro si sedette di fronte alla lapide incrociando le gambe e poggiando la schiena nell’albero rigoglioso che emanava un profumo delicato e speziato.
    Fissò il suo nome nel marmo in silenzio, MATT SPICER, prima di muovere le labbra per sussurrare con voce che tremava.
    - Vorrei che fossi qui.. vorrei sentire ancora la tua voce consolarmi anche a miglia di distanza, mi mancano i tuoi consigli sai? Mi manca la tua sicurezza, mi mancano i tuoi rimproveri, mi manchi perché eri la mia forza quando non riuscivo ad andare avanti – distolse gli occhi da quel punto fisso posandolo sui fiori - perché mi hai fatto rinascere e mi hai preso per mano portandomi fin qui – un nodo alla gola stava salendo prepotente, inghiottì girando gli occhi verso l’alto facendo un profondo respiro ma una lacrima corse silenziosa sulla guancia, continuò ignorandola - ti ricordi l’uomo con la scure? Quello che ha dato inizio alla mia seconda vita – disse alzando un sopraciglio sarcastico - beh lo abbiamo arrestato e sai cosa mi ha detto? Che devo ringraziarlo perché senza di lui forse non mi avresti mai salvata – si fermò dopo quella frase assaporandone l’assurdità – mi sembra di sentirti, mi diresti di smetterla di piangere e di essere soddisfatta di quello che ho fatto, di aver sconfitto il mio incubo peggiore, ma non ci riesco.. perché non ci credo, perché ha maledettamente ragione e vorrei che fossi qui per dirmi che non è vero, vorrei che fosse tutto come prima – chiuse gli occhi e le lacrime aumentarono una dietro l’altra portandola a singhiozzare, continuò a parlare con la voce rotta dal pianto che non fermava quello sfogo tanto atteso – non ho sconfitto nessuno perché lo sento ancora dentro di me, si è impossessato del mio corpo e non riesco a togliermelo di dosso, è sempre dietro l’angolo a spiarmi e pronto a farmi cadere e anche se non c’è più lo vedo continuamente e se forse l’avessi ucciso non mi sentirei così, non sarebbe tutto ingiusto e sbagliato – nell’aria c’era solo il suono dei singhiozzi che si erano tinti di rabbia – mi ha distrutto, mi ha umiliato davanti a tutti in un modo che mi fa impazzire e ogni volta che incontro i loro sguardi vorrei fuggire e nascondermi da tutto quello che hanno visto – pianse tutte le parole e la frustrazione che aveva dentro - pretendono che accetti la sua salvezza, perché il mio lavoro è questo e non devo uccidere le persone.. allora il mio lavoro fa schifo ed è questo che mi uccide..
    Sentiva le guance bagnate con gli occhi che esplodevano come dighe, affondò la testa nelle braccia e aspettò che finissero anche quelle lasciandole lì nell’erba insieme al suo dolore.
    Lentamente gli occhi smisero di lacrimare e i singhiozzi diminuirono fino a scomparire lasciandola con gli occhi chiusi e un respiro regolare tra le sua braccia, la brezza le fece sentire freddo alle guance quindi si passò una mano sul viso bagnato scacciando le ultime lacrime rimaste a mezz’aria.
    Si alzò piano e restò in piedi davanti alla tomba, ferma ancora qualche secondo a fissare quei bei fiori colorati che splendevano in mezzo a quella lapide grigia, fece un profondo respiro e riprese controllo delle proprie emozioni distogliendo lo sguardo altrove.
    - Me faltas mucho papa’* – disse a voce bassa lasciando un ultimo sguardo alla tomba, voltandosi riprese il suo cammino da dove era arrivata, circondandosi di nuovo di silenzio.

    Metteva un piede avanti all’altro e teneva la testa bassa, guardando a poco a poco l’erba che veniva calpestata sotto i suoi piedi, quando alzò la testa riconobbe la figura di Morgan, poggiato tranquillamente al SUV che aspettava solo lei con un paio di occhiali da sole che non c’era, si chiese da quanto tempo la stesse aspettando e lo ringraziò mentalmente per averle lasciato quella privacy, si scambiarono un’occhiata mentre Ronnie gli andò incontro.
    - Che ci fai qui? – gli chiese fermandosi davanti a lui - Ho detto a Reid che vi avrei raggiunto nel jet.
    - Hotch non vuole che gironzoli da sola, sono ancora la tua guardia del corpo finche non andiamo via da LA ti ricordo.
    - Ma io non ho detto a nessuno che sarei venuta qui – continuò lei con aria perplessa.
    - Infatti a me non c’è bisogno che dici niente, possiamo torniamo a casa adesso?
    Dopo averlo fissato negli occhi per tutto che l’aveva incontrato, annuì senza rispondere, ancora immersa nella freddezza dei suoi pensieri.

    Continua…

    * me faltas mucho papà= mi manchi tanto papà

    Edited by robin89 - 29/4/2011, 17:30
     
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  4. robin89
     
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    Fuori era notte fonda e l’edificio in cui si trovavano era illuminato solo dai raggi della luna che entravano dalle ampie finestre a vetrate che percorrevano il lungo corridoio.
    “Finirà tutto oggi”. Cameron continuava a ripeterselo mentre superava con la poca freddezza accumulata i corpi di Hotch, Reid, Emily e Rossi uno dopo l’altro. Chi giaceva riverso sul pavimento, chi su delle scale di ferro con ancora la pistola stretta fra le mani, i loro corpi fradici di sangue senza nessuna espressione negli occhi.
    Derek e Cameron arrivarono alla fine di un largo corridoio ed entrarono in un’ ampia stanza che faceva da magazzino, qui c’era una piccola rientranza nel muro in cui potersi nascondere almeno per pochi minuti per dare respiro al fiatone, Ron rimase piegata con le mani poggiate sulle ginocchia stremata, Derek poggiò la schiena al muro e buttò la testa all’indietro chiudendo gli occhi. Nessuno disse niente almeno per i primi secondi, sapevano bene a cosa stavano andando incontro e non c’era molto da dire.
    Cameron ruppe il silenzio aprendo il caricatore della sua pistola e già consapevole scosse la testa.
    - Quanti proiettili hai ancora? – chiese Derek senza girarsi.
    - Tre ..
    Derek aprì il suo caricatore e cominciò a svuotarlo.
    - Che stai facendo?
    - Ti do un po’ dei miei..
    - No!
    - Ora siamo pari, anzi.. ne hai uno in più di me in caso io morissi prima..
    Quella frase la fece rabbrividire.
    - Derek, non voglio ..tienili per te.
    - Shh, ho deciso così..basta.
    Gli aveva preso la pistola dalle mani e gli aveva messo lui stesso i proiettili all’interno con movimenti decisi e freddi. Quando gli rimise l’arma fra le mani questa si bagnò di una lacrima scesa da una guancia di Ronnie che continuava a tenere lo sguardo sulla pistola.
    Lui si girò verso di lei e con una mano gliela asciugò.
    - Andrà tutto bene.
    E come poteva andare tutto bene? Pensò lei, erano almeno una decina e loro erano rimasti solo in due, era una pazzia.
    - Voglio che mi prometti una cosa – continuò lui.
    Ron alzò uno sguardo triste e rassegnato - Cosa?
    - Qualsiasi cosa accada, non devi farti distrarre da quello che succede a me. Ognuno di noi pensa a sé stesso..chiaro? forse così possiamo cavarcela.
    - Mi stai chiedendo di non guardarti le spalle?
    - Ti sto chiedendo di salvare le tue, alle mie ci penso io.
    Cameron non rispose, non riusciva ancora a credere che fossero davvero arrivati a quel punto.
    - Non sento risposta.
    - Okay, te lo prometto.
    Di nuovo una pausa poi parlò Cameron.
    - Derek, voglio che sappia che sei stato e sarai sempre il mio migliore amico qualunque cosa succeda, non avrei potuto desiderare di meglio…
    - Ron…
    - …e che siete stati la mia prima vera famiglia..
    - Ronnie, smettila.
    Sentirono dei rumori insieme a delle voci provenire dal corridoio.
    - Stanno arrivando – Derek si girò verso di lei e le diede un bacio sulla fronte, un addio.
    - Al mio via usciamo, ricordati la promessa.
    Lei annuì preparandosi allo scontro, si affiancò a lui e aspettò che succedesse qualcosa.
    - Pronta?
    - No, prendilo come un sì – sospirò – ti voglio bene Derek.
    - Anch’io Ronnie, sempre - chiuse gli occhi - per la squadra?
    - Per la squadra.
    Dopo di che passarono pochi istanti.
    - Via!

    Uscirono allo scoperto sparando per primi e uccidendone subito un paio, la risposta fu una scarica di mitraglietta che riuscirono a schivare correndo in direzioni opposte. Il seguito fu un botta e risposta di spari uno contro l’altro uscendo per colpire e ripararsi subito dopo, fu così per un tempo che Ronnie non riuscì a calcolare.
    Derek dietro un pilastro ormai non più sicuro si buttò allo scoperto, corse rimanendo basso mentre un’altra scarica di mitraglietta seguiva i suoi movimenti fino al suo nuovo nascondiglio, riuscì ad arrivare dietro dei bidoni di metallo e aspettò il momento giusto per rispondere, si alzò di scatto e ne uccise un altro con un colpo, i loro aguzzini indossavano tutti una maschera bianca con uno smile rosso. Cameron nello stesso tempo, anche lei dietro uno dei pilastri, uccise un altro uomo che veniva dalle scale dietro di lei, appena sentì smettere il fuoco nemico si girò allo scoperto per raggiungere un nascondiglio più avanti all’angolo della struttura, corse più veloce che potesse fare nella direzione scelta e cadde per terra quando sentì un proiettile traversarle la coscia destra, la pistola era scivolata a qualche passo da lei. Adesso erano rimasti loro due contro tre nascosti in qualche punto davanti a loro, Cameron stava per terra mordendosi le labbra per non urlare dal dolore, si trascinò verso la pistola e da quella posizione poteva vedere Derek alla sua sinistra, era distante una quindicina di metri e aveva visto tutta la scena consumarsi in pochi attimi, si guardarono per un momento e Derek si alzò in piedi puntando la pistola verso chi le aveva sparato, lo colpì al petto uccidendolo sul colpo, Cameron prese la pistola e restando sdraiata uccise il penultimo uomo dietro il suo amico. L’ultimo uscì all’improvviso senza dare il tempo a Derek di girarsi, così cadde per terra colpito alla testa restando immobile mentre intorno a lui si formava una macchia di sangue. Cameron si portò in avanti trascinandosi sempre con i gomiti per cercare di raggiungerlo, rimaneva solo lei con l’ultimo proiettile e colui che aveva appena ucciso il compagno. Questo si avvicinò a lei lentamente, quando Ron vide l’ombra farsi grande dietro di lei si girò supina di fronte a lui, voleva prendere la pistola e puntargliela addosso ma non riusciva a muoversi, come quando nei sogni si vuole correre e restiamo immobili con il panico che cresce, vide l’uomo alzare la sua contro di lei e l’ultima cosa che vide fu una maschera bianca con uno smile rosso.

    Le urla improvvise fecero sobbalzare tutti i presenti sul jet puntando gli occhi su Cameron.
    - Svegliati Cameron! Svegliati!
    Derek scuoteva Ronnie che gridava il suo nome mentre si agitava e urlava di paura a occhi chiusi, dopo alcuni scossoni si svegliò bruscamente aprendo due occhi terrorizzati su di lui.
    - Era solo un incubo stai tranquilla – si affrettò a dirle Derek.
    Spaventata fece un balzo di lato, si alzò in piedi e raggiunse in fratta la parete del jet presa dal panico, con le immagini dell’incubo ancora vivide davanti a lei faticava a capire dov’ era, tremavano mani e gambe, respiro pesante e quello che vedeva non corrispondeva alla realtà.
    Derek le andò incontro vedendo nei suoi occhi tutto il terrore e la perdizione di quegli attimi.
    - Non mi toccare! Non mi toccare! – gli gridò.
    - Cameron sono Derek! Ehi guardami! – le prese il viso fra le mani - Sei sul jet e stiamo tornando a Quantico, hai fatto un incubo e adesso sei al sicuro, non c’è nulla da aver paura.- Ronnie restò così almeno per un paio di minuti interminabili in cui tutti si chiedevano cosa le avesse preso..cercò di capire le sue parole, si guardò attorno e si accorse lentamente delle condizioni in cui era, era terrorizzata con tachicardia a mille, sudava, tremava e aveva allucinazioni, si trovò di fronte 5 paia di occhi che la osservavano preoccupati e lei osservava loro confusa mentre piano i sintomi si affievolivano.
    - Cos’è successo? – chiese ancora incollata alla parete.
    - Stavi dormendo e ti sei messa ad urlare così ti ho svegliato.
    Non rispose imbarazzata, posò gli occhi su ognuno di loro provando un grandissimo senso di disagio.
    - Scusatemi – lo scansò e fuggì verso il piccolo bagno del jet sentendo i loro sguardi seguire i suoi movimenti.
    Posò le mani sul lavandino dopo aver chiuso la porta, che diavolo le era preso? Era solo un sogno ma non era lei ad avere il controllo della sua mente poco prima e questo la stava spaventando, quello che vedeva era così reale.
    Si sciacquò il viso e restò lì dentro indecisa su quando tornare fuori e affrontare i loro sguardi interrogativi.

    Si era seduta infondo al jet, guardava fuori dal finestrino mentre gli altri cercavano di dormire ed era calato il silenzio, improvvisamente si alzò Reid che da quando era rientrata la osservava di sottecchi. Le si sedette a fianco facendola voltare con un piccolo sorriso di copertura.
    - Tutto okay? – le chiese a bassa voce per non svegliare gli altri.
    - Sì sto bene, grazie, era solo un sogno.
    Reid ci aveva pensato bene a cosa dire prima di avvicinarsi e ci andò piano.
    - Non era solo un sogno, hai avuto un attacco di panico.
    Ronnie si congelò all’istante e non rispose, aspettando ancora la voce di Reid che arrivò subito dopo con tono affettuoso e preoccupato.
    - Sarebbe normale dopo quello che hai passato in questo periodo, gli attacchi di panico possono essere causati da forte stress, ma sono anche pericolosi..dunque è meglio se lo dicessi a qualcuno quando torniamo a Quantico, okay?
    - Era solo un brutto sogno e mi sono svegliata male, tutto qui, non succederà più stai tranquillo.
    - In caso cambiassi idea, conosco qualcuno che ti aiuterebbe.
    - Grazie – mugugnò risparmiandosi il “ ma non ne ho bisogno”. Reid corrugò la fronte quando lei riprese gelida a osservare fuori dal finestrino, lo vedeva che si era tesa di colpo e quasi si sentì in colpa, la osservò ancora un attimo – prova a dormire, anche se non ci riesci, tanto lui non è più qui – quando si voltò le fece uno di quei sorrisi timidi ma che valevano mille parole, lei lo ricambiò e lo vide alzarsi per andare a sdraiarsi sul divano.
    Ronnie gli voleva bene e sapeva quanto lui ci tenesse a darle una mano quando si trattava di riportarla “nella retta via” e l’aveva già fatto una volta, gli piaceva il suo modo di prendersi cura di lei. Pensò paurosamente che Reid avesse ragione, non era normale quello che era successo minuti prima ma allo stesso tempo scacciava quell’idea, auto-convincendosi che lui aveva solo sopravvalutato l’episodio, altrimenti sarebbe stato come darla vinta un’altra volta all’uomo con la scure, avendola marchiata fino all’inconscio, fino a questo punto e lei non era pronta per ammetterlo, decisamente non era pronta per tutto quello che le stava succedendo.

    Continua…

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    Edited by robin89 - 30/4/2011, 14:59
     
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  5. robin89
     
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    una parte dedicata a Emily+ e un omaggio ad Unsub con tanto affetto che immagino gradirà ^_^ se ci sei batti un colpo, ossia lascia un commento (di tre pagine ad esempio) :rolleyes:


    Aaron Hotchner aprì la porta di casa dopo quei cinque giorni drammatici che sperava finissero in fretta, molto più di un qualsiasi altro caso e quello che vide davanti a sé era ciò che aspettava con un sorriso a increspargli le labbra al solo pensiero. La prima cosa che sentì una volta varcata la porta furono i passi precipitosi di Jack che scendeva le scale gridando – papà papà! sei tornato! - correva giù con un largo sorriso a illuminargli il volto e quando fu abbastanza vicino Hotch lo sollevò tra le braccia nonostante si stesse facendo pesante.
    - Hey campione!- lo salutò spettinandolo - hai fatto da bravo?
    - Sì – esclamò con entusiasmo – e tu hai arrestato i cattivi?
    - Sì, ho arrestato i cattivi e adesso sono tutto tuo – i loro sorrisi s’incrociarono. Era bello tornare a casa e indossare i vestiti di un padre.


    Derek teneva in braccio la piccola Meredith che non faceva altro che guardarlo con occhi sognanti e sorrisi di risposta alle parole del padre.
    - Ti sono mancato anch’ io, vero piccola mia? – sembrava una bambola di porcellana tra le mani grandi e scure di Derek che la cullavano dolcemente.
    - Hai visto? Mi ha sorriso di nuovo – esclamò entusiasta voltandosi verso Emily sul divano.
    - Vuoi andare dalla mamma? – le chiese vedendola sporgersi oltre il suo braccio verso la madre – okay vai dalla mamma – disse rassegnato.
    Emily era sdraiata nel divano, impossibilitata a muoversi e a stare troppo tempo in piedi, era già tanto che l’avessero dimessa e permesso di affrontare il viaggio dopo essersi beccata un proiettile al fianco.
    - Stai attento prima che ti cada, fai piano! Tienile la testa! – ansiosa Emily allungò le braccia a quelle di Morgan che gli posò la “bambolina” sorridente nel petto dove poteva tenerla abbracciata.
    - Tranquilla so prendere mia figlia, lo so che non ho un S.I. tra le mani.
    Emily si sdraiò nuovamente tra i cuscini dove poteva godersi sua figlia in tutta tranquillità sotto due occhi sorridenti di Derek che prese posto vicino a lei.


    Spencer sedeva per terra, tra i cuscini davanti al camino che emanava le luci soffuse del fuoco a illuminargli i capelli color miele, al suo fianco sua moglie Sarah Collins e intorno a loro Christopher ed Elisabeth saltavano e ridevano tra le braccia di Reid che assecondava i loro giochi.
    Aveva passato dei buoni tre quarti d’ora a raccontare a Sarah tutti gli avvenimenti da quando Ronnie aveva cominciato a essere pedinata dall’uomo con la scure, l’aggressione, le dimissioni e i motivi che l’avevano portata a quella scelta, infine il lungo racconto travagliato e dettagliato dell’intera indagine a Los Angeles cominciata con la ricerca di Ronnie alla caccia dell’S.I. finita con il suo arresto e il loro atteso ritorno a casa.
    - Zia Ronnie vi ha fatto arrabbiare? – chiese Chris udendo di sfuggita una parte del discorso.
    - Zia Ronnie verrà presa a calci per questo tesoro mio – gli rispose Sarah con un sorriso dolce e malefico sotto le ciglia, si era ammutolita per tutto il tempo che ascoltava il prolisso racconto di Reid mentre dentro di lei cresceva la voglia di uscire e andare a prenderla a calci, ma per ora poteva aspettare, quella notte era tutta sua con Spencer a illuminare di nuovo la sua vita.


    Cameron spense il motore del SUV e restò ferma a osservare l’ingresso di casa sua immersa nel buio. Era passata una settimana o più da quando l’aveva lasciata senza la speranza e l’intenzione di farci ritorno, strano pensò..come tutto può cambiare e come può cambiare la tua vita in un attimo, per scelte, tue o non tue. Sospirò e si decise ad entrare dopo aver passato un bel quarto d’ora imbambolata in macchina a fantasticare su quello che era successo in tutta quella settimana che sembrava non finire e adesso era solo un brutto ricordo.
    Aveva cominciato a sentire l’odore di casa da quando era scesa dall’aereo e si sentì immensamente bene, girò la chiave e lentamente aprì la porta con una mano sulla pistola, sapeva che non c’era nessun pericolo, era in carcere a miglia di distanza, ma in quel periodo era diventata un’ossessione così spalancò la porta aspettando chissà cosa, allungò il braccio per accendere la luce e dopo aver dato una prima occhiata all’ingresso capendo che non c’era niente di cui preoccuparsi, entrò chiudendosi la porta alle spalle. C’era silenzio e odore di chiuso, si poggiò alla parete e guardò quello che aveva di fronte, il suo appartamento era ancora lì, identico a come lo aveva lasciato, come se stesse vivendo un flash-back portò gli occhi alla parete sinistra, uno specchio rotto primeggiava sul muro con pezzi di vetro ancora sparsi sulla moquette verde scuro, lì il tempo si era fermato ed era una cosa che non avrebbe potuto vedere un attimo di più. Avanzò nell’appartamento e rinfoderò la pistola, venne assalita da una fretta improvvisa, la fretta di eliminare ogni ricordo da quell’appartamento, ogni briciola che riconducesse a quel giorno, si tolse il giubbotto posandolo sul divano e si diresse subito in cucina tornando con una serie di oggetti. Per prima cosa staccò lo specchio dal muro dal quale il suo riflesso si moltiplicò in tante piccole facce distorte contornate da fili di sangue incrostato sui bordi del vetro, lo infilò dentro una busta di plastica che posò vicino, poi prese scopa e paletta e cominciò a raschiare i pezzetti luminosi dalla moquette provocando un rumore stridulo, infine gettò il tutto dentro la busta, ora fu il turno del coltello, s’ inginocchiò per terra e senza delicatezza prese a tagliare la moquette, le macchie di sangue secco insieme agli altri pezzi di vetro più piccoli finirono nella busta insieme alla moquette ritagliata che lasciava un rettangolo vuoto di legno sul pavimento.
    Si alzò indolenzita guardando il lavoro finito chiedendosi se fosse abbastanza, ma non lo era, avrebbe ripulito la casa da cima a fondo fino a togliere ogni briciola di quel giorno. Si sedette stanca sulla poltrona guardandosi intorno, c’era ancora parecchio da fare per riportarla come nuova ma almeno la vista dello specchio e del sangue a ricordarle la violenta colluttazione era sparita, rimanevano solo delle macchie scure che tracciavano un tragitto fino alla poltrona, distolse gli occhi pensando che avrebbe fatto meglio a farsi una nuova moquette prima di renderla a brandelli, sbuffò e decise di andare a buttare la spazzatura fuori aprendo una finestra prima di uscire.

    Ronnie era sulla soglia del portone in procinto a rientrare quando sentì dei movimenti provenire da un cespuglio. Si sporse oltre gli scalini cercando di vedere qualcosa tra le foglie,al buio.. e dopo qualche istante lo trovò. Un gattino miagolava nascosto dietro una pianta vicino al muro, tremava di freddo e posò due occhioni celesti su quelli scuri di Ronnie che sorrise alla sua vista.
    - Ciao.. e tu chi sei?
    Il micetto miagolò continuando a guardarla con curiosità.
    La profiler si chinò sulle ginocchia e porse una mano vicino al muso lentamente, si fece avanti una pallina di pelo soffice e miagolante, era nero con il corpo beige, un siamese tutto da strapazzare. Le annusò le dita poi piegò la testa sotto la mano per riceverne carezze, come Cameron lo accontentò sollevò la testolina e chiuse gli occhi cominciando a fare le fusa.
    - Sei un vagabondo? Non hai un padrone? – continuò a parlare col micio come se potesse risponderle, lui si limitò a miagolare e godere di quelle coccole gratis. Raro che un gatto di razza vagasse per le vie, forse era scappato da qualche casa vicina, ma a Ronnie non importava gran che da dove provenisse, il gattino prese a seguirla appena lei si mosse per raggiungere il portone così lo fece entrare senza farsi troppe domande.
    Gli diede un bicchiere di latte che subito si affrettò a bere facendo uscire la linguetta rosa dal muso nero, lei restò ferma davanti a lui, poggiata al muro con le braccia incrociate a guardarlo con un sorrisino a curvarle le labbra. Quando finì di bere sollevò la testa e tornò verso di lei cercando altre carezze, Ronnie lo prese in braccio e se lo portò nel divano dove l’avrebbe strapazzato di coccole.
    - Piccolo ruffiano non ti azzardare a scappare capito?
    Il micio miagolò mentre lei lo grattava dietro le orecchie e sotto il mento facendogli chiudere gli occhi dalla goduria.
    - Vediamo di cercarti un nome – storse la bocca mentre il micio la guardava curioso facendo le fusa.
    - Trovato, Unsub – disse decisa e soddisfatta.
    Il gattino miagolò di risposta, piaceva anche lui. Ronnie si sdraiò nel divano godendo della stoffa morbida sotto di lei, per quel giorno le pulizie potevano aspettare, in poco tempo si era già addormentata con il nuovo inquilino tra le sue braccia.

    Continua…

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    il gatto in questione è il mio :D e si chiama Simba

    Sarah Collins è un personaggio ideato da Unsub, menzionato in questa FF perchè ha stretto legame con Ronnie e in omaggio alla sua ideatrice ^^

    Edited by robin89 - 2/5/2011, 20:48
     
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  6. robin89
     
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    Era mercoledì e la mattina stava passando in fretta, i rapporti erano stati imperativamente voluti dalla Strauss nel più breve tempo possibile e il martedì li aveva già visionati, letti e riletti memorizzando ogni minimo particolare dell’indagine e informandosi lei stessa chiamando il dipartimento di LA, dopo quello che aveva visto in tv nelle ultime settimane voleva vederci chiaro riguardo le mosse di Cameron.

    Spencer Reid era seduto composto nella poltrona scura di fronte alla scrivania di Erin Strauss, seria e gelida più che mai lo studiava da sotto gli occhiali da vista mentre lui la guardava come se da un momento all’altro avesse di meglio da fare. L’interrogatorio era cominciato da un po’ e lei non era ancora soddisfatta delle risposte ricevute.
    - Le ripeto – disse abbassandosi gli occhiali al naso - se l’agente Morgan non avesse allontanato l’agente Leane prima dell’arresto, crede che avrebbe ucciso Thomas Howell nonostante fosse disarmato e già ferito da parte sua?
    - Che importanza ha? – rispose lui come se fosse la domanda più banale del mondo - Non è successo e non credo ci sia motivo di porsi delle domande in merito, ma se lei lo ritiene tanto importante..sa che le dico? Anche io lo avrei ucciso. – finì con un sorriso sarcastico.

    Derek Morgan fissava con astio la donna bionda che lo guardava con quegli occhi celesti e indagatori che volevano strappargli le risposte che desiderava sentire, dopo una pausa alzò lo sguardo severo su di lui che aspettava impaziente.
    - L’agente Cameron Leane in quali condizioni mentali era? Secondo lei era in grado di affrontare con lucidità l’indagine?
    Morgan fece spallucce buttando le spalle all’indietro nello schienale della poltrona.
    - Cosa vuole che le risponda? – incrociò le braccia - Che non era in grado di ragionare con lucidità? Che non era in condizioni mentali adeguate? Io guardo i fatti e i fatti sono che Thomas Howell è stato arrestato, Cameron fa parte della squadra che le piaccia o no e solo lei poteva chiudere l’indagine affrontando Howell, perciò no, non glielo dirò..le dico che grazie al suo aiuto abbiamo chiuso il caso.
    - Ha allontanato l’agente Leane prima che commettesse un omicidio? Risponda sì o no.
    Derek sprofondò nell’azzurro di quegli occhi mentre i suoi cercavano la risposta migliore da dare.

    Questo era l’ultimo giorno di riposo per Ronnie, erano rientrati il sabato notte e aveva passato i successivi giorni a riordinare la casa da cima a fondo con Unsub a zampettarle dietro. Per il momento era soddisfatta, non riconosceva più quella casa dai giorni precedenti completamente modificata nell’assetto e nascosto le macchie sulla moquette mettendoci sopra il divano in attesa di prenderne una nuova, si respirava un’aria decisamente diversa.
    Era addormentata con il gatto ai piedi del divano e si svegliò di malumore quando qualcuno cominciò a suonare imperterrito alla porta e il telefono sul tavolino sembrava essere impazzito, ormai stava diventando un’abitudine dormire sul divano, gatto da una parte e pistola nell’altra.
    Con una magliettina e dei pantaloncini neri andò alla porta ad aprire dopo aver guardato dalla finestra, dallo spioncino e tolto le tre serrature, si trovò davanti Derek tutto tranne che sorridente.
    - Sai che ore sono? – le ringhiò mentre Ronnie lo guardava assonnata.
    - No, non lo so che ore sono, non mi hai dato neanche il tempo di guardare l’orologio con tutto questo casino.
    - Sono le 10 e mezza! Cosa stavi aspettando a venire in ufficio? Che ti mandassimo un elicottero a prelevarti?
    - Ehi! Stavo dormendo non stavo mica giocando! – esclamò incrociando le braccia convinta dell’efficacia della scusa.
    - Oh allora sì che va’ meglio! Hai fatto prendere un infarto a tutti perché non rispondevi al telefono.
    - Sono viva e vegeta tranquillo – continuò lei con aria tranquilla e sonnolenta che faceva innervosire ancora di più il compagno, lo vide spalancare gli occhi.
    - Che cos’è quella cosa? – Morgan puntò lo sguardo su Unsub, il micio posizionato accanto a Ronnie guardava Derek con aria offesa e con piede di guerra.
    Ronnie chiuse due occhi a fessura sull’amico dopo aver dato un’occhiata all’amico peloso – Unsub è il mio nuovo coinquilino, passava di qui e me lo sono presa, e non è una cosa, è una tenera pallina di pelo che miagola – spiegò fulminandolo.
    - Okay okay – disse alzando le mani, nel frattempo Ronnie aveva preso in braccio il gattino e lo sporse verso Derek.
    - Spostalo o potrebbe graffiarmi, non mi piace quello sguardo, e nemmeno quel nome.
    - Vuole solo una carezza – lo ammonì lei, il micio allungò il muso verso quell’omone con lo stesso sguardo assassino di prima – avanti accarezzalo! – lo intimò ancora Ronnie sporgendo ancora di più il gatto.
    Derek e Unsub si fissarono per qualche secondo, indecisi su chi avessero davanti, poi il profiler allungò una timida mano sopra la testa del micio che gli permise di carezzarlo chiudendo gli occhi e cominciando a leccarla.
    - Che schifo! – esclamò Morgan disgustato dal tocco della linguetta ruvida.
    Ronnie sorrise a entrambi – hai visto che è carino?
    - No! Mi ha leccato! Che schifo! – Ron lo fulminò con lo sguardo.
    - Okay Ronnie è carino, adesso andiamo o resti ad ammuffire qui altri due giorni?
    - Arrivo arrivo, mi faccio la doccia e arrivo.
    - Devi ancora farti la doccia?! – esclamò alzando gli occhi esasperati al cielo.
    - Sarò pronta tra 10 minuti!
    Derek non fece in tempo a replicare che lei era già corsa verso il bagno svestendosi mentre correva attenta a non inciampare con Unsub che le saltava dietro.
    Morgan sospirò con le mani sui fianchi, ne profittò per dare un’occhiata all’appartamento che già dal’atrio stentava a riconoscerlo, avanzò nel salotto chiudendo la porta e si guardò intorno, Ronnie aveva spostato anche i mobili per conferire un aspetto del tutto nuovo e al posto del foro sulla parete, dove c’era il proiettile sparato a lui quel giorno, ci mise un chiodo con un quadro a nasconderlo, Derek decise di andare a sedersi sul divano mentre l’aspettava e notò il portatile sul tavolo davanti a lui, lo aprì, era ancora acceso e quello che vide gli fece capire che l’ordine della sua casa non rispettava quello nella sua testa.
    Cominciò a cliccare sui file scaricati e sulla cronologia, era pieno di ricerche aperte dal titolo “Thomas Howell”, servizi al telegiornale, articoli riguardo l’indagine appena conclusa, informazioni sulla vita passata dell’uomo … Derek scuoteva la testa mentre visionava le pagine di internet, quando sentì dei rumori chiuse nuovamente il portatile e fece finta di niente, anche se non ci sarebbe riuscito a lungo.
    Ronnie era davvero pronta in dieci minuti, impeccabile e sorridente, anfibi ai piedi, jeans chiari incollati alle gambe, maglietta nera a maniche lunghe con scollo a V e capelli legati con una mezza coda, il tutto chiuso da un corto giubbottino in pelle nero.
    - Hai visto che sono pronta? – disse aprendo la porta con aria soddisfatta.


    In macchina Ronnie non si tolse il sorriso di dosso, tutta allegra e gioiosa, sprizzava euforia da tutte le parti, battutine, racconti divertenti mentre al suo fianco Morgan guidava in tutta serietà senza scomporsi più di tanto.
    - Ehi la smetti di farmi quel muso? Non stiamo andando ad un funerale – le disse infine lei scocciata di quell’aria seriosa del collega.
    - Scusa, sono solo sovrappensiero.
    - E a che pensavi? Sei tutta l’ora teso come una corda di violino, non sorridi manco a pagamento … hai litigato con Emily per caso? Meredith non ti ha fatto dormire? O forse…
    - Ron piantala! – sbottò lui alzando la voce.
    Ronnie si ammutolì di colpo continuando a fissarlo sottecchi, il suo tono divenne serio – si può sapere che hai?
    - Dovrei fare questa domanda a te Cameron.
    - Che vuoi dire?
    - Smettila di fingere, sono giorni che ti comporti come se non fosse successo niente, sembri un’altra persona da quando siamo tornati da LA – teneva lo sguardo sulla strada nascosto dagli occhiali da sole.
    - Sto solo cercando di dimenticare.
    - No Ron, stai solo reprimendo quello che hai dentro – scosse la testa - Hai avuto un crollo emotivo e una crisi di nervi a LA, hai avuto un attacco di panico causato da shock da stress – si fermò indeciso prima di continuare - continui a graffiarti la pelle del collo e cerchi informazioni su internet, smettila di farmi credere che vada tutto bene.
    Aveva centrato nel segno in un colpo solo, Ronnie restò in silenzio guardando la strada che le passava di fianco.
    - E cosa dovrei fare secondo te?
    - Potresti parlarmene se ti fa stare meglio, o prima magari potresti concentrarti sulla Strauss – si girò verso di lei studiandola - ha voluto interrogarci nel suo ufficio uno ad uno, sa’ tutto Ronnie, anche che lo hai accoltellato alla mano quando era disarmato e che io ti ho allontanato da lui – tornò con gli occhi sulla strada - Ti consiglio di pensare prima di parlare quando toccherà a te.

    Ufficio di Hotch.

    - Aaron non sei nella minima posizione per poter difendere nessuno. Hai permesso all’agente Leane di partecipare all’indagine quando ne era coinvolta fino al midollo per non parlare di tutto quello che ha fatto nelle ultime due settimane! Questa volta se la vedrà con me, non accetto nessun intervento di difesa né da parte tua né da parte di Collins!
    Hotch era pronto per replicare ma la Strauss era già uscita dalla stanza con un tonfo della porta lasciandolo con un gran mal di testa mentre sprofondava nella poltrona, questa volta Cameron prima di mettere mano sulla scrivania sarebbe dovuta passare sul cadavere di Erin Strauss.
    La bionda capo sezione stava percorrendo il corridoio per tornare nel suo ufficio quando le porte dell’ascensore si aprirono facendo entrare Derek e Ronnie con un caffè in mano e avvicinarsi alla sua postazione.
    - Agente Leane – Cameron sollevò gli occhi dalla tazzina di caffè – nel mio ufficio immediatamente – il tono non permetteva nessuna risposta e nessuna perdita di tempo, riprese il cammino mentre Ronnie diventata improvvisamente seria, voltò gli occhi verso Hotch che guardava da fuori dall’ufficio e non c’era bisogno di parole, bastava il suo sguardo per capire in che casino si trovasse.
    Un brutto presentimento si faceva largo nei suoi pensieri.

    Continua….

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  7. robin89
     
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    giorni di ritardo ma capite che la perfida capo sezione e Ronnie richiedono tempo :wacko:

    Era risaputo ormai che tra Strauss e Leane non scorreva buon sangue, aveva cercato più volte di buttarla fuori ma trovando la resistenza di Hotch e Collins aveva sempre fatto un passo indietro cercando di digerire la sua presenza nel team convinta che fosse un elemento negativo da eliminare subito.
    Il colloquio era già iniziato da cinque minuti e già la bionda capo sezione non sopportava quella faccia insolente da prendere a schiaffi che troneggiava davanti a lei, Cameron con gambe accavallate e braccia poggiate sui braccioli della poltrona studiava il suo nemico con aria spavalda, i sorrisi e l’allegria di prima erano stati abbandonati per fare spazio a due occhi provocatori e sicuri di sé, con le dita tamburellava sulla poltrona.
    - Non ho ancora capito perché sono stata chiamata qui con tanto entusiasmo – disse arcigna mentre alzava un sopracciglio.
    - Voglio una conferma e dei chiarimenti in merito alle sue azioni, se questo non la disturba troppo – quegli occhi celesti la scrutavano attentamente.
    - Bene. Allora chiariamo – fece spallucce mentre la Strauss si mise più comoda nella poltrona.
    - Per prima cosa, lei sapeva bene chi era Thomas Howell giusto? E di cosa era in grado di fare.
    - Mi sembra ovvio, ha solo sterminato la mia famiglia - rispose con tono ironico che alimentava l'irritabilità dell'altra.
    - Da quanto tempo sapeva del suo ritorno prima delle dimissioni di due settimane fa?
    - Circa una settimana.
    - Perchè non lo ha riferito alla squadra?
    - Perché volevo tenerli lontano da lui visto che sapevo cosa era in grado di fare e la questione avrebbe riguardato solo me fino al momento in cui non li avesse coinvolti l’S.I., infatti quando è successo ho dato loro le spiegazioni dovute, non mi sembra di aver mancato i miei doveri – fece sembrare quella frase così ovvia.
    La donna abbassò il viso e la studiò da sopra gli occhiali - Dunque conferma di aver tenuto nascosto il ritorno di un serial killer sapendo bene di potersi aspettare un omicidio?
    - Ho già risposto a questa domanda – girò gli occhi verso la finestra seccata, l’altra ebbe la voglia di buttarcela fuori, da quella finestra. Restò gelida come prima e continuò l’interrogatorio.
    - Può ricostruire i suoi movimenti durante l’arresto?
    Ronnie sospirò stufa girandosi nuovamente verso di lei – io dovevo fare da esca e il resto del team avrebbe fatto irruzione dopo 10 minuti all’interno della casa, lo avremmo arrestato senza problemi.
    - Ma il piano è andato storto dico bene?
    - Non direi visto com’è finito, quando sono entrati l’S.I. mi ha preso come ostaggio e io ho agito di conseguenza come da protocollo.
    - Cos’ha fatto di preciso?
    - L’ho provocato verbalmente il tanto da fargli allontanare l’ascia dalla mia gola così l'agente Morgan che aveva una visuale migliore tra loro avrebbe potuto sparare. Loro non potevano fare niente se io non avessi cambiato la situazione, l’ho fatto e hanno proceduto con l’arresto.
    - L’agente Morgan dove gli ha sparato?
    - Alla spalla, l’S.I. è caduto a terra e io insieme a lui così mi sono liberata..
    - ..e lo ha accoltellato alla mano destra nonostante fosse disarmato e ferito?
    Ronnie la fissò chiudendo gli occhi a fessura con un’espressione che era tutta una provocazione. Derek le aveva detto che era a conoscenza di molti particolari e sicuramente si era messa in contatto diretto con Rynolds per assorbirne tutti i dettagli dell'operazione.
    - Poverino – rispose con un sorrisino ironico e beffardo.
    - Dopo di che l’agente Morgan l’ha dovuta allontanare con la forza perché lei ha perso il controllo, non è così? Ha impugnato la pistola e l’ha puntata contro Thomas Howell prima di dare in escandescenza? Risponda sì o no.
    Cameron cominciava a innervosirsi con quelle domande che sapeva dove volevano portarla, il tono freddo e conciso divenne velenoso d’un tratto - Se crede che mi rimangi quello che faccio o che dico se lo può scordare, dunque sì.. ho impugnato la pistola e l’ho puntata contro l’S.I. ma Morgan mi ha fermata in tempo e mi ha portata fuori.
    - Dunque conferma che avrebbe ucciso un uomo steso a terra ferito e disarmato?
    - Un uomo ferito e disarmato? – esplose d'un colpo - Mi sta chiedendo se avrei ucciso un serial killer che ha massacrato 23 persone con un’ascia, che ha quasi rovinato la mia vita e che ha scaricato una mitragliata contro la squadra e quaisi ucciso Emily?! – si alzò in piedi battendo una mano sul tavolo mentre la guardava furibonda - Sì! Avrei ucciso a sangue freddo quel figlio di puttana e l’avrei fatto altre mille volte senza perderne un solo minuto di sonno!
    Erin Strauss si alzò in piedi e la fulminò solo con lo sguardo gelido – si sieda immediatamente.
    Ronnie la fissava carica di rabbia, avrebbe voluto restare in quella posizione e dirgliene quattro ma ciò non avrebbe portato a nulla, dopo qualche secondo di attesa in cui si sfidarono, Ron si sedette scuotendo la testa e incrociando le braccia facendo rumore sulla sedia.
    - Si può sapere qual’ è il suo problema con me? – anche l’altra riprendeva posto sulla poltrona – Adesso mi vuole sospendere perché ho fatto male ad un serial killer?
    La risposta non arrivava e Ronnie si spazientì mentre la bionda capo sezione prendeva dei fascicoli da mettere sul tavolo.
    - Ovviamente non è solo questo agente Leane ma una serie di fatti che la riguardano da quando è qui. Se non ha capito il problema è lei e i suoi modi di lavorare.
    - Cosa sono quei fascicoli? – chiese accennando ai fogli che la Strauss visionava che non sembravano portare buone notizie.
    - Sto valutando il suo intero percorso qui dentro – si schiarì la voce e dopo aver osservato la sua reazione riportò gli occhi al fascicolo – nel suo curriculum c’è..beh oltre quello che si porta dietro dalla Crimini Sessuali e due arresti per uso e possesso di droga di cui non ero a conoscenza – disse alzando due occhi indagatori su di lei.
    - Nessuno lo sapeva dato che la mia fedina penale è pulita a meno che non si sia informata di proposito – la interruppe alzando un sopracciglio - e ovviamente questo non c’entra nulla con il presente, parliamo di più di 10 anni fa e sono stufa di sentir rivangare il mio passato! - esclamò brusca.
    - Parliamo del presente allora – la Strauss abbassò gli occhi al foglio ignorando l'irascibilità della ragazza - un’accusa per abuso di potere, un’accusa per aggressione aggravata, continui allontanamenti dalla squadra durante le operazioni, ha messo più volte in pericolo la sua vita e quella del team e ora quest’ultimo caso che possiamo tradurre con: poca professionalità e obiettività, ha nascosto all’FBI la presenza di un serial killer, tentato omicidio ad un uomo ferito e disarmato, debole stabilità mentale nell’affrontare il suo lavoro, mancanza totale di disciplina. Ha qualcosa da dire?
    - Sì - si sporse verso la scrivania con aria sicura di sè - ho fatto il mio lavoro come meglio credevo e non mi pento di niente di tutto ciò che ho fatto in tutta la mia vita e di sicuro non me lo rimangio adesso solo per pararmi il sedere davanti a lei ..dove vuole arrivare dopo che ha rispolverato 15 anni della mia vita?– concluse con voce da vipera.
    La capo sezione prese a guardarla con attenzione prima di usare a differerenza sua un tono freddo e conciso – In base a ciò che ho visto in questi anni ritengo che lei non abbia le capacità emotive e mentali per continuare a fare questo lavoro, mi sembra chiaro che abbia dimostrato più di una volta di essere una persona priva di autocontrollo e non posso più permettermi di mantenere un agente mentalmente instabile – la bocca di Ronnie si spalancava lentamente - Voglio che lasci la squadra entro domani mattina, voglio arrivare qui e trovare le sue credenziali e la scrivania vuota. Domande?
    Tutte le funzioni vitali di Cameron si spensero in quel momento se non fosse per il fatto che restò viva, rimase imbalsamata con gli occhi sgranati senza riuscire a formulare una frase adeguata.
    - Sta scherzando vero? – disse mentre il panico cresceva e il cuore faceva male.
    - Assolutamente no. Adesso può lasciare il mio ufficio, l’aspetto domani mattina per consegnare le credenziali – fece cenno alla porta - prego.
    Ronnie buttò lo sguardo per terra cercando di capire se quello che aveva sentito non fosse frutto della sua immaginazione – non può mandarmi via!
    - Oh sì che posso, e avrei dovuto farlo tanto tempo fa.
    Ron si alzò lentamente dalla poltrona, confusa guardava un punto vuoto della stanza indecisa su cosa fare o dire con il mondo e la sua vita che le crollava addosso sul suo petto.cominciò a parlare mettendo una frase dopo l'altra senza sapere neanche lei esattamente cosa volesse dire, solo difendersi.
    - Io non ho fatto niente male, è vero non sono mai stata la brava ragazza della porta accanto, ero una drogata che viveva la maggior parte del tempo in mezzo alla strada a farsi di cocaina ed eroina, ma adesso sono qui in un posto che mi ha fatto rinascere per due volte, perché ora la mia vita è il mio lavoro e la mia squadra e non può togliermi tutto questo solo perché non sono l’agente federale perfetto – si fermò a osservare la sua reazione che rimase impassibile sotto quegli occhi celesti, Ronnie continuò guardandola in viso - non può togliermi la mia vita, sa cosa vuol dire? Ho nascosto la presenza di un serial killer perchè ha minacciato di ucciderli tutti e per poco ci riusciva! Ho fatto tutto questo per proteggere loro non me stessa, e per impedirgli di fare quello che ha iniziato 12 anni fa - si fermò un attimo poi riprese - mi lascio sopraffare dalle emozioni e dall'istinto quando lavoro e dimentico il protocollo è vero, ma per il bene di qualcun altro..questo fa di me una cattiva persona o un cattivo federale? - scosse la testa mentre apriva la porta per andarsene - tutto questo fa schifo.
    La Strauss la guardò allontanarsi - Aspetti – si fermò di colpo e richiuse la porta davanti a sè avvolta dal silenzio e da un aria densa.
    La donna teneva gli occhi incollati su di lei.
    - Le do solo una possibilità.
    - L’ascolto.
    Girò gli occhi sulla ragazza ansiosa - Rimarrà sospesa da ogni incarico per un tempo indeterminato fin che non supererà a pieni voti un test psicologico orale e scritto, fino a quel giorno sarà seguita dal terapista dell’Unità e non potrà partecipare alle indagini. O accetta o è fuori e la prossima volta non darò alternative.
    Ronnie incrociò le braccia e girò il viso verso la finestra stupita, fece uscire l’aria dai polmoni e chiuse gli occhi mentre le scese una lacrima che maledì subito – grazie.
    - E adesso fuori da qui Leane prima che cambi idea.

    Ronnie raggiunse la porta e uscì lasciando quella donna perfida che aveva appena dimostrato di avere un po’ di cuore, si affacciò alla ringhiera dove dall’alto poteva osservare i suoi compagni al piano di sotto, Reid leggeva un libro, Morgan e Penelope che lo stuzzicavano, gli diede uno sguardo e sorrise tra sé malinconica, si riscosse e andò verso l’ufficio di Hotch infondo al corridoio.
    Entrò senza bussare come sempre e lui alzò lo sguardo dalla scrivania.
    - Com’è andata?– chiese subito lui vedendola fermarsi al centro.
    - Mi ha buttata fuori per due minuti e poi ha cambiato idea. Mi ha sbattuto in faccia tutta la mia vita , mi ha rinfacciato la fedina penale e tutti i casini che ho fatto all’FBI dicendo che non ho le capacità emotive e mentali per fare questo lavoro..
    - E…?
    - Sono sospesa fin che non supero un test psicologico, diverso da quello che ho fatto due anni fa, dovrò andare dal terapista per un tempo infinito – sospirò mentre Hotch si alzava dalla scrivania.
    - Credo ti sia andata piuttosto bene Cameron, io non potevo fare niente, è andata anche contro di me e per poco non ci rimettevo il posto anche io – disse serio.
    - Già..me la sono fatta sotto per la prima volta..
    Si guardarono negli occhi voltandosi entrambi - Cameron hai immagazzinato una quantità enorme di stress in poche settimane e hai avuto anche un esaurimento nervoso per questo, credo sia giusto farti affrontare una terapia prima di rimetterti a lavoro.
    - Dunque la pensi come lei? – domandò stupita.
    - Non per gli stessi motivi, ma perché so’ come lo affronteresti.
    Ronnie rimase in silenzio fissando il pavimento, troppo confusa per tutto quello che stava ascoltando e vivendo, vedendola così perplessa Hotch riprese il discorso portandola al suo punto di vista.
    - Credi ancora che sia tutto sbagliato, nella tua testa ha vinto l’uomo con la scure e sentiresti il lavoro come una sfida per rimediare alla tua rabbia, comincerai a perdere fiducia in quello che facciamo perché non sarai mai soddisfatta dei tuoi sforzi ma vorrai fare sempre di più rischiando più di quanto non faccia già, vedrai la sua faccia in ogni volto di sospettato e cercherai nel loro arresto una motivazione per dare un senso a questo lavoro, perché lui è ancora vivo e tu non puoi farci niente, perché la sua vita è la tua sconfitta e quello che puoi fare è fare giustizia altrove.
    - Non c’era bisogno di farmi il profilo.
    - Non ce n'è stato bisogno, fidati.
    Sospirò - E quindi che dovrei fare?
    - Quello che ti ha detto la Strauss, andrai dal terapista e quando sarai pronta tornerai a lavorare.
    - E se non fossi pronta? – disse impaurita con voce in preda all’emozione, poi cominciò finalmente a piangere silenziosamente.
    - Se davvero tutto questo dovesse sopraffarmi?
    Era la prima volta che Hotch la vedeva così persa in due anni e mezzo e le fece una tenerezza incredibile, fece qualche passo verso di lei che guardava la finestra e Ronnie ne profittò per abbracciarlo dopo tanto tempo, aveva bisogno solo di un pò di sicurezza perchè l'aveva perduta i un attimo in quell'ufficio. Prese a piangere più forte immersa fra le braccia di quell’uomo che aveva sempre considerato come il padre che non aveva mai avuto, freddo e serio ma sempre pronto a difenderla. Per lui era solo una figlia da tenere a bada e da proteggere.

    Continua…

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  8. robin89
     
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    qui c'è lo zampino anche di Unsub ^^


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    Le mani fredde e smagrite poggiavano sul bordo del lavandino del piccolo bagno dell’open-space, le guardava tremare mentre nella sua testa giravano miliardi di immagini e di pensieri, voci sentite nella realtà e voci udite negli incubi correvano frenetiche da una parte all’altra del suo cervello portandola in una dimensione che non conosceva, un incubo a occhi aperti. Li chiuse immersa nel silenzio che la circondava o che voleva sentire, cercando di scrollarsi quelle sensazioni di dosso che sembravano così reali e paurosamente vicine a lei, tanto da poter sentire una mano toccarle la spalla sinistra e farla rabbrividire. Si girò di scatto afferrandola, fece leva sul braccio e diede una spinta contro il muro a chi vedeva di fronte portando poi una mano alla pistola dimenticandosi di averla già consegnata.
    - Sono Reid calmati! – esclamò spaventato mettendo le mani avanti.
    Reid, confuso dal suo atteggiamento e preoccupato la guardava inchiodato al muro con la fronte aggrottata e gli occhi quasi chiusi a fessura, attenti, mentre si massaggiava il braccio indolenzito.
    Ronnie aveva il respiro affannoso mentre lo fissava chiedendosi se fosse reale o frutto dell’immaginazione, abbassò gli occhi alla mano rendendosi conto di non avere l’arma e che quello che vedeva era proprio lì, più reale delle voci nella sua testa, così venne invasa da un enorme senso di vergogna.
    - Scusa, scusami – balbettò - non volevo farti male, io.. io non so perché l’ho fatto scusa – si affrettò a dire tirandosi indietro.
    - Okay, non fa niente tranquilla – affermò cautamente.
    Ronnie sarebbe voluta evadere dal bagno ma qualcosa la tratteneva dal farlo, restarono in silenzio per qualche secondo pensando entrambi a quello che era successo.
    - Ronnie stai bene? Stai tremando – le disse infine lui osservandole le mani.
    - Sì sto bene, mi hai solo spaventata, ero sovrappensiero.
    Non convinto di quella risposta andò direttamente al punto – Ronnie hai ancora attacchi di panico? - Reid la fissava preoccupato per quello che le stava succedendo da un paio di giorni a quella parte.
    Lei girò il viso verso la porta, serrando le mascelle pronunciò un debole e timido - Sì.
    - Non hai parlato con nessun medico?
    - No, lo farò in questi giorni. Ora scusa devo andare – aprì la porta senza aggiungere altro lasciandolo solo nella stanza, si allontanò in fretta e furia scappando dalla vergogna delle sue reazioni, era la seconda volta dopo l’incubo sul jet e cominciò a pensare che la Strauss avesse ragione.

    Aveva appena premuto il campanello di casa Reid, alzò la testa e restò a fissare il color mogano della porta d’ingresso che somigliava a quello dei suoi capelli, dopo un po’ sentì dei passi avvicinarsi e ne fece uno indietro prima che la porta scattasse la serratura.
    Davanti a lei comparvero due occhi verdi che incrociarono curiosi e attenti quelli scuri di Ronnie, si guardarono in silenzio e infine fu Ronnie a rompere il ghiaccio.
    - Posso restare un po’ qui? – più che una domanda era un desiderio uscito a voce alta - Ho bisogno di sedermi davanti al caminetto.
    La voglia di prenderla a schiaffi sparì ascoltando il suo tono di voce malinconico - Entra – rispose Sarah facendole spazio.

    Stavano sedute nei cuscini sparsi davanti al caminetto, come facevano sempre da un anno alle cene del venerdì con tutta la squadra, Ronnie sentiva la brezza della finestra aperta arrivarle al viso mentre sentiva lo sguardo attento di Sarah su di lei, presa dal movimento ondulatorio delle tende aveva cominciato a raccontarle tutto quello che era successo come fosse una favola lontana, un po’ come fece Reid giorni prima ma con dettagli che lui non conosceva. Ronnie le raccontò la litigata con Morgan dopo l’aggressione – gli ho detto delle cose orribili e ho paura che ci abbia creduto davvero anche se ora fa finta di niente – le aveva detto, le raccontò anche dello sparo nascosto ora dal quadro, della fuga, della vergogna quando era ritornata.. il lungo percorso che la riportò infine da loro e in quella casa, tutto senza far scendere una lacrima, ma restando fredda come una pietra. Sarah rimase in silenzio, sapeva già la maggior parte delle cose ma voleva sentirle da lei senza interromperla e con l’aggiunta di quello che provava Leane, l’ascoltava così con due occhi più freddi del solito che fissavano i contorni del camino spento.
    - Non pensavo che dei cuscini e un caminetto mi potessero mancare così tanto – finì Ronnie con un sospiro.
    - Sei un idiota Cameron Leane - le rispose Sarah mentre si metteva in piedi.


    Il silenzio nella cucina era interrotto solo dal vociare dei bambini in giardino che arrivava smorzato attraverso la finestra aperta. Una leggera brezza faceva danzare le tendine sopra il lavello, Ron osservava rapita il movimento della stoffa leggera mentre rigirava nelle mani la tazza di caffè. Non le aveva detto di essere sospesa a tempo indeterminato, sicuramente lo sapeva già e voleva evitarsi un – ti sta bene.
    Continuava a guardarla di sottecchi, ansiosa di capire cosa stesse pensando quella che ormai era diventata un’amica oltre la sua nemesi. Così diverse e così simili, i loro scontri erano dovuti proprio a quel carattere impossibile e quella testardaggine che le contraddistingueva.
    Mentre lei era un vulcano in piena eruzione, Sarah appariva sempre calma e distaccata. Nessuno riusciva a leggere in quegli occhi verdi che ricordavano i prati in primavera. Eppure aveva l’intima convinzione che un mare in tempesta si agitasse dentro quella testa coperta di boccoli neri. Si chiese cosa nascondesse nel profondo dell’anima e se almeno suo marito fosse riuscito a decifrare l’enigma che quella giovane donna rappresentava per tutti.
    Sapeva che era arrabbiata con lei, lo intuiva dal suo modo di muoversi e di fissarla senza proferire parola. Sorrise pensando ad una frase che le aveva rivolto quando erano ancora acerrime nemiche: “Leane, il mio essere arrabbiata con lei ormai è diventato il mio status quo”.
    Meditò sul fatto che aveva sempre reputato Sarah Collins la sua più acerrima nemica all’interno dell’unità, almeno fino a quando non ruppero il ghiaccio dopo il casino che aveva combinato a San Francisco. Poi la folgorazione che la lasciò a bocca aperta.
    - Cos’hai da stare lì con la bocca aperta come un merluzzo? – Sarah si portò la tazza alle labbra, distogliendo lo sguardo infastidita.
    - Pensavo …
    - Pensavi? Dubito fortemente che tu abbia abbastanza materia grigia da usare un termine del genere, specialmente dopo quest’ultima bravata.
    Ronnie sospirò - lo so' hai ragione ad essere arrabbiata con me, ma non preoccuparti. Derek mi ha già dato anche la tua dose di scapaccioni.
    - Ho la vaga impressione che con te non servano – tornò a posare i suoi occhi di ghiaccio su Ron – sei sospesa per un tempo infinito fin che non superi il test psicologico, cosa aspettavi a dirmelo? Hai dimenticato la ciliegina sulla torta?
    - Avevo ragione, lo sapevi già.
    - Questa volta hai passato il segno, ringrazia che non ti ha cacciata perchè non sarei intervenuta questa volta, sai, non possiamo sempre toglierti dai casini io e Hotch – scosse la testa.
    Ronnie voltò gli occhi sulla tazzina e corrugò la fronte, dopo attimi di silenzio parlò - Io ho sempre pensato a te come ad una nemica, specialmente nei miei primi tempi all’unità … però tu mi hai sempre difeso. Perchè?
    - Cameron Leane, sei una vera stupida e come profiler fai schifo.
    - Cosa pensavi di me? – era curiosa di sapere se l’idea che le era balzata in testa poco prima fosse corretta.
    La donna si alzò e si diresse verso il lavandino, dandole le spalle. La sentì sospirare mentre osservava i figli giocare in giardino con Spencer.
    - In te rivedo me stessa, il motivo per cui ero così severa, per cui ti facevo la ramanzina tutte le volte… Volevo eliminare dal tuo carattere quelle cose che non sopporto del mio – si girò a guardarla con un sorriso dolce – Cameron Leane, se non hai mai capito che ti voglio bene sei una profiler da schifo e questo fa di me una pessima insegnante.
    - Tu hai sempre cercato di proteggermi, persino da me stessa – chiuse gli occhi cercando di ricacciare indietro le lacrime trattenute da quando aveva messo piede in quella casa.
    - Sei la sorella minore con non ho mai avuto ed è questo che si fa in famiglia, ci si protegge a vicenda – si avvicinò a Ron che si era alzata a sua volta – Se Spencer me lo avesse detto da subito, non ti saresti risparmiata una bella dose di calci nel didietro.
    - Ti voglio bene anch’io, Sarah.
    Rimasero così, abbracciate nel caldo pomeriggio primaverile, illuminate da un raggio di sole che rischiarava la cucina. Due donne, due nemiche, ma anche due amiche.

    ****
    Era sera, già buio fuori e Ronnie tornava a casa sua, con le mani al volante era concentrata sui suoi pensieri che non si fermavano mai, non aveva acceso neanche la radio per non essere distratta, ripensando alla serata appena trascorsa.
    Poi come se fosse una calamita, con un gesto involontario sollevò gli occhi allo specchietto retrovisore, due abbaglianti lampeggiavano nei suoi occhi. “No..non può essere, lui non è qui” si convinse continuando a fissare la vettura dietro di lei, improvvisamente vide quella macchina sorpassarla finendo al suo fianco, un imponente SUV nero correva parallelo al suo. Cameron lo fissava mentre sentiva il battito del cuore aumentare in una tachicardia frenetica, cercò di restare concentrata sulla strada ma era troppo difficile. Le mani strette al volante, la macchina nera lì a fianco a lei non se ne andava, immobile come un quadro, poi la vide prendere vita e sporsi al lato per sbattere contro il suo SUV, urlò e girò bruscamente il volante alla sua sinistra per andargli contro, lo attraversò come fosse un fantasma. Tornò sulla strada primaria per ripetere l’operazione una seconda volta con l’agitazione e la paura che le faceva compiere quei gesti senza senso, di nuovo girò il volante convinta di poter rispondere con altrettanta violenza alle spinte del SUV, di nuovo come un fantasma ma per lei il boato metallico era forte e reale. Il panico l’aveva posseduta, le immagini del lontano incidente le lacerarono la testa, le botte, l’urto, la paura, il SUV fuori strada e la corsa contro l’albero che lo fermò lasciando solo il vuoto intorno a lei. Mentre premeva l’acceleratore con foga per fuggire vedeva tutto questo come un film dentro la sua testa che si ripeteva all’infinito contro la sua volontà, sudava freddo, mani e braccia che tremavano impazzite, il cuore a mille e il respiro affannoso le facevano aprire la bocca per cercare aria mentre la opprimeva un senso di nausea e capogiro, voleva fuggire da tutto quello il più in fretta possibile e volare alto sopra ogni altra cosa.
    Il suono lungo e improvviso di un claxon le fece voltare di scatto il viso alla sua destra e l’unica cosa che vide fu il muso in primo piano di un camion. Un boato metallico contro la portiera ne seguì subito dopo, i finestrini volarono in mille pezzi addosso a lei e intorno a lei. Cameron portò le mani in difesa del viso ma venne spinta con forza dalla parte opposta e involontariamente posò la mano nella sicura della cintura di sicurezza liberandosi, così con un rumore sordo battè la testa in qualcosa di duro facendole perdere i sensi immediatamente. L’impatto fece ribaltare il SUV con il tetto sull’asfalto, come un pupazzo Ronnie si ritrovò a testa in giù con la vettura che strisciava sulla strada per metri. Solo un palo della luce fermò la sua corsa.
    I rumori metallici delle vetture vennero sostituiti dal silenzio della notte illuminata dai fari accesi e nell’aria rimase solo il suono di un claxon.

    Continua…
     
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  9. robin89
     
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    Sdraiata sul tetto del SUV in un letto di vetro respirava a fatica, provò a girare la testa di lato ma era troppo pesante, chiuse gli occhi abbandonandosi, senza sentire più niente.

    Un uomo con le mani in testa guardava i medici estrarre il corpo di una ragazza dalla vettura.
    - È uscita all’improvviso non ho potuto fare niente! – ripeteva agitato alla folla e alla polizia arrivata sul luogo dell’incidente, le persone illuminate dai lampeggianti dell’ambulanza guardavano preoccupati le delicate operazioni. Una donna piangeva al lato della strada guardando il corpo di Ronnie venire fuori mentre i medici parlavano fra loro scambiandosi informazioni sulle condizioni della ragazza.
    - Oddio l’ho uccisa l’ho uccisa! – gridò troppo distante per sentire le loro parole al vento.
    Il corpo di Cameron era un pupazzo tra le mani di uomini in camice blu.
    Un medico le apriva le palpebre dopo averle messo un collare e averla adagiata sulla barella, “pupille dilatate” affermò.
    Un altro cercava di svegliarla senza risultati, “Non risponde agli stimoli, polso debole”.

    “Cameron Leane, 27 anni, incidente stradale, probabile trauma cranico, non ha mai ripreso conoscenza, tentativi di rianimazione zero …..”
    La voce dei medici echeggiava nei corridoi mentre la barella percorreva i muri bianchi dell’ospedale.


    ****

    Emily stava quasi per sbattersi al tavolo se solo Derek avesse fatto un altro passo, lo fece, così la portò ad aderire contro il suo corpo mentre con la schiena toccava quel pezzo di legno.
    Continuarono a baciarsi, cercando le loro bocche con passione fin che Derek la trascinò sul divano, la fece stendere sotto di lui e lei aprì le gambe facendogli spazio, riprese a baciarla con lo stesso trasporto di prima dalla bocca scendendo verso il petto. Emily sentì male alla ferita quando lo sentì poggiarsi troppo su di lei, ma non disse nulla beandosi invece di quella posizione, Derek le aveva già tolto la maglietta e buttata per terra quando il suo cellulare squillò facendolo sospirare irritato. Allungò una mano al tavolino dietro la testa di Emily e guardò lo schermo scuotendo la testa.
    - Tempismo perfetto Ronnie – borbottò.
    - Metti il vivavoce e continuiamo – rispose divertita lei.
    Derek sbuffò e rispose al telefono mettendosi comodo sopra Emily.
    - Spero per te che abbia un motivo …
    Improvvisamente l’atteggiamento e l’espressione cambiarono facendolo alzare in piedi.
    - ..Sì sono io. Con chi parlo?
    Emily vide il suo volto sbiancare man mano che riceveva risposte dall’altra parte della cornetta.
    Quando Derek chiuse la chiamata guardò Emily senza sbattere ciglia.
    - Che succede? – chiese lei preoccupata. Derek restò col telefono in mano e la guardò negli occhi.
    - Era l’ospedale di Washington, Ronnie ha avuto un grave incidente ed è stata ricoverata – disse gelido.


    Camera 215. Ospedale Washington.

    Era una piccola casetta all’angolo tra due vicoli, ben arredata e anche accogliente.
    Elian prese qualche bottiglia di birra e la posò sul tavolino circondato da due divani e qualche poltrona sparsa qua e là per il salotto, atmosfera tra il verde e il giallo chiaro, mobili scuri e aria fresca.
    - Quando arriva Ed? – chiese un ragazzetto caucasico aprendo una bottiglia apparsa davanti a lui.
    - Sta arrivando – rispose Cameron affacciata alla finestra, scostò la tendina beige e riprese posto nella poltrona poggiando i gomiti sulle ginocchia.
    Elian, un ragazzo nero di circa 20 anni, vedendola moggia cercava di invogliarla a parlare - Oggi è un bel giorno, non sei contenta?
    Lei fece spallucce – solo perché sono nata oggi? Mio padre mi ha riempito il borsellino di soldi prima di litigare con mia madre che quasi non si ricordava nemmeno che giorno fosse, di cosa dovrei essere felice? Non sa fare neanche una torta.
    - Ma per questo non c’è problema – le rispose Joseph avvicinandosi a loro con un pacco do cartone.
    Cameron appena lo vide poggiato sul tavolo cominciò a scartarlo trovando davanti a sé una torta con panna e cioccolato e una candelina con scritto 15, subito le si illuminarono gli occhi e si spalancò la bocca come un bambino quando scarta i regali a natale.
    - Era così che la volevi? – Joseph le regalò un sorriso smagliante e soddisfatto. Quasi le scesero le lacrime mugugnando un sincero – grazie.
    - Io il mio quindicesimo compleanno l’ho passato in cella, non ti è andata poi così male – rispose Elian che prese a sedersi, Cameron e Joseph presero a ridersela e sdrammatizzare il passato oscuro che aveva ognuno di loro, in quel momento si aprì la porta.
    - Finalmente – esclamò Joseph andandogli incontro.
    - Non sono mica andato a comprare l’acqua – rispose Ed offeso, un ragazzo di 20 anni, alto e biondino con capelli lunghi e un’aria trasandata.
    Lui e Joseph si misero a distribuire i pacchetti sul tavolino, due a ciascuno.
    Il legno marrone in pochi minuti venne invaso da strisce di polvere bianca, uno di loro prese il borsellino e distribuì banconote a ciascuno, era calato il silenzio quando ognuno cominciò ad armeggiare con il suo da fare, Cameron tirò la prima sniffata e alzò la testa al cielo, poi i suoi occhi incontrarono quelli di Ed che le sorrise sinceramente.
    - Buon compleanno ragazza sperduta.
    Le sembrò strano, ma quello era il compleanno più bello della sua vita.



    Ospedale di Washington, ingresso.

    - Cameron Leane! 27 anni, dev’essere là in mezzo! Dia a me! - minacciò per la seconda volta ad una donna bionda dietro una scrivania che richiedendo il nome della paziente sfogliava dei fascicoli.
    - Camera 215 – disse infine composta trovando il fascicolo.
    Derek si girò incrociando gli occhi di un uomo sulla cinquantina, nero e capelli brizzolati.
    - Chi sta cercando? – gli chiese.
    - Cameron Leane, è stata ricoverata qui per un incidente stradale questa sera, posso sapere come sta?
    - Lei è un parente?
    - No non sono un parente sono solo un amico e non sprecate tempo a cercarli perché tanto non ne ha, siamo entrambi agenti federali – mostrò le credenziali irritandosi – adesso posso sapere in che condizioni è per favore? – era sull’orlo del precipizio con tutte quegli ostacoli burocratici. Il medico incollò gli occhi al distintivo e prese ad informarlo senza perdere tempo.
    - In questo momento è ricoverata per un trauma cranico di media entità.
    - Quanto è grave? – domandò subito timoroso di sapere la risposta.
    - Non è in pericolo di vita ma dobbiamo tenerla in osservazione per almeno 24 ore e fare altre analisi per assicurarci che non ci siano emorragie interne, faremo analisi del sangue e una TAC al cranio … lei mi sa dire qualcosa riguardo la paziente? Se è allergica a qualche farmaco..
    - No non è allergica a niente, potete farle tutto quello che volete. È sveglia?
    - No, ha ripreso conoscenza per pochi minuti poi si è addormentata di nuovo, potrete farle visita da domani pomeriggio forse, dipende in che condizioni sarà quando si sveglia.
    - Questo che vuol dire? – domandò perplesso.
    Lo squadrò un ultima volta - Quando si sveglierà sarà piuttosto confusa, potrebbe avere amnesie e dobbiamo accertare tutte le funzioni motorie, se non ci saranno complicanze durante il suo ricovero una volta dimessa dall’ospedale parleremo della riabilitazione – quest’ultima frase fece agitare ancora di più Morgan - Ora tornerei al mio lavoro se questo è sufficiente.
    “No che non è sufficiente!” urlò nella sua testa, ma capiva che avrebbe dovuto farselo bastare per le prossime 12 ore.
    - Grazie – rispose invece all’uomo che gentilmente si congedò per le vie dell’ospedale.
    Derek diede un ultimo sguardo al corridoio e sospirò esausto prima di girarsi e prendere il telefono, doveva chiamare Hotch e aveva qualcosa da chiedere a Garcia.


    Continua…

    foto di Ronnie a 15 anni, come nel ricordo

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  10. robin89
     
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    ritardo, ero al mare..è una buona scusa no? :P


    - Bambolina l’hai trovato? – Derek teneva il telefono con una mano e con l’altra tamburellava fremente sul volante del SUV parcheggiato, era notte e nonostante la stanchezza la sua mente era viva e attiva.
    - Oh sì tesoro non è mai stato così facile, te lo mando sul palmare.
    Premette un tasto e magicamente il video dell’incidente comparve sullo schermo del palmare di Morgan. Entrambi restarono in silenzio concentrati sulle immagini che contemporaneamente vedevano da posti diversi.
    Riconobbe nella strada il SUV di Ronnie, lo vide sbandare senza senso.. poi l’impatto all’incrocio che fece voltare il viso a Garcia dallo schermo e farle scendere qualche lacrima.
    Derek invece ci restò incollato come una calamita, seguì ogni particolare dello scontro e dei primi soccorsi. Serrò la mascella e chiude il video stizzito.
    - Grazie Garcia – disse gelido.
    - O..okay, ciao – balbettò lei asciugandosi le lacrime.

    Si era svegliata da circa un paio d’ore, si guardava intorno con un mal di testa che martellava nelle tempie ma andava affievolendosi pian piano, si portò una mano alla testa e toccò una fasciatura intorno al capo, una flebo nel braccio le intorpidiva il muscolo e nel petto sentiva aderire un’altra fasciatura, la costola non guarita era tornata a bussare alla sua porta.
    Cercò di alzarsi e poggiare la schiena al cuscino mettendosi quasi seduta, fuori era una bella giornata ma questo non la rallegrava come quando vedeva il sole ogni giorno, anzi pensò che avrebbe preferito un temporale a farle compagnia. Si sentiva estremamente sola, come se fosse caduta in un precipizio in cui nessuno poteva venire a salvarla, dentro una bolla di sapone dove nessuno poteva sentirla e anche se cercava di uscire restava incollata alla superficie.
    Il medico le aveva detto di essere in buone condizioni fisiche, il che significava potersi muovere da sola ma sottintendeva una lunghissima parentesi sullo stato mentale. Avevano fatto il punto della situazione e non c’erano emorragie interne il che avrebbe dovuto consolarla, non aveva neanche grandi amnesie, riguardavano solo l’incidente e il problema più grave adesso rimaneva la riabilitazione sul suo stato psicologico.



    La guardava dall’oblò della porta, aveva una fascia intorno alla testa e uno sguardo perso nel vuoto dei pensieri. “È sveglia da un paio d’ore” gli aveva detto il medico appena era arrivato, Ronnie era in buono stato e dopo una confusione iniziale al suo risveglio adesso poteva anche parlare e rispondere a qualche domanda.
    Derek esitò ancora un attimo mentre la osservava accigliato, poi decise di entrare e così facendo fece voltare gli occhi di Cameron verso la porta.
    S’incrociarono senza dire niente mentre lui avanzava nella stanza in silenzio, solo con un sorrisetto a fior di labbra le andò incontro e si sedette sul letto facendo rumore nel materasso, Ronnie seguì i suoi movimenti con due occhi dall’espressione indecifrabile ma felice oltremodo di vederlo materializzarsi come un miraggio.
    - Ehi – lui con la mano le diede una delicatissima pacca sulla guancia pallida – come stai?
    - Viva – rispose con voce assente, capì dal suo sguardo che non bastava come risposta – ho mal di testa – aggiunse infine.
    - Vuoi che me ne vada? Vuoi riposare? – chiese dubbioso.
    - No che non voglio – il suo tono si fece più sicuro e affermato - non mi piace stare sola in ospedale, e io odio gli ospedali. Dunque fai qualcosa per farmi uscire da qui.
    - Ehi calmati non cominciare a fare storie, devi restare in osservazione ancora un po’ quindi fai da brava e riposati – la redarguì serio - Non credevo che essere tuo amico comportasse una dose giornaliera di tranquillanti comunque.
    - Credevo ci avessi fatto l’abitudine.
    - Non è mai abbastanza – sorrise sarcastico.
    Dopo questo scambio di battutine che smorzavano l’aria, l’atmosfera tornò seria e affondò i suoi occhi scuri in quelli di lei.
    - Ti ricordi come sei finita qui? – le chiese con un cenno del capo e un tono interrogatorio.
    - Certo, l’incidente – rispose sicura.
    - Sei fortunata, credo che dovresti ringraziare qualche santo lassù perchè ne hai parecchi.
    - Io invece credo di avere 7 vite come i gatti, sono arrivata a cinque – disse ironica con un sorrisino senza allegria.
    - Beh vedi di non arrivare a 7. Chiaro?
    - Ci provo.
    Derek sospirò, dopo aver dato uno sguardo alla stanza ritornò su di lei - Ricordi qualcosa dell’incidente?
    - Solo che qualcuno mi stava seguendo, non ricordo altro.
    Quella era la risposta che temeva e si aspettava, decise di affrontare il discorso adesso o mai più - Garcia ha trovato una telecamera all’angolo della strada – iniziò aspettando una sua reazione - non c’era nessuno che ti stava inseguendo.
    Ronnie fece aria perplessa e si mise più comoda per guardarlo meglio negli occhi, aggrottò le sopracciglia - Impossibile, l’ho visto io, era a fianco a me, era un SUV nero come quello dell’altra volta – disse convinta.
    - No Ron, era solo frutto della tua immaginazione, hai avuto un altro attacco di panico.
    - Non è possibile – scosse la testa incredula, i ricordi erano confusi e restava solo la realtà della visione, buttò gli occhi al lato come se fosse offesa dalle sue parole che cercò di negare dentro di sé, si guardò le mani graffiate, passarono diversi secondi in cui nessuno disse niente e Ronnie entrò in pallone farfugliando pensieri nella sua testa.
    - Cosa mi sta succedendo? – chiese a voce bassa infine, un pensiero uscito dalle labbra, impaurita di sé stessa, espresse la domanda continuando a fissare i graffi sulle dita e sui palmi.
    - Stai solo affrontando gli effetti collaterali di quello che hai passato.. lo so’ che è difficile, ma è comprensibile. Non devi spaventarti.
    - Derek, sono fuori dalla squadra, lo sai questo?
    - Sì, ma hai la possibilità di rientrare dopo il test.
    - Già … il test – lo pronunciò quasi rivoltante - proviamo a chiedere a Reid quante possibilità ho di superarlo.
    - Lo farai quando sarai pronta.
    - Questa è la scusa della Strauss per sottintendere “grazie e buon viaggio”.
    Lo sguardo di Derek s’indurì.
    - Beh se la pensi così non credo certo che lo supererai neanche tra dieci anni.
    Ronnie abbassò nuovamente il viso sulle lenzuola con aria imbronciata.
    - Sentimi bene. Soffri di attacchi di panico e hai avuto un trauma cranico non leggero, hai avuto una crisi di nervi e sei un concentrato di stress, hai bisogno di rilassarti per un po’. Inoltre il medico è a conoscenza di tutto, quando uscirai da qui comincerai una terapia, se non vuoi affrontarla in un centro lo farai a casa tua. Noi ti staremo vicino, chiaro? Non sarai sola, anche se non lavori con noi tutti i giorni.

    Restò in silenzio, sorridendo amaramente per l’ultima frase, formulata come una minaccia, sapeva che avrebbe dovuto affrontarla volente o nolente ma non lo accettava, non accettava tutto questo come merito dell’uomo con la scure. Se rivoleva il suo posto, doveva combattere contro i fantasmi.
    - Non far avvicinare nessuno alla mia scrivania – ordinò infine con sguardo deciso. Derek sorrise.
    - Jordan voleva andarsene ma abbiamo dovuto convincerla a restare fin che non tornerà operativa Emily, non preoccuparti, se si avvicina alla tua scrivania le sparo.
    - Perfetto.
    Il viso di Ronnie si fece nuovamente cupo, pallido e graffiato dalle escoriazioni e dal vetro della vettura, venne attraversato da una lacrima trasparente che subito si preoccupò di scacciare via con stizza con le dita. Alzò gli occhi senza sollevare il viso e vide Derek sottecchi muoversi e prendere qualcosa dalla borsa da lavoro, si chiese cosa stesse combinando con tutto quel cercare… quando si girò nuovamente aveva tra le mani l’orsacchiotto di Cameron, le si spalancarono la bocca e gli occhi, lo guardò come un tuffo nel cuore, glielo mise tra le mani e non disse niente. Lei lo fissò con malinconia, quell’orsacchiotto simbolo della sua infanzia diventato filo conduttore con il presente, legame che permise a Derek di sapere dove si trovasse Ronnie quel giorno.
    - Ho pensato che così non ti sentiresti sola fin che non ti dimettono.
    Alzò gli occhi sui suoi - Tu sei pazzo.
    - Me lo fai un sorriso?
    Vide la sua bocca trasformarsi in qualcosa che voleva esserlo, poi si avvicinò e lo abbracciò forte sentendo anche le sue braccia forti circondarla con tutto l’affetto di cui aveva bisogno.
    - Sei sempre il mio cattivo ragazzo preferito. Lo sai già che ti voglio bene? – mormorò nel suo orecchio e dagli occhi scesero gocce di felicità e paura.

    Continua…


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    Edited by robin89 - 17/5/2011, 17:43
     
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  11. robin89
     
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    amo Derek e penso si sia capito :wub: ne voglio uno qui. adesso.


    Erano passati quattro giorni da quando Ronnie era stata dimessa dall’ospedale, risultato: una bella cura di antidepressivi e un programma di riabilitazione che coinvolgeva tutta la squadra, dovevano fare in modo di non lasciarla mai sola e aiutarla a distrarsi, tornare alla realtà dimenticando i suoi incubi, dovevano essere la sua forza.
    Quel giorno avevano deciso che sarebbero andati al ristorante cinese, dopo quel periodo sembrava un’eternità che non ci mettevano piede. Speravano che sarebbe stato d'aiuto a Ronnie fare qualche sorriso intorno al loro tavolo preferito, ma il risultato è che ascoltava passivamente i discorsi, cercava di sembrare il più normale possibile, di essere sempre la stessa, maliziosa..allegra, ma era difficile mentire.
    - ..E poi se avrò una figlia la chiamerò Kate..
    - No! Kate no! – esclamò Ronnie voltandosi di scatto su Garcia.
    - Perché no? Non ti piace dinamite? – disse facendosi piccola piccola in mezzo ai suoi mille colori solari che scaldavano l’ambiente.
    - ..è che..era il mio nome quando stavo sottocopertura, vorrei non doverlo sentire troppo spesso – posò gli occhi sul tavolino.
    - Oh… - Garcia diventò euforica al sentire “sottocopertura” – raccontaci qualcosa dai! Eri diversa da adesso?
    - Sì, avevo i capelli alla spalla ed erano quasi biondi, e poi ero più “selvaggia”.
    - Beh non è che ora non lo sia – scherzò Derek davanti a lei. Lei sorrise.
    - Dai raccontaci qualcosa! – continuò Garcia smaniosa di racconti epici, non altrettanto entusiasta Ronnie – eri un’infiltrata di qualche strana organizzazione?
    - Ehm. Più o meno. Dovevo cercare d’incastrare un maniaco sessuale facendo da esca, era un riccone che possedeva un night ed era sospettato di omicidio ma non c’erano prove. Io divenni un’assidua frequentante del locale.
    - Ballavi sui pali e sui cubi in giarrettiera? – Garcia sgranò gli occhi e Reid, Derek ed Emily repressero una risata mentre la immaginavano in quelle vesti.
    Ronnie divenne fucsia – no! Io… dovevo..
    - L’hai incastrato?
    Ron si schiarì la voce – no.
    - Oddio ti hanno beccata? Hanno cercato di ucciderti?
    - No.
    Ronnie agitava un piede sotto il tavolo, stufa di tutte quelle domande cercava di chiudere le risposte seccamente.
    - Quanto ci sei rimasta? E se tu…
    - Garcia – fu Derek a interromperla, Ronnie guardava fuori dalla finestra e Reid inghiottì osservando entrambi. Garcia si bloccò vedendo la reazione di Ron in silenzio – scusa, non volevo dire niente che…
    - Tranquilla – la rassicurò.
    Lei annuì mordendosi la lingua, i profiler cercavano una scusa per far tornare Ronnie tra loro, lei invece era presa a fissare una figura oltre Morgan, all’esterno oltre la vetrata davanti a lei, un ragazzo la fissava invitandola ad uscire senza muovere un dito.
    Ronnie sentì un colpo al cuore, chiuse gli occhi riaprendoli subito credendo di star sognando a occhi aperti. Le balzò in testa un’idea assurda, troppo assurda per essere vera, no era vero … non poteva esser lui, era morto, ma avrebbe riconosciuto quegli occhi celesti e freddi anche tra una folla di mascherati in festa.
    - Che guardi? – le chiese Derek vedendola imbambolata e concentrata di colpo.
    - Dove vai? – le chiese Emily quando si alzò dal tavolo.
    - Torno subito.

    Andò incontro a quella persona fissandola con due occhi indagatori, certa e non certa che fosse lui, impaurita che non fosse impazzita di colpo.
    Si fermò, davanti a lei un ragazzo sulla trentina, alto, capelli lunghi fino alla spalla, biondino, due occhi celesti come il mare d’estate e freddi come l’inverno, una barbetta incolta contornava i lineamenti mascolini.
    - Ciao Cammy..
    - Eddy – pronunciò come se non credesse ancora ai suoi occhi - Pensavo che fossi morto..
    - Ti hanno informata male. Anch’io pensavo che fossi morta, invece siamo tutti e due vivi, che coincidenza.
    - Come mi hai trovato?
    - La tv. Complimenti, ne hai fatta di strada – più che un complimento sembrava una presa in giro carica d’astio.
    - Già. Io..non so che dire, cosa ci fai qui?
    - Non sei contenta? sono venuto a trovarti, è tanto tempo che non ci vediamo, da quando ci hai mollato di punto in bianco, vedo che te la passi bene – indicò con gli occhi il tavolo di profiler.
    - Non vi ho mollato – precisò lei - è una storia lunga.
    - Ah sì? sei sparita all’improvviso, da quando è successo quel fatto, non ti sei fatta più vedere.. noi ti volevamo bene e tu ci hai ignorato - affermò con disprezzo.
    - Non è così Ed! Non sai niente di quello che è successo !
    - So’ che Joseph è morto di overdose, Elian è morto perché mentre spacciava è finito in mezzo ad una sparatoria, tu dov’eri quando ci chiedevamo se stessi bene?
    - Se sei venuto qui a rinfacciarmi il loro destino è meglio se torni da dove sei venuto.
    - Perché altrimenti mi arresti? E pensare che prima eri dalla parte delle sbarre, come cambiano le persone eh?
    - Non sono cambiata affatto, ho solo riconosciuto i miei sbagli.
    - Eppure non la pensavi così, non si rinnega il passato – disse avvicinandosi.
    - Non rinnego niente. Hai bevuto? – esclamò spingendolo indietro, era decisamente ubriaco. Lui si avvicinò di nuovo minaccioso e le diede una spinta alla spalla – che fai? Adesso ti vergogni di me?
    Lei non reagì, confusa da tutto ciò che l'aveva colta di sorpresa lasciandole senza parole e spiazzata, barcollò come una bambola e una macchina le impedì di indietreggiare oltre, si trovò invece concentrata su Derek che apparve all’improvviso fra loro.
    - Ehi! - Derek lo raggiunse in un baleno e prima che lui capisse cosa stava succedendo si ritrovò l’uomo addosso.
    Lo afferrò per la camicia spingendolo al lato del vicolo, Ed si trovò sul muro con un tonfo, con la faccia incollata alla parete, un braccio girato nella schiena e Morgan che lo teneva fermo con una mano, spingendogli la testa sui mattoni, con l’altra faceva leva sul braccio sollevandolo al contrario provocandogli un urlo di dolore, Ronnie immobile osservava con le parole che morivano in bocca.
    - Ehi Cam digli di lasciarmi! cazzo lasciami!
    Derek gli ringhiò ad un centimetro dall'orecchio così silenziosamente che quasi Ronnie non riuscì a sentire - Prova anche solo a toccarla un’altra volta e ti faccio rimpiangere di essere nato, chiaro? E non ti permettere mai più di parlarle in quel modo, stai lontano da lei. Ora fila e non farti più vedere – gli sollevò ancora il braccio facendolo urlare.
    - Okay okay! Vado!
    Derek lo lasciò e lo spinse via, restando tra lui e Ronnie aspettava che se ne andasse, Ed guardò Ron impaurito mentre si massaggiava un braccio, deciso a filarsela la guardò di sbieco.
    - Buon compleanno ragazza sperduta.
    Si fissarono ancora un attimo,Ron girò il viso per non incontrare più il suo sguardo, ricordando il momento speciale di quel giorno, poi lo vide svoltare l’angolo e rimase solo l’eco delle sue parole.

    Derek le si avvicinò con quegli occhi dolci e preoccupati allo stesso tempo che solo lui sapeva fare – tutto okay?
    - Sì, grazie, ma non ce n’era bisogno.
    - Io credo di sì invece. Conoscevi quel tizio? Che vuol dire quella frase?
    - Non ha importanza ora, torniamo a casa? Per favore - lo implorò con gli occhi.
    Derek annuì e sospirò - come vuoi - le circondò le spalle con un braccio come se dovesse ancora proteggerla e avvicinandola le diede un bacio quasi nell'occhio, come piaceva a lei, strappandole un sorriso triste e amaro.
    La riportò dentro, mentre fuori restava l'eco di quella frase entrata nella sua testa, un'altra volta reale:
    "buon compleanno ragazza sperduta".


    Continua…

    potete immaginare Eddy come Kurt Cobain ;)

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    Edited by robin89 - 22/5/2011, 09:19
     
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  12. robin89
     
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    dopo il capitolo di ieri ho avuto un pò di ispirazione :shifty: capitolo più caldo del solito, moolto più caldo :shifty:


    Quella notte non aveva chiuso occhio, intenta a ripercorrere come un film le parole e i fatti della serata trascorsa, un Eddy apparso all’improvviso lasciandola senza fiato e senza tempo di ragionare, perché il suo passato non la lasciava vivere in pace?
    Unsub si scolava una scodella di latte mentre la testa veniva carezzata dalla mano di Ronnie, si era alzata senza la minima idea di cosa avrebbe fatto quel giorno, gli unici amici su cui poteva contare erano a lavoro e lei era segregata in casa, non guidava e non sarebbe andata da nessuna parte, sarebbe rimasta lì a contemplare le scatole di antidepressivi mentre carezzava il gatto.
    Quando qualcuno suonò il campanello improvvisamente, Unsub iniziò a miagolare e Ronnie, convinta che fosse Derek andò verso la porta, prima guardò dallo spioncino, non era lui e chiuse gli occhi sospirando, nella speranza di non vederlo più una volta riaperti.
    Tolse le tre serrature e si trovò Eddy davanti. Si guardarono in silenzio aspettando che qualcuno dicesse qualcosa per primo.
    - Che fai? Mi segui adesso? Vattene – il suo tono deciso tagliava l’aria.
    - Voglio solo parlare – disse lui pacatamente, la puzza di alcool era sparita insieme all’aria da ubriaco lasciando uno sguardo desideroso e pieno di emozioni nascoste.
    Lei scosse la testa - Se ti vede Derek ti fa a pezzi e poi ti uccide.
    - Oh, quel tizio di ieri? Te la fai con lui adesso?
    - No. È un mio collega, qualcuno che mi vuole molto bene, dovresti capirlo.
    Ed girò la testa verso la strada per poi riportarla su di lei.
    - Mi dispiace per ieri, non volevo …
    - Lo so’...
    - Allora, parliamo o no? – la supplicò ancora lui con due occhi teneri.
    Ronnie glielo doveva pensò, così lo fece entrare chiudendo la porta alle sue spalle. Questa volta la piega della conversazione era ben diversa da quella della sera prima, parlarono per un tempo infinito raccontandosi la vita di 12 anni passati in un baleno.
    - … quel giorno sono fuggita e visto che non lo sai, anche io sono stata in overdose..e..mi hanno anche violentata – fece spallucce - sono stata più fortunata di Joseph, un poliziotto mi ha trovato, mi ha portato in ospedale e poi sono rimasta con lui, sono entrata in centro di riabilitazione per due anni e ora sono qui, come vedi non potevo cercarvi. Ma non vi ho mai dimenticato.
    - Mi dispiace, noi non avremmo mai permesso che ti accadesse qualcosa – la sua voce era sincera –sai, anche io ci ho provato, ma dopo un anno ho ripreso e non sono più riuscito a smettere. Tu quante volte ci sei ricascata?
    Ci mise un po’ a rispondere, voltando gli occhi verso il micio davanti a loro – una volta.
    In quel momento le balenò in testa un’idea assurda che disse senza pensarci troppo - Perché non rimani qui? Puoi riprovare a smettere e..
    - Stasera parto – tagliò corto lui facendola rimanere stranamente male.
    - Dove? – la sua voce perse l’entusiasmo.
    - In Canada, vivo in una roulette e ho intenzione di girare l’America in lungo e in largo – si fermò pensando alla domanda- Cam, ti piacerebbe..
    - Ed.. smettila – adesso fu lei a tagliare corto.
    - Beh io ci provo – sorrise.
    - Non chiedermelo mai più.
    In quel momento calò il silenzio, Eddy si avvicinò e provò ad abbracciarla, senza fretta, sperando che non lo respingesse, invece si trovò ricambiato con stupore – mi sei mancata – le disse.
    Per Ronnie fu come fare un tuffo nel passato ma con la consapevolezza di essere nella realtà, lui le cercava la mano con la sua fin che non riuscì a prenderla.
    - Ti amo. Ti ho sempre amato – le mormorò all’orecchio.
    Per lei fu come ricevere un’improvvisa mazzata in testa.
    - Ed, cosa stai.. - Non continuò la frase, interrotta dalle labbra del ragazzo che si posarono su quelle di lei che seguendo la dolcezza di quel tocco si schiusero lasciandosi cullare da loro movimento. Prima timidamente assaporavano quella sensazione, dolce e beata dimenticando il resto del mondo, poi con decisione ricambiò il bacio facendolo diventare uno scambio di passione ritrovata.
    Quando si staccarono per riprendere fiato lei restò a occhi chiusi per poi aprirli subito dopo, non sapeva cosa dire, spense il cervello senza domandarsi niente lasciandosi avvolgere da un altro bacio mentre la camera da letto si avvicinava sempre di più.
    Sbatterono nel comò senza badare a dove o cosa avessero colpito, Cameron sentì il materasso sotto di lei ritrovandosi già senza camicia, si chiese perché il suo corpo in quel momento, nudo davanti a lui, non le provocava quel senso di vergogna e ribrezzo che aveva perennemente provato dopo quello che le fece Howell, che provava se solo i suoi colleghi la guardavano, ricordando quello che avevano visto quel giorno e in quella foto.. e in quel messaggio...
    Eddy lasciò le sue labbra per un momento e abbassò gli occhi al collo.
    - Cosa sono quei graffi?
    - Il mio è un lavoro pericoloso – rispose subito, gli prese la testa affondando la mano nei capelli e lo avvicinò di nuovo impedendogli di farle altre domande,non era il momento di perdersi in quei ricordi quando per la prima volta riusciva ad entrare in un altro mondo nascosto, fatto solo di spensieratezza che aveva quasi dimenticato.
    Baciandolo come e più di prima, aprendo le gambe ormai entrambi nudi permettendogli di entrare, cercando le loro bocche e intrecciando le loro lingue, le sembrò di vivere in un paradiso dove gli incubi erano banditi.
    Perché quel dannato ragazzo aveva quel potere!? Perché quel ragazzo piombato all’improvviso gli sembrava l’unica via d’uscita dai suoi ricordi e da quella vita diventata un inferno? Perché questo le fece improvvisamente paura?

    - Ti amo – le sussurrò lui, nell’aria solo i gemiti e i sospiri di entrambi provocati dalle spinte dentro di lei – vieni via con me.

    Continua….

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    Edited by robin89 - 22/5/2011, 15:59
     
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  13. robin89
     
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    in questo capitolo c'è lo zampino di Unsub, e non intendo il gatto XD

    Avrebbe voluto non sentire quella domanda rimbombarle nelle orecchie.
    Quel ragazzo magnetico e apparentemente perfetto, droga a parte, le aveva appena chiesto se lo seguiva in giro per il mondo, cioè? Mollare Quantico, mollare la squadra, mollare la sua famiglia.. lasciare la sua vita e costruirne una nuova fatta di quella spensieratezza che aveva appena assaporato. Si chiese se avesse il coraggio di farlo, ma non voleva sentire la risposta.
    Si stringeva il lenzuolo intorno al corpo nudo come se avesse freddo, sdraiata su di un fianco sul petto di Eddy, questo la circondava con un braccio e con una mano le carezzava la pelle morbida della schiena, l’aveva appena ritrovata e non voleva farsela scappare di nuovo, improvvisamente la sentì piangere.
    - Ehi – le vedeva solo i capelli cadere nelle lenzuola e si sollevò facendole alzare la testa – perché stai piangendo? – le chiese dolcemente.
    - Perché vorrei che non me lo avessi chiesto – rispose alzandosi di scatto, si mise a sedere ai piedi del letto e cominciò a vestirsi mentre lui la fissava confuso, Ronnie indossò una canottiera e delle coulotte nere e restò seduta con le braccia molli poggiate sulle ginocchia che si bagnavano di lacrime, Ed la raggiunse inginocchiandosi davanti a lei prendendole le mani, anche lui si era vestito, maglietta bianca e jeans strappati, cercava i suoi occhi.
    - Perché? Tu mi dicevi sempre che volevi girare il mondo con uno zaino in spalla – rise – ti ricordi?
    - Non posso venire, mi dispiace.
    - Non puoi o non vuoi? Cam, c’è un mondo splendido là fuori che aspetta solo noi, voglio vedere il Grand Canyon, le montagne del Nevada, i Grandi Laghi, l’Alaska… vuoi restare qui per sempre? Non sei stanca di avere a che fare con i serial killer?
    Lo guardò perdendosi nelle iridi celesti cercandone ogni sfumatura, quel senso di pace che le dava stava per farle dire di sì all’istante.
    - La Cameron che conosco direbbe di sì – continuò lui - e la Cameron che conosco è davanti a me.
    - Smettila di convincermi.. smettila.
    - Non ti voglio perdere un’altra volta, vengo a prenderti stasera alle sette – si perse nei suoi occhi scuri e profondi, si avvicinò a baciarla sulle labbra con tanta passione come fosse un addio, lei non potè fare altro che ricambiarlo sentendo la sua mano affondare nei suoi lunghi capelli, nell’altra sentì che le metteva qualcosa, Cameron la prese per non far cadere a terra e quando si staccò da lui abbassò il viso e lo rialzò subito dopo.
    - Cocaina di ottima qualità..quella che piaceva a te.
    - Ti ho detto che ho smesso, un’overdose mi basta e avanza, ma grazie..molto gentile – rispose ironica.
    - Come vuoi, tienila lo stesso.
    Non fece in tempo a rispondere che venne interrotta da un ultimo bacetto a stampo sulle labbra – a stasera- le disse con un sorriso, la lasciò ancora seduta nel letto a guardarlo andare via.


    Fissava quel pacchetto posato sul tavolino davanti al divano, sembrava la stesse guardando anche lui gridando di aprirlo. Vide Unsub avvicinarsi alla busta che conteneva la polvere bianca e odorare avvicinando timido il muso, immediatamente Cameron lo prese in braccio – quelli non sono croccantini Unsub – lo sgridò mentre cominciava a miagolare, rimase tra le sue braccia e l’attenzione di Ronnie tornò su quello che aveva davanti e alla proposta di Ed che la tentava pericolosamente, ne analizzò le prospettive positive di quella pazzia.
    Infondo cosa gli aveva chiesto? Solo di vivere un po’ all’aria aperta, lei aveva perso il lavoro, la Strauss non ne avrebbe voluto sapere chissà per quanto tempo dunque era libera da impegni, non avrebbe più sentito parlare di uomo con la scure, di serial killer, di omicidi, di quel lavoro di cui aveva quasi perso la fiducia. Aveva la possibilità di lasciarsi tutto alle spalle, tutti i ricordi più brutti e le cicatrici più recenti sarebbero scomparse grazie alla sola presenza di Ed a riempirgli la vita, che in un giorno era stato in grado di portarla in un’altra dimensione di cui aveva disperatamente bisogno, l’avrebbe portata lontano da tutti i suoi incubi in giro per il mondo ..su di una roulotte.. a farsi di cocaina… si disegnò sul viso una smorfia di totale confusione. Cosa voleva dire? Tornare ad essere la vecchia Cameron mandando all’aria tutti i sacrifici per diventare quello che era? E chi era? L’agente Cameron Leane che apparteneva alla squadra o la vecchia Cam sperduta in balia della droga che Eddy le aveva ricordato di essere? E se avesse ragione lui? Se questa nuova vita all’FBI fosse solo una sua finzione per nascondere quello che era veramente?
    Decise che aveva bisogno di parlarne con qualcuno urgentemente e ringraziò di non dover affrontare in quel momento un test psicologico. Non ne avrebbe parlato con Derek, se solo avesse accennato al fatto di averlo anche solo visto, figuriamoci di averci fatto sesso, sarebbe andato alla sua ricerca, lo avrebbe trovato, lo avrebbe steso di pugni e poi gli avrebbe piazzato una pallottola proprio lì. No, decisamente una cattiva idea… nascose la busta di cocaina e prese le chiavi di casa pronta per chiamare un taxi, la destinazione la sapeva già.


    - Così ci sei andata a letto e ti ha chiesto di andare con lui? – Sarah non la guardava, cercava disperatamente le parole adatte.
    - Sarà come una vacanza … avete detto tutti che ne avrei bisogno – Leane continuava a giocare nervosa con una ciocca di capelli. Guardava Collins di sottecchi, indecisa se aveva preso la decisione giusta. Sentiva di dover parlare con qualcuno di Ed, di quello che c’era stato fra di loro e della proposta del ragazzo di partire con lui. Si era aspettata che la sua mentore le facesse una scenata, magari che alzasse la voce dicendole che non poteva abbandonare tutto di punto in bianco per seguire quel ragazzo.
    In fin dei conti era quello che voleva, qualcuno che la riportasse con i piedi per terra. Voleva una bella litigata con Sarah, di quelle memorabili. Urla, grida, strepiti, rimostranze e ramanzine. Così lei avrebbe potuto fare la ragazzina offesa, mettere il muso, dire che nessuno la capiva e poi magari ripensarci all’ultimo minuto con la scusa che Collins l’aveva messa davanti alle sue responsabilità.
    - Quindi hai deciso di seguirlo, giusto?
    - Ci sto pensando…
    - È un tossico Ronnie. Come la metti con la sua dipendenza? Da quello che mi hai raccontato non sembra intenzionato a smettere.
    - I tossici fanno meno male dei serial killer, viste le ultime circostanze. Affronterò il problema a suo tempo – fece spallucce, sapendo che quel gesto noncurante di solito scatenava l’ira dell’altra.
    - Se è questo quello che vuoi… - Sarah sospirò rumorosamente – Mi auguro solo che tu abbia valutato le conseguenze.
    Non voleva alzare la voce. Ormai conosceva Ronnie abbastanza da sapere che quando le urlava contro per riportarla alla realtà, otteneva solo che l’altra si chiudesse a riccio e poi facesse di testa sua. Sapeva che quella era la peggior decisione che la ragazza potesse prendere, ma doveva trovare il modo di farla ragionare senza arrivare allo scontro.
    - Quindi tu non hai in contrario? Non mi chiedi di restare?
    - Non è a me che devi rendere conto delle decisioni riguardanti la tua vita… Ricorda solo che se abbandoni di nuovo la squadra, io non muoverò un dito per farti riammettere. Giusto nel caso tu cambiassi idea.
    - Non voglio lasciare la squadra! E’ solo una vacanza!
    - E quanto durerà questa “vacanza”? Una settimana, un mese, un anno? A tempo indefinito? Ti aspetti che noi rimaniamo qui ad aspettarti finché non deciderai di tornare indietro? – sollevò un sopracciglio ed assunse un’espressione scettica – Se è questo, quello che ti sta frullando per la testa… beh, ti sbagli di grosso. Se deciderai di partire con lui, farò in modo di sostituirti il prima possibile. Ci sono un paio di cadetti interessati e che hanno le potenzialità per intraprendere questo lavoro.
    - Tutto qui? Mi sostituiresti così? – Ronnie la guardava con la bocca aperta, avrebbe voluto urlarle contro tutta la sua frustrazione.
    - Non dipende da me… uno dei miei compiti è assicurarmi che la squadra sia al completo. Non posso lasciare un posto vagante troppo a lungo, il bureau non apprezza questo genere di comportamenti.
    - Ma quando se ne è andata JJ, voi…
    - JJ non è una cosa che mi riguarda. Non è mai stata una profiler ed io non mi occupo di addestrare addetti alla comunicazione. Come vedi ho le mani legate.
    Si alzò e la precedette alla porta del suo ufficio. Ronnie la seguì, ancora sconvolta dall’atteggiamento dell’altra. Possibile che dopo quello che le aveva detto su come per lei fosse quasi una sorella minore, si limitasse a dirle “tante belle cose, buon viaggio”? Sentì la rabbia montarle dentro. Cominciò uno dei suoi viaggi mentali, come le succedeva sempre quando perdeva la calma. Perche non mi chiede di restare? Perché non mi dimostra di volermi qui con loro? Si disse che in fin dei conti tutte quelle storie sul fatto che erano una famiglia, erano balle. Si limitavano ad essere colleghi e probabilmente a nessuno di loro sarebbe importato granché se lei se ne fosse andata per non tornare più. Non era un loro problema, visto che forse la Strauss non le avrebbe più permesso di stare nella squadra, meglio che si togliesse dai piedi e permettesse a tutti loro di andare avanti, certo! Sicuramente anche Derek la vedeva così… Beh, che andassero tutti al diavolo!
    - Pensa bene a quello che fai, Cameron – dicendo così le chiuse la porta alle spalle, segno evidente che il loro colloquio era finito.

    ***

    Decise di partire con Ed, almeno lui aveva dimostrato di tenerci a lei e forse capì anche che in fin dei conti, lei era quella che lui non aveva dimenticato, doveva solo trovare qualcuno che le desse la possibilità di sentirsi libera di esserlo, la Cameron disposta a dimenticare il male del mondo con la droga e del sesso, il resto erano solo balle, Sarah si era dimostrata un’ipocrita di prima categoria. L’aveva fatta sentire a casa, le aveva dato l’illusione di essere amata e poi? La metteva gentilmente alla porta come se fosse un’estranea.
    Prese il pacco di cocaina e lo buttò con rabbia dentro uno zainetto mentre cominciava a fare la valigia con un viso deluso e offeso.

    Ed camminava per la strada illuminata solo dai lampioni. Cam gli aveva detto che voleva parlargli. Aveva sicuramente deciso di andare con lui, in fin dei conti quelli con cui lavorava non sapevano niente di lei, lui invece l’amava e sapeva quel lato che nessuno conosceva, era sua e avrebbe fatto di tutto per renderla felice.
    Per arrivare da lei gli bastava svoltare l’angolo. Ma si fermò ad osservare una figura che era lì ferma con le braccia incrociate. La guardò meglio nella semioscurità. Una donna, di poco più grande di lui, vestita con un tailleur elegante e i capelli neri raccolti in un austero chignon. Due occhi verdi e freddi come il ghiaccio lo stavano squadrando da capo a piedi.
    - Problemi bellezza? – ironizzò lui avvicinandosi.
    - Per te, una montagna … “bellezza” – il tono era freddo e distaccato, qualcosa in quella donna lo metteva in agitazione.
    - Senti fanciulla, forse mi hai scambiato per qualcun altro, visto che io non ti conosco proprio.
    Il ragazzo si trovò a confrontarsi con la canna di una pistola che la sconosciuta aveva spianato con un gesto fluido. Indietreggiò di un passo e alzò le mani in segno di resa. Quella era sicuramente pazza.
    - Ora stai zitto e mi ascolti attentamente. Se ho l’impressione che tu non lo stia facendo… beh, il medico legale dovrà fare l’autopsia ad un altro tossico che è morto per un diverbio con uno spacciatore.
    Il ragazzo si limitò ad annuire. Sentiva il sudore corrergli lungo la schiena e pensò che per lui era arrivata veramente la fine.
    - Leane è molto importante per me. Voglio molto bene a quella combina guai e non voglio vederla soffrire. Tu hai intenzione di disintossicarti?
    - Questi non sono…
    - Affari miei? Vedo che non hai afferrato bene il concetto su chi tu abbia davanti e su chi di noi due stia rischiando un buco in fronte. Ma la tua risposta è molto eloquente. Se avessi la speranza che tu possa renderla felice, l’abbraccerei stretta e poi la lascerei libera di vivere la sua vita, anche se con un fallito come te – era come se combattesse con un groppo in gola e la pistola tremava leggermente – Ma so che tu trasformeresti la sua vita in un inferno senza fine, conosco i tipi come te, siete tutti uguali. Ronnie è talmente testarda ed orgogliosa che non troverebbe mai il coraggio di venirmi a chiedere aiuto. Quindi ora ti dico un paio di cose “bellezza”.
    Sarah fece un passo in avanti e premette con forza la canna della Glock sulla fronte del ragazzo. Il suo sguardo trasudava odio profondo per chi stava per portargli via la “sua” Ronnie.
    - Una volta un pazzo psicopatico l’ha rapita e ha minacciato di ucciderla… le aveva somministrato qualche tipo di droga e lei ha rischiato di ricadere nel tuo schifoso mondo. Sai che fine a fatto quel figlio di puttana? – guardava gli occhi atterriti del ragazzo che ora sudava copiosamente – L’ho ammazzato come il cane che era. Quindi ora tu fai dietro-front e sparisci dalla sua vita, non puoi darle quello che ha trovato qui, neanche in capo al mondo. Non provare a rivederla, non provare neanche solo a chiamarla. Se lo farai, io verrò a saperlo e non ci sarà più un posto sicuro dove tu possa rifugiarti. Sono stata chiara? Altrimenti mi costringi a fartelo entrare in testa con le cattive.
    - Lei mi ama, nessuno di voi la conosce e...
    - Ripetilo un’altra volta - Fece una leggera pressione con la pistola e fu ricompensata da una macchia umida che andava ad allargarsi all’altezza del cavallo dei pantaloni del ragazzo.
    - Bravo “bellezza”, vedo che siamo riusciti a capirci. Ora io conto fino a cinque, se quando ho finito tu sei ancora nei paraggi… farai la conoscenza del mio caro amico “proiettile calibro 22”. Uno!
    Il ragazzo cominciò a correre all’impazzata lungo la strada, non si voltava nemmeno per assicurarsi che lei lo seguisse, si rifugiò dietro un vicolo prima di saltare sulla roulotte e mettere in moto abbandonandosi allo schienale. Tra quella pazza furiosa e l’altro tizio di colore pensò Ed, ci mancava solo il filo spinato intorno a Cameron, forse era meglio così, lasciarla dove l’aveva trovata, dimenticarsi la sua ragazza sperduta e lasciarla nelle mani di chi le voleva bene fino a quel punto.
    Sorrise soddisfatta, sapeva per esperienza che i tipi del genere erano dei cacasotto e che non si sarebbe più avvicinato alla sua amica.
    Aspettò un quarto d’ora, poi si incamminò lungo la strada diretta all’appartamento di lei. Risolto il “problema Ed” doveva chiarire cosa realmente pensava di tutta quell’assurda situazione.

    Ronnie aprì la porta in lacrime e Sarah la strinse forte a sé.
    - Cos’è successo? – sapeva già la risposta.
    - Ed non è venuto, ho provato a chiamarlo e mi ha detto che non vuole vedermi mai più, che è stato tutto uno sbaglio – Cameron si era lasciata andare contro la spalla di Collins che la stringeva e le carezzava piano i capelli – perché? Io non gli ho fatto niente. Aveva detto di amarmi! – pianse disperata.
    - Quelli come lui amano solo se stessi, tesoro. Tu sei troppo in gamba per sprecare il tuo tempo con un tipo del genere, non lo meriti.
    Continuò a cercare di calmarla, massaggiandole piano la schiena, finché l’altra non si abbandonò a quel conforto offerto in modo così delicato.
    - Come mai eri passata? – le chiese una volta recuperato il controllo.
    - Ero venuta a chiederti non lasciarci. Siamo la tua famiglia Ronnie e non vogliamo perderti… io ti voglio bene.
    Ronnie sentì un nuovo magone alla gola e la strinse forte – mi dispiace.
    - Per cosa?
    - Per aver dubitato di voi.

    “E mi auguro che tu non scopra mai fino a dove mi sono spinta pur di proteggerti”.

    Continua…

    qui trovate la seconda opzione del capitolo -> https://criminal-minds.forumcommunity.net/?t=45794526

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    Edited by robin89 - 27/5/2011, 15:01
     
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  14. robin89
     
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    questo capitolo è molto Derek/Ronnie per la felicità di qualcuno ^^ domani o più tardi aggiungerò la seconda parte dunque non comparirà come aggiornamento ma come modifica ;)


    Ufficio Hotch.

    Morgan bussò alla porta con le nocche della mano, dopo aver sentito la voce di Hotch dargli il permesso, entrò piazzandosi davanti alla scrivania con fare disinvolto, l’altro compilava fogli e nel frattempo alzò il viso, lo salutò con un cenno del capo – come sta Cameron?
    - Fa finta di stare bene – rispose lui facendo sospirare Hotch, questo lo guardò preoccupato aspettando prima di porre quella domanda.
    - Sappiamo come vive queste situazioni non possiamo negarlo, secondo te potrebbe reagire come l’anno scorso?
    Derek si portò le mani sui fianchi e girò il viso verso la finestra, Hotch aspettava una risposta mentre Derek pensava a cosa dire.
    - Intendi alcool o droga? – non era una domanda - Non credo – disse cercando di convincersi, mi fido di lei e non lo farebbe un’altra volta. Però ho paura che possa perdere il controllo da un momento all’altro – scosse la testa arrabbiato - la Strauss non può mandarla via così. Ha bisogno del suo lavoro per andare avanti.
    - Lo riavrà quando sarà pronta, però dipende da lei reagire nel modo giusto. Io e Collins non possiamo fare più tanto – gli disse cercando una specie di aiuto.
    - Stasera passo da lei e la tengo un po’ d’occhio – rispose Derek annuendo - Ci vediamo domani.

    Appartamento Cameron.

    Ronnie era coricata nel letto che sapeva ancora del giorno prima, piangeva e non sapeva nemmeno lei perché si sentiva così chiusa come dentro una gabbia. Venne destata solo dal suono improvviso del campanello e dopo essersi messa qualcosa per coprirla decentemente andò ad aprire.

    Era già nel suo appartamento da qualche minuto e aveva già notato che qualcosa non andava, Ronnie era silenziosa, come se volesse evitarlo faceva la misteriosa, era agitata allo stesso tempo e si muoveva in modo strano nella speranza di mandare via l’amico nel più breve tempo possibile.
    Unsub, seduto sul pavimento con la coda a circondare le zampe nere, aveva il muso alzato per riuscire a guardare Derek con occhi curiosi.
    - Lo sai che quando non c’eri gli ho dato da mangiare? – disse lui guardando il micio dall’alto.
    - Gli hai dato il latte dal frigo?
    - No, c’era un hamburger e gli ho dato quello.
    Ronnie spalancò gli occhi – Derek! è un minuscolo gattino! L’hai scambiato per un dinosauro forse?
    - Perché? I dinosauri mangiano hamburger? Aveva fame, me l’ha chiesto lui.
    - Ah sì? E perché a me non parla?
    - Forse gli stai antipatica – disse con una smorfia affettuosa.
    Ronnie sospirò quasi divertita e gli prese un colpo quando Derek posò involontariamente gli occhi sul tavolino, attirato da un pacchetto bianco, si avvicinò e lo prese in mano studiandolo attentamente senza far trasudare la minima espressione.
    Ronnie chiuse gli occhi, avrebbe voluto volare dalla finestra dopo essersi frustata 1000 volte per essere stata così deficiente da dimenticarsi di nasconderlo prima di aprire la porta, o buttarlo..perchè non l’aveva buttato? Si chiese in quel momento.
    Lo vedeva in silenzio serrare la mascella e mettere le mani sui fianchi mentre pensava a come poter non perdere il controllo, Ronnie non aveva il coraggio di dire niente e a testa bassa vide Unsub squagliarsela strisciando nel pavimento. Lo stomaco di Ron tremava aspettando una qualsiasi reazione dell’altro.
    Avanti dì qualcosa! Reagisci! Quel silenzio era peggio di una sfuriata.
    Lo vide voltarsi finalmente verso di lei.
    - Non è come pensi – lo anticipò.
    - Dov’è quel figlio di puttana – il tono era piuttosto controllato ma rigido.
    - È partito e non tornerà… e non ne ho usato – aggiunse agitata.
    - Non voglio saperlo.
    - Telo dico io, non l’ho neanche aperto.
    - Perché questa roba è qui?
    Inghiottì prima di parlare – è passato ieri e l’ha lasciata, non l’ho chiesta io e non avevo intenzione di usarne.
    - E si può sapere cos’aspettavi a liberartene? – adesso aveva alzato la voce.
    - Io… stavo solo..l’avrei fatto…non lo so’.
    Derek scosse la testa, prese il pacco e si diresse verso il bagno.
    - Ti ho detto che non ne ho usato!– gli gridò dietro seguendolo nel corridoio – non l’ho neanche aperto devi credermi!
    Si fermò davanti alla porta del bagno dove vide Derek gettarne il contenuto e tirare lo sciacquone - per favore devi credermi - mugugnò trattenendo un nodo alla gola, Derek tornò davanti a lei che lo aspettava come un gattino impaurito. Si aspettava che se ne andasse sbattendo la porta, invece restava lì a fissarla.
    - mi credi? - chiese con due occhi timorosi.
    L'ultima cosa che voleva vedere dopo il colloquio con Hotch era un pacco di droga a casa sua, non rispose immediatamente.
    - okay...ti credo. Ora mi spieghi chi è quello lì?
    Ronnie sbuffò tutta la tensione che aveva dentro, sentendo ancora un angoscia per un discorso che stava per arrivare.
    - Perché t’interessa? Ormai se n’è andato – la voce era pacata e senza emozione,mogia, fece per tornare nel salotto ma Derek l'afferrò per un braccio e la tirò indietro facendola voltare bruscamente, la guardò serio negli occhi - Rispondi.
    Decise di alzare gli occhi impauriti per incontrare i suoi - Era un ragazzo che frequentavo, uno del mio gruppo di quando ero a Los Angeles. E basta..
    - Perché è passato da te dopo quello che è successo ieri? Credevo di essere stato chiaro.
    - …. Voleva solo parlare - decise di vuotare il sacco una volta per tutte e aspettare la sua reazione, quella che non ricevette da Sarah e voleva da lui - poi mi ha chiesto di andare via con lui.
    Derek scese dalle nuvole, irrigidendosi di nuovo e chiudendo i pugni.
    - E..?
    - E poi è partito senza di me, non so il motivo..dato che aveva detto ..di amarmi – stava parlando con l’angoscia che le potesse arrivare uno schiaffo da un momento all’altro, non sapeva nemmeno perchè stesse dicendo quelle cose a lui.
    - Ci sei andata a letto? – chiese molto esplicitamente.
    Ronnie sbiancò, suonò più come un’accusa che una domanda. Si limitò ad abbassare la testa senza rispondere e Derek capì che era un sì.
    Inghiottì e scosse la testa quasi con disgusto mentre girava gli occhi da una parte all’altra del mobiletto dietro di lei, il tono faceva trasparire una rabbia controllata - E secondo te. Un tossico che dice di amarti. Ti da’ della droga e tu gli credi? Ti sei bevuta il cervello insieme a lui? - gli gridò in viso, lei chiuse gli occhi mordendosi un labbro.
    Riflettè su quella frase appena udita, così ovvia detta da lui che la fece ragionare, effettivamente non aveva pensato a quel punto di vista, se davvero l’amava e voleva renderla felice, perché dissuaderla con la droga sapendo che ne era uscita da tempo? Si diede della stupida per non averci ragionato prima, troppo presa dalla sua magica e gradita apparizione di cui voleva vedere solo i lati positivi.
    Controllando che non la fermasse di nuovo, si liberò dalla sua vicinanza e allontanandosi si diresse lentamente verso la cucina, qui si sistemò con i gomiti poggiati sul tavolo dando le spalle a Derek e tenendosi la testa con le mani, si vergognava di sentirsi così fragile di fronte una proposta di evasione che nella sua ingenuità aveva preso come la soluzione ai suoi problemi, sarebbe caduta in tentazione senza battere ciglio solo perché vedeva in Eddy la pace e la libertà che cercava, vide il legno bagnarsi di lacrime e Derek si avvicinò un poco, il tanto da poter vedere la scatola di antidepressivi e antidolorifici per la testa.
    - Li stai prendendo? – chiese decisamente più pacato.
    - No.
    - Dovresti.
    - Non saranno due pastiglie a farmi stare meglio, ho solo bisogno di – sospirò esausta - non lo so di cosa ho bisogno.. vorrei solo che tutto tornasse come prima, vorrei che non fosse successo nulla di tutto questo, non vorrei tante cose della mia vita! – prese un bicchiere che si trovò davanti e lo scaraventò a terra frantumandolo mentre i singhiozzi aumentavano.
    - Ehi ehi ehi! Calmati – esclamò Derek avvicinandosi piano, il medico lo aveva avvertito degli effetti collaterali del trauma dell’incidente misto all’esperienza di Ronnie appena passata: mal di testa, problemi di memoria, cambiamento di personalità, problemi di concentrazione, disturbi del sonno, irrequietezza, irritabilità, apatia, depressione, capacità di ragionare, ansietà, lei ce li aveva tutti.
    Cameron non si mosse e sentì le braccia di Derek circondarla da dietro senza farla voltare, il profiler, data la stoffa leggera della magliettina che aveva lei, poteva sentire i contorni delle cicatrici rialzate sulla schiena come se formassero dei disegni, una era più grande e lunga delle altre.
    Ronnie scivolava per terra continuando a piangere e lui l’accompagnava con il suo corpo fino a farla sedere sul pavimento, s’inginocchiò vicino a lei e la tenne abbracciata cullandola.
    - Rivoglio tutto quello che avevo – gli disse poggiando la testa sul pettorale, lui le carezzava la schiena e l’altra mano era affondata nei capelli della nuca.
    - Se lo rivuoi devi fare quello che dice il medico, non pensare che fuggire da qui ti risolva i problemi.
    - Però non riesco a risolverli – la voce persa nelle lacrime sembrava quella di una bambina.
    Derek continuava a coccolarla mentre si guardava intorno – ti va’ di uscire un po’? - Lei si passò una mano sul viso bagnato e annuì felice della proposta.

    Unsub li guardava minaccioso all’uscio.
    - Tranquillo te la riporto sana e salva – gli disse Derek prima di chiudere la porta.

    Continua….

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    Edited by robin89 - 26/5/2011, 20:39
     
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  15. robin89
     
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    seconda parte del precedente capitolo ;)


    Sentiva il vento sul viso e i raggi deboli del sole in tramonto gli solcavano la pelle colorandola di mille sfumature, davanti a lei si estendeva un laghetto contornato di alberi stile Norvegia, ci andava spesso da sola e Derek sapeva bene che poteva trovarla lì quando non era in casa, infondo era a due passi dall’Accademia di Quantico.
    Erano in piedi davanti quel piccolo panorama con le braccia poggiate sul legno del molo, Ronnie stava in silenzio a godersi la natura come se stesse rigenerando nella mente, poi sentì la voce di Derek a fianco a lei.
    - Stavo pensando – disse senza voltarsi - io conosco l’agente Cameron Leane, però non so’ niente di chi eri.
    - Vuoi sapere chi era quella che conosce Eddy? – non si aspettava la risposta, si mise a fissare l’acqua del lago ora rosa, rossa, blu, gialla, che le colorava le iridi degli occhi.
    - Ero una bambina piuttosto allegra, diffidente ma spensierata. Un piccolo spirito libero. Avevo una grande casa, una piscina, tantissimi giocattoli, un letto a baldacchino meraviglioso – fece spallucce - Ho sempre avuto tanti regali, ma non mi hanno mai raccontato una favola.
    Quella frase toccò il cuore di Derek che provò una grande tenerezza per Ronnie che in quel momento costruì un piccolo sorriso - Mi ricordo che quando avevo 10 anni scappavo di casa all’ora di cena per non sentirli litigare e andavo al fast food vicino, ordinavo un hot dog e restavo a chiacchierare con il gestore del locale, da sola – l’ultima parola aveva una piega triste e amara che disfò il sorriso di prima.
    - Perché ti ha chiamato ragazza sperduta? – chiese cambiando discorso, ricordando la frase di Eddy.
    - È un soprannome che mi avevano messo, ero la più piccola del gruppo e l’ultima arrivata, si prendevano cura di me come potevano e io avevo bisogno di loro.
    Derek sospirò, non gli andava giù che un ragazzo così fosse in grado di riuscire a portarla via dalla loro famiglia, allora chi era la vera Cameron? – ora ti faccio una domanda, voglio che tu sia sincera – le disse ancora senza voltarsi, ma restando entrambi concentrati sul panorama.
    - Certo.
    - Saresti partita davvero? Saresti stata più felice con lui che con noi?
    Ronnie si ritrovò improvvisamente a fare i conti sul serio con la decisione che stava per prendere il giorno prima. Avrebbe preferito non rispondere con tutta quella sicurezza e restò un attimo perplessa a pensare a cosa avrebbe fatto e alle conseguenze, quella domanda la spiazzò, inghiottì prima di rispondere.
    - Sai..a volte mi dimentico quanto sia bello il mondo – fece cenno con la testa al laghetto - con il lavoro che facciamo – si schiarì la voce – che facevo.. Ed per un momento me l’ha ricordato e credevo di poter risolvere tutti i miei problemi, mi sembrava la manna piovuta dal cielo a liberarmi. Ero arrabbiata con Sarah, perché quando gliel’ho detto non ha mosso un dito per fermarmi, volevo che m’impedisse di sbagliare, che mi urlasse di essere una stupida, invece mi ha fatto sentire inutile.. per quello volevo partire, per dimenticarmi di voi. Però avrei sbagliato, me ne sarei accorta a metà strada e sarei tornata indietro, sperando che qualcuno mi aspettasse ancora, perchè mi avete dimostrato che non ne valeva la pena. Il mio mondo non è bello senza di voi. Okay..sto parlando troppo.
    - Credo che tu non abbia mai collegato tante frasi in vita tua - grazie, era quello che volevo sentire.
    Cameron mostrò un lieve sorriso a fior di labbra – come sta Emily?
    - Fra tre settimane le tolgono i punti, poi potrà tornare a lavorare, vuoi lasciarmi solo nelle sue mani?
    - Certo che no! Chi te le guarda le spalle? Saresti spacciato senza di me dopo due secondi.
    - Ehi ragazzina sono io che ti ho salvato la pelle dalla mitraglietta non il contrario.
    - Okay okay, questa te la do per buona - Risero guardandosi per la prima volta da quando erano arrivati, per poi tornare seria di colpo – questo dovresti dirlo alla Strauss.
    - No. Dipende da te, non da lei. Hai saltato un appuntamento dal terapista ieri – le ricordò secco.
    - Preferisco stare qui che in quello studio.
    - Lo so’, ma devi fare anche quello se rivuoi il tuo lavoro,ti ha dato solo una possibilità Ron..cerca di non rovinartela da sola – la guardò con attenzione - Hai ancora quei mal di testa?
    - Sì, però sono meno forti.
    - Vedi di prendere le medicine o te le faccio ingoiare con le cattive.
    - Non mi dispiacerebbe – sorrise maliziosa, così scoppiarono di nuovo a ridere mentre il sole li abbandonava dietro le montagne.

    Continua….

    in foto: Lunga Reservoir, lago a due passi da Quantico.

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    Edited by robin89 - 27/5/2011, 21:27
     
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