Phantom from the past

Robin89

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    Autore: Robin89
    Titolo: Phantom from the past
    Rating: arancione
    Categoria: long-fic
    Avvertimenti: riferimenti violenze fisiche
    Personaggi/coppia: Cameron Leane, team.
    Disclaimer: I personaggi non mi appartengono(tranne quelli da me inventati), sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    Note: chiariamo un pò di cose. Cameron è nell'unità da due anni e mezzo. In questa FF compare l'agente Jordan Todd ma non ha alcun legame con la 4' stagione poichè la storia si svolge un anno e mezzo dopo l'uscita di JJ ed è qui menzionata solo come sostituta temporanea. Derek ed Emily stanno insieme con tanto di figlia Meredith e Reid è sposato con Sarah Collins (personaggio appartenente ad Unsub di questo forum). Leane si pronuncia Lein. Credo di aver chiarito tutto, se avete dubbi chiedete pure, nel caso mi venisse in mente qualcosa lo scriverò a inizio capitolo.. buona lettura e avanti con gli scleri :D

    Phantom from the past

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    Prologo

    L’odore dell’erba bagnata stava impregnando le sue narici a diretto contatto con la natura circostante, era sera e continuava a spostare gli occhi cercando una via per poter vedere meglio tra una foglia e l’altra attento che non ci fosse nessuno nei dintorni. I cespugli erano alti e permettevano di nascondere bene la sua figura sia di giorno sia nelle ore più buie, nessuno fino adesso si era accorto della sua presenza nelle ultime settimane, era riuscito ad essere pericolosamente silenzioso e invisibile, così potè godere indisturbato dei suoi movimenti.
    Le ginocchia cominciavano a fargli male, decise di cambiare posizione, così dall’inginocchiato passò ad essere seduto sul letto d’erba umida.
    Finalmente l’attesa snervante finì, con discrezione alzò lentamente la fotocamera tenuta ancorata fra le mani e la posizionò davanti all’occhio centrando l’obbiettivo, Cameron Leane uscì dal suo SUV parcheggiato davanti casa quando l’uomo cominciò a scattare le sue foto.

    Leane entrò nel suo appartamento dopo essere stata a cena con tutta la squadra, da mesi ormai partecipava alle cene a casa Reid il venerdì sera e si era ormai abituata a quella nuova ricorrenza. Si buttò nel divano pensando che dopo tanto tempo aveva trovato un equilibrio tra lavoro e vita privata, fatto di serenità misto a un senso di sicurezza e appartenenza a qualcosa che poteva chiamare finalmente “famiglia”.
    Ma la felicità non la si deve urlare troppo forte, gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo. Qualcosa in quell’equilibrio stava per cambiare.

    Edited by robin89 - 31/5/2011, 13:08
     
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  2. robin89
     
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    note: tanto per chiarire su quello che leggerete: Derek ed Emily stanno insieme e hanno una figlia,Meredith. Reid è sposato con Sarah Collins,personaggio inventato da Unsub e hanno due figli.


    Open-space, qualche giorno dopo.

    Cameron, seduta al proprio posto della sua scrivania, fissava un punto indecifrabile del muro di fronte a lei mentre si giostrava una penna in mano, Derek la osservò per un po’ poi decise di “svegliarla”.
    - Ehi ragazzina, stai dormendo a occhi aperti?
    Di scatto di voltò verso di lui rendendosi conto di essere stata sgamata in quell’attimo di inattività. Sospirò continuando a giocare con la penna.
    - Sai, mi stavo chiedendo cosa ho sbagliato nei miei studi, pensavo di essere un agente dell’FBI non un impiegata.
    - Dai – s’intromise Emily alla sua destra - infondo sono solo 13 ore che passiamo a compilare scartoffie e scrivere rapporti.
    - Sapete che almeno il 55% degli impiegati…
    - Reid! abbi pietà di noi per favore, almeno oggi – esclamò Ronnie buttando la testa all’indietro, Derek ed Emily sorrisero all’ “insensibilità” di Spencer che si fece piccolo piccolo nell’abbandonare i numeri e le statistiche .
    - Ron, tra meno di dieci minuti varcherai la soglia dell’ascensore e non vedrai l’ora che sia domani – le disse Derek nella postazione di fronte alla sua.
    - Sperando non sia un giorno snervante come oggi, penso di avere i muscoli atrofizzati – sbuffò - non vedo l’ora di tornare sul campo.
    - Shhh..mamma non vuole a giocare con la pistola, bambina cattiva – la voce di Emily era come un sussurro inquietante e Leane la guardò con due occhi diventati due fessure.
    Pochi istanti dopo Hotch,sceso dal suo ufficio, diede il via libera per la giornata, si congedò poi nuovamente dando l’appuntamento per il giorno successivo e dando una buonanotte generale.
    I quattro profiler si alzarono dalle loro postazioni e una volta pronti per andare via si diressero insieme verso l’ascensore.
    - Cosa fate stasera? – chiese Leane.
    - Io mi occuperò della mia prole – rispose Reid.
    - Oh che bravo maritino – aggiunse Emily – tu che fai Ronnie?
    - Pensavo di ordinare qualcosa al cinese e sbrodolare la salsa nel divano….oppure – si girò a guardarla con aria decisamente maliziosa – mentre tu cambi il pannolino a Meredith io potrei tenere occupato Derek e giocare con la ...
    - Ronnie non continuare per favore! – esclamò Reid togliendosi l’immagine dalla testa, Derek con la mano prese la testa di Ronnie e gliela spostò di lato spettinandola mentre scoppiarono a ridere entrambi, Emily trattenne il fiato rumorosamente e questa volta fu lei a chiudere gli occhi a fessura sulla collega imprevedibile.

    Cameron alla guida del suo SUV stava percorrendo la strada per tornare a casa sua, mancava ancora un po’ per arrivare a destinazione così decise di accendere la radio per smorzare il silenzio di quella strada buia e noiosa, si rallegrò di sentire una canzone dei Beatles. La strada era sempre la stessa, poco illuminata e con poco traffico, anzi, quasi deserta a quell’ora, ad un piccolo incrocio si fermò allo stop, si posizionò più comodamente nel sedile e tamburellò la canzone con le dita sul volante, poi ripartì non vedendo nessuno. Poco dopo l’incrocio alzò gli occhi allo specchietto attirata da una luce abbagliante, vide due fari proiettarle il bagliore a poca distanza dal suo SUV, accese di risposta gli abbaglianti a intermittenza facendo segno a quel tizio di spegnerli, non lo fece e anzi notò che si stava accelerando. Non le piacevano i pazzi squilibrati che si credevano padroni della strada e quando stava al volante diventava ancora più suscettibile. Accelerò di colpo quando vide l’altro SUV così vicino da poterla tamponare. “Idiota cosa diavolo vuoi”, stava cominciando a non sopportare più la situazione, accelerò di più per seminarlo ma come risposta ottenne altrettanto, rischiò di tamponarla per la seconda volta e quando trovò lo spazio girò di colpo a sinistra piazzandosi al suo fianco. Si girò a guardarlo ma non fece in tempo a vedere la faccia, il SUV cominciò a spingerla fuori strada con manovre decise, Cameron mantenne la presa sul volante e iniziò a sbandare oltre il bordo dell’asfalto, cercò di rispondere con medesime spinte per trovare lo spazio necessario a uscire dalla stretta ma ogni suo movimento veniva anticipato da spinte più prepotenti. Sembrava una lotta per il dominio sulla strada. L’ultima spinta fu la più forte e la ruota della sua macchina oltrepassò il selciato costringendola in una frenetica corsa, accompagnò la direzione del SUV con il volante e per fortuna non c’era nessun burrone ma solo una campagna a poco dislivello dalla strada. Girò impetuosamente il volante verso sinistra e frenò di colpo fermando la sua corsa contro un albero, sobbalzò sbattendo la testa nel sedile e s’immobilizzò con le mani ancorate al volante. Rimase col fiatone alcuni minuti immersa nel silenzio che si era creato intorno a lei, sentiva solo il suo respiro preso dalla paura e teneva il volante stretto da farle le nocche delle mani bianche, l’altra macchina era sparita dalla circolazione e ora restava solo lei in quel tratto di strada. Riuscì a calmarsi e a riprendere controllo della situazione, riaccese la macchina e provò a fare retromarcia, sentì le radici dell’albero passare sotto le ruote e farla saltellare sul sedile, vide poco distante un sentiero che riportava alla strada, si diresse lì e ricominciò il suo percorso sulla strada asfaltata.

    Arrivò all’ingresso del suo appartamento cercando di dimenticare l’accaduto, non aveva idea di quali fossero state le intenzioni di quel tizio, forse era solo un idiota di passaggio che vedendola sola in strada l’aveva presa di mira dando sfogo ai suoi divertimenti, ma ora che ci pensava già settimane prima era successa una cosa simile anche se non a questi livelli, un SUV nero l’aveva seguita fin quasi vicino casa sua per poi dileguarsi come un qualsiasi altro automobilista. Non aveva fatto torti a nessuno negli ultimi tempi, nessuna litigata, nessuna minaccia, nessun S.I. che non fossero riusciti a prendere, non le veniva in mente nessuno che potesse avercela con lei, certo di nemici se n’era fatta parecchi quando era sotto copertura a Los Angeles e aveva pestato i piedi anche a numerosi poliziotti.
    Girò la chiave nella serratura e si affrettò ad entrare, esausta ormai di tutti quei ragionamenti sul chi e perché di quelle strane coincidenze. Richiuse la porta alle spalle e quando accese la luce vide per terra una busta per lettere, sperò di non dover collegare anche quella agli strani avvenimenti ma una brutta sensazione l’assalì comunque. Si avvicinò e la raccolse, una busta bianca senza scritte, l’aprì mentre si accomodava sul soffice divano, intravide un pezzo di carta che estrasse e contemporaneamente fece scivolare qualcosa di duro sul tavolino di legno, il suo viso si trasformò in un’espressione di terrore quando capì chi era il mittente.

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    Continua…

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  3. robin89
     
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    Si alzò in piedi e sfoderò la pistola, carica di adrenalina e paura cominciò a puntarla in ogni angolo, ispezionò una stanza dopo l’altra con gli stessi movimenti e una volta sicura che ci fosse solo lei tornò a sedersi sul divano. Prese l’articolo di giornale trovato all’interno della busta e lo osservò sapendo già bene cosa ci fosse scritto, uno smile tracciato col pennarello rosso era stato disegnato occupando l’intero articolo come una risata beffarda. L’articolo era uno dei tanti che uscirono all’omicidio dei suoi genitori dieci anni prima e la catenina dorata la riconobbe immediatamente, apparteneva a sua madre. Almeno adesso sapeva con chi aveva a che fare, il SUV nero e l’incidente era palese fossero opera del così detto “uomo con la scure”, così venne denominato all’epoca e da allora sparì dalla circolazione, fino adesso.
    Decise che non c’era altro da fare adesso, controllò solo che nel mobiletto del salotto la seconda pistola che teneva fosse sempre al suo posto e chiuse il cassetto con la chiave. Nervosa si convinse che la cosa migliore da fare era andare a dormire almeno per il momento, prima di andare in camera da letto si assicurò una seconda volta di essere sola chiudendo tutte le porte interne a chiave e sicura che tutte le finestre fossero chiuse a dovere, rimpianse in quel momento di non avere mai installato un impianto d’allarme. Si coricò in preda alla paura con una mano sulla pistola sotto il cuscino. Chiuse gli occhi e sperò di riuscire almeno a non fare brutti sogni.
    La notte passò in fretta, troppo in fretta secondo lei. Quando si svegliò la mattina seguente per un momento credette che tutto fosse solo frutto della sua fantasia, un sogno troppo lungo, ma quando vide la lettera sul tavolino si ricordò amaramente che era tutto reale. Prese gli oggetti con lei prima di uscire per andare a lavoro e se li portò con lei in ufficio.

    Stava seduta al proprio posto nella sua scrivania come se avesse il paraocchi ai lati del viso, non sentiva e non guardava nessuno, non dava importanza a nessuna battuta fatta dai compagni a nessuna novità ricevuta a nessun tipo di dialogo potesse coinvolgere anche lei, era sprofondata in un mare di pensieri che la riportavano sempre allo stesso punto, perché era tornato dopo 10 anni?cosa voleva da lei? Quale sarebbe stata la sua prossima mossa? Lei cosa avrebbe dovuto fare? E se voleva ucciderla perché non l’ha fatto la sera in macchina? Ne aveva avuto l’occasione e si era limitato a farla spaventare, allora che intenzioni aveva?
    Era immersa in queste domande senza risposta quando si sentì chiamare da Derek che infine gli tirò una pallina di carta.
    - Cosa c’è?! – ringhiò portata via bruscamente dai suoi pensieri.
    - È la quarta volta che ti chiamo, sei qui o in un altro pianeta?
    Si limitò a non rispondere e passò gli occhi a Reid che con una tazzina di caffè in mano, era troppo vicino, così nascose imperativamente l’articolo di giornale dentro la borsa che aveva poggiato sopra la scrivania.
    - Cos’era? – chiese Reid con aria indifferente rivolto all’oggetto sparito.
    - Qui nessuno si fa gli affari suoi vero? – rispose con quel suo tono acido che la distingueva.
    - Okay, scusa tanto - Reid si allontanò da lei guardandosi con i colleghi che avevano uno stesso sguardo preoccupato.
    Derek la stava ancora fissando in modo interrogativo quando si girarono tutti contemporaneamente all’avvicinarsi di Hotch con una giovane ragazza mulatta. Si alzarono in piedi e gli andarono incontro già consapevoli di quella novità.
    - Vi presento l’agente Jordan Todd, ha lavorato all’antiterrorismo e sarà l’addetta alle comunicazioni almeno temporaneamente – annunciò senza nessun tipo di tono particolare.
    La nuova arrivata strinse la mano a tutti con un sorriso formale mentre Hotch presentava le caratteristiche di ogni membro, solo Leane sembrò disinteressata alla ragazza stringendole la mano senza darle troppa attenzione. Quando l’agente Todd sentì il suo nome restò a guardarla stralunata.
    - Oh Cameron Leane, ho sentito parlare di lei tre anni fa’…
    - …sì sì certo e chi non ne ha sentito parlare? Infondo ho solo ucciso un poliziotto, si risparmi il continuo lo so a memoria – la interruppe fredda e allo stesso tempo sgarbata bloccandole la bocca aperta per non aver finito la frase. Calò immediatamente il gelo e Cameron si trovò fissata da cinque persone di ghiaccio.
    - Ci vuole scusare un momento? – disse Hotch rivolto alla nuova arrivata, poi tornò a fissare Leane malignamente.
    - In ufficio, subito.

    Chiusa la porta alle sue spalle notò il nervosismo del suo capo che davanti a lei si girò a fissarla con lo stesso sguardo serio e duro di prima.
    - Se questa è l’intenzione che hai oggi puoi tornartene a casa subito.
    - Cosa?
    - È tutta la mattina che ti osservo Leane, sei distratta, nervosa, rispondi male a tutti e ora questa scenata con l’agente Todd.
    - Poteva risparmiarsi ogni riferimento al mio nome – incrociò le braccia offesa. Lui la guardò dubbioso convinto che le nascondesse qualcosa.
    - C’è qualcosa che dovrei sapere e non vuoi dirmi Leane?
    - Niente che debba sapere.
    - Bene. Allora ti ripeto, se hai intenzione di restare con quest’atteggiamento è meglio che torni a lavoro quando ti sarai calmata, non voglio vederti qui prima di due giorni. Chiaro?
    - Mi stai sospendendo per caso?
    - No, consideralo un favore.
    - Assurdo – gli tirò uno dei suoi sguardi penetranti e lasciò l’ufficio a passo spedito.
    Tornò velocemente verso la sua scrivania sotto gli sguardi di tutti, l’agente Todd vedendola arrivare riprovò a rivolgerle la parola inconsapevole delle sue azioni.
    - Se prima ho detto qualcosa di sbagliato..
    - Ha ragione si metta l’anima in pace – le rispose mentre la superò spedita, afferrò il giubbotto e la borsa ed uscì dall’open-space lasciando alle spalle i colleghi a bocca aperta per il suo comportamento. Quando Leane faceva così, c’era da preoccuparsi, questo fu il pensiero comune dei tre profiler scambiandosi occhiate d’intesa.

    Continua…

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  4. robin89
     
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    La destinazione che prese una volta uscita dalla sede del BAU fu un piccolo laghetto che si trovava nelle vicinanze, andava sempre lì quando aveva bisogno di tranquillizzarsi o semplicemente riflettere. Fermò la macchina davanti quel panorama in cui tutto sembrava immobile e fuori dalla realtà, uno di quei paesaggi descritti nelle favole in cui tutti vi si vorrebbero immergere. Restò dentro la macchina poggiando le scarpe sopra il parabrezza in un movimento brusco che faceva trasparire il nervoso accumulato, oltre i casini che si stavano creando adesso era riuscita pure a farsi “sospendere” per due giorni, almeno stando lontana per un po’ dai suoi compagni gli avrebbe evitato altri comportamenti sospetti ed altri esaurimenti. Non voleva rivelare a nessuno quello che stava succedendo, non li avrebbe mai coinvolti per nessun motivo ma non poteva continuare così, prima o poi sarebbe dovuta tornare a lavoro e far finta che tutto andasse bene come sempre, così avrebbe avuto anche il tarlo che stava mentendo alla sua squadra e soprattutto a Morgan che di sicuro non avrebbe passato sopra il suo comportamento della mattina, ma infondo se mentire poteva tutelarli, lo avrebbe fatto.
    Quando decise di andare via da lì era già notte, si era anche addormentata un paio d’ore in quella stessa posizione aumentandone il desiderio di riposo, prima però voleva passare in un posto.

    Si girarono tutti quando aprì la porta del bar di Buck, era il suo bar preferito e le piaceva passare le sere a chiacchierare con lui. Il rumore dei tacchi fece voltare alcuni presenti nei tavolini sparsi per poi lasciarli nuovamente al loro da fare, sapevano che quella ragazza era del FBI e s’impegnavano a starle alla larga. Aveva un giubbotto beige che risaltava i capelli color mogano raccolti in una mezza coda, lasciavano cadere un ciuffo laterale disordinato sulla fronte. Superò con noncuranza gli sguardi maliziosi e si diresse verso il bancone.
    - Ronnie, cosa posso offrirti stasera? - Buck, proprietario e barista del locale l’accolse con un largo sorriso mentre asciugava un bicchiere, aveva una forma rotonda e questo dava al suo viso un’espressione piuttosto simpatica anche a primo impatto.
    - Qualsiasi cosa mi faccia ubriacare subito – il tono era amareggiato mentre si accomodava in uno sgabello del bancone, vi poggiò le braccia e restò a fissare i movimenti del barista in modo disinteressato. Back tirò uno sguardo corrucciato.
    - Perché non sei a lavoro?
    - Diciamo che ho un po’ di ferie extra..
    Il barista annuì pensieroso e si allontanò un attimo per servire un altro cliente poi si riavvicinò alla sua preferita.
    - Buck… - lo chiamò con fare pensieroso - qual è la cosa più importante della tua vita?
    - La mia famiglia, perché questa domanda?
    - Così..e faresti qualsiasi cosa pur di proteggerla?
    - Beh sì. Tu no?
    - Sì, è questo che mi spaventa.
    Buck scosse la testa piano - Dove vuoi arrivare Ronnie?
    - Ecco… se mentire fosse l’unico modo per proteggerla.. lo faresti?– si fermò temendo di aver parlato troppo, ma aveva anche bisogno di sapere che non era l’unica folle in quel momento.
    - Proteggerla da cosa?
    - Non so’, mettiamo in caso di vita o di morte.
    - Ronnie quando fai queste domande o è successo qualcosa o sta per succedere.
    - Non puoi rispondere semplicemente alla mia domanda?
    Smise di asciugare un bicchiere e si fermò a guardarla.
    - Sì, se questo mi garantisce la loro salvezza, lo farei.
    - Okay, grazie. Dimentica questo discorso era solo una curiosità.
    - Tu cosa faresti per la tua squadra?
    - Meglio che non te lo dica.
    Lo disse alzando un sopraciglio e contemporaneamente prese il portafoglio sotto lo sguardo accigliato di Buck, gli mise sul bancone una banconota da 10 dollari alzandosi dallo sgabello.
    - Tieni pure il resto, domani non so’ se passo dunque non aspettarmi, e grazie – sorrise allontanandosi sperando di non avergli messo nessuna pulce nell’orecchio, Buck sapeva in che guai era solita finire e la guardò sottecchi andare via.

    Durante la strada di casa, quando attraversò il corridoio per arrivare alla sua porta squillò il telefono, venne presa da una morsa allo stomaco temendo potesse essere lui, si poggiò alla parete e prese il telefono guardinga. Tirò un sospiro di sollievo quando vide sullo schermo che si trattava di Derek, lo fece aspettare un po’ prima di rispondere,non voleva cominciare con le bugie subito ma se l’avesse evitato lui si sarebbe preoccupato ancora di più, dunque era meglio parlarci e non dare altri sospetti.
    - Hey – cominciò lei disinteressata.
    - Hey.. che ti è preso oggi, va’ tutto bene?
    - Sì – si morse il labbro inferiore, l’assalì una terribile voglia di dirgli tutto e allo stesso tempo tenerlo fuori dai suoi casini – senti, mi dispiace per stamattina non so’ cosa mi sia preso e Hotch ha pensato bene di sospendermi gentilmente.
    - Lo so’ e ha ragione, hai esagerato con la nuova arrivata. Si può sapere dove hai la testa?
    - Troverò il modo per farmi perdonare se è questo il problema.
    - Non hai risposto alla mia domanda.
    - Okay, mi sono solo svegliata male..tra due giorni torno a lavoro e mi sarà passata.
    Ci fu una piccola pausa da entrambi.
    - Ron, se ci fosse qualcosa me lo diresti non è vero? Lo sai che puoi fidarti di me..
    - Certo che te lo direi non dire sciocchezze, sono fuori città adesso – altra menzogna - ci vediamo direttamente in ufficio okay? – meglio tagliare subito ogni discorso sul nascere.
    - Come vuoi stupida ragazzina.
    Chiuse la chiamata e guardò la porta del suo appartamento con una sensazione di vuoto, si sentiva come se lo avesse appena tradito e calpestato ma non aveva scelta, cercò di autoconvincersi mentre girava la chiave nella serratura. Aveva sonno, il cervello fuso dai vari ragionamenti, era stata“sospesa” per due giorni, aveva mentito al suo migliore amico e un serial killer la stava perseguitando, peggio di così non poteva andare pensò..aveva bisogno di buttarsi nel divano e cominciare a escogitare un piano per uscire da quel casino.
    Aprì svogliata il portone di legno color mogano e la richiuse alle sue spalle, allungò il braccio per accendere la luce ma sentiva qualcosa di strano e si allarmò subito prendendo la pistola, ma non fece in tempo…

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    Continua…
     
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  5. robin89
     
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    attenzione: descrizione violenze fisiche, sì..lo sò, sono stata cattivella..

    Sentì un duro colpo alla guancia e senza rendersene conto cadde per terra di schiena, un po’ intontita scosse la testa, riprese a cercare la pistola infilata nella cintura ma l'uomo gli fu subito addosso. Prima di riuscire anche solo a prenderla si sentì stringere la gola da una mano pesante vestita da un guanto in pelle, si sentì mancare il respiro e soffocare, cercò di tossire e portò subito le sue mani ad afferrare quella di lui, davanti a lei solo una maschera con disegnato uno smile rosso nell'oscurità.
    La teneva ferma per la gola come diversivo per disarmarla, riuscito a prenderla gettò l' arma in un angolo lontano della stanza, in quell'attimo di distrazione Cameron riuscì a tirargli una ginocchiata ai genitali conquistando spazio per divincolarsi da quella posizione e tornare attiva, cercò di alzarsi ma venne fermata da uno sgambetto, così perse l’equilibrio diventando di nuovo il suo obiettivo primario. Senza darle il tempo di far nulla la immobilizzò con le braccia intorno alle spalle e le diede una spinta facendola sbattere contro il muro dietro di loro trovandosi faccia a faccia.
    Tutto andava troppo in fretta, quasi non aveva il tempo di pensare. Sentì i pugni affondarle uno dopo l’altro nello stomaco facendola piegare in avanti e aggrapparsi a lui con una mano, gli stringeva il cappotto con le dita ad ogni colpo ricevuto che faceva male da impazzire facendola quasi urlare, ora i pugni erano finiti.. la buttò per terra con una spinta e da quella posizione all'altezza della moquette, sotto di lui, vide la gamba del suo aggressore muoversi in avanti per sferrarle un calcio lungo i fianchi.
    Il silenzio dell’appartamento venne rotto dalle sue urla di dolore che un calcio dopo l’altro si fermavano a metà insieme al respiro. Dopo aver perso il conto dei colpi, la prese per un braccio e la sollevò dal pavimento come fosse un sacco vuoto, solo per poterle tirare un pugno sulla guancia facendola ricadere nuovamente a terra senza difficoltà.
    Le diede solo il tempo di poter sentire nella bocca il sapore ferreo del sangue mentre con uno sforzo immane delle braccia Ron prendeva a strisciare lungo il pavimento in cerca della pistola, si spostava lentamente trascinandosi con un gomito dopo l'altro, allungava il braccio in ogni punto ma ogni tentativo di trovare l'arma andò perso nel momento in cui riapparve l'uomo dietro di lei.
    La osservava come fosse uno spettacolo del cinema, godeva da matti nel veder soffrire la sua vittima e sottomessa al suo dominio, aveva atteso impaziente quella scena e ora se la voleva gustare con calma assaporando ogni momento.
    - Dove vuoi andare? – le disse avvicinandosi piano.
    Sentì i suoi passi arrivare da dietro e chiuse gli occhi sperando solo che non la uccidesse.
    L’afferrò di nuovo per le braccia facendola alzare e gemere di lamenti, le ginocchia rimanevano piegate e il corpo chinato in avanti senza forze, la prese per la nuca con una mano mentre fissava lo specchio di fronte a lui, spingendola in avanti le fece sbattere la testa contro di esso che infrangendosi andò in pezzi sul pavimento insieme ad alcune gocce di sangue che scesero copiose dalla sua fronte.
    Il dolore acuto fu terribile anche solo per un attimo, si accasciò per terra esausta e stordita incapace di muoversi ancora, si meravigliò di non essere ancora svenuta e sperò di farlo subito, restò immobile sul pavimento sdraiata quasi su di un fianco con un braccio che le circondava la pancia cadendo dall'altro lato del corpo. Sentiva il viso bagnato di un liquido caldo che le impregnava anche la gola facendola rantolare con il respiro, cercava di prendere fiato come meglio poteva mentre sentiva tutto il corpo andare in fiamme dal dolore.
    La pausa non durò più di qualche secondo. La prese per i capelli e iniziò a trascinarla per la moquette mentre gemiti e deboli grida uscivano dalla sua bocca incapace di formulare parole, la sistemò poco più in là in un punto della stanza più ampio e illuminato dalla luce della luna.
    Anche quando si fermarono Ronnie rimase con gli occhi socchiusi ma percepì i suoi movimenti: vide l’uomo mettersi cavalcioni sopra di lei e sollevarle la testa, così per poter guardare meglio la sua faccia insanguinata e riderne.
    Lei non aveva più nessuna forza per reagire qualsiasi cosa le avesse fatto d’ora in avanti, le usciva solo qualche respiro affannoso dalla bocca aperta e aveva uno sguardo languido che andava oltre la figura sopra di lei.
    Al buio risaltava ancora di più la maschera che portava, color carne con uno smile rosso che le sorrideva beffardamente, poi sentì in lontananza la sua voce arrivare alle orecchie.
    - Ho aspettato troppo tempo per poterti uccidere subito, voglio giocare un po’ con te prima…
    Mosse la bocca per rispondere, prima uscirono solo gorgoglii dalle corde vocali, poi arrivarono anche le parole con una voce affaticata e impastata.
    - Allora …fai un grande errore …
    - Non hai capito. Sarò il tuo peggior incubo agente Leane.
    - ..e io.. il tuo peggiore rimpianto…
    - Questo me lo dovrai dimostrare.
    Non udendo altra risposta continuò - Ti è piaciuto il regalo che ti ho mandato? Scommetto di sì.
    - …fottiti .. schifoso figlio di puttana..
    Sentì una breve risata alitarle il viso.
    - Un’ultima cosa prima di lasciarti sola con le tue miserie. Non mettere in mezzo la tua squadra, o ti toglierò quello che ami di più. Chiaro?
    Voleva rispondere ma sprofondò nel buio.

    Continua....

    Edited by robin89 - 31/5/2011, 14:39
     
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  6. robin89
     
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    Open-space
    Aveva sentito Ronnie due giorni prima e quella mattina sarebbe dovuta rientrare a lavoro, gli aveva detto che era andata fuori città e che voleva restare da sola, di non preoccuparsi.
    Derek chiuse il telefono all’ennesima chiamata senza risposta.
    - Niente? – chiese Prentiss.
    - Niente.
    - Forse è rimasta chiusa nel traffico – provò Reid.
    - Risponderebbe anche in bagno se andasse tutto bene – rispose Morgan che cominciava a innervosirsi.
    - Credi le sia successo qualcosa? – continuò la mora profiler preoccupata anche lei.
    Morgan sospirò mentre agitava un piede sotto la scrivania – in due anni e mezzo non è mai venuta in ritardo, è sempre stata puntuale o in anticipo. È più di mezz’ora che non risponde.
    - Cosa vuoi fare? – chiese Emily.
    - Vado a casa sua, avverto Hotch.


    Appartamento Cameron
    La luce della finestra batteva sul pavimento in cui giaceva ancora Cameron priva di sensi. Il bagliore dei raggi del sole splendeva sul pavimento e sui pezzi di vetro dello specchio sparsi sulla moquette, la luce del mattino la costrinse ad aprire gli occhi, deboli palpebre tremanti, così iniziò una lotta che portò alla loro apertura sotto il soffitto di casa. Si sentiva debole e priva di forze, dopo qualche secondo immobile ancora in quella posizione cominciò a tremare di freddo, spostando lo sguardo verso il suo corpo si accorse di essere con solo l’intimo addosso, non si chiese cos’altro le avesse fatto una volta svenuta, meglio pensare a rimettersi in piedi per non impazzire dalla frustrazione. Si concentrò su dolori e sensazioni che sentiva al proprio corpo, il respiro era rantolante con un sapore amaro in bocca che le fece venire un conato di vomito, così cominciò a tossire e girandosi su un fianco sputò il sangue che si era accumulato nella gola.
    Riprese a respirare normalmente tornando con la schiena sulla moquette, era troppo debole per potersi muovere diversamente ma con tutta la sua forza di volontà cercò di alzarsi sui gomiti, trasformò il viso in una smorfia di dolore che arrivava da tutto il corpo, questo la costrinse a rinunciare e tornare sdraiata pervasa da dolori e spasmi muscolari in tutta la pancia e lo stomaco, il mal di testa era martellante e non riusciva neanche più a pensare qualcosa di ragionevole.
    Quando sentì la porta sfondarsi chiuse gli occhi stremata sperando solo che non fosse lui.

    Derek se la trovo a qualche metro e gli si bloccò il respiro a vederla in quelle condizioni, si avvicinò velocemente pregando solo che non fosse troppo tardi, le tastò il collo per sentire il battito del cuore che sentì dopo un pò debole e irregolare. Sospirò a malincuore cercando di non guardare il viso tumefatto della sua migliore amica, gonfio, a tratti livido, a tratti completamente ricoperto di sangue. Prese subito il telefono e chiamò il 911.. un federale era ferito e serviva un'ambulanza urgente. Notò che il corpo semi-nudo di Cameron era scosso da brividi di freddo, così prese un plaid da sopra la poltrona e gliela mise addosso coprendola e riscaldandola come meglio poteva, gli poggiò una mano sulla spalla per scuoterla delicatamente cercando di non soffermarsi a osservare il suo viso, non ne aveva il coraggio, avrebbe ucciso all'istante chiunque l'avesse ridotta in quello stato.
    - Ronnie? Ron svegliati..
    Sentiva dei leggeri sospiri provenire dalla sua bocca, le spostò un ciuffo di capelli incrostato di sangue dalla faccia. Vide gli occhi riaprirsi lentamente e farsi spazio tra le fessure.
    Ron riuscì a decifrare solo un’ombra e la pervase di nuovo la paura come se davanti a lei vedesse lo smile rosso, la prese il panico.
    - Non mi toccare...non mi toccare – disse con un filo di voce.
    - Sono Derek piccola mia, è tutto finito, sta arrivando l’ambulanza.
    - Non lasciarmi - Cadde di nuovo in un sonno che l’accompagnò fino all’ospedale.

    Open-space
    - Leane è in ospedale – informò Hotch al resto della squadra restando come riusciva lui freddo e calmo.
    - In ospedale? – esclamò Emily sgranandogli occhi.
    - È stata aggredita a casa sua ma non è grave, Derek è con lei ma non si è ancora svegliata, appena è cosciente mi farà sapere.
    Emily e Reid si guardarono con occhi spalancati azzardando l’ipotesi gli avvenimenti recenti fossero collegati anche a quel fatto, se fosse così i loro presentimenti erano giusti, Leane gli stava davvero nascondendo qualcosa.

    Ospedale
    Derek agitava un piede e guardava l’ora continuamente, era tornato a casa a dormire sotto consiglio del medico che l’aveva rassicurato che Cameron non si sarebbe svegliata prima della mattina, era lì da circa 20 ore e ancora non era cosciente. Derek spazientito cominciò ad andare avanti e indietro quando un’infermiera gli si avvicinò con una cartella in mano.
    - Si è svegliata adesso, può entrare ma è ancora debole, ha bisogno di riposare.
    Derek avvertì Hotch per poi dirigersi verso la stanza, aprì piano la porta e i loro occhi s’incrociarono subito, Ronnie era seduta con la schiena sul cuscino e aveva uno sguardo serio e pensieroso, la faccia era ripulita dal sangue e al posto delle ferite c’erano bende che ricoprivano punti, ma la guancia e l'occhio erano ancora lividi. Lui si avvicinò al letto mostrando i denti bianchi e si posò su una sedia vicino a lei.
    - Hey – Ronnie lo salutò con mezzo sorriso senza allegria e con poca voce.
    - Buongiorno ragazzina. Mi hai fatto prendere un colpo, come ti senti?
    - Di sicuro meglio di prima, quanto tempo sono qui?
    - Una ventina di ore.
    - Così tanto?
    - Sì, non avevi intenzione di svegliarti, dormigliona - la prese alla leggera, almeno per il momento.
    - Hai parlato con i medici?
    - Vogliono tenerti in osservazione ancora la notte e domani mattina ti dimettono.
    - Domani mattina? – esclamò - sto bene posso andare via anche stasera.
    - No, fai la brava e resti inchiodata qui finche non ti riprendi bene – lei sbuffò - Ron, hai una costola rotta, un sopraciglio e un labbro spaccato, un occhio nero e una guancia viola, per non parlare del fatto che eri almeno due giorni senza mangiare e bere. Quella cosa che hai al braccio si chiama flebo.
    - Spiritoso – girò la faccia dall’altra parte rassegnata e tornò ad incupirsi silenziosa.
    Derek la osservava con i gomiti poggiati sulle ginocchia, erano giorni che tutti avevano notato il suo comportamento e ora voleva sapere cosa stava succedendo.
    - Cameron – ora il tono era serio, lei alzò gli occhi temendo quale domanda potesse farle – mi avevi detto di essere fuori città, perché mi hai mentito?
    - Stavo per andare infatti, ma non ho fatto in tempo come vedi – altre menzogne in arrivo.
    - È un po’ che ti osservo Ronnie. La settimana scorsa hai avuto un incidente in macchina di cui non hai parlato a nessuno, da giorni ti comporti in modo strano con tutti, sei nervosa e agitata come non lo eri da tempo e ora sei in questo stato. Cosa sta succedendo?
    - Niente di cui preoccuparsi - alzò le spalle e fece una smorfia disinteressata mentre girava gli occhi dall’altra parte – forse era il solito criminale in cerca di qualcuna da violentare, ma gli è andata male, quando ha visto che ero dell FBI è scappato, comunque mi farò mettere l’impianto d’allarme quando esco da qui, non succederà più.
    Gli si leggeva in faccia che non c’era niente di vero, anche se Derek se lo sarebbe aspettato da lei.
    - Non sai mentire Ron mi dispiace, non con me. Hey, guardami – le disse con un colpetto al braccio. Lei alzò gli occhi duri e freddi su di lui.
    - Ho visto com’era casa tua e ho visto in che condizioni ti ha lasciato, tu non ti fai buttare a terra da uno qualsiasi e nessun criminale da strapazzo avrebbe rischiato così tanto con un federale. Dunque questo è un fatto personale di cui non vuoi parlare– il tono era serio e deciso – chi è stato?
    - Non lo so.
    - Ronnie non perdere tempo con le bugie.
    - L’hai detto tu, non ne voglio parlare.
    - Cameron!
    - È tutto sotto controllo, non succederà più.
    - E come fai a dirlo? Vuoi che aspetti alla prossima aggressione? Perché la prossima volta non andrà così bene.
    - Derek la smetti per favore? Ti ho detto che non devi preoccuparti, voglio solo uscire da questo posto.
    - Sei una stronza quando fai così. Se sei finita in qualche casino devi dircelo.
    Il battito cardiaco di Ronnie cominciò ad accelerare visibile dalla macchinetta alla quale era attaccata, Derek si girò verso questa notando il cambiamento, poi nuovamente posò gli occhi su di lei che nel frattempo tratteneva un nodo alla gola.
    - Non posso, mi dispiace – disse Ronnie voltandosi, l’unica cosa che sapeva di poter fare in quel momento era non mettere in mezzo la squadra.
    Derek scosse la testa sospirando, si alzò nervoso e uscì dalla stanza chiedendosi cosa stesse nascondendo e quanto fosse pericoloso.

    Continua…

    Edited by robin89 - 31/5/2011, 15:00
     
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  7. robin89
     
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    La mattina seguente arrivò troppo in fretta secondo lei, aveva dormito tutto il tempo e quando non lo faceva fingeva, per poter pensare e analizzare la situazione senza arrivare ad un punto. Si sentiva meglio e rigenerata anche se aveva bisogno di mangiare qualcosa di decente e sostanzioso, la fasciatura alle costole le impediva movimenti più ampi e il respiro qualche volta diventava affannoso sotto quell’armatura.
    Si vestì con una maglietta nera, un paio di jeans chiari e gli anfibi che gli aveva portato Emily la sera prima, come al solito alle domande “come stai” la liquidò con i soliti “sto bene, non preoccuparti”, mentre Derek seguiva costantemente Ronnie come un cagnolino al suo fianco fino a convincerla a farsi accompagnare a casa.

    Il tragitto con lui in macchina era stato silenzioso per lui e angosciante per lei, guardava fuori dal finestrino e Derek le tirava qualche occhiata ogni tanto cercando di indovinare i suoi pensieri, arrivati davanti casa di Ronnie la macchina rallentò fino a fermarsi.
    - Non c’è bisogno che mi porti anche fino alla porta – la prima cosa che disse dopo il silenzioso viaggio. Temeva che l’S.I. la stesse ancora spiando e non voleva far vedere nessuno della squadra nei paraggi.
    - Se c’è bisogno ti rimbocco anche le coperte – rispose lui con mezzo sorriso.
    - Questo te lo posso permettere – rispose maliziosa.
    Calò un’altra ondata di silenzio imbarazzante.
    - Cameron dobbiamo parlare..
    - Grazie del passaggio, ci vediamo in ufficio - aprì la portiera e uscì di fretta dirigendosi verso il portone. Derek fece altrettanto e cercò di raggiungerla.
    - Ronnie aspetta!
    Si fermarono entrambi all’entrata, Ronnie cercò di aprire la porta ma lui le prese le chiavi dalla mano.
    - Derek vai a casa.
    - No. Non puoi evitare il discorso per sempre.
    Ronnie cominciava ad innervosirsi, iniziò a girarsi da una parte all’altra spazientita.
    - Non c’è nulla di cui parlare te l’ho già detto, dimentica questa storia e basta.
    - Quanto è pericoloso?
    - Cosa?
    - Quanto è pericoloso Ron, perché quando fai così vuol dire che sei in un bel casino.
    - Derek – alzò uno sguardo deciso su di lui - non c’è nulla che possiate fare, è tutto sotto controllo. Per favore, fidatevi di me.
    - Potrei chiederti la stessa cosa.
    Ronnie cambiò direzione di sguardo che ora si fece più languido e meno freddo del solito - mi dispiace.
    Derek sbattè una mano sulla porta facendola sussultare e gli ripose le chiavi nella mano con poca gentilezza – non sai dire altro?
    - Stanne fuori, ti prego.
    Lui scosse la testa visibilmente arrabbiato e si voltò per tornare nella macchina. Chiuse lo sportello con un botto e la guardò entrare in casa, odiava quel senso d’impotenza che gli dava Cameron e odiava la sua presunzione di risolvere tutto da sola.

    Ronnie si chiuse la porta alle spalle e disattivò l’allarme, poi scivolò per terra con la schiena contro il muro e affondò il viso tra le mani, era ora di escogitare un piano.
    Qualsiasi cosa pensasse non la portava a nessuna soluzione tangibile. Non sapeva da dove cominciare, aveva iniziato lui quella guerra e toccava a lui cominciare la partita, fino al momento in cui l’S.I. non avesse fatto la prossima mossa, Ronnie non poteva fare altro se non cercare di tenere lontano la squadra il più a lungo possibile, ma non poteva continuare così per molto, Morgan non si sarebbe fermato quel giorno e l’avrebbe torturata fin che non avesse rivelato la verità, cosa che non si sognava neanche di fare specie dopo la minaccia dell’S.I. qualora li avesse messi in mezzo, solo l’idea di essere la causa dei loro pericoli la faceva impazzire.

    Le ore passavano senza trarre conclusioni, voleva uccidere un serial killer da sola senza mezzi e i soli che avrebbero potuto aiutarla non poteva/voleva chiamarli in causa altrimenti avrebbe segnato l’inizio della loro possibile moerte. Era entrata in un circolo vizioso senza la minima via d’uscita, si alzò con il viso rigato di lacrime e raggiunse il salotto quando squillò il suo telefono cellulare. “Sarà Hotch, tanto dovevo passare in ufficio stasera”, prese il telefono e nella schermata apparve “numero sconosciuto”, la pervase un moto di panico, era l’S.I. senza ombra di dubbio, prese un profondo respiro e tolse fuori la pistola dalla cintura, aspettò qualche squillo poi schiacciò il tasto di risposta.
    - Come stai agente Leane? – senza l’ingombro della maschera la voce risultava ugualmente inquietante e … dannatamente sexy.
    - Abbastanza bene da ucciderti – rispose lei sputando quelle parole con rabbia - questa è la seconda volta che fai l’errore di lasciarmi viva.
    - La prima volta non è stata una scelta e per questa dovresti ringraziarmi.
    - Grazie, la mia vita è la tua morte figlio di puttana.
    - Ti ho solo dato un po’ di tempo per salutare i tuoi amici. Ho visto che hai fatto arrabbiare l’agente Morgan, ci deve tenere tanto a te se l'ha presa così male...
    Ronnie sentì come una pugnalata al petto e sentì crescere il panico mentre cercava di impostare una voce tagliente e decisa.
    - Prova solo ad avvicinarti a lui o a qualcuno della mia squadra e giuro che ti faccio rimpiangere di essere nato da quella puttana di tua madre.
    - Questo dipende da te agente Leane.
    - Che vuoi dire.
    - C’è una regola. Voglio le tue dimissioni.
    - MAI! - tuonò - non hai capito con chi parli, io non tratto con gli assassini li uccido e basta!
    - Allora ne pagherai le conseguenze.
    Mosse le labbra per replicare ma la chiamata era già stata chiusa, lanciò il telefono infuriata in un angolo del divano con un movimento brusco che risvegliò la fitta alla costola, il respiro si fece subito affannoso e cominciò a tossire pesantemente, dopo un paio di minuti che riuscì a prendere fiato si stese sul divano concedendo un po’ di riposo al torace.

    Passò poco tempo quando sentì suonare alla porta. Non aspettava nessuno e tantomeno pensava fosse Derek dopo quella mattinata, raggiunse silenziosamente la porta sfoderando la pistola e guardò dall’occhiello.
    - Sono Reid.
    Aprì velocemente rinfoderando l’arma sotto lo sguardo corrucciato del collega. Sperò di riuscire a liquidarlo subito, il panico che l’S.I. fosse ancora lì fuori a spiarla l’assalì temendo che avesse visto anche lui adesso.
    - Entra.
    - Ciao – gli sorrise lui con la mano, con l’altra teneva un vassoio.
    - Cos’è? – gli chiese Ronnie vedendolo.
    - Da parte di Sarah e Chris, è un pezzo di torta al cioccolato fatto con le loro mani.
    - Grazie, non ce n’era bisogno – la prese abbozzando un sorriso di gratitudine e l’appoggiò al mobiletto vicino alla porta.
    - Come stai? – chiese lui dondolandosi con le mani in tasca.
    - Bene, non preoccupatevi.
    - Sicura? – chiese preoccupato - Sei nervosa.
    - Reid non farmi il profilo, sto bene non devi preoccuparti..
    - Okay - annuì anche se era palese il contrario – ha detto Sarah che appena può viene a trovarti…
    - NO!
    Reid rimase di sasso a quell’esclamazione.
    - Scusa – riprese lei con tono più pacato - dille che non c’è bisogno, passerò io più avanti.
    - Come vuoi – mugugnò con espressione corrucciata.
    - Reid vai a casa..per favore, ringrazia Sarah per la torta.
    - Ronnie perché fai così?
    - Per favore scusami.. lasciami sola – girò la testa di lato cercando di non scoppiare in lacrime.
    Lui la guardava sempre più accigliato senza sapere bene cosa dire, ci fu una piccola pausa di silenzio.
    - Okay, passa quando vuoi a casa, lo sai che sei la benvenuta – il tono era di un cane bastonato.
    Cameron annuì debolmente con la testa, Reid la salutò con un sorrisino amareggiato e lei gli scompigliò i capelli cercando in quel gesto una misera consolazione per rassicurarlo che tutto andava bene, tutto era come prima e che era solo un brutto momento.
    Ronnie si affacciò alla finestra una volta chiusa la porta e seguì i movimenti del collega fino alla macchina tenendo la pistola in mano, aspettò di non vederlo più nella via e una volta sicura che filasse tutto liscio si buttò nuovamente con la schiena contro al muro sentendosi uno schifo.

    Poco dopo si alzò e prese un pezzo di torta sdraiandosi nel divano.
    Avrebbe voluto porre fine a quella situazione e dire tutto a Hotch, cercare un abbraccio di conforto da Derek e sapere che tutto si sarebbe concluso, che l’uomo con la scure era morto e il suo passato non poteva più tornare, che tutto sarebbe finito in quell’istante e che era stato solo un brutto sogno, invece qualunque cosa pensasse le tornava sempre in testa quella frase contornata da uno smile rosso in primo piano “non mettere in mezzo la tua squadra o ti toglierò ciò che ami di più”, il tono della sua voce le era rimasto indelebile come una cantilena pericolosa.
    Chiuse gli occhi sospirando esausta, dedicò un pensiero ad ogni membro della squadra, forse avrebbe trovato la soluzione se non pensava direttamente ad una soluzione da cercare. Le tornarono in mente i ricordi più belli che aveva passato con ognuno di loro:
    Derek e i suoi adorati schiaffi, le numerose e violente litigate che riuscivano a riportarla alla realtà quando perdeva il controllo della sua linguaccia e delle sue azioni, i suoi abbracci che la facevano sentire una bambina intoccabile e le notti passate a casa sua a piangere per potersi sfogare. Quando solo lui era andato fino a Los Angeles per riportarla “a casa” da loro.
    Emily e le risate che si facevano con Sarah alla cena del venerdì, la volta che le confidò di essere stata violentata, la prima che considerò come sua amica in 25 anni.
    Reid e i suoi occhioni color nocciola che la facevano sciogliere nella parte più dolce che teneva nascosta, le battute maliziose che tanto divertivano lei e Derek contro il suo imbarazzo, quella volta che dopo il suo rapimento la portò al centro di recupero per farla disintossicare dimostrandole tutto il bene che le voleva.
    Garcia e la sua esuberanza folle che portava un po’ di allegria in quell’ufficio così “macabro”, il loro primo incontro e la prima catastrofe di Ronnie.
    Hotch e le litigate, tutte le volte che l’aveva difesa a spada tratta con la Strauss o per toglierla da qualche casino illegale in cui si cacciava sempre, la prima volta che lei lo aveva chiamato “papà”.
    Sarah e la prima volta che le consegnò il distintivo, quando le fece la ramanzina per farla tornare nella squadra quando se ne andò dopo Los Angeles, quando l’ultima furiosa litigata con lei si risolse con il suo ingresso in quella grande famiglia.
    Si accorse di avere le guance bagnate e che in realtà erano lacrime scese ad ogni ricordo, si convinse ancora di più che avrebbe fatto di tutto per proteggerli, anche dare se stessa. Un pensiero le attraversò la mente.

    E se le dimissioni fossero la soluzione che stava cercando?

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    Continua….

    Edited by robin89 - 6/3/2011, 19:50
     
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  8. robin89
     
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    Ne valeva la pena abbandonare la sua famiglia, perdere una parte della sua vita, buttarsi da sola in pasto ad un S.I. tutto per poterla proteggere da lui?
    Quella notte non aveva chiuso occhio e quando lo faceva era per riaprirli dopo cinque secondi incapace di prendere sonno in mezzo a tutte queste scelte, domande,decisioni da prendere e paure da affrontare.
    Era alla guida del suo SUV mentre ripensava all’ultima decisione presa, rispose che era la cosa giusta da fare, poi ci ripensava e credeva di fare una sciocchezza..che non avrebbe mai voluto abbandonarla in questo modo, ma per proteggerla la soluzione tornava sempre lì, era sempre la stessa. Ne valeva la pena.

    Entrò nell’ufficio di Hotch dopo aver bussato quando ancora non era arrivato nessuno nell’open-space, più passava il tempo più c’era il rischio che cambiasse idea, lui mise a posto dei fascicoli e la salutò alzando lo sguardo.
    - Ciao Cameron, come stai? – chiese mentre si sedeva sulla poltrona.
    - Bene – rispose titubante.
    - Hai ancora una settimana libera per riprenderti.
    - Credo non mi serva.
    - Perché ? – la guardò più attentamente.
    “Smettila di girarci intorno, fallo e basta!”
    Prese pistola e distintivo e li mise sul tavolo con fare deciso.
    - Mi dimetto.
    Hotch rimase di sasso e posò gli occhi prima sugli oggetti poi su di lei - Credo di non aver sentito bene.
    - Ho bisogno di andare via da qui. Non chiedermi altro.
    - Riguarda quello che è successo l’altro giorno?
    - Anche..
    - Leane, hai già fatto questo sbaglio una volta non farlo anche adesso, se sei nei guai possiamo aiutarti.
    - Non c’è bisogno, non sono nei guai, sono questioni personali che posso risolvere da sola, non è nulla di grave.
    - E per questo ti sei fatta mandare in ospedale in quelle condizioni? – domandò ironico.
    - Beh se non mi avessi spedito a casa non sarebbe successo.
    Hotch si zittì in un baleno e cambiò direzione degli occhi posandoli sul tavolo.
    Leane come al solito si morse la lingua troppo tardi, sospirò e incrociò le braccia assumendo un’aria più pacata.
    - Scusa, non volevo non è colpa tua.
    - Te lo ripeto un’altra volta – disse alzando nuovamente gli occhi - c’è qualcosa che dovresti dirci?
    - Una cosa c’è. Torno in Spagna.
    Hotch sgranò gli occhi – se non fosse stato per me e Collins a quest’ora eri in Spagna già da un bel po’ - aveva voglia di prenderla a calci e farla ragionare ma cominciava a pensare che non sarebbe servito a niente.
    - Lo so’, ho bisogno di andare via da qui adesso, e poi un mio amico ha detto che ci sarebbe un posto di lavoro all’Interpool.
    - E hai intenzione di accettare?
    - Sì.
    Hotch posò gli occhi sulla finestra bagnata e incrociò le braccia temendo che questa volta facesse davvero sul serio.
    - Non posso impedirti di dimetterti se è quello che vuoi, ma ti dico che stai sbagliando di nuovo.
    - Sbagliando perché? Perché voglio una pausa?
    - No, perché non ti fidi di noi.
    - Sì che mi fido e questo non c’entra niente adesso! Voglio solo andarmene da qui, non posso? – finita la frase si girò verso la finestra in cui batteva la pioggia e restò a fissarla.
    Lui la osservò come per studiarla, si vedeva lontano un miglio che stava nascondendo qualcosa.
    - Quanto devo aspettare prima che ritorni? Perché alla fine ritorni sempre.
    Tornò a guardare lui - Questa volta è diverso, non credo di tornare – nel caso in cui l’S.I. avesse vinto su lei pensò, e per il senso di colpa di averli abbandonati.
    - Grazie, per tutto – tagliò corto prima di portare il discorso per le lunghe, si girò verso la porta e uscì senza aspettare risposta.
    - Leane! – la richiamò, ma si era già dileguata ignorandolo.


    Derek aveva visto Ronnie uscire dalla sede e non aveva fatto in tempo a fermarla, era andata via in fretta e furia con una faccia smarrita senza sentire neanche che la stava chiamando, o forse aveva fatto finta di niente che più probabile. Entrò nell’ufficio di Hotch dopo aver bussato alla porta aperta, lo vide chiudere il telefono quando fece passi in avanti.
    - Posso parlarti? Riguarda Cameron..
    - Si è appena dimessa – dicendo così spostò dei fascicoli sul tavolo e ci poggiò le mani chiuse in pugno con aria sconfitta.
    Derek rimase un attimo paralizzato con le mani sui fianchi - cosa?
    - Ha detto che vuole tornare in Spagna, che le è stato offerto un lavoro all’Interpool e che non tornerà più.
    - All’Interpool? È fuori di testa?
    - Sì, ho appena controllato e Cameron non risulta aver prenotato nessun volo neanche per le prossime settimane, ho chiamato l’Interpool e non risulta nessuna richiesta di lavoro in corso per lei.
    - Hotch, sta nascondendo qualcosa e lo abbiamo capito tutti ormai, dobbiamo muoverci se vogliamo aiutarla.
    - Lo so’, ma se lei non ne parla non possiamo fare niente per andarle incontro, dipende tutto da lei e non ha nessuna intenzione di collaborare.
    Derek sospirò mentre guardava la pistola e il distintivo sul tavolo.
    - Okay – disse infine - oggi vado a casa sua e la riporto indietro a calci.

    Nella strada per il ritorno Cameron cercò di convincersi che aveva fatto la cosa più giusta per loro, d’ora in poi avrebbe ignorato ogni chiamata proveniente dalla squadra, avrebbe fatto il necessario per allontanarli da lei e sparire per dedicarsi all’S.I., come avrebbe fatto non lo sapeva neanche lei, per ora l’importante era tenerli fuori dalla sua vita.

    Derek era alla guida del suo SUV e chiuse l’ennesima chiamata senza risposta di Ronnie, era tutto il giorno che la chiamava e lei non rispondeva o interrompeva la chiamata rifiutandola.
    Era arrivato a casa sua e scese dalla macchina con tutta l’intenzione di rimetterla in riga. Provò a chiamarla un’ultima volta e nella sua incredulità sentì accettare la chiamata.
    - Dove sei che vengo a prenderti a schiaffi! – tuonò lui.
    - In aeroporto.
    - Ah sì? Allora perché la tua macchina è qui fuori e le luci del salotto sono accese?
    - E tu perché sei a casa mia?!
    Chiuse di colpo la chiamata e si affacciò alla finestra, dopo un pò sentì bussare e andò alla porta lentamente, “maledizione”.
    - Apri immediatamente prima che la sfondi a calci! Lo so’ che sei lì dentro – intimò lui.
    Cameron aspettò qualche istante in cui Derek si mise a picchiare forte sulla porta, non aveva voglia di farsela sfondare una seconda volta così aprì e si spostò subito quasi timorosa. Lui chiuse la porta e mise le mani sui fianchi con piede di guerra, fulminandola con gli occhi.
    - Dammi un buon motivo per non prenderti a schiaffi.
    - Mi fa ancora male la guancia – ironizzò lei.
    - Risparmiati il sarcasmo.
    Cameron girò la faccia incrociando le braccia.
    - Avevi intenzione di sparire nel nulla senza neanche salutare prima di fuggire in Spagna? Non so’ infondo siamo solo la tua famiglia mica pretendiamo tanto, solo qualche spiegazione.
    - In effetti l’intenzione era quella prima che piombassi qui – continuò con il tono sarcastico di prima.
    - Sei uscita fuori di testa? Perché ti sei dimessa? Perché ti stai comportando così!
    - Te l’ho già detto, devi solo lasciarmi in pace, devi lasciarmi andare via e basta.
    Derek battè un pugno sul tavolo di legno facendolo tremare, lei sussultò al suono e chiuse gli occhi - È della tua vita che stiamo parlando Cameron, di cos’altro credi che m’importi?
    - Voglio che ne stai fuori! – sbottò lei- È così difficile? Perché non capisci Derek!
    - Perché voglio aiutarti e tu lo capisci questo? Lo sappiamo che stai nascondendo qualcosa ma tu sei tanto orgogliosa che preferisci scappare piuttosto che chiedere aiuto!
    - Non è orgoglio! E non sto nascondendo niente, voglio solo andarmene da qui!
    - Non ci credo mi dispiace – anche Derek aveva iniziato ad alzare la voce -Non ti rendi conto della situazione in cui sei finita!
    - .. non sai niente di che situazione sia..
    - Perché non me lo dici allora?
    - Non posso – disse gelida.
    - Maledizione Cameron! Non puoi fare sempre tutto da sola mettitelo in testa! hai appena rischiato di farti ammazzare di botte e adesso pretendi che dimentichiamo tutto e di lasciarti dimettere di punto in bianco?
    - Sì.
    - Tu sei pazza.
    - E tu non sei mio padre dunque finiscila.
    - Di questo ne sono contento!
    Cameron gli tirò uno schiaffo a mano aperta appena finì la frase.
    Restarono in silenzio pochi secondi mentre Derek si voltò di nuovo verso di lei che lo guardava col fiatone.
    - Non c’è nessuna richiesta di lavoro per l’Interpool, altra menzogna, ho perso il conto ormai.
    - Ti chiedo solo di non metterti in mezzo, è così difficile stare fuori dalla mia vita?
    - Lo vuoi capire che non è un gioco? Non resterò a guardare mentre ti fai uccidere.
    - Non ti sto chiedendo di guardare, ti sto chiedendo di dimenticarti di me.
    - Lo dici come se mi chiedessi di prestarti 5 dollari te ne rendi conto? Non riesco a credere che fossi capace di questo.
    - Non ho altra scelta. Voglio che vi dimentichiate di me, punto. Io me la caverò come ho sempre fatto. Non ho bisogno di voi.
    - Non è vero e lo sai benissimo, c’è sempre stato qualcuno che ti ha tirato fuori dai casini, Spicer non c’è più e adesso ci siamo noi e la storia è sempre la stessa, non riuscirai a cavartela da sola.
    - Maledizione la vuoi smettere di fare così? – si portò le mani sulla testa e iniziò ad andare avanti e indietro sempre più nervosa - Vattene via per favore.
    - No! Hai bisogno di me quanto della squadra Cameron! Metti da parte il tuo orgoglio per una volta e impara ad ammetterlo!
    - Non rendermi tutto più difficile accidenti! Non cercare di convincermi e smettila di volermi aiutare a tutti i costi – si bloccò di colpo mentre lo guardava, così Derek ne profittò per rispondere cercando i suoi punti deboli.
    - Ricordi quella volta a Los Angeles quando ti eri dimessa? Mi hai fatto promettere di proteggerti e starti sempre vicino, volevi che mi prendessi cura di te per sempre. Come faccio se non me lo permetti? Come faccio se non ti fidi di noi? Se non ti fidi di me? Che fine ha fatto quella ragazzina?
    - Ti prego! – si chinò sul tavolo e nascose la testa tra le mani - non farmi questo, non dirmi queste cose! - era sull’orlo della disperazione e non sapeva più che fare per liberarsi di lui, la stava distruggendo con quelle parole e lei sapeva che stava per distruggere il suo rapporto con Derek.
    - Lasciatemi in pace, per favore – trattenne un nodo alla gola mentre teneva gli occhi chiusi.
    - Mi avevi promesso che non saresti più scappata, sei sempre la solita vigliacca!
    - Non ho altra scelta lo vuoi capire? Non sono una vigliacca, smettila – iniziarono a scendere dei lacrimoni che scacciò via con un gesto brusco della mano.
    - Allora dimmi per l’ultima volta, cosa diavolo ti sta succedendo..
    - Succede che non vi voglio più okay? Non ti voglio più in mezzo ai piedi come te lo devo dire? Non pensavo che avere una famiglia fosse così soffocante, non sono libera neanche di prendere una decisione sulla mia vita, mi avete messo in gabbia! - pensò fosse l’unico modo per finire quella storia “a mali estremi, estremi rimedi”, era straziante dover dire quelle cose e trovare il coraggio per farlo ma doveva allontanarlo il più possibile in un modo che le faceva schifo. Cercò di giustificarsi dicendo che non aveva scelta, che era tutto per il loro bene e che un giorno avrebbero capito forse.
    - Dimmelo almeno guardandomi in faccia perchè non credo a una sola parola di quello che dici!
    Non ce la faceva più a continuare così e quella soluzione gli sembrava l’unica via d’uscita. Sfoderò la pistola e gliela puntò addosso, erano a qualche metro di distanza e sperò che quell’ultimo tentativo disperato lo convinse a lasciarla in pace una volta per tutte.
    - Cosa diavolo ti prende adesso! – alzò le mani con uno sguardo confuso.
    - Ora mi credi? – teneva la pistola con entrambe le braccia ma dagli occhi uscivano solo lacrime.
    - Non lo faresti mai..
    - Non sfidarmi Derek, non sfidarmi! – chiuse gli occhi per non vedere neanche lei cosa stesse facendo - Voglio che te ne vada ora, non voglio più vederti vicino a me, non voglio più avere niente a che fare con voi. Dovete starmi lontano tutti, chiaro?
    - No.
    Premette il grilletto e sparò un colpo nel muro dietro Derek che rimase immobile.
    - Non farmelo ripetere un’altra volta.
    Gli occhi di Derek si riempirono di stupore e delusione, non riconosceva più chi aveva davanti, forse era vero, la sua migliore amica Ronnie se n’era già andata prima di partire, infine scosse la testa deluso da quell’amicizia lasciandole un’ultima provocazione.
    - E tu ti dimenticherai di noi?
    Lei rimase di sasso e non riuscì a rispondere. Derek s’incamminò verso la porta lentamente.
    - Va’ al diavolo Ronnie – richiuse silenziosamente il portone lasciandola sola in quella stanza che si riempiva di singhiozzi.


    Continua…

    Edited by robin89 - 21/7/2011, 14:49
     
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  9. robin89
     
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    Morgan continuava a picchiettare con la penna sulla scrivania con un certo ritmo, ogni volta che sentiva le porte dell’ascensore aprirsi si voltava nella speranza di vedere Cameron allegra e spensierata come sempre e che in realtà non fosse successo nulla. Ma non era così e lei non sarebbe mai uscita da quell’ascensore, l’unica cosa che poteva fare Derek in quel momento era domandarsi il perché del comportamento e delle parole del giorno prima mentre tirava uno sguardo alla sua scrivania vuota.
    Emily dal canto suo si era chiusa nel mutismo dopo il racconto di Morgan, era su tutte le furie e allo stesso tempo delusa dall’amica scappata senza neanche degnarla di una spiegazione, aveva semplicemente mandato in fumo due anni e mezzo così, all’improvviso, come se loro non avessero mai contato niente per lei.
    Reid si girava la penna tra le mani fissando un punto della stanza, era finito anche lui in un circuito di ragionamenti sulla situazione, pensava e ripensava a quegli anni passati con lei e ad un possibile motivo che poteva spingerla ad abbandonarli così, ma non gli veniva in mente niente se non qualcosa di estremamente grave, ma allora perché non dirlo alla sua squadra/famiglia e scappare così? Dopo tutto quello che aveva passato con loro, dopo quello che aveva fatto Sarah per lei, Ronnie si era limitata a lasciarli di punto in bianco dimenticando tutto questo? Cominciava a provare una forte delusione, rabbia e un moto di rassegnazione, lo sapevano che era imprevedibile ma che avesse il coraggio di deluderli in un colpo solo non se lo aspettava di certo, si sentiva tradito anche da parte di Sarah che ancora non sapeva delle sue dimissioni, prima di informarla voleva prima vedere se ci fosse qualche altra speranza, che succedesse qualcosa prima di rassegnarsi definitivamente all’idea.

    Quella mattina Ronnie si svegliò con una faccia da paura, aveva passato la notte lottando contro la voglia di andare a dire la verità a Morgan e a tutta la squadra, che tutto quello che aveva detto non era vero e che aveva bisogno di loro.
    Entrò nella doccia per sentire l’acqua fredda scorrere sulla pelle, si sedette sul fondo ricominciando a piangere con l’acqua che le cadeva addosso, almeno non c’era bisogno di asciugarsi le lacrime.
    Proseguì con i preparativi, andò a vestirsi di maglietta a maniche corte bianca, jeans scuri e anfibi. In quel momento venne interrotta mentre si abbottonava i pantaloni, sentì suonare il campanello e prese la pistola, andò a guardare nell’occhiello silenziosamente. Era il postino.
    Aprì lentamente e un giovane ragazzo le consegnò un pacco che dovette firmare, liberatasi di lui richiuse il portone e poggiò la “sorpresa” sul tavolo delicatamente, non era pesante ma neanche troppo leggero, era una scatolina celeste in cui c’era scritto l’indirizzo di casa sua senza quello del mittente che poteva benissimo immaginare chi fosse.
    Aprì la scatola di cartone che le pareva familiare e guardò all’interno, le si strinse lo stomaco alla vista di un orsetto di peluche marrone con un fiocco rosso al collo, lo lasciò nella scatola senza avere il coraggio di prenderlo assicurandosi che non ci fosse altro all’interno della scatola, andò a mettersi il giubbotto in pelle e a fare un’ultima cosa. Adesso sapeva dove andare.

    L’agente Todd cominciava a odiare quel lavoro, era sommersa dai fascicoli e le facevano male gli occhi e la testa con tutti quei fogli da leggere, la tortura più grande però era dover sceglierne uno fra tutta quella catasta di omicidi. Suonò il telefono e sobbalzò al suono improvviso, si avvicinò per prendere la cornetta e spalancò la bocca, una volta apprese le informazioni chiuse la chiamata e si precipitò nell’ufficio di Hotch alla velocità della luce.
    Il capo-squadra ripose il telefono quando sentì bussare freneticamente.
    - Agente Todd sono al telefono.
    - È urgente – continuò lei sulla soglia della porta.
    - Va bene – chiuse il telefono e posò l’attenzione su di lei.
    - Ha chiamato il dipartimento di Los Angeles vogliono che partiamo subito.
    - Di che si tratta?
    - Sono stati trovati due coniugi uccisi con colpi d’ascia mentre erano ancora nel loro letto nel cuore della notte.
    - Solo un omicidio?
    - Sì.
    - E perché vogliono il nostro aiuto? – chiese aggrottando la fronte.
    - Perché nel muro c’è scritto “per te Cameron Leane” con il sangue delle vittime - Hotch rimase di ghiaccio - pensano si tratti dell’uomo con la scure e non vogliono perdere tempo.
    - Digli che partiamo tra un paio d’ore – rispose prontamente, dopo di che la superò con estrema velocità per avvertire per raggiungere l’open-space e avvertire la squadra, era a metà scala quando la ragazza parlò a voce alta in modo che gli altri la potessero sentire e fece segno di guardare la tv.
    - Quella non è Cameron? – chiese retoricamente Todd, ma non ricevette risposta.
    Hotch, Morgan, Reid e Prentiss si voltarono all’unisono al plasma, sgranarono gli occhi e si alzarono in piedi quando videro il servizio.
    Una giornalista bionda in tailleur blu scuro stava facendo scorrere un’immagine di Ronnie mentre si parlava del ritorno dell’uomo con la scure attribuito al nuovo omicidio di Los Angeles, la donna menzionò poi la vicenda dei genitori di Leane uccisi dieci anni prima dallo stesso S.I. e che quello fu il suo ultimo omicidio che finì con la salvezza e scomparsa della figlia Cameron di 15 anni. Il servizio finì con il resoconto delle ultime vicende legate a Leane, quella ragazza diventata agente di polizia che tre anni prima uccise un poliziotto e scagionata per difesa personale – Morgan scosse la testa mentre ascoltava ancora quelle speculazioni su di lei – la giornalista finì con il domandarsi dove fosse adesso quella ragazza e fece riferimento alla scritta sul muro dell’S.I. rivolta a Cameron .
    I profiler rimasti a bocca aperta delle informazioni cercarono ognuno gli occhi dell’altro in religioso silenzio, consapevoli di aver appena avuto la risposta alle loro domande.
    - Lei lo sapeva? – chiese Reid titubante.
    - Perché non ce l’ha detto? – aggiunse una provata Emily.
    - È appena arrivata la richiesta dal dipartimento di Los Angeles, ce ne occuperemo noi – Hotch dalle scale si trovò quattro paia di occhi puntati addosso, si girò verso Morgan – vai a casa di Cameron e se è ancora lì riportala indietro, non m’interessa se usi una camicia di forza, partiremo per Los Angeles al tuo rientro e chiama appena arrivi.
    Morgan annuì e in un baleno era già all’ascensore.

    Provò a chiamare Cameron al cellulare ma non rispondeva o non era raggiungibile, arrivò a casa sua in meno di venti minuti utilizzando anche la sirena, quella mattina da momento di riflessioni era diventata in un balneo una corsa contro il tempo. Si girò da una parte all’altra mentre correva nel giardino, la macchina di Ronnie non c’era e invece di perdere tempo a bussare sfondò direttamente la porta. L’appartamento era vuoto e silenzioso, Cameron non era da nessuna parte, chiamò Hotch e lo avvertì subito.
    Guardò un po’ in giro prima di andarsene, la pistola era sul tavolo e su di esso c’era anche una scatola celeste con segnato l’indirizzo di Cameron, pensò bene di aprirlo e vedere cosa c’era all’interno.
    Vide il peluche, lo prese chiudendosi se fosse un “regalo” dell’S.I. prima di rimetterlo al suo posto notò un foglio ripiegato sul fondo della scatola, c’era scritto “Per voi” con una penna a sfera nera, Derek non ci credeva ancora mentre leggeva, era la lettera d’addio di Ronnie.

    Era quasi arrivata quando squillò il telefono, numero sconosciuto, uguale S.I.. Rispose mentre usciva dal SUV appena parcheggiato nell’ampio spiazzo. Udì la stessa voce melodica.
    - Ricevuto il regalo? – chiese calcando l’ironia.
    - Sto venendo a prenderti.
    - Mi piace questo gioco. Riceverai altre sorprese.
    L’S.I. chiuse la chiamata senza darle il tempo di rispondere, Ronnie spense il telefono e lo lasciò nella macchina, poi continuò il suo cammino verso l’aeroporto.

    Morgan fece ritorno alla sede di Quantico, ci aveva messo in tutto un’ora tra andare e tornare. Percorse l’open-space e li trovò nella sala riunioni, tutti con la stessa espressione tesa e preoccupata. Aprì la porta e tutti si voltarono impazienti di novità.
    - C’era questa sul tavolo – Derek posò la scatola contenente l’orsacchiotto di peluche davanti a loro riuniti in cerchio, la lettera decise di tenerla per sé e non farne parola con loro, almeno per il momento.
    - Un orsacchiotto di peluche? – convenne Emily dubbiosa.
    - Forse gliel’ha spedito l’S.I., la pistola era a casa sua non sarebbe mai uscita senza un’arma, ameno che non fosse obbligata.
    Hotch fece segno a Garcia che continuava a digitare tasti sul pc già consapevole di cosa cercare. Dopo pochi secondi trovò la risposta.
    - Trovata! – esclamò l’informatica – ha prenotato un volo per Los Angeles, è partito due ore fa, ecco perché non ha con sé la pistola.
    - Sta andando incontro all’S.I. senza essere armata e senza le sue credenziali? – domandò Morgan con fare retorico sempre più stupito dell’irresponsabilità della ragazza.
    - Ha due ore di vantaggio su di noi – aggiunse Reid con la stessa preoccupazione di prima.
    Hotch li guardò con fare gelido.
    - Andiamo a prenderla.

    Continua….
     
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  10. robin89
     
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    Era arrivata a Los Angeles e la prima cosa che aveva fatto fu prendere una macchina a noleggio e andare all’appuntamento di una vecchia conoscenza con cui si era messa d’accordo prima di decollare.
    Il punto d’incontro era stato deciso come un vicoletto isolato, in cui nessuno poteva seguirli e vederli, stava seduta al posto di guida di una piccola e comoda macchina rossa, ma già cominciava a rimpiangere il suo SUV.
    Teneva le mani sul volante mentre aspettava il suo arrivo impaziente, guardava l’orologio ogni cinque secondi e guardava nello specchietto retrovisore nel tentativo di scorgerlo. Sospirò di piacere appena lo vide arrivare e svoltare l’angolo. Un ragazzo moro entrò nella macchina dal sedile a fianco al suo e richiuse con un colpetto.
    - Cameron, che piacere vederti – le disse storcendo la bocca in un sorriso.
    - Piacere mio Riley, facciamo in fretta.
    - È sempre un piacere fare affari con te – iniziò lui a voce bassa.
    - Consideralo come il favore che mi dovevi 4 anni fa – sorrise - Hai portato tutto?
    - Sì – posizionò lo zainetto scuro davanti a lui e aprì la cerniera.
    Tolse due pistole che passò delicatamente a Cameron.
    - Questa è una Beretta M9 e questa una Revolver, sono le migliori che fanno al caso tuo, le hai già usate prima?
    Ronnie annuì – cartucce?
    - Eccole – disse prendendo altri due oggetti neri – in tutto hai 25 proiettili – ti bastano?
    - Me li farò bastare – rispose mentre caricava le armi.
    Riley frugò ancora nello zaino - E anche questo – aggiunse porgendole un lungo coltello.
    Ronnie si era già infilata le pistole, una nella cintura dietro la schiena e una dentro l’anfibio. Prese il coltello e fece lo stesso, lo infilò accuratamente dentro l’altra scarpa assicurandosi di stare comoda.
    - Grazie – si girò verso di lui - Meglio che vada adesso.
    - Come mai da queste parti? Sei con la tua squadra?
    - Niente domande ho detto, hai fatto quello che ti ho chiesto e ti ringrazio, per il resto, quest’incontro non c’è mai stato e io non sono qui..chiaro?
    - Come vuoi – rispose rassegnato - stai attenta almeno.
    - Lo farò.
    - Buona fortuna - Il ragazzo uscì dalla macchina e riprese la strada come se non fosse successo nulla.
    Ronnie era rimasta fredda e distaccata per tutto l’incontro, almeno per controllare la tensione e restare concentrata. Controllò di avere tutto al posto, esitò ancora un attimo, poi prese un profondo respiro e mise in moto la macchina.

    Interno del jet

    La tensione si poteva tagliare con il coltello all’interno del piccolo aereo, il viaggio non era mai stato così lento sembrava non arrivare mai a destinazione e Derek continuava a chiedere quanto mancasse ogni dieci minuti. Avevano tutti uno sguardo vacuo, concentrati e impazienti di fermare in tempo Cameron, l’obiettivo S.I. era passato per un momento in secondo piano, una volta trovata Ronnie potevano trovare lui.
    Todd, Reid e Prentiss facevano da contorno ad un tavolino mentre Morgan e Hotch erano nella parte opposta alla loro facendosi come gli altri le stesse domande su quella situazione assurda.
    Derek aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia con le mani che pendevano senza vitalità, gli occhi erano fermi su quel peluche marrone che stava nel tavolino di fronte a lui come se tutte le risposte che cercava fossero uscite da lì da un momento all’altro.
    Hotch posò gli occhi su Jordan e interruppe i pensieri della squadra.
    - Cosa sappiamo di quest’omicidio?
    - È una coppia di coniugi, sono stati trovati nel loro letto questa mattina con il corpo martoriato da colpi di ascia. Sul muro ci sono due scritte fatte presumibilmente col sangue delle vittime, una dice “regole”, l’altra “per te Cameron Leane”.
    - Questo toglie ogni dubbio, è decisamente lui – intervenne Emily al suo fianco girando gli occhi all’immagine della scena.
    - I corpi sono ancora lì, ha detto che aspettavano il nostro arrivo prima di portarli via.
    Hotch annuì.
    - Se si tratta dell’uomo con la scure ha cambiato modus operandi, prima sparava ai maschi e usava l’ascia solo con le donne – informò Reid con fare perplesso – perché cambiare la firma?
    Derek si girò verso di lui - Sono dodici anni che non uccide, si sarà evoluto, adesso è più audace e mostra più rabbia usando solo l’ascia.
    - E se non fosse davvero lui? – chiese Jordan.
    - Un imitatore? – esclamò Emily dubbiosa.
    - Può aver saputo di Cameron tramite la tv – continuò lei.
    - Non esiste – le rispose subito Derek – un imitatore non perderebbe tempo con Cameron solo per prendere il posto dell’uomo con la scure e la sua fama, non ha nessun rapporto personale con lei e non rischierebbe così tanto, si limiterebbe solo agli omicidi.
    - Allora visto che è lui e Cameron lo sapeva da prima perché non l’ha detto? Non siete una squadra? – Jordan aveva usato un tono piuttosto acido e non meno accusatorio.
    Derek continuò a fissarla severo, non gli piacevano le sue affermazioni.
    - Perché pensava di proteggerci – le rispose, Jordan abbassò gli occhi ed evitò altri commenti. Furono destati di nuovo dal tono di Hotch.
    - Todd, avrai un ruolo molto importante con la stampa, non voglio più vedere un servizio come quello di stamattina e non voglio sentire nessun riferimento a Cameron, voglio il silenzio stampa su di lei e quando la troveremo non voglio vedere microfoni e telecamere puntate.
    - Questo sarà piuttosto difficile, non posso fare da babysitter ai giornalisti.
    - No, ma puoi tenerli occupati – le rispose severo.
    - Prima dobbiamo trovarla – s’intromise Emily.
    Hotch riflettè nel silenzio che era calato.
    - Non ha credenziali e non è armata – iniziò - deve andare in un posto che conosce e starà attenta a non farsi vedere in giro – disse Hotch.
    - A casa sua! – esclamò Derek – so dov’è ci sono stato con lei due anni fa, questo peluche l’ha preso da lì era di Cameron, per questo lei è andata a Los Angeles prima di noi, non sapeva dell’ omicidio.
    Hotch e gli altri annuirono, aveva senso.
    - Appena arriveremo al dipartimento Todd – si girò verso di lei - comincerai a gestire la stampa, io e Reid sulla scena del crimine, Derek ed Emily a casa di Leane. Domande?
    - No – rispose deciso Derek – prendiamo questo figlio di puttana.

    ***

    Arrivò nel retro di casa sua in circa mezz’ora, o almeno quello che era stata la sua abitazione per 15 anni. Si fermò ad osservarla, sempre uguale, di legno, color carta da zucchero chiaro, un giardino ormai incolto e secco di contorno e due piani in tutto.
    C’era stata nuovamente due anni prima con Morgan e aveva riattraversato quelle stanze tenendo stretta la sua mano, stringendola più forte ad ogni ricordo, adesso invece era sola e andava incontro al suo peggior S.I..
    “Sono pazza, non pensavo che gli effetti della droga durassero così a lungo” – provò a scherzarci su visto che non era rimasto altro da fare, scese dalla macchina e sperò che l’S.I. fosse dentro ad aspettarla.
    Sfoderò la pistola dalla cintura dietro la schiena, la revolver.
    Fece dei passi lunghi e silenziosi attraversando il giardinetto fino ad arrivare alla porta del retro che dava subito alla cucina, la sensazione che provò nel varcarla era sempre la stessa, brutti ricordi di vita passata e di incubi che pensava ormai superati una volta per tutte. Scacciò via quei pensieri e si concentrò su ogni minimo movimento o suono che poteva percepire, puntava con scatti veloci la pistola in ogni punto con l’ansia che saliva alla gola ad ogni angolo non ancora visitato.
    Salì le scale di legno scuro fino ad arrivare alla porta di camera sua, aprì e vi entrò puntando per prima l’arma, c’era solo silenzio e mobili privi di vita, era sempre uguale, pareti beige scolorite e un sacco di polvere intorno, era una stanza vuota e con odore di muffa e chiuso ma era come rivedersi da bambina mentre piangeva in quel letto stringendo a sé un orsetto di peluche, non volle fermarsi oltre e si girò per continuare la perlustrazione.
    Controllò bagno e camera da letto dei genitori, solo odore di muffa e di chiuso anche lì, silenzio e polvere.
    Scese nuovamente le scale e finì nel corridoio che portava al salotto, non voleva soffermarsi in quell’angolo ma non ne fece a meno, la sua attenzione venne attirata da qualcosa di bianco che risplendeva al sole, era proprio nel punto in cui si vedeva ancora la macchia di sangue sulla moquette. Si chinò e vide che si trattava di una fotografia, la prese in una mano girandola e appena vide il soggetto distolse subito gli occhi lasciandola ricadere per terra con rabbia, un altro indesiderato regalo da parte dell’S.I. pensò furiosa, la foto ritraeva il corpo di sua madre appena dopo l’omicidio, nudo e ricoperto solo dal sangue e dalle ferite aperte date dall’ascia. Riprese controllo della pistola e si attaccò al muro facendo dei profondi respiri, se voleva farle rivivere quel giorno c’era riuscito alla grande.
    Riprese a ispezionare allo stesso modo anche il salotto e le stanze rimanenti, niente di niente, non c’era nessuno in quella casa se non lei e le brutte sensazioni.
    Se ne tornò frustrata in macchina, lo avrebbe aspettato lì qual’ora si fosse fatto vivo, infondo quello era l’unico posto che avevano in comune.
    Si sedette al posto di guida impugnando ancora tra le mani la pistola, la poggiò tra le cosce e mise in moto per trovare un punto più riparato e restare lì a fare la guardia ad ogni singolo movimento sospetto, spense il motore quando trovò un angolino che faceva giusto al caso suo, accese la radio, tanto per far passare più in fretta il tempo l’avrebbe lasciata a volume basso per non sentirsi così sola com’era.
    Passarono due o tre canzoni quando iniziò un servizio sulle news, alzò di colpo il volume appena sentì nominare il ritorno dell’uomo con la scure, le si accelerò allo stesso modo anche il battito del cuore. Ascoltò mentre cresceva il panico e rabbia ad ogni informazione recepita, il servizio era lo stesso che sentirono i suoi compagni a Quantico, con la sola differenza che ora si menzionava all’arrivo dell’FBI per occuparsi del caso.
    Spense subito la radio appena finito il notiziario, restò immobile senza parole e senza pensieri, era paralizzata da quello che aveva ascoltato, sull’omicidio di quella notte, su di lei, sull’arrivo del FBI.
    “Adesso che faccio?” – fu l’unica domanda che le venne in mente.

    Continua…..

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  11. robin89
     
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    Il team era appena arrivato al dipartimento, si aprirono le porte dell’ascensore e si schierarono di fronte un uomo dai capelli brizzolati, un’aria tesa sul volto, si vedeva che aspettava il loro arrivo impaziente, gli occhi celesti si posarono su di loro studiandoli uno ad uno.
    - Salve, detective Rynolds – si presentò allungando una mano.
    - Jordan Todd, abbiamo parlato al telefono. Loro sono Aaron Hotchner, capo dell’unità, l’agente Morgan, Prentiss e il dott. Reid.
    - Vi aspettavamo, si sta creando un bel casino in città.
    - Ci muoveremo subito – rispose composto Hotch – abbiamo bisogno di un posto dove sistemarci e delle macchine a disposizione con qualcuno che ci accompagni alla scena del crimine.
    - Certo ho già pensato a tutto, potete usare una piccola sala riunioni infondo al corridoio, vi ci accompagno.
    Detto questo fece segno ai profiler che annuirono e lo seguirono per il dipartimento.
    - Potete stare qui – disse mostrandogli la sala - io ho l’ufficio qua di fronte.
    - La ringrazio – Hotch tirò leggero le labbra.
    - Le macchine sono nel garage e se volete possiamo andare subito alla scena del crimine – lo invitò il detective.
    - Bene noi siamo pronti, la raggiungiamo tra un attimo.
    Il detective si congedò fuori dalla sala mentre Hotch rivolse l’attenzione alla squadra.
    - Come ho detto prima, io e Reid alla scena, Todd resta qui e comincia a lavorare con la stampa, Morgan e Prentiss da Leane, appena avete notizie chiamate.
    - E se non fosse lì cosa facciamo? – chiese Morgan dubbioso.
    - Raggiungeteci alla scena, Leane non fa più parte della squadra e non sanno che la stiamo cercando dunque in teoria non saremmo neanche autorizzati a impiegare forze per cercarla.
    - Spero per lei che sia lì – concluse Morgan con aria sopraffatta.

    Uscirono dalla sala e raggiunsero il detective che li aspettava poco distante, dopo un cenno di affermazione si avviarono verso l’uscita ognuno con le proprie preoccupazioni per la testa che alla fine era la stessa per tutti.
    Erano ancora a metà corridoio mentre lo attraversavano a passi decisi per dirigersi all’ascensore quando questo si aprì risvegliando la loro attenzione dai pensieri.
    Le porte aperte fecero avanzare una ragazza dall’aria determinata ma con uno sguardo più attendo si poteva notare un velo di spaesatezza e paura.
    - Dove volevate andare senza di me?
    Ronnie li lasciò ancora una volta senza parole.

    ****

    Ci aveva pensato a lungo durante il tragitto per il dipartimento.
    Prima per proteggere la squadra doveva allontanarsi da loro, ma ora che erano tutti nella tana del lupo per farlo non poteva certo continuare a fare di testa sua con la squadra alle spalle, doveva averla al suo fianco adesso anche se questo li metteva in pericolo, ma ormai c’erano già e questo cambiò il suo punto di vista sulla situazione.
    Ora quello che la spaventava di più era la reazione dei compagni alla sua comparsa improvvisa. Non era certo rimasta in buoni rapporti dimettendosi di punto in bianco e sparando a Morgan.
    Stava lì ferma di fronte a loro come se si fosse fermato il tempo, si studiavano a vicenda.
    - Lei non è …? – azzardò Rynolds temendo la risposta.
    - Cameron Leane – rispose decisa la ragazza.
    - Membro del team, la stavamo giusto aspettando. Sei in ritardo – Hotch la riempì di stupore mentre la guardava serio con le mani sui fianchi.
    - Oh santo cielo – esclamò il detective, si portò una mano alla testa guardando prima per terra poi Hotch – Cameron Leane fa parte dell’FBI? Avete idea del polverone che si scatenerà con la stampa su di voi?
    - Di questo se ne occuperà la nostra addetta alle comunicazioni. Ora se non le dispiace vorremmo parlare un momento con Leane prima di andare alla scena.
    - Va bene - tirò uno sguardo curioso alla ragazza poi si allontanò pensieroso - vi aspetto giù.
    Si dileguò nell’ascensore lasciando la squadra al completo che fissava ammutolita Cameron.
    - Tu fila con noi.
    Le fece cenno con la testa di seguirlo e s’incamminarono in quella piccola sala appena lasciata.

    Hotch aprì la porta a vetri e dopo qualche passo si girò verso di lei entrata per ultima dopo i suoi compagni con una faccia imbronciata.
    Il cuore le batteva forte, pronta a qualsiasi reazione da parte loro. Era in piedi davanti al tavolo a cui facevano cornice i membri del team come avvoltoi, non aveva il coraggio di guardare nessuno.
    - Ora immagino ci darai qualche spiegazione – cominciò Hotch voltandosi - Da quanto tempo lo sai?
    Ronnie esitò un attimo girando gli occhi.
    - Dell’omicidio l’ho saputo poco fa dalla radio. Di lui dal giorno prima dell’aggressione.
    - Ti ha chiamato? – chiese Derek.
    - No - Cameron tolse da una tasca interna del giubbotto l’articolo di giornale e la collana dorata della madre posandoli sul tavolo – li ho trovati a casa mia sotto la porta dentro una busta per lettere. Il giorno dopo mi ha aggredito.
    Derek scosse la testa e resistette dalla voglia di dirgliene quattro.
    - L’uomo con la scure ti sta addosso e tu non dici niente? – Derek era furioso. Leane restò a fissare il pavimento con il cuore che tremava.
    - Riferisci tutto quello che vi siete detti – l’interruppe Hotch distraendolo.
    Cameron cominciò a fare mente locale e riferire i dialoghi avuti con l’S.I.
    - Ha detto che vuole “giocare” con me prima di uccidermi – soppesò la parola “giocare” con sarcasmo- e che se vi avessi messo in mezzo vi avrebbe ucciso – dicendo così si voltò verso Derek che aveva un’espressione corrucciata – due giorni fa mi ha chiamato, voleva le mie dimissioni e se non l’avessi fatto ne avrei pagato le conseguenze.
    - Per questo ti sei dimessa? – chiese Emily.
    - No. Io gli ho risposto che non tratto con gli assassini e che non mi sarei mai dimessa.
    - Allora perché l’hai fatto? – chiese Reid con le mani in tasca.
    - Perchè credevo fosse l’unico modo per allontanarvi da me – fece una breve pausa- Se mi fossi dimessa quando me l’ha chiesto non li avrebbe uccisi.
    - Li avrebbe uccisi lo stesso, prima hai detto che vuole giocare con te – le rispose Derek – beh il suo gioco è iniziato adesso con o senza le tue dimissioni.
    Lei continuò a guardare per terra.
    - Dove sei stata fino adesso? – riprese il capo squadra.
    - Sono andata alla mia vecchia casa, mi ha spedito un peluche di quando ero piccola e pensavo fosse lì ad aspettarmi ma non c’era, ho trovato questa – posò la foto trovata sulla moquette di casa sul tavolo davanti a loro.
    - È mia madre – disse riabbassando gli occhi.
    I profiler se la passarono di mano ognuno girando gli occhi da quella vista macabra.
    - Ti sta provocando e continuerà a farlo con gli omicidi – riprese Hotch – tu che intenzione hai? Vuoi affrontarlo da sola o con noi?
    - Siamo una squadra no? – chiese alzando lo sguardo su di lui - Con voi.
    - Non potrei neanche farti lavorare al caso perché sei troppo coinvolta emotivamente..
    - Ce la posso fare, se non mi occupo di questo cosa faccio? Resto a guardare voi?
    - Ti metto sotto protezione – le rispose lui.
    - Non ce n’è bisogno siamo tutti in pericolo.
    - E tu in primis dunque non rompere le scatole e fai quello che ti dice Hotch – la redarguì Derek con le mani sui fianchi.
    - Todd cercherà di tenere a bada la stampa durante i nostri spostamenti, tu non devi stare un secondo da sola sarai seguita da Morgan in ogni momento e metteremo una scorta nell’albergo. Starai in camera con Emily.
    - Va bene – si arrese Ronnie.
    Hotch aprì la borsa che teneva sul tavolo ed estrasse una cintura con una pistola e un distintivo.
    - Questi ti serviranno allora – glieli allungò con la mano e lei li prese come se fosse affamata.
    - Mi dispiace – disse a voce bassa che solo lui poteva sentire.
    - Cosa volevi fare senza armi e senza credenziali, ti credi un super eroe? – Derek interruppe quel momento con rimprovero.
    - Beh no. Ho pensato anche a quello, sono irresponsabile non stupida – tolse fuori la pistola che aveva infilato dietro la schiena mostrandola a lui. L’altra pistola e il coltello li lasciò al loro posto.
    - E quella dove l’hai presa? – chiese Hotch aggrottando le sopraciglia.
    - Se te lo dico dovrai arrestarmi.
    - Non voglio sapere altro – disse scuotendo la testa.
    Nel frattempo si era allacciata la cintura con la pistola “originale” sulla vita e chiudendo la fibbia sull’interno coscia lasciando l’arma al lato esterno.
    - Un’altra cosa Leane – continuò Hotch con fare protettivo – la tua presenza scatenerà la stampa ha ragione il detective Rynolds, ti staranno addosso e rinvangheranno il passato, saranno spietati su ogni tua mossa. Tu sei pronta?
    Leane annuì senza ripensamenti– sì, li ho già affrontati più volte.

    Hotch la studiò ancora un attimo, non era sicuro della sua determinazione, temeva per la pressione psicologica e la stabilità emotiva che Cameron avrebbe dovuto mettere alla prova a massimi livelli. Avrebbe affrontato tutto quello oltre quell’ascensore di lì a poco e aveva paura di non riuscire a gestirla, di una sua perdita di controllo e crollo emotivo che poteva schiacciarla, perché era questo il piano dell’S.I. era questo il suo gioco.
    - Okay – rispose infine - ma se vedo che non ce la fai ti chiudo in ufficio e non uscirai da lì fin che non sarà finito tutto. Chiaro?
    - Chiaro.
    - Ora andiamo sulla scena e non perdiamo altro tempo.
    Uscirono uno dietro l’altro seguendo Hotch senza dire una parola, troppo concentrati a metabolizzare le nuove informazioni.
    Leane uscì per ultima mentre sentiva lo sguardo di Morgan addosso, si fermò a guardarlo negli occhi senza riuscire a comporre una frase giusta da dire.
    - Non dire niente – l’anticipò Derek con occhi furiosi.
    Lei restò con l’amaro in bocca e una fitta al petto mentre lo guardava allontanarsi, aveva bisogno di parlare con lui riguardo tutta quella situazione, riguardo il loro ultimo incontro e le parole dette. Detestava il silenzio fra di loro, doveva riuscire a chiarire con lui prima di impazzire.

    Si limitò a seguirli verso l’ascensore, adesso il gioco era iniziato sul serio.

    Continua….


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  12. robin89
     
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    Ronnie era in macchina con Morgan, seduta a fianco al posto di guida con le gambe accavallate e uno sguardo perso che guardava fuori dal finestrino, ci mancava poco che facesse il minimo rumore anche per respirare, era tesa e le sembrava di avere un blocco di ferro sullo stomaco. Odiava lavorare con le questioni in sospeso e ne aveva parecchie da chiarire soprattutto con lui che aveva tutte le ragioni per regalarle quel silenzio.
    Morgan dal canto suo le tirava qualche occhiata ogni tanto con la coda dell’occhio ma nessuno dei due proferì parola fino all’arrivo sulla scena.
    Le macchine si fermarono davanti una villetta colonica bianca, un bel giardino con un recinto gremito di giornalisti e poliziotti di contorno.
    Tanti avvoltoi pronti a mangiarsi Ronnie appena l’avrebbero vista.
    La macchina rallentò fino a fermarsi poco dietro quella dei colleghi, Morgan prese in mano il cellulare che cominciò a squillare prima che scendessero, era Hotch per l’accordo sull’imminente uscita dai SUV. Jordan li avrebbe anticipati attirando i giornalisti su di sé mentre i profiler avrebbero fatto da scudo a Cameron fino all’entrata nella casa.
    Chiuse la chiamata e si girò da Ronnie che lo guardò a sua volta senza espressione.
    - Esco prima io, stai vicino a me e mettiti gli occhiali – l’avvertì freddo.
    Leane non disse nulla e si rigirò dalla parte del finestrino, quando Morgan fece il giro del SUV lei aprì la portiera accostandosi subito alla sinistra del ragazzo che la copriva con la stazza.
    Todd venne assalita dai giornalisti che iniziarono una valanga di domande, dietro di lei il team si muoveva veloce verso l’interno della casa, si avvicinò qualche poliziotto a loro ma nessuno almeno per il momento fece caso a Cameron che si dileguò all’interno.

    Entrarono nell’abitato all’unisono tirando un sospiro di sollievo.
    - Pensavo peggio – esclamò Reid.
    - Aspetta quando mi riconosceranno. Dovrei essere l’unica al mondo a non invidiare gli attori – rispose mentre si toglieva gli occhiali dal viso.
    Dopo una prima occhiata alla casa che si apriva con il salone, seguirono il detective al piano di sopra sorpassando agenti della scientifica e poliziotti.
    - Non è un bello spettacolo – avvertì il detective che li precedeva sulle scale.
    - Siamo pronti a tutto – rispose composto Hotch, anche se sapeva di cosa era capace l’uomo con la scure.

    La porta era aperta e già dal corridoio si intravedevano gli schizzi di sangue sulle pareti, Ronnie chiuse gli occhi percorrendo gli ultimi metri che la separavano dalla stanza per poi aprirli e sbiancare alla vista macabra. Emily assunse un’espressione nauseata, Reid arricciò la fronte girandosi intorno e Derek scosse la testa mentre sospirava, solo Hotch sembrava immune di quello che aveva davanti.
    Un uomo e una donna bianchi giacevano sulle coperte del letto ormai diventate rosse e fradice di sangue, erano corpi senza vita martoriati da un pezzo di acciaio abbattuto su di loro come fossero sacchi di farina, lasciando ossa e intestini in vista con ferite aperte in tutto il corpo. Il viso anch’esso intriso dagli schizzi del sangue non lasciava intravedere nessuna espressione particolare.
    Dopo una prima occhiata tolta subito ai corpi, Cameron posò gli occhi sulle scritte sul muro che facevano da cornice al letto.
    “Regole” sulla parete sinistra. “Per te Cameron Leane” sopra la testiera del letto. Leggere quelle cose e rimanerne incantata con occhi fissi non faceva altro che aumentare il suo senso di colpa.
    - Mi sembra un chiaro segno di sfida – affermò Reid con lo sguardo perso sul muro.
    - Quali regole? – chiese il detective alludendo alla scritta.
    - È colpa mia – rispose Ronnie attirando gli sguardi di tutti.
    - Che significa? – continuò lui.
    - Ha chiesto le mie dimissioni e le ho rifiutate. Questo è il risultato.
    Rynolds restò a fissarla con aria di rimprovero, come se davvero le desse la colpa di quello scempio.
    - È colpa dell’S.I. non tua – provò a imporsi Hotch che sapeva cosa voleva dire non stare alle regole di un assassino.
    Ronnie cercò di convincersene ma la volontà era scarsa, pensò amaramente che qualche giorno prima poteva fare la fine di quella coppia e si chiese com’era finita in quella situazione.
    Le sue narici nel frattempo si stavano impregnando dell’odore acre che regnava nella stanza, dopo l’aggressione non riusciva più a sopportare l’odore del sangue.
    - Torno subito – disse mentre lasciava la stanza, Derek la seguì con gli occhi per poi posarli su Hotch che si chiedeva se avesse fatto male a portarla con loro.
    Ronnie raggiunse a passi veloci un piccolo bagno secondario che si trovava lungo il corridoio, si precipitò nel water tenendosi i capelli dando sfogo ai conati di vomito.
    Qualche minuto dopo prese ad espirare profondamente mentre sentiva il dolore alla costola tornare a causa dello sforzo del torace, tossì un paio di volte, si pulì mentre sentiva qualcuno avvicinarsi alle sue spalle.
    - Tutto okay? – le chiese Reid all’angolo della porta.
    - Sì, è solo che non sopporto più l’odore del sangue – rispose chinata senza girarsi.
    - Ti ci dovrai riabituare – si allontanò nuovamente lasciandola nel bagno.
    Lei si avvicinò al lavandino e si sciacquò il viso con acqua fredda, dopo essersi asciugata si guardò allo specchio, non aveva una bella cera. “Quando finirà quest’incubo?”si chiese tra sé e sé, preso un profondo respiro tornò nella stanza dove l’aspettavano.
    Gli sguardi ricaddero di nuovo su di lei, Hotch le diede un’occhiata che lei ricambiò.
    - Sto bene – gli rispose anticipando la domanda.
    Dopo un’occhiata torva del detective prese a divulgare le informazioni.
    - Darin Cooper e Ric Maddox sposati, lui 45 anni lei 40.
    - Chi li ha trovati? – chiese Morgan.
    - Il figlio Patrick di 23 anni, tornava stamattina da una vacanza e li ha trovati in questo stato.
    - Segni di effrazione? – domandò Hotch.
    - La porta del retro della cucina è stata forzata, e c’è del sangue sulla vasca da bagno.
    - Probabilmente ha cercato di pulire l’ascia – affermò Reid che frugava in giro.
    Derek si era avvicinato ai corpi e ne studiava la posizione e le ferite.
    - A lei ha tagliato la gola e a lui ha sfasciato il cranio, mi sembra evidente che nutra un alto grado di rabbia sulle vittime.
    - Come ha fatto a ucciderli contemporaneamente? – domandò curiosa Emily – avrebbero certo sentito i rumori e avrebbero cercato di difendersi.
    - Non ne sarei così certa – rispose Leane – è un tipo piuttosto silenzioso e conta sul fattore sorpresa, probabilmente non l’hanno sentito e quando è arrivato qui si è dato subito da fare con l’ascia prima con lui poi si è dedicato a lei, prima l’ha ferita per togliersela di torno mentre sistemava lui, poi una volta finito col marito le ha tagliato la gola. Possibile che lei abbia visto tutto prima di morire.
    Rispose velocemente come se stesse raccontando una favola ad un bambino impaziente del finale, loro non fecero altro che annuire al suo ragionamento e continuare a spaziare nella stanza fin che non ne seppero abbastanza per andare via.

    Qualche ora dopo tornarono al dipartimento carichi di foto della scena e altre informazioni, ora mancava il rapporto del medico legale.
    Hotch consentì una piccola pausa caffè per schiarire la mente dalle immagini che videro in quella casa e prendere un po’ di respiro prima di ricominciare.
    Ronnie riflettè qualche secondo sulla situazione coi compagni, si sentiva spaesata nonostante fosse contenta di essere ritornata all’ovile ma erano tutti freddi con lei e non le rivolgevano la parola se non per obbligo di lavoro, non sembravano più gli stessi, gli si leggeva in faccia che erano ancora delusi e arrabbiati. Se l’era cercata lei infondo ma come al solito non era pronta per affrontare gli effetti collaterali del suo comportamento.

    Derek era entrato nel piccolo cucinino del dipartimento, notato da Ronnie fu subito seguito da lei.
    Entrò adagio e richiuse la porta alle spalle delicatamente e restò ad osservarlo in silenzio, lui non si girò minimamente, ignorandola.
    - Possiamo parlare? Per favore – la voce era timida.
    - Riguardo cosa?
    - Tutto, lo sai.
    - No. Non lo so, e non ho voglia di parlare con te se non per lavoro.
    Ronnie cominciò ad avere brutte sensazioni, non le piaceva quel tono.
    - Ora sono qui, non sono scappata.
    Finalmente Derek si girò a incontrare il suo sguardo mentre incrociava le braccia visibilmente stufo.
    - Sei qui solo perché hai sentito l’omicidio alla radio, dì la verità, altrimenti saresti ancora là fuori con noi che impazziamo per cercarti.
    Lei assunse il tono di chi aveva le orecchie basse e la coda tra le gambe - vorrei solo che tornasse tutto come prima.
    - Tutto come prima!? Credi di poter lasciarci e riprenderci quando cavolo ti pare come se fossimo dei pupazzi senza sentimenti?
    - No..io..
    - Ti sbagli di grosso se pensi che sia così facile! Questa volta hai superato il limite Leane – si girò di scatto su di lui quando lo sentì chiamarla per cognome, era la prima volta che non usava Ron o Ronnie e quella barriera di distanza che stava alzando le fece paura – dimmi che se non avessi saputo dell’omicidio ora saresti qui lo stesso.
    Cameron rimase in silenzio schiacciata dalla piega che aveva preso la discussione.
    - Te lo dico io. No.
    Lei non potè fare altro che cambiare direzione e ingoiare il rospo.
    - Non so più se riuscirò a fidarmi ancora di te.
    Finì la frase e la superò lasciandola a bocca aperta mentre sentiva crescere il panico, lottò per fermare le lacrime prepotenti.
    Era tornata per riprendersi quello che aveva perso e ora pensò paurosamente che forse non sarebbe più ritornato.

    Continua…

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    Ron/Derek


    commentiiiiiiiii e grazie a chi lo fa e a chi legge ^^
     
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  13. robin89
     
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    Hotch aveva a disposizione l’ufficio del detective ogni qual volta ne avesse avuto bisogno, si trovava lì dentro e aveva appena finito un giro di telefonate burocratiche quando sentì bussare.
    - Avanti – disse alzando gli occhi alla porta.
    Entrò Cameron con una valanga di tristezza addosso, si fermò oltre la porta e restò a fissare il pavimento mentre muoveva un piede con disinteresse per terra, aveva bisogno di risposte concrete dopo la piega che aveva preso il suo ritorno.
    Hotch spostò di lato un fascicolo sulla scrivania con aria stanca, poi la guardò curioso.
    - Come va la costola? Saresti dovuta rimanere a riposo per 20 giorni e non hai neanche il permesso per essere qui – iniziò lui con tono di rimprovero.
    - Tanto lo avrei falsificato – Hotch incrociò le braccia contrariato - comunque sto bene, solo non riesco a piegarmi come si deve – alzò le spalle – passerà, non è quello il problema.
    Hotch aveva notato che aveva un’aria piuttosto persa e diffidente più del solito.
    - Leane – lei alzò il viso in un’espressione contrita - riguardo stamattina, non devi lasciarti manipolare da lui, devi cercare di affrontare questo caso come fosse uno qualsiasi senza badare alle sue provocazioni.
    - È quello che sto cercando di fare, ma è difficile- Fece una breve pausa cercando le parole nel pavimento - perché nella camera mi hai difeso con il detective? Hai detto che non è colpa mia se li ha uccisi ma sappiamo benissimo che non è così. Se fossi stata ai suoi patti non avrebbe ricominciato.
    Hotch sospirò mettendosi nei suoi panni, ripensò alla situazione vissuta con Foyet e capiva come si sentiva Leane in quel momento.
    - So’ cosa vuol dire non stare alle regole di un assassino, ci ho rimesso un autobus pieno di gente, il senso di colpa mi stava distruggendo, ma qualcuno mi ha detto che non è colpa nostra se qualcuno decide di fare del male al prossimo, non possiamo controllarli, solo fare il possibile per farli smettere. Dunque non è colpa tua se l’uomo con la scure ha ripreso a uccidere, è opera sua. Io ho cercato di convincermene a mio tempo, fallo anche tu.
    Ronnie lo ascoltò metabolizzando le sue parole, ma anche se provava a eliminare quel peso ne sentiva sempre un altro che doveva far uscire fuori.
    - Mi dici cosa devo fare? – più che una domanda suonava come una richiesta d’aiuto – io non mi ricordo nemmeno come ci sono finita in questo casino, volevo solo proteggervi cosa c’è di male? Perché mi sento così sola anche adesso che sono tornata?
    - La cosa giusta per te è quella sbagliata per noi, stai solo subendo le conseguenze delle tue azioni e non sei abituata. Quello che sbagli sono i mezzi che usi.
    - Non m’interessano i mezzi che avrei usato se l’obiettivo era proteggervi.
    Hotch alzò un sopraciglio torvo - Hai mentito a me e alla squadra, ci hai nascosto di essere stata in contatto con l’S.I. per due settimane rischiando così di essere uccisa più volte, ti sei dimessa e sei fuggita dall’altra parte dell’America mettendo un’altra volta la tua vita in pericolo dimenticandoti della tua squadra. Aggiungiamoci a questo i mezzi che avresti usato: traffico e possesso d’armi illegale, volevi finire in carcere dopo averlo ucciso? – adesso che aveva preso quel discorso in mano era decisamente arrabbiato, era ora di scuotere quell’atteggiamento da cucciolo indifeso altrimenti non avrebbe retto per molto.
    - Non suonava così male quando ho preso le pistole – azzardò ironica, Hotch scosse la testa di risposta e subito tornò a sopraffarla quella sensazione di vuoto, la voce era priva di emozione, quasi rassegnata mentre guardava il suo capo negli occhi - Nessuno mi rivolge la parola, Derek non si fida più, l’S.I. si prende gioco di me – fece spallucce - Io pensavo solo di fare la cosa giusta per voi. Tanto valeva che continuassi a dargli la caccia da sola, almeno avrei fatto da diversivo e sarei stata coerente con la mia prima decisione.
    - Bene – Hotch allungò una mano - allora riconsegnami pistola e distintivo e continua quello che stavi facendo. Tu usi i tuoi mezzi e noi i nostri così non ti dovrai preoccupare di quello che devi affrontare qui.
    Leane rimase di colpo spiazzata, cominciò a guardarsi in giro liberando alcuni pensieri. Che la stesse mandando via lui adesso? Diventò ancora più confusa di prima, è vero che si vergognava a morte di essere tornata dopo quello che aveva fatto e non era preparata a quello scontro emotivo con la squadra. Però era tornata per continuare a proteggerli, non voleva essere dall’altra parte della città se gli fosse successo qualcosa.
    - Perché allora hai fatto quella sceneggiata con il detective quando sono arrivata? Perché non mi mandi via tu se ogni cosa che faccio è sbagliata! Se siete voi a non volermi più adesso perché … - Non riuscì a finire la frase fermando un nodo alla gola.
    - ..perché l’unico modo che ho per controllarti e proteggerti è farti restare con noi. Avrei dovuto lasciarti andare in pasto a lui? – continuò la frase al posto suo.
    Ronnie sospirò spostando lo sguardo da lui alla finestra, scacciò via con decisione una lacrima che stava per scendere, poi riprese fiato fiato.
    - “Se metti in mezzo la tua squadra ti toglierò ciò che ami di più”. Tu cos’avresti fatto? Tu fino a che punto saresti arrivato per proteggere la tua?
    - Io sono il capo ed è mio dovere proteggere la mia squadra, se tu mi togli questa possibilità vuol dire che non ti ritieni parte della squadra e io non posso fidarmi di te.
    - Io mi considero gi parte di voi.
    - Forse ci consideri la tua famiglia ma non la tua squadra. I tuoi unici mezzi siamo noi Leane e te ne sei dimenticata un’altra volta. Non m’interessa quanto sei coraggiosa se non ti fidi degli altri.
    - Era una battaglia che riguardava me non voi, ora che è anche vostra il mio posto è qui.
    - Le tue battaglie sono anche le nostre è questo che non capisci. Non andrai molto lontano fidandoti solo di te stessa. Ti sto dando un’ultima possibilità Cameron – riprese Hotch dopo averla vista sprofondare nella confusione – o ti dimetti senza via di ritorno o affronti l’S.I. con noi e riconquisti quello che hai perso, non si cancellano gli sbagli che hai fatto ma per risolverli li devi affrontare. Scegli tu, ma quello che decidi è per sempre e non potrai tornare indietro. Non ti accetterò più nella squadra – restò a fissarla mentre lei incrociando le braccia assunse un’aria pensierosa, sperò che almeno quelle parole la potesse scuotere in qualche modo e farla reagire con la giusta determinazione per riprendersi il suo posto tra loro. Sé se ne fosse andata allora vuol dire davvero che non si considerava parte di loro.
    Ronnie si concesse una pausa riflessiva di qualche secondo per mettere in chiaro cosa volesse realmente, capì che i due obiettivi che voleva raggiungere doveva legarli insieme, così decise una volta per tutte.
    - Ero disposta a rinunciare a voi pur di proteggervi ..ma se questo è il prezzo da pagare non voglio più farlo, non voglio perdervi un’altra volta perché mi fa più paura di lui. Voglio fidarmi di voi se questo vi protegge. E poi chi mi difende se mi accusano di traffico d’armi?
    L’ultima frase strappò un sorriso ad Hotch che riconobbe la Cameron che aveva conosciuto.

    ***

    “Non so più se riuscirò a fidarmi ancora di te”.
    Cercava di concentrarsi sulle foto che aveva davanti appese al tabellone ma la mente tornava sempre alle parole di Derek che intercettava con la coda dell’occhio dall’altra parte del tavolo, lei era in piedi che fissava le foto e da quando erano entrati in sala ognuno s’impegnò a non cedere in sguardi cercatori.
    Da quando era tornata nella squadra quella mattina non si era ancora rivolta nessuna occhiata con i compagni, aveva paura di leggere nei loro occhi la delusione che lei stessa aveva provocato e che ora era decisa a rimediare, era solo impaziente di farlo e non riusciva a concentrarsi a dovere.
    - Cominciamo – Hotch ruppe il filo dei suoi pensieri entrando nella stanza – facciamo il punto delle informazioni che abbiamo fino adesso.
    Iniziò Emily seduta vicino Cameron - C’è stato scasso ma gioielli e soldi non sono stati toccati – il suo unico obiettivo è concentrarsi sulle vittime.
    - È stata una coincidenza che il figlio non fosse in casa? – chiese Derek girandosi una penna tra le mani.
    - Credo di sì – rispose Reid facendo mente locale sugli omicidi di 12 anni prima – di solito le vittime erano coppie, solo in due casi erano due donne single ma uccideva anche i figli in caso ci fossero stati, con un fucile per i maschi e la stessa ascia per le femmine.
    - L’altra coincidenza sono io – rispose Leane con tono sarcastico.
    - Se ce l’ha con te per questo allora anche il figlio dei Maddox è in pericolo – ipotizzò Emily.
    Hotch girò la testa verso di lei - Ho già parlato con il detective sarà messo in un programma di protezione e mi sta portando i fascicoli dei vecchi casi.
    Leane si sentì toccata e scossa all’idea di poter leggere per la prima volta quello dei suoi genitori.
    - Facciamo il profilo in base ai vecchi omicidi? La firma è diversa – disse togliendosi quelle curiosità dalla testa.
    - Sì – rispose deciso lui - e poi aggiungiamo quello nuovo con quest’omicidio e in base al rapporto personale che ha stabilito con te.
    - Non capisco perché abbia voluto cambiare modus operandi – continuò Leane confusa – se ci tiene alla sua fama perché non continuare con la stessa firma? Cosa c’è di diverso?
    - Ci sei tu – Reid si girò verso di lei – il fucile gli metteva distanza con le vittime e non lo faceva interagire con i maschi ma adesso ha anche scritto “per te” dunque può essere solo una forma personale decisa adesso per impressionarti.
    - Il signor Maddox era piuttosto robusto, vuole dimostrare che può sopraffare chiunque – affermò Derek dall’altro lato.
    - E perché ha smesso di uccidere per dodici anni se ci tiene così tanto al suo potere sugli altri? - domandò Emily – cos’ha fatto tutto questo tempo?
    - Qualcosa deve averglielo impedito, non penso sia stata una sua scelta di restare nell’ombra – rispose Hotch.
    - Forse visto non gli è andato giù il fatto che mi sia salvata, prima di continuare con nuovi omicidi voleva finire con me, peccato non sia stato facile trovarmi anche per lui.
    - E come ha fatto a trovarti adesso? Non sei a Los Angeles da un bel pezzo ormai – chiese Emily.
    - Se segue la tv per sentire cosa dicono di lui, molto probabilmente mi ha riconosciuta in uno dei servizi di 3 anni fa e da lì ha ripreso le mie tracce fino adesso, oppure in qualche conferenza stampa da quando lavoro qui.
    In quel momento entrò il detective con un plico di fascicoli in mano che posò sul tavolo.
    - Ci sono tutti. Sono messi in ordine cronologico dal primo all’ultimo. Posso fare altro?
    - Per il momento va bene così, la ringrazio.
    Uscì dalla stanza lasciando nuovamente i profiler al loro lavoro.
    - Potremmo essere pronti per un profilo entro domani – Hotch alzò lo sguardo verso l’intero team che annuì mentre fissava i fascicoli gialli.
    Reid prese in mano i primi 5 di 10 in tutto, omicidi compiuti nell’arco due mesi con scadenza anche giornaliera, 18 vittime in totale, 20 con quelle della notte scorsa.
    L’ultimo che primeggiava nella colonna di fascicoli portava il nome “Leane”. Quando lo notarono gli altri profiler si fecero sfuggire qualche occhiata a Cameron per vedere la sua reazione, erano preoccupati per la sua emotività e sapevano quanto dovesse essere difficile per lei affrontare quel ritorno al passato e mantenersi contemporaneamente lucida e impassibile, lei guardò il fascicolo e rimase fredda come se in realtà quei fogli non la toccassero minimamente, non voleva risvegliare immagini che aveva cercato di dimenticare in tutti quegli anni, non voleva riportare la mente a quel giorno che per lei si era trasformato in incubi notturni. Chissà quanto avrebbe resistito dal sfogliarlo.

    Continua…

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  14. robin89
     
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    Reid aveva letto i fascicoli alla velocità della luce, Morgan e Prentiss erano dal medico legale, Hotch parlava con Todd e Rynolds, Leane trovò un momento la sala riunioni vuota a sua disposizione, Reid non era nei paraggi forse andato a prendere un caffè. Come previsto non riuscì a resistere più di mezz’ora,alla prima occasione venne attirata da quel maledetto fascicolo giallo, si avvicinò cautamente al plico di fascicoli sulla scrivania, ne osservò la prima pagina che portava le prime informazioni, nomi, date e altri piccoli dettagli. Si guardò intorno e assicurandosi di essere sola aprì il fascicolo fermandosi alle foto, quella vista la riportò inesorabilmente ai ricordi di 12 anni prima.

    Maggio 1998. Los Angeles.

    Erano le due di notte, una ragazza di quasi 16 anni stava rientrando a casa dopo aver passato la giornata con gli unici suoi amici, cinque ragazzi sbandati che avevano vite pessime come la sua e avevano qualcosa da condividere, quelli che considerava la sua unica famiglia da ormai tre anni e con cui ogni problema spariva insieme a loro. Il punto di ritrovo era una vecchia casa abbandonata, ma ancora abitabile, e i loro passatempi erano fare abuso di alcool e di droga, unico rimedio trovato per dimenticare le loro reali vite familiari. Mentre camminava al buio ringraziò tra sé e sé uno di loro, Ed, per procurargliela sempre gratis o usufruire della loro scorta senza dover essere in debito con qualcuno o con l’obbligo di spacciare, era la piccola del gruppo e in un certo senso, almeno secondo loro, se ne prendevano cura come potevano. Anche quel giorno l’aveva passato a farsi, girava cocaina, eroina… aveva provato di tutto o quasi in momenti che si ritagliava per dimenticare quello schifo di vita che ritrovava a casa sua.
    Girò la chiave a fatica nel portone, non era al massimo della forma per stare in piedi. Attraversò l’andito buio che portava all’incrocio per salire le scale ma inciampò in qualcosa di morbido, mise le mani per terra per sollevarsi ma le sentì bagnarsi di qualcosa di denso, si alzò a fatica e accese la luce.
    Per un momento credette fossero gli effetti della droga ma quella che vedeva non era mai stato più reale, sua madre era stesa per terra nuda con il corpo ricoperto di sangue che saliva in alto fino al muro, indietreggiò spaventata e sbattè la schiena contro un mobiletto incapace di controllarsi, si girò e salì le scale in fretta per cercare il padre.
    Lo trovò subito dietro l’angolo seduto per terra con la schiena al muro colpito da una fucilata al petto.
    Sentì il corpo andare in panico e l’unica cosa sensata che le venne in mente fu quella di uscire da lì il più in fretta possibile.

    Era finita in un vicoletto ed era già in condizioni pessime, era sotto shock per quello che aveva appena visto e non sapeva se crederci o meno, si sedette per terra e si pulì le mani dal sangue sui jeans. Non sapeva cosa fare o dove andare, tremava di freddo e non sapeva nemmeno dov’era finita, in preda al panico aveva seguito stradine secondarie e altre vie senza un senso logico.
    Si era fermata in un angolino del vicolo e restò in silenzio ascoltando il respiro affannoso e i denti che sbattevano dal freddo, tastò il petto e si ricordò di avere ancora qualche pastiglia datagli da Ed in un barattolino che aveva nascosto all’interno del giubbotto, era raro che usasse pastiglie visto che erano soliti sniffarla. Ne prese un po’ e le ingoiò in un fiato aspettando che facessero effetto, stava andando in astinenza dopo sole poche ore e dopo quello che era accaduto aveva decisamente bisogno di sprofondare in quel mondo di piacere che aveva imparato a conoscere e le dava un po’ di tregua.
    Sentì subito una confusione mentale, iniziò a sudare freddo e sentì un principio di nausea.
    Non capì quanto passò da quel momento, i minuti sembravano secondi presa da quello stato di allontanamento dal mondo reale, era lontana da tutto e da tutti, non sentiva il peso di nessun problema se non l’inizio di un forte mal di testa e dolori ai muscoli.
    Dei rumori provenivano dall’interno del vicolo, vedeva qualcosa che luccicava, forse l’insegna di un bar, poi riuscì a distinguere due figure scure avvicinarsi a lei, non capì cosa dicevano, sentiva le voci in lontananza mentre qualcuno la sollevò di peso.
    Sentì un dolore alla schiena quando la buttò per terra senza delicatezza, erano all’interno di un caseggiato buio e abbandonato, riusciva solo a sentire con le mani del vetro sotto di lei. Udì ancora delle voci poi vide qualcuno che le tirava via i vestiti di dosso – non toccarmi – ripetè con un filo di voce, allungò le mani per cercare di prendere quelle del suo aggressore ma lui gliele allontanò con uno strattone, non aveva la forza di fare altro, né di urlare, né di resistere.
    Sentiva la sua pelle nuda entrare in contatto con quell’uomo sconosciuto, provò ad urlare quando sentì la schiena che raschiava contro il vetro del pavimento a ritmo delle spinte che subiva.
    Divenne il passatempo per loro per un tempo indefinito, quando se ne andarono restò immobile sul pavimento distrutta dalle ferite che aveva riportato e dall’effetto della droga che stava aumentando, pensò che forse sarebbe morta lì dentro da lì a poco e non le importava poi così tanto, peggio di così non poteva andare.
    Aveva freddo e ricominciò a tremare più di prima, poi vide una luce abbagliarle gli occhi, sentì altri passi correre verso di lei mentre sentiva la vita scivolare via. Poco dopo iniziarono spasmi muscolari e cominciò a tossire pesantemente mentre prese le sembianze di un’epilettica e dalla bocca fuoriusciva una densa sostanza bianca. L’ultima cosa che sentì fu la sirena di un’ambulanza.

    Si era svegliata in ospedale dopo una settimana, era debole e intontita, non ricordava come ci fosse finita in un primo momento ma lentamente i ricordi tornarono a galla poco alla volta facendola chiudere in un senso di paura e di confusione.
    Un poliziotto era seduto vicino al letto e la guardava incuriosito, impaziente di poterle parlare e vedere come stava anche se dal punto di vista medico lo sapeva ed era sollevato.
    - Ciao – le disse quando la vide riaprire gli occhi per la seconda volta.
    Lei lo guardò stranita mentre prendeva coscienza del posto in cui si trovava e del fatto che fosse attaccata ad una serie di tubi e ad una flebo.
    - Chi sei? – chiese con diffidenza.
    - Sono il detective Matt Spicer, quando ti ho trovato eri in condizioni pessime, come ti senti?
    - Viva. Come sono finita qui? Cos’è successo?
    - Ti ho trovato in una casa abbandonata una settimana fa, eri in overdose e ho chiamato un’ambulanza appena in tempo, sei stata in coma per due giorni e.. dalle visite che ti hanno fatto sei stata violentata.
    - In coma? – restò a fissare la stanza incredula cercando di metabolizzare tutte le informazioni. Cominciava ricordare tutti i dettagli di quella notte come se vedesse un film e iniziò a piangere.
    - Ehi non piangere ora sei al sicuro e starai bene. Ti hanno ripulito il sangue e hai venti punti nella schiena.
    - Mi fa male – disse girando gli occhi verso la macchina alla quale era attaccata.
    Spicer la guardava teneramente, aveva un’aria così innocua e spaventata, voleva solo aiutarla a riprendersi la vita in mano.
    - Quanti anni hai?
    - 16..quasi..
    - Senti.. tu sei Cameron Leane? - era al corrente di quello che era successo la settimana prima e in quei giorni passò in tv una foto di una ragazza che le somigliava molto.
    Lei aggrottò la fronte - Come lo sai?
    - La polizia ti sta cercando..
    - Perché? Perché avevo..
    - No, per i tuoi genitori, sono stati uccisi. Lo sapevi?
    Riportò subito la mente a quella notte - Sì. Ma non sono stata io.
    - Lo so’ non preoccuparti, nessuno ti accuserà. Ricordi qualcosa?
    - Io.. li ho trovati già morti e sono scappata.
    - Hai dei parenti qui a Los Angeles?
    - No, sono metà spagnola. I parenti li ho a Madrid, ma non ci voglio andare, per favore..
    Spicer l’elettro-cardiogramma che mostrava i battiti accelerati della ragazza.
    - Okay non ti agitare adesso – provò a tranquillizzarla, non voleva stressarla troppo al suo risveglio, ci sarebbe stato tempo per i chiarimenti - troveremo una soluzione vedrai.
    - Grazie – bisbigliò prima di addormentarsi.

    Cameron passò i successivi due anni in una comunità per tossico-dipendenti, finita la disintossicazione restò in continuo contatto con Spicer, per lui fu come adottare una figlia e per lei fu l’inizio di una nuova vita, cominciò anche a lavorare come assistente in un centro di recupero per ragazze come lei.
    Spicer, quando lei era libera dal lavoro, la portava al dipartimento di polizia dove il poligono di tiro divenne il suo passatempo preferito, frequentò a tempo perso un corso di difesa personale e divenne cintura nera di judo, tutto contornato da un interesse per la criminologia e psicologia che la portò fino all’FBI.
    Tutto quello che le restava del passato era una valanga di brutti ricordi, una lunga cicatrice nella schiena e frequenti incubi notturni.


    I ricordi di quel giorno finirono quando sobbalzò nel sentire una voce conosciuta dietro di lei.
    - Lo sapevo che non avresti resistito - Reid la fissava con le mani in tasca.
    Ronnie chiuse il fascicolo in un colpo e lo lasciò in un angolo, lo guardò come se negasse l’evidenza.
    - Ti ricordi il primo giorno di lavoro in cui mi hai chiesto dell’uomo con la scure? – continuò lui.
    - Sì – lei alzò le spalle - Ero curiosa, non era il mio desiderio conoscerlo di persona.
    Reid assunse un’aria triste anche nella voce.
    - Perché non ci hai detto niente? Noi siamo la tua famiglia potevamo aiutarti, ti sei dimenticata di noi?
    - Reid – girò gli occhi in un punto a caso - lo so che sei arrabbiato con me, che lo siete tutti e avete ragione..
    - Non sono arrabbiato,sono confuso, deluso, perché per un attimo ho avuto paura che la Ronnie che conoscevo non fosse mai esistita – per la prima volta era sparito il genio che poteva rispondere a qualsiasi cosa e uscì fuori un Reid impacciato e desideroso di risposte da parte di un’amica che aveva temuto di perdere.
    Lei lo guardò sentendo salire un nodo alla gola, non era abituata ad averli così spesso, si rimproverò di far uscire le sue emozioni così facilmente in quel periodo.
    - Sono sempre la stessa Ronnie di prima, la stessa combina guai esaurita. La stessa che hai aiutato tornare tra voi quando io e Sarah siamo state rapite (1) – le si bagnarono gli occhi di lacrime - Quella che adora spettinarti i capelli e che ha bisogno di dirti che ti vuole bene e che non si sarebbe mai dimenticata di nessuno di voi.. ma l’ho fatto solo per proteggervi.
    Ronnie si trovò due occhioni che la fissavano, quelli che le davano sempre quel senso di tenerezza verso di lui.
    - Mi sei mancata – le disse Reid tirando le labbra timidamente.
    Lei allungò subito le braccia e tirandolo verso di sé lo abbracciò forte, sentendosi ricambiata pianse ricordando quanto quel contatto la faceva sentire appartenente a qualcosa,dentro quella famiglia e a quanto le fosse mancata i quei giorni. Gli affondò la mano nei capelli morbidi mentre qualche lacrima bagnava la spalla di Reid – ti voglio bene.. grazie...

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    Continua…


    (1) Dark Souls - Capitolo XVIII. What's happened?

    Edited by robin89 - 22/7/2011, 12:59
     
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    - Il sig. Maddox è morto quasi subito a causa delle ferite al cranio mentre la moglie è morta per dissanguamento poco dopo – erano tutti nella sala riunioni ed Emily prese a informare dopo che lei e Morgan erano tornati dal medico legale – inoltre – riprese Derek – nel petto della signora Maddox è stata trovata una fibra di crine di cavallo.
    - Ha usato un pennello per scrivere sul muro – affermò accigliato Reid.
    - Si prende anche il tempo per dipingere – Leane ci mise una nota di sarcasmo mentre prendeva a sedersi con un tonfo.
    Reid intanto segnava sulla cartina tutti i luoghi degli omicidi dei 12 anni prima, distanti tra loro e senza un’apparente collegamento.
    - Cominciamo a fare il profilo sulla base dei fascicoli precedenti – incalzò Hotch in piedi fra loro.
    Reid, fresco di lettura dei 10 fascicoli, cominciò a dare il suo contributo.
    - Tutte le vittime avevano una fascia di età da 18 a 30 anni, 8 coppie e 2 ragazzi che abitavano indipendentemente, due femmine di 24 e 22 anni.
    Dopo aver tolto di mezzo gli eventuali mariti o compagni con un fucile poteva dedicarsi alle donne, le rendeva inoffensive picchiandole poi usava l’ascia per ucciderle, la cosa curiosa è che dopo averle uccise le spogliava e prendeva qualcosa che le apparteneva, tipo bracciali, orecchini, collane.
    - Questo mostra più rabbia verso le femmine mentre i maschi li allontana senza avere contatti – continuò Derek – per lui non hanno nessuna importanza, non meritano attenzione – finì alzando le spalle.
    - Cattivo rapporto con la madre? – sentirono la voce di Emily senza bisogno di girarsi.
    - Sono state violentate? – chiese Leane mentre nella sua mente vagava l’immagine della madre e della collana.
    - No, almeno non c’è traccia dell’atto sessuale in sé – rispose lui – ma tra l’aggressione e l’uccisione deve passarci del tempo – continuò acciglia dosi.
    - Gli piace interagire con loro prima di ucciderle e dimostrargli di averle in pugno, se non le ha violentate ha comunque dimostrato il suo dominio su di loro in qualche modo – continuò Derek alla sua destra.
    - Quello che gl’importa è il controllo sulle donne, un sadico sessuale che si eccita sul loro controllo, se non le violenta forse è solo perché ha paura di non fare in tempo ed essere scoperto dai vicini, uno sparo attira l’attenzione e deve fare in fretta.
    - Oppure è impotente – azzardò Leane, nascose le sue paure in quell’ipotesi che sapeva improbabile.
    - Se fosse impotente userebbe un coltello per eccitarsi non un’ascia – rispose Derek poggiato al tavolo – l’ascia mostra la rabbia che prova, forse ha ragione Emily, o non ha tempo o prova disgusto per il corpo femminile e non vuole entrarci in contatto in quel modo. Facendole trovare nude e in quello stato per lui è come umiliarle.
    Leane annuì a testa bassa, a umiliare lei ci stava riuscendo alla perfezione, il controllo che l’S.I. stava esercitando su di sè cominciava a non sopportarlo più, piegò la testa verso il basso e si mise a guardare l’uscio della porta, dopo aver appreso quelle informazioni si sentiva come se sulla fronte avesse scritto “vittima numero 23”, si chiese cosa avesse fatto a lei dopo l’aggressione. Venne riscossa da quei pensieri dalla voce di Hotch.
    - Che differenze ci sono tra questo e gli altri omicidi? – riscosse i loro ragionamenti.
    - Il fatto che usa l’ascia anche con i maschi – rispose subito Derek – secondo me lo fa solo per sfida con Leane, vuole farle vedere di cosa è capace e cosa avrebbe potuto farle.
    Ronnie alzò due occhi gelidi su di lui dopo quella frase, sembrava un rimprovero più che un’affermazione.
    - Dimenticate la maschera – girò gli occhi verso il capo-squadra riportando l’attenzione del discorso all’S.I.
    - Quale maschera? – chiese lui.
    - Quando mi ha aggredito ce l’aveva, una maschera con uno smile rosso. Forse ha iniziato a usarla solo adesso..
    - Tu sei l’unica sopravvissuta che l’ha visto fisicamente, puoi darne una descrizione – provò Reid.
    - 1 metro e 80 circa, robusto, vestito di nero e la maschera sul viso.. non credo sia molto – alzò le spalle con fare sconfitto e di chi si sente inutile.
    - Dunque abbiamo un uomo di circa 40 anni – riprese il profiler di colore - forse ha sempre vissuto con la madre che lo picchiava e lo umiliava e restituisce alle altre donne quello che ha subito lui. Rivede in loro la madre..
    - Due settimane fa un SUV nero mi ha mandato fuori strada mentre tornavo dall’ufficio – Ronnie si rimproverò di averlo rimosso fino adesso.
    - Sicura che si a lui? – le chiese Emily mentre Hotch la guardava torvo.
    - Beh, è successo la settimana prima dell’aggressione, forse era il suo biglietto da visita, se ha pedinato me per tutto questo tempo può averlo fatto con gli altri.
    - Un SUV è una macchina per famiglie, ma non credo ne abbia una – disse Emily.
    - No, ma gli permette di sentirsi dominatore anche sulla strada – rispose sicuro di sè Derek.
    - E come sceglie le vittime? Non hanno niente in comune tra di loro, né posto di lavoro, né frequentazioni, le sceglie a caso? – la voce di Emily era persa nello sconforto.
    - Per il momento sembra di sì – rispose Reid - non c’è nessun collegamento.
    - Sarà un bel problema anticiparlo, ogni casa di Los Angeles può essere il suo prossimo bersaglio – con questa mera verità Hotch chiuse il discorso.

    ****
    Sotto ordine di Hotch, Leane sarebbe stata sempre sotto la protezione di Morgan in qualsiasi momento della giornata, anche in macchina per qualsiasi tragitto che come adesso, li portava all’albergo. Erano stanchi ed era notte, avevano bisogno di riposare per schiarire le idee da quel lungo primo giorno.
    Cameron era seduta a fianco del posto di guida dove Morgan manovrava il volante con disinvoltura, anche in quest’occasione l’aria tra i due era tesa e nessuno aveva aperto bocca, rimasti ancora alle loro ultime parole. Cameron guardava la strada davanti a sé e con una mano tra le gambe accavallate, agitava un piede spazientita da quella situazione.
    - La smettiamo di fare il gioco del silenzio? – disse cupa senza voltarsi.
    Derek da parte sua continuava il gioco della provocazione - Perché? Non era questo che volevi? Non ci vuoi più nella tua vita, ti abbiamo messo in gabbia, ti soffochiamo. L’hai detto tu o l’hai già dimenticato?
    - Credi che per me sia stato facile dirti quelle cose? Credi che sia stata felice di farlo? Non avevo altra scelta - tagliò corto.
    - C’è sempre una scelta ma tu l’hai rifiutata – la macchina si fermò ad un semaforo e Derek si girò a guardarla severo - Dopo tutte le volte che ho cercato di capirti e tu mi hai respinto, ora hai anche il coraggio di venire qui e pretendere che dimentichi tutto?
    Fu Ronnie ora a voltarsi fulminea - Non hai idea di quanto mi vergogno di essere qui! Non riesco neanche a guardarti in faccia per quello che ho fatto ma ormai è successo e non posso farci niente! Questo perché ho preferito proteggerti che metterti in pericolo per aiutarmi, ma non lo vuoi capire!
    Derek sbattè una mano sul volante facendola girare di scatto dall’altra parte mentre tuonò con la voce - NO! Hai preferito darmi le spalle, calpestare la mia amicizia, spararmi e scappare un’altra volta piuttosto che darmene la possibilità! Sei una stronza e una vigliacca ecco cosa sei! Lo sei sempre stata anche se ti atteggi da tanto coraggiosa e lo sarai sempre perché non imparerai mai a fidarti degli altri!
    - Io mi fido di voi e mi fido di te maledizione! Lo sapevo che avresti fatto di tutto per aiutarmi ma non volevo metterti in mezzo! Perché non vuoi capire accidenti! Ho fatto tutto questo perché l’unico modo che avevo per proteggerti era allontanarti da me! Cosa avrei dovuto fare? Farti cadere nel suo mirino per avere le spalle coperte? Se ti fosse successo qualcosa per colpa mia credi che sarebbe stato meglio?
    - Quando imparerai a mettere la tua vita nelle nostre mani allora sarà già qualcosa. Ti fidi solo dite stessa e sono stufo.
    A quel punto decise di toccare il suo punto debole, il suo orgoglio come agente.
    - Non capisco cosa sia preso a Sarah quando ti ha scelto per farti entrare nel team - alzò le spalle e scosse la testa - prima pensavo che l'avesse fatto perchè vi somigliate, e invece non è così. Sarah si fidava di noi, Sarah non avrebbe mai abbandonato la sua famiglia in questo modo, non ci avrebbe deluso così, Sarah non avrebbe mai mentito, Sarah non ci avrebbe mai nascosto niente e avrebbe cercato il nostro aiuto per combattere insieme, perchè Sarah non faceva di testa sua ma lavorava in squadra e ci completavamo a vicenda..
    - IO NON SONO SARAH ! NON SONO SARAH E SMETTILA DI PARAGONARMI A LEI !
    Esplose in un attimo, appena quelle parole la colpirono, tirò una manata al parabrezza furibonda solo perché non era in posizione per tirare uno schiaffo a lui. Derek si zittì solo per darle il tempo di rispondere, poi finì il suo discorso facendole ancora più male mentre guardava la strada.
    - Sarah era un agente e un’amica molto migliore di te.
    - E tu sei un grandissimo stronzo!

    Ronnie sentì schiacciarsi da tutte quelle parole e non riuscì a trattenersi, avrebbe voluto tappargli la bocca e prenderlo a schiaffi perché lui sapeva benissimo quanto l'avrebbe ferita, eppure gli aveva sbattuto in faccia quella realtà, forse era il suo modo di vendicarsi. Sentì gli occhi bagnarsi di lacrime e si girò dall’altra parte mentre calò il gelo nella vettura, se c’era una cosa che non sopportava era essere paragonata alla sua ex insegnante e adesso Derek le aveva toccato il suo nervo scoperto.
    Ronnie aveva sempre sentito la competizione con Sarah fin da quando era all’accademia e questa arrivava ai massimi livelli quando lavoravano insieme ad un caso, dove prendeva vita anche la gelosia del suo rapporto con Derek, ma con questa imparò a conviverci. In ogni occasione aveva sempre cercato di dimostrarle quanto si meritasse quel posto e forse ancora non ci era riuscita, deludendola continuamente e questo la disintegrava ogni volta che sentiva la superiorità di Sarah. Derek sapeva bene quanto fosse sensibile su questo tasto e dirle addirittura che era un’amica migliore di lei, la fece sentire una nullità in tutti i sensi. Si chiese cosa potesse andare peggio a questo punto.

    Passò qualche minuto in cui Ronnie restò girata verso il finestrino alla sua destra, tratteneva un nodo alla gola che stava per scoppiare.
    - Io non sono Sarah – disse con la voce che tremava – non sono perfetta come lei, io non.. non lo so, io sono Cameron Leane, ero la tua migliore amica con tutti i miei difetti, cos’è cambiato adesso? Si può sapere cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? È il prezzo che devo pagare per aver voluto proteggerti? Cosa c’è di sbagliato?
    Derek si voltò a guardarla, le rispose con una voce pacata che tradiva invece la pesantezza ancora delle parole, voleva andare fino in fondo.
    - Hai smesso di essere la mia migliore amica nel momento in cui hai cominciato a mentirmi, escludendomi dalla tua vita, mi hai voltato le spalle e mi hai buttato via calpestando la mia amicizia... non capisco neanche come ho fatto a considerarti tale per questi anni.
    Ronnie aveva gli occhi fissi su di lui incapace di voltarsi, sentì pesarle le parole come tante piccole lame.
    - Non me ne faccio niente di una come te, non ti sei fidata di noi e specialmente di me e sono stanco di correrti dietro se questo è il tuo ringraziamento. Non ti voglio più come amica, lo capisci? Non ti meriti più niente da me, sei solo una delusione, ma come collega sono costretto a sopportarti fin che non decidi di andartene per l’ennesima volta.
    Venne scossa dal movimento della macchina che ripartì dopo il segnale verde del semaforo, era immobile come un pupazzo.
    Derek riprese l’attenzione sulla strada mentre a Ronnie sembrò di avere un sasso in gola che non riusciva a mandare giù, non sarebbe riuscita a dire una parola senza scoppiare a piangere. Che coraggio aveva di dirgli quelle cose mentre la guardava? Si divertiva forse a farla soffrire?

    Derek dopo qualche secondo la osservò per vedere la sua reazione a quelle provocazioni, sapeva quanto l'aveva ferita ed era il mezzo che avrebbe usato per darle una lezione che si meritava da tempo e che non avrebbe dimenticato facilmente. La osservò per qualche istante, quasi di nascosto, era palese che stesse facendo di tutto per non far scendere neanche una lacrima, gli occhi le stavano tremando e per un momento ebbe la tentazione di abbracciarla, consapevole di quanto le avesse fatto male. Almeno poteva capire come si era sentito lui quel giorno. “Le sta bene” si disse, mentre la guardava combattere con il suo orgoglio.
    Poi il silenzio fu rotto nuovamente, dalle lacrime di Cameron che cominciarono a scendere sulle guance, prima immobile restò a sentire la pelle bagnarsi, poi si nascose il viso dalla vergogna di sentirsi uno schifo.
    Derek sentì una voce che tremava rotta dal pianto, si girò nuovamente verso di lei e vide due occhioni lucidi che prendevano coraggio per affrontarlo.
    - Non ci credo che non mi vuoi più. Io sono sempre la stessa Ronnie di prima, non puoi avermi dimenticata, non ci credo .. non è mai cambiato niente per me, nonostante quello che ho fatto e non ho dimenticato neanche per un momento ogni singolo giorno che abbiamo passato insieme – si fermò di colpo qualche istante per prendere fiato - non ho dimenticato tutte le cose che ci siamo detti in questi anni, le promesse e le confidenze, gli schiaffi e le ramanzine – questo le trasformò la bocca in un piccolo breve sorriso - Io non ho dimenticato niente di tutto questo, non ti ho buttato via e sarò sempre la tua migliore amica, perchè non ho mai smesso di esserlo e ho bisogno di te.. ho bisogno del mio migliore amico, quello che non mi lascerebbe mai sola e che ha promesso di proteggermi e di non abbandonarmi, perché senza di lui non posso affrontare tutto questo, non posso e ho paura – chiuse gli occhi cominciando a singhiozzare - il punto a cui sono arrivata per proteggerti.. dimostra quanto ci tengo a te più di me stessa, non capisci? Cos’altro devo dire per farmi perdonare?- fece un’altra pausa inghiottita dai singhiozzi prepotenti, con voce più calma aspettò qualche secondo mentre si asciugava gli occhi con rabbia e disperazione – vorrei solo che mi credessi, mi dispiace..
    Derek aveva il viso trasformato in un’espressione di tenerezza verso quella ragazzina spaventata, non fece in tempo a dire niente, erano arrivati al’albergo e Cameron si affrettò ad uscire dalla macchina ferma lasciando Derek spiazzato e felice di aver riconosciuto finalmente la sua Ronnie.

    Continua…

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    commentateee ^^

    Edited by robin89 - 22/7/2011, 12:39
     
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