Phantom from the past

Robin89

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  1. robin89
     
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    Derek la guardava con le braccia incrociate poggiato con la schiena al mobiletto della cucina, Sarah gli dava le spalle mentre preparava il caffè, si sentiva solo il fischiettare della caffettiera. Non le piaceva la pesantezza dello sguardo che si sentiva addosso, aveva capito che Derek non era alle stelle della felicità e che sicuramente con quell’atmosfera tesa ci sarebbe stata una qualsiasi discussione di lì a poco.
    - Hai intenzione di fare il gioco del silenzio ancora per molto? – lo schernì lei aspettando una risposta. Lui sospirò e poggiò le mani sul mobiletto.
    - Sai, in questi giorni sto passando molto tempo con Ronnie – rispose Derek.
    - Bene, ne ha bisogno – continuò lei senza girarsi.
    - Di cosa ha bisogno? Di me?
    - Ha bisogno di sentirsi a casa.
    Calò un’altra ondata di silenzio fra i due mentre Sarah versava il caffè nelle tazzine e porgendone una a Derek si diressero verso i cuscini del caminetto dove si sedettero sorseggiando il liquido fumante, solo Sarah osservava i disegni del fumo senza darne attenzione, con aria pensierosa.
    - Ronnie me l’ha detto. Di quel tizio e della proposta di partire con lui – la voce enigmatica di Derek richiamò l’attenzione di Sarah che lo guardò con la coda dell’occhio.
    - Già, ne ha parlato anche con me, voleva una specie di “permesso”, che io le avevo dato.
    - Sì, mi ha detto anche questo, che le hai dato una bella motivazione per darsela a gambe, come al solito ci vai con il pugno di ferro con lei – la voce risaltava un moto di rabbia che teneva celato – Ringrazia che quell’imbecille non l’ha più cercata altrimenti a quest’ora era già arrivata in Alaska.
    - Non ci sarebbe mai arrivata in Alaska e lui non sarebbe mai arrivato a casa di Leane.
    - Ah sì? Sei una veggente ora? Ti rendi conto che sarebbe potuta andare via per sempre? Solo perché tu l’hai messa alla porta? – continuò alzando la voce con quel tono provocatorio.
    Sarah chiuse gli occhi al rimprovero, poggiò la tazzina sul tappeto poi si voltò a guardarlo per la prima volta in quel giorno negli occhi.
    - Sono stata io – confessò – Sono io che gli ho impedito di andare a prenderla – con quella frase sentì un peso uscirle dal petto.
    Derek la guardava con due occhi abbagliati – Cosa?
    - Ho aspettato Eddy prima che arrivasse da lei..
    - E..?
    - E poi..beh immagina, se l’è filata come un cane spaventato. Non l’ho ucciso tranquillo, se l’è fatta sotto prima.
    Morgan scosse la testa, incredulo – Non so cosa dire, se ringraziarti o esserne arrabbiato.
    - L’ho fatto per proteggerla Derek.
    Sarah si alzò prendendo le tazzine e posandole sul tavolo, incrociò le braccia e lo guardò mentre anche lui era in piedi.
    - L’hai protetta dalla sua libertà di scelta?
    - L’ho protetta da ciò che non si merita, l’ho protetta da un grandissimo errore e rimpianto. Lo avresti fatto anche tu se ne avessi avuto l’occasione – gli disse quasi rimproverandolo. Adesso era il turno di Derek messo alle spalle al muro con quella frase.
    - Se per quello anche io ho dato una lezione a Eddy – disse più calmo di prima - Ma a quanto pare non l’ha recepita subito.
    Sarah aveva quasi le lacrime agli occhi, girò le iridi verdi da una parte all’altra del tavolo sentendo i passi di lui avvicinarsi piano.
    - Avevo paura che la portasse via per sempre Derek, lei è nostra e nessuno può portarla via..a meno che non se la meriti. Ho fatto per lei quello che nessuno ha mai fatto per me! L’ho protetta da se stessa.
    Il profiler l’aveva già abbracciata facendole poggiare la testa sull’incavo della spalla.
    - L’ho protetta da se stessa… cosa c’è di sbagliato – non la formulò come una domanda.
    - A me dispiace che Ronnie abbia creduto in lui dimenticandosi anche solo per un attimo di noi – confessò Derek continuando a tenerla stretta.
    - Ma noi ci saremo per sempre adesso. Prima di portarla via dovranno passare sui nostri cadaveri.
    Gli sembrò di sentire una risata.

    Continua….
     
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  2. robin89
     
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    - Insomma… Eddy mi ha fatto sentire di nuova una donna dopo quello che Howell..
    - Ho capito – l’anticipò Emily prima di farle finire il pensiero.
    Stava seduta a fianco a lei mentre Ronnie teneva fra le gambe Meredith come fosse la sua bambola di porcellana preferita, la manteneva seduta con entrambe le mani per non farla cadere e la coccolava ogni due per tre.
    - Tu lo amavi? – le chiese all’improvviso Emily voltando gli occhi verso di lei, che non staccava i suoi dalla bambina sorridente.
    - Io, non lo so. Forse amavo quello mi dava, ma non lui – sbuffò più confusa di prima.
    - Stami a sentire – cominciò decisa Emily facendola voltare - Lui è capitato nel posto giusto al momento giusto, non conosceva la situazione e non sa niente di te e non sa niente di quello che ti è successo, se avesse saputo o avesse visto come noi, non ti saresti neanche fatta sfiorare da lui. Ti ha ricordato quello che eri prima dell’arrivo di Howell, ma solo perché non sa e non fa parte di questa storia.. ti sei solo innamorata di quello che eri Ronnie.
    - E come faccio a esserlo di nuovo?
    - Trovandoti un bel ragazzo con la testa a posto magari, Derek è occupato – disse torva, così scoppiarono in una risata che coinvolse anche Meredith, con due occhi neri e allegri mostrò una boccuccia senza denti, poi le due ragazze si ricomposero sul divano.
    - Scommetto – disse Emily tornando seria – che se uno di noi ti vedesse in intimo o solo un pezzo di pelle scoperta, ti vergogneresti a morte.
    - Lo so’ – rispose Ronnie a malincuore senza distogliere lo sguardo dalla bambina.
    In quel momento vennero interrotte sentendo il rumore delle chiavi che aprivano la porta, Derek era tornato con delle scatole piene di cibo cinese e un pacco gigante di pop-corn.
    - Ronnie smuovi le chiappe da lì e vieni a darmi una mano – le sbraitò lui facendo equilibrio con i pacchi tra le braccia.
    Ronnie posò Meredith tra quelle di Emily e aiutò Derek a sistemare la cena sul tavolo già con l’acquolina in bocca mentre lo prendeva in giro dicendo che non era in grado di fare tre cose assieme.

    Cenarono in tutta tranquillità, tra risate e battutine divorando fino alla sazietà quelle delizie, Ronnie venne congedata finito il pasto mentre Emily rimetteva a posto la tavola così si dileguò a dare il biberon a Meredith.
    Sembrava così tranquilla e dolce mentre cenava anche lei fra le mani delicate di Ronnie, questo fin che non le andò di traverso sputando la cena sul decolleté di Cameron che si pietrificò all’istante tra le risate a crepapelle di Derek.
    Ronnie era immobile ancora con il biberon in quella posizione, uno sguardo assassino verso quel mostriciattolo che le aveva appena vomitato addosso.
    - Ma come siamo simpatiche – mormorò con sarcasmo.
    - Ronnie metti via la pistola non è un’S.I..
    Derek continuava a ridersela alle sue spalle insieme a Emily che soccorse Meredith in lacrime e urla, Ron si alzò con una faccia da cane bastonato e raggiunse il profiler.
    - La prossima volta dai tu da mangiare a tua figlia – gli ringhiò prendendo a pugni il suo braccio.
    Poco dopo Emily dondolava già fra le braccia Meredith che sembrava essersi calmata chiedendo altro cibo da mandare giù, questa volta ci pensò lei a saziarla prendendosela seduta sulla poltrona.

    Ronnie riornò felice, spensierata e pulita una volta uscita dal bagno, lei e Derek
    erano seduti sul divano, anzi..Ronnie era comodamente sdraiata su di un fianco e Derek era semplicemente seduto poggiato sull’angolo dello schienale, davanti a loro il televisore al plasma dava “Il risolutore”, uno dei tanti film di Vin Diesel che amavano guardare e commentare insieme specialmente prima della nascita di Meredith, questa aveva reso più rare le loro serate film e pop-corn, ora potevano di nuovo dedicarsi a quel “rito” quasi abbandonato, con la scusa che Emily ancora dolorante per la ferita non poteva affaticarsi troppo così Ronnie in quel periodo ne profittava per aiutarla quando ne aveva bisogno trasformandosi in provetta domestica. Come “ordinato” dal terapista, in quel modo evitava di stare sola a casa a tormentarsi l’anima e sprofondare in bui ricordi cadendo in depressione, lì si distraeva, dimenticava, accettava, ricominciava ad andare avanti con il solo bisogno della loro compagnia a farla sentire viva.
    Emily era invece mezzo coricata nella poltrona con la culla al suo fianco, la mano raggiungeva Meredith che prendendola fra le sue minuscole si divertiva a mordicchiare in mezzo alle carezze della madre tra un mugolio e l’altro, Derek e Ronnie dal canto loro, erano tutti presi e concentrati a inveire contro il film e Cameron prendendo uno dei pop-corn, lo tirò alla tv.
    - Ma non lo vedi idiota che hai una mira di !
    - Ronnie! – esclamò Emily appena in tempo - Meredith vede e ascolta tutto, niente parolacce in casa e dopo pulisci tu per terra!
    - Io non ho detto niente!
    - Lo stavi per fare!
    Cameron le chiuse due occhi a fessura - Come vuoi mamma...

    Il film continuò per un'altra ora e mezza tra gli schiamazzi dei due profiler che commentavano le scene riportando alla luce con un sorriso malinconico i loro ricordi d’azione sul campo, “ti ricordi quando io… quella volta in cui tu …”. Quell’atmosfera riportò Ronnie nel mondo di quel lavoro che le mancava tanto, facendola incupire all’improvviso una volta finito il film mentre scorrevano le scritte finali.
    Emily si era addormentata con la mano dentro la culla, Ronnie la guardò e sorrise tra sé, poi abbassò di nuovo il viso sul divano prendendo posizione seduta e silenziosa.
    - Scusa, era meglio un film comico – le disse Derek spegnendo la tv.
    - No, mi è piaciuto invece, ne avevo bisogno – rispose rassicurandolo – mi ha fato ricordare cosa mi sto perdendo – disse malinconica, si alzò in piedi facendo un cenno verso Emily.
    - È ora di andare.. non vorrai lasciarla come un’anguilla sulla poltrona.
    - Certo che no - Le sorrise Derek alla vista di Emily scomposta in quella posizione.
    Così Cameron, presi i suoi effetti personali raggiunse insieme a lui la porta in un religioso silenzio per non svegliare mamma e figlia.
    Giunti nell’atrio alzò gli occhi su Derek – grazie per stasera, sarei rimasta a casa a osservare il barattolo di antidepressivi mentre accarezzavo il gatto – disse con tono ironico ma realista.
    - Lo sai che puoi venire quando vuoi – fecero entrambi una smorfia – okay non proprio quando vuoi, magari chiama prima – risero silenziosamente.
    - Ti do un passaggio – quasi suonò come una domanda.
    - No non preoccuparti, prendo un taxi, ormai mi sto abituando – fece spallucce.
    Derek scosse la testa sospirando, erano passate quasi tre settimane dall’incidente - Ancora non guidi?
    Lei fissò con gli occhi lucidi la parete - Non ci riesco, cioè… non sono ancora pronta, ho bisogno di tempo – farfugliò.
    Il profiler le girò con la mano sotto il mento il viso perso verso il suo incontrando due occhi quasi arresi - Ron.. tu amavi guidare, ti faceva sentire libera. Non lasciare che un fantasma ti tolga anche questo piacere.
    Sorrise in un attimo per poi tornare cupa, sapeva che Derek aveva ragione e prima o poi avrebbe dovuto affrontare anche quell’ostacolo, ma si rimproverò di non esserne ancora capace.
    - Sbaglio o era un sorriso quello? Me lo rifai?
    Ronnie rispose a quegli occhioni dolci con un sorriso meno malinconico e più felice del primo, si avvicinò al suo viso e gli diede un bacio sulla guancia, come ringraziamento per quella serata speciale che li aveva regalato, era bello ricominciare a vivere infondo, anche se un passo alla volta.
    - Buonanotte.

    Continua…

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    Edited by robin89 - 1/6/2011, 20:16
     
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  3. robin89
     
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    Scusate il terribile ritardo (lo studio) :( mi farò perdonare con una sorpresina :shifty:


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    Erano passati due mesi dall’incidente in macchina e dal momento in cui la Strauss l'aveva cacciata dall' FBI, tre giorni dal superamento del test psicologico a pieni voti come richiesto dalla capo sezione nel suo ultimatum, una vittoria che avrebbe dovuto darle qualche conferma che invece non aveva.
    Erano stati due mesi passati in un battito di ciglia almeno da quando il capitolo “Eddy” era stato chiuso, da quel momento la sua vita riprese a scorrere quasi normalmente. Tra un antidepressivo e l’altro se ne andava al poligono e passava le giornate a sparare a quella sagoma nera immaginandoci al suo posto diversi volti che erano finiti nei suoi peggiori ricordi. Passava il tempo a casa Reid, a giocare con Chris e aiutare Sarah alle prese con la piccola Elisabeth, a casa Morgan in mezzo a lunghe chiacchierate con Emily e i film con Derek almeno una volta a settimana. Cameron aveva anche ricominciato a guidare da circa due settimane, Derek le aveva dato delle “lezioni di guida” facendole riprendere confidenza con la strada e riassaporando la fiducia nel mezzo. Superò gli attacchi di panico, le allucinazioni, le paure infondate..uscì fuori da quel mondo oscuro e parallelo in cui era piombata durante il caso Howell, fatto di una prigione di incubi.
    Adesso era arrivato quel giorno tanto atteso e sperato con la paura che non arrivasse mai, era il suo primo giorno di rientro a lavoro e tutte le certezze che aveva un tempo erano state perdute nonostante avesse la conferma da uno stupido test psicologico, un conto era tornare con la mente libera e lucida, un altro era riaffrontare nella pratica il suo lavoro con tutte le componenti fisiche e mentali.
    Guardava il suo riflesso nello specchio del bagno da almeno dieci minuti, eppure non riusciva a staccare gli occhi dalla sua immagine per capire chi vedesse. Il viso che si era smagrito nell’ultimo periodo era tornato tondo come un tempo, i capelli lunghi fino ai gomiti erano diventati color miele che le conferivano una luce diversa al viso. Nuovo inizio nuovo look si era detta, dentro e fuori, aveva sentito la necessità di cambiare anche quel particolare dei capelli creandosi un’immagine diversa che cancellava quella che era stata a contatto con Howell.
    Si chiese chi fosse diventata dopo quell’esperienza, se era davvero pronta per riprendere in mano la sua vita e il suo lavoro come e più prima, temeva se ciò che aveva subito le avesse tolto per sempre qualcosa che si sarebbe riflesso anche sul lavoro, togliendole il giusto coraggio e obiettività, oppure l’aveva resa più forte di prima permettendole di essere un gente e una persona migliore. Chi avrebbe visto nei volti delle vittime? Chi avrebbe visto nel viso dei sospettati? Quanto, nel suo intimo, l’avrebbero toccata i casi più spietati o simili al suo? Voleva sapere fino a che punto era stata ferita.



    Ufficio Hotch.

    - Ha passato il test a pieni voti e ti ripeto che non è troppo presto.
    - Magari può restare in ufficio per la prima settimana – Morgan discuteva con Hotch da almeno cinque minuti, ora si era messo le mani sui fianchi e cercava disperatamente di convincerlo delle sue preoccupazioni mentre lo guardava ansioso di una risposta.
    Hotch si sedette sulla poltrona e alzò lo sguardo su di lui.
    - Sono passati due mesi Morgan, lo capisco che sei preoccupato per lei e lo siamo tutti, ma se non rientra a lavorare adesso non lo farà mai e l’unica cosa di cui ha bisogno è riprendere il suo lavoro.
    Derek buttò fuori l’aria dai polmoni.
    - Ne sei convinto? Ha appena trovato un po’ di tranquillità, non voglio che riviva le stesse cose al primo cadavere che vede o al primo S.I. che vorrà far fuori.
    - Cosa vuoi fare allora? – lo squadrò Hotch - Mandarla ai Tropici per un anno?
    - No, solo un po’ più di tempo.
    - Mi dispiace Derek ma non voglio farlo, più passa il tempo e più perderà motivazione e fiducia, Leane rientrerà operativa da oggi come deciso da me, da lei e dalla Strauss.
    Morgan restò a fissarlo per qualche secondo in silenzio, poi si passò la mano sulla testa e sbuffò.
    - Okay, ma sappi che alla prima difficoltà in cui cade vengo a dirtelo e la riporto a casa a calci.
    Così, scuotendo la testa e voltandosi, uscì dall’ufficio seguito dagli occhi altrettanto preoccupati di Hotch.

    Piani bassi sede BAU.

    Le porte dell’ascensore si stavano per chiudere, Ronnie prese a correre per tutto i corridoio e riuscì ad infilarsi nella cabina appena in tempo passando di striscio tra le due “ante”.
    Si poggiò con la schiena alla parete e riprese il fiatone dalla corsa, infine si rese conto che in ascensore con lei c’era Jordan. Si ricompose e aspettò impaziente che arrivasse il quinto piano appena premuto dalla collega mulatta, questa tolse il dito dal pulsante e facendo un passo indietro la studiò, Ronnie guardava le porte dell’ascensore senza fiatare.
    - Immagino che per te sia un bel giorno oggi – le disse la ragazza guardando avanti a sé – ti liberi di me.
    Ronnie voltò gli occhi su di lei – che vuoi dire? – le chiese restando sul diffidente.
    - Oggi è il mio ultimo giorno di lavoro, da domani tornerà la professoressa Collins al mio posto, e io francamente non vedevo l’ora.
    Ronnie prese a guardarla aggrottando la fronte e solo per educazione evitò di fare i salti di gioia davanti a lei per quella notizia.
    - Perché te ne vai? Non ti piace? – le chiese invece.
    - Non fa per me, è un mondo che non mi appartiene, troppo diverso e cruento – fece spallucce- preferisco tornare nel’ufficio dell’antiterrorismo.
    In quel momento si girò e i suoi occhi scuri s’incontrarono con quelli di Ronnie.
    - Beh…comunque – tentennò Cameron abbassando il viso sul pavimento – hai fatto un buon lavoro…
    Il quinto piano arrivò nell’istante successivo e l’ascensore si fermò aprendo le porte davanti a loro.
    Jordan le fece un piccolo sorriso – grazie, buona fortuna – la mulatta l’anticipò, pensando che infondo Derek avesse ragione.
    Ronnie rimase ferma a guardare l’open-space, fece un profondo respiro prima di entrare.

    Open-space.

    - Dinamite!
    Garcia correva e saltellava felice incontro a lei e prima che Ronnie potesse rispondere si ritrovò immersa nel suo abbraccio come una polpetta su di uno stuzzicadenti.
    - Ehi raggio di sole così mi spezzi – la supplicò mentre veniva strapazzata dall’amica.
    - Oh scusa zuccherino - la liberò dall’abbraccio ricomponendola e saltandole intorno – ci sei mancata tanto! Mi sono anche messa a contare i giorni aspettando questo momento!
    - 72 giorni e 23 ore – Spencer uscì fuori dal cucinino sorridente insieme a Emily e la salutò con un sorriso e una mano mentre fu il turno di Emily ad abbracciarla - Ben tornata – le disse la mora, radiosa anche lei di vita.
    - Bel colore di capelli – la voce di Rossi li raggiunse in quel momento.
    Ronnie gli sorrise e gli riservò un caldo abbraccio dopo tanto tempo che non lo vedeva, staccandosi la guardò come se in quel momento fossero solo loro due – so cos’è successo Ronnie, mi dispiace molto non essere stato con voi per aiutarti.
    - Non ti sei perso niente, era meglio l’Europa – gli rispose lei quasi a voce bassa.
    - Ehi ragazzina, mi lasci per ultimo?
    Derek uscì dalle spalle di Emily con aria offesa.
    - Ce n’è anche per te ragazzaccio – gli rispose Cameron.
    Morgan le spettinò affettuosamente i capelli e le diede un sonoro bacio sulla guancia dopo aversela circondata con un braccio.
    Garcia sbucò di nuovo in mezzo a loro e la prese per una mano - guarda cosa ho fatto per il tuo rientro –così tutta sprizzante la trascinò nella scrivania che apparteneva a Ronnie.
    Cameron mirò la sua nuova postazione, un barattolo di penne stravaganti che rallegravano il legno scuro, il set di pulizia della pistola riposto accuratamente e ordinatamente dentro il cassetto, infine una loro foto, tutta la squadra sorridente intorno ad un tavolo con Derek che con una mano le scompigliava i capelli, era riposta dentro una cornice colorata che faceva capolino in un lato del tavolo.
    - È bellissima, grazie – riuscì solo a dire Ronnie.
    - Così se ti verrà ancora in mente di scappare guarderai questa foto ogni giorno e cambierai idea – le disse senza riuscire a placare la sua euforia per quel momento.
    Ronnie si guardò intorno solo per qualche secondo.
    Il suo lavoro di nuovo tra le mani, la sua squadra intorno a lei, il rientro di Collins dopo la maternità.
    Tutto stava ritornando al proprio posto e per la prima volta dopo tempo si sentì di nuovo a casa.

    Continua…

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  4. robin89
     
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    ci siamo :cry: voglio ringraziare prima di tutto coloro che hanno letto questa mia follia e le tesore che mi hanno tenuto compagnia con i commenti dandomi soddisfazione per continuare a scrivere, spero di leggerne ancora e ancora e ancora :wub:
    Pur: voglio un commento indimenticabile come il primo che hai fatto :wub: Unsub: lo sai già XD e le altre idem, aspetto i vostri ultimi scleri per questa FF che già mi manca :cry:
    godetevi questo capitolo e poi potrete andare a leggere le altre mie FF :rolleyes:



    Ufficio Hotch.

    Era entrata per farsi dare il ben tornata anche da lui, ma la situazione piombò subito in un’atmosfera psicologo-paziente.
    - Come stai? – le chiese Hotch scrutandola pensieroso dalla poltrona.
    Lei fece spallucce - Bene direi, credo..
    - Credi? – ripetè lui alzando un sopraciglio torvo.
    - Non lo so’, è che…ho paura di non riuscire ad affrontare le stesse cose come prima. - “Ecco, l’ho detto a voce alta” pensò tra sé e sé.
    Hotch la fissò in silenzio, sapendo bene cosa voleva dire, mentre lei si guardava la punta delle scarpe.
    - Sei spaventata perché devi ancora metterti alla prova – le disse con tono confidenziale.
    - Tu come hai fatto tornare quello che eri? – alzò nuovamente la testa cercando conforto in una sua risposta.
    - Semplicemente non sono più quello che ero prima di Foyet, siamo ogni giorno diversi con questo lavoro, dovresti saperlo. Devi solo trovare la consapevolezza di chi sei adesso.

    Qualche mese dopo.

    Cameron era seduta alla sua scrivania come il resto del team, ognuno intento a compilare scartoffie in attesa che Sarah uscisse dalla saletta riunioni con qualcosa in mano che li facesse scattare al vero lavoro.
    All’improvviso il silenzio in cui era avvolto l’open-space, carico di stanchezza e noia con tutti quei documenti e rapporti da compilare, venne sostituito dalla voce della giornalista alla tv, non è che ci facevano molto caso dato che era perennemente accesa, ma quando sentirono pronunciare “Thomas Howell”, tutti i presenti alzarono la testa di scatto verso il televisore, tutti tranne Cameron, che si limitò a smettere di scrivere e girare lo sguardo verso la coda dell’occhio.
    La giornalista continuò il servizio con relativi filmati e immagini del caso, citando il lavoro dell’agente Cameron Leane e dei profiler della BAU nell’arresto dell’uomo con la scure, rispondendo infine alla domanda che si facevano tutti da mesi in silenzio: quale sarebbe stato il destino di Thomas Howell.
    Derek diede uno sguardo prima ai compagni poi all’unisono scrutarono Ronnie che, durante il servizio, rimase fredda come il ghiaccio attenta alle parole della giornalista, senza darlo però a vedere, senza fiatare chiusa nel suo guscio di pensieri e silenzio, riprese a compilare il suo rapporto senza guardare in faccia nessuno.
    Si sentì solo la voce squillante di Garcia che scacciò l’aria di gelo creatasi intorno a loro che si adeguavano alla reazione di Cameron senza dire o fare cose sbagliate che potessero toccare quel tasto.
    - Avete sentito? – domandò euforica l’informatica.
    - Già - rispose limitato Reid.
    Garcia si voltò poi verso la protagonista del video – Ronnie non dici niente? – chiese ansiosa.
    - Non m’interessa – Ron rispose tagliente e fredda senza alzare lo sguardo dal foglio.
    Garcia si ricompose moggia e si sedette nuovamente delusa dalle reazioni insoddisfacenti. Reid Emily e Derek nel frattempo si stavano facendo la stessa domanda guardandosi. Fino a che punto era ancora aperta quella ferita?



    Carcere San Quentin, California.

    L’eco di un paio di tacchi percorrevano un lungo corridoio, tre figure proiettavano la loro ombra sulle pareti pallide. I loro piedi si fermarono davanti una porta grigia dall’aspetto imponente.
    - Per qualsiasi problema prema l’allarme e noi entreremo.
    Annuì e la vide aprirsi davanti a lei, avanzò lentamente all’interno sentendo la serratura alle sue spalle, dopo di che rimase solo il silenzio.
    Lo vide per la prima volta dopo mesi, dopo quel giorno, con il volto reale e sfigurato dal fuoco ammanettato al tavolo impotente.
    Howell non si degnò di guardarla fin che lei non si posò nella sedia di fronte alla sua, solo allora alzò gli occhi celesti sui suoi.
    C’erano solo loro due, uno di fronte all’altro si fissavano senza dire niente.
    Ron si era accomodata lentamente, accavallando le gambe in modo provocante e posando i gomiti nei braccioli della sedia, alzando il viso sicuro su di lui, tutto questo contornato da un atteggiamento altezzoso e beffardo mentre lo guardava con un ghigno soddisfatto. Il petto dritto sulla sedia e i capelli scendevano sciolti lungo le braccia, vestita di semplici jeans e una camicetta nera a maniche corte lo squadrava, in attesa di qualcosa.
    I suoi occhi si fermarono sulle braccia ammanettate intorno ad una fessura sul tavolo, lei aveva insistito per entrare nella cella da sola, e loro insistettero per renderlo innoquo.
    - Come va’ la mano? – gli chiese ironica con un cenno del viso, si notava perfettamente un taglio nel cuore del palmo, una cicatrice rossiccia e rialzata in ricordo della lama affondata da lei stessa con tale rabbia.
    - Perché non mi togli le manette? Così ti faccio vedere come riesco ancora ad usarla.
    - Perché se solo mi avvicinassi un po’ di più dovranno mettere le manette a me, e non ci tengo a sporcarmi le mani proprio oggi, preferisco fare da spettatrice. Sono solo passata a dirti quello che non ho fatto in tempo prima di farti arrestare, imprevisti a parte – aggiunse piegando la testa di lato in un sorriso ironico.
    - Ti ascolto – rispose con quella stessa voce melodica che lei ricordava.
    Assunse un’aria più seria continuando a fissarlo con quegli occhi scuri e taglienti.
    - Tu sei quello che noi chiamiamo soggetto sadico sociopatico. Tutto è iniziato quando sei nato, senza un padre, unico maschietto costretto a vivere con due donne adulte e mature, tua madre e tua sorella più grande avevano il completo controllo della situazione, ti sentivi perennemente inutile e sopraffatto dalla loro personalità. Così hai cominciato ad attirare l’attenzione, prima con piccoli animali, li torturavi prima di ucciderli, ti faceva sentire potente. Avevi la loro vita nelle tue mani e questo ti eccitava da impazzire. Però non bastava alla tua mente malata, ci hai preso gusto e sei passato agli esseri umani che ti davano più soddisfazione. Hai ucciso i tuoi nonni come quegli animali, vittime facili e indifese che si fidavano di te, prima di finire al manicomio criminale. Il tuo cervello è talmente malato che credevi di poter fare successo con quelle fotografie che tu credevi opere d’arte, invece sono solo frutto della mente psicopatica di un figlio di puttana con il cervello bacato che si eccita guardando ogni giorno quelle foto, ti è andata male pure in campo artistico, rifiutato all’accademia – fece spallucce con un sorrisino beffardo - un fallito senza alcun rapporto sociale minimamente intimo, che trova soddisfazione solo nella morte. Poi ci si è messo pure il destino in mezzo, quell’incidente che ti ha tolto anche la faccia, ti rimaneva solo la vergogna di farti vedere e una maschera per nasconderti, insieme al piacere di uccidere. Abbastanza sfigato.
    Godette di soddisfazione nel vedere che Howell tratteneva la rabbia che usciva dagli occhi, continuò sorridendo tra sé.
    - Passiamo agli omicidi. Ignori i maschi eliminandoli subito con una fucilata, non rappresentano niente per te e non meritano attenzione perché nella tua vita non ci sono mai state figure maschili dominanti. Sfoghi la tua rabbia repressa sulle donne usando una machette, il che farebbe pensare alla tua impotenza, ma visto che non hai violentato nessuna delle vittime e le lasci solo con l’intimo, esce fuori che non le consideri neanche femmine, provi ribrezzo solo a pensare di doverle toccare in quel modo, sono qualcosa da distruggere perché ogni vittima rappresenta tua madre e tua sorella, magari ti masturbi guardando le foto dei loro cadaveri appese per casa tua.

    Vide aumentare la rabbia nell’ultima frase e lo vide scattare in avanti fermato dalle manette - PUTTANA!- urlò.
    - Ops, toccato un tasto dolente? – sorrise sarcastica, si fissarono in silenzio, Cameron restò seduta a pochi centimetri da lui, continuò a provocarlo "divertita".
    - Le guardi morire sotto le tue mani, prima le stordisci rendendole inoffensive, così puoi sentire il tuo potere su di loro mentre le uccidi, abbastanza vigliacco. Però hai fatto l’errore di non uccidere me, per…tre volte? Abbastanza imprudente e presuntuoso, avresti dovuto uccidermi quando ne avevi l’occasione, invece sei stato così egoista e stupido da ucciderti con le tue stesse mani, ti riempiva di così tanta eccitazione il desiderio di uccidere me che volevi creare l’occasione perfetta per gustarti quel momento con calma, ma non hai mai avuto il coraggio di affrontarmi veramente fin che non sono venuta io da te. Sono io che ho vinto perché sono io che ho dato le regole del gioco e questo ti ha fatto impazzire dentro questa cella per sei mesi. Te l’avevo detto che sarei stata il tuo peggior rimpianto.
    Si sporse verso il tavolino poggiandovi le braccia, avvicinando il viso e fissando i suoi occhi celesti in un ghigno strafottente e con un tono di voce quasi sensuale.
    - Come ci si sente a essere dominato da una donna senza essere toccato? La cosa più bella è che sarò sveglia quando ti guarderò morire.
    Howell straboccava di frustrazione, trafitto da quelle parole che lo avevano spogliato nel suo più profondo essere e umiliato in soli dieci minuti.
    - Sei sempre stata la mia puttana preferita – la interruppe con un tono di voce agghiacciante - non ti svegli mai la notte, con il terrore che io sia lì a toccarti mentre dormi? Non senti le mie mani? Non vedi il mio viso sopra il tuo? Scommetto che hai problemi di sonno – adesso fu lui a sorriderle lasciandola in silenzio.
    Cameron represse con un enorme sforzo la voglia di alzarsi e sbattergli la testa da qualche parte fino a ucciderlo, ma si limitò a non sembrare colpita dalle sue parole che erano vere, si alzò dalla sedia lentamente, gli diede le spalle per uscire quando sentì di nuovo la sua voce.
    - Resterò per sempre nel tuo cuore, ci vediamo all’inferno.
    Non gli diede troppa soddisfazione, rispose senza voltarsi – sarò in prima fila.

    Braccio della morte. San Quentin.

    Era in prima fila in quella stanza bianca, grigia e porte verdi mela. Intorno a lei solo un paio di persone, forse parenti di alcune vittime a fare da testimoni, Cameron era seduta comodamente e guardava le procedure in silenzio, lo stavano legando al lettino con cinture arancioni come la sua tuta, le allacciavano strette in vari punti del corpo per tenerlo fermo durante le convulsioni prima della morte.
    Un prete al lato della stanza con altre tre persone a fianco finiva le ultime procedure verbali, in fine Cameron sentì quella domanda.
    - Quali sono le sue ultime parole?
    Howell girò il viso verso di lei che lo fissava separata da un vetro.
    - Io sono l’uomo con la scure e non morirò mai.
    Cameron storse le labbra in un sorriso.
    Nel momento successivo vide uno dei tre uomini iniettare con una siringa la sostanza mortale nelle sue vene.
    Leane prese la maschera bianca con lo smile rosso e la indossò lentamente sotto i suoi occhi, in un attimo Cameron divenne il suo uomo con la scure e lui divenne la sua vittima.
    L’ultima cosa che vide Howell prima di esalare l’ultimo sospiro fu uno smile rosso che sorrideva beffardo.


    Fuori era freddo e il buio pullulava di giornalisti eccitati alla comparsa di Ronnie all’uscita dal carcere, subito le si piombarono addosso e in quel momento si pentì di aver detto a Derek di non accompagnarla.
    - Cameron Leane, ha assistito all’esecuzione? Ha qualcosa da dichiarare? Cosa pensa di questa storia? Cos’ha da dire in merito al suo lavoro e quello che ha passato?
    Cercava di seminarli mentre tornava alla macchina e sentiva le domande insistere nelle sue orecchie, voleva solo ignorarli e tornare a casa. Si voltò spazientita verso di loro che si fermarono di colpo con i microfoni e telecamere spianate nel suo viso.
    - Non mi avete già rovinato la vita abbastanza? - li fissò uno ad uno - Andate al diavolo.
    Si voltò e raggiunse il SUV lasciandoli imbambolati.


    Casa Reid.

    - Scusate il ritardo – Sarah la fece entrare e l’accompagnò nel salotto dove il resto del team era già accomodato.
    - Ho appena finito di cucinare – le rispose Sarah – quindi smuovi il culo e vieni a darmi una mano con i piatti.
    Ronnie annuì e la seguì alle spalle come un cagnolino.

    Cenarono in tranquillità, senza toccare l’argomento Howell neanche da lontano, non aveva detto che sarebbe andata a Los Angeles quel giorno, solo a Morgan, ma ormai lo sapevano tutti e fecero finta di niente.
    Era in piedi vicino alla porta del salotto con le braccia incrociate, guardava uno ad uno i presenti davanti a lei: Hotch e Rossi sorseggiavano il loro caffè al tavolo, Jack e Chris scorrazzavano per la stanza, Emily e Sarah erano davanti al camino con le rispettive “bamboline” in grembo, Meredith ed Elisabeth, Reid si era appena unito a Gideon nel divano.
    Sorrise, felice di essere tornata in paradiso dopo aver fatto un salto all’inferno.
    Sentì qualcuno che immaginò accostarsi a lei in silenzio alla sua destra.
    La voce intima di Derek le arrivò bassa all’orecchio – è finita?
    Sarah si voltò verso Cameron in quel momento, facendole cenno con una mano di raggiungerla vicino al caminetto.
    Ronnie le annuì, poi voltò il viso per incontrare gli occhi di Derek, i suoi avevano un espressione nascosta che solo lui era in grado di decifrare.
    - È finita.


    Domenico Estrada ha scritto: portati dietro il passato solo se hai intenzione di costruire.


    FINE.



    note: sono contro la pena di morte, ma siamo in America e poi la scena della maschera dovevo metterla XD
    per il trailer: www.youtube.com/watch?v=mRHwa-r7XnQ (alzate il volume al massimo)

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    Edited by robin89 - 13/6/2011, 22:18
     
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