Forever

Emily27

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Emily27
     
    .

    User deleted


    AUTORE: Emily27
    TITOLO: Forever
    RATING: Rosso
    CATEGORIA: Drammatico, sentimentale
    AVVERTIMENTI: Descrizione di momenti un po'... hot, nel prologo.
    PERSONAGGI: Emily Prentiss, Ian Doyle, BAU team.
    SPOILERS: Episodi dal 6x14 al 6x17 ma presi molto alla larga, la storia è totalmente diversa.
    DISCLAIMER: I personaggi non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    NOTE: Questa storia a capitoli breve è la continuazione della mia oneshot “Taken life”, che riporto come prologo, seguita dal primo capitolo. Ho voluto dare una diversa interpretazione del “cattivo” rendendolo... un po' meno cattivo.




    Forever




    Prologo


    La notte era scesa su Washington DC, fredda e scura, nel cielo nero soltanto una timida falce di luna. Emily camminava a passo lento, con le mani infilate nelle tasche del cappotto, sul marciapiede percorso da pochi altri passanti, che frettolosi andavano incontro al loro destino, o ne fuggivano, ma non serviva correre, esso ti aspettava o ti prendeva comunque. Era scritto.
    L'aria pungente le sferzava il viso e le sollevava i capelli, mentre avanzava verso casa, tranquilla, nonostante tutto. Giunta al suo palazzo entrò e salì al suo appartamento, indugiando poi davanti alla porta. Avrebbe dovuto immaginare che quel momento sarebbe arrivato, ma forse in fondo l'aveva sempre saputo, non si poteva cancellare il passato e fare come se non fosse mai esistito, non ci si poteva sottrarre all'appuntamento col proprio destino.
    Non prese le chiavi dalla borsa, sapeva che la porta era aperta, così abbassò la maniglia ed entrò in casa, dove una lampada a stelo diffondeva una luce soffusa nell'ingresso e nel salotto. Emily si tolse il cappotto e mosse alcuni passi guardandosi intorno, tutto era come l'aveva lasciato quella mattina, soltanto una cosa attirò la sua attenzione, un vaso posato sul tavolo contenente un mazzo di fiori gialli e viola. Vi si avvicinò silenziosamente e sfiorò i petali con le dita, annusandone poi il profumo, che destò in lei ricordi lontani. Andò alla finestra, dove la tenda era tirata di lato, e guardò la notte spezzata soltanto da quell'esile luna dai contorni ora sfumati.
    Lo vide riflesso sul vetro prima ancora di avvertirne la presenza alle sue spalle. Ian Doyle le cinse la vita con le braccia attirandola leggermente a sé.
    “Ciao Lauren” disse baciandola sui capelli.
    Emily chiuse gli occhi e restò immobile.
    “Giura che non farai mai loro del male.”
    “Lo giuro, e in cambio mi prenderò la tua vita. Questa volta sarai mia per sempre.”
    Lei riaprì gli occhi e guardò l'immagine di loro due riflessa sulla finestra, Doyle stava facendo la stessa cosa.
    “Questa notte sarà tutta per noi” le sussurrò vicino all'orecchio. Le fece scivolare di dosso la giacca lasciandola cadere a terra, mentre il cuore di Emily accelerava i battiti, poi spostandole i capelli di lato sfiorò il suo collo con le labbra.
    La sua mente non volle, ma il suo corpo reagì, e lei fu attraversata da un brivido.
    Doyle le accarezzò il braccio nudo fino ad arrivare alla mano, che prese nella sua per condurla attraverso il salotto, e lei lo seguì docile, non poteva fare altro.
    Quando entrarono in camera da letto Emily fu accolta dal tremulo chiarore diffuso da alcune candele profumate, sistemate qua e là sui mobili e a terra. Non riusciva a formulare un pensiero coerente, le sembrava di non essere più se stessa.
    “Non avere paura Lauren, è tutto perfetto” la rassicurò Doyle carezzandole una guancia con due dita.
    La cosa che più spaventava Emily era il fatto di non avere paura. Aprì la bocca per parlare ma non riuscì a dire niente.
    Lui le sfilò la maglietta e sfiorò la pelle chiara della sua schiena, baciandola sulle spalle, finchè udì il suo respiro farsi pesante, allora la prese in braccio e l'adagiò delicatamente sul letto.
    Per un momento Emily sembrò ritrovare lucidità, ma quando Doyle fu su di lei e le levò il reggiseno per impossessarsi del suo seno con le mani e le labbra, la sua mente tornò ad annebbiarsi facendo sì che un gemito le sfuggisse. Lui continuò a baciare la sua pelle, sul collo e poi più giù, fino alla chiusura dei pantaloni, che le abbassò per poi sfilarglieli.
    Le mani di lui ora erano sulle sue gambe ed Emily sentì che stava per perdere il controllo. Si levò a sedere e senza indugi gli sbottonò la camicia e gliela levò, per poi accarezzare il suo petto e la sua schiena con gesti frenetici che fecero aumentare il desiderio di Doyle, il quale le prese il volto fra le mani e la baciò con passione, ricambiato dalle labbra di lei, avide e sensuali.
    Quando anche i pantaloni dell'uomo finirono a terra, lui la fece nuovamente distendere e si mise sopra di lei.
    “E' questa la luce che voglio vedere nei tuoi occhi” mormorò con le labbra che sfioravano quelle di Emily, la quale per tutta risposta lo attirò a sé baciandolo con la stessa intensità di prima.
    Doyle accarezzò il suo corpo, di cui conosceva ogni centimetro e che ora fremeva ad ogni suo tocco, quindi le sue labbra seguirono la stessa strada delle mani, e quando arrivò agli slip di pizzo nero glieli tolse, quindi continuò la sua opera, mentre lei veniva avvolta dal piacere che cancellò ogni suo pensiero, e da cui si fece trasportare in un mondo dove esistevano soltanto loro due.
    Dopo che furono svaniti anche i boxer di Doyle, quest'ultimo si unì a lei, muovendosi lentamente, gli occhi nei suoi, mentre Emily assecondava i suoi movimenti. La stanza fu invasa dai loro gemiti, dai loro nomi pronunciati tra un sospiro e l'altro, intanto che la luce tremolante delle candele rifletteva le loro ombre tutto intorno.
    Alla fine Emily si strinse a lui sollevandosi un poco, e Ian affondò il viso fra i suoi capelli, mentre il piacere li coglieva intenso e profondo.

    Emily era girata su un fianco e Ian la teneva abbracciata aderendo alla sua schiena.
    Adesso che tutto era finito lei si stava rendendo conto di quanto era successo. Era spaventata, dalle sensazioni che aveva provato e che non avrebbe dovuto provare, non un'altra volta, e dal fatto che quello che doveva essere inteso come un sacrificio si stava rivelando un qualcosa di piacevole.
    Lui le accarezzò la schiena baciandola tra la spalla ed il collo.
    “So cosa stai pensando Lauren, ma non c'è niente di sbagliato.”
    Se solo non fosse stato così dolce, così delicato, se solo fosse stata capace di odiarlo.
    Sentì le lacrime salirle agli occhi e poi scenderle lungo le guance. Ian gliele asciugò e la fece voltare verso di sé.
    “Perchè?” domandò lei in un sussurro.
    “Perchè siamo due anime destinate a restare unite.”
    “Avrei potuto venire qui con la mia squadra, per te non ci sarebbe stato scampo.”
    Ian le sorrise scostandole la frangetta da una parte della fronte.
    “Non l'avresti mai fatto.”
    Era vero. Lui la conosceva più di quanto lei potesse immaginare.
    “Cosa faremo?” gli chiese sfiorandogli la barba appena accennata.
    “Tutto” rispose lui. “Ma ora avrei in mente una cosa in particolare...”
    Ian la baciò e lei si trovò d'accordo.
    Avevano ancora tutta la notte davanti a loro.

    Il mattino seguente all'aeroporto internazionale di Washington, Emily era seduta in una sala d'attesa poco affollata, che ospitava alcuni uomini d'affari e due famiglie di origine europea.
    Tirò fuori dalla borsa il suo biglietto aereo, lesse il nome che vi era scritto, Lauren Reynolds, e la destinazione, San Pietroburgo. In quel momento sentì chiamare il loro volo e Ian Doyle si materializzò davanti a lei.
    “E' ora di andare” disse prendendo il borsone da viaggio ai piedi di Emily, la quale annuì e si alzò, dirigendosi insieme a lui ai cancelli d'imbarco.
    Una volta sull'aereo presero posto e lei si appoggiò allo schienale con un sospiro.
    “Tutto bene?” le domandò lui stringendole la mano.
    “Sì.”
    Mentre l'aereo decollava Emily si voltò verso il finestrino, e con gli occhi velati di lacrime disse mentalmente addio alla città in cui sapeva non sarebbe più tornata, agli anni trascorsi in quella che avrebbe sempre considerato la sua famiglia, a Emily Prentiss. Fu un addio intriso di dolcezza e gratitudine per ciò che era stato, senza alcun rimpianto.
    Si girò verso l'uomo che le stava accanto, incontrando i suoi occhi azzurri che la guardavano intensamente, e il suo volto fu illuminato da un sorriso.







    Primo capitolo


    Isola d'Elba
    Luglio

    La casa di antica fattura era situata lontano dalle altre in un paesino immerso nel verde su di un'altura dell'isola. Era bianca con le persiane di legno scuro, circondata da un giardino ben curato delimitato da una recinzione in mattoni e ferro finemente lavorato. Da lì si poteva vedere il mare, che ora appariva di un azzurro intenso, lo stesso colore del cielo terso dove il sole splendeva scaldando quel pomeriggio d'estate.
    Ian Doyle stava sistemando della terra attorno ai due maestosi ulivi che dominavano la parte del giardino anteriore la casa, mentre Lauren si prendeva cura delle sue rose, tutto intorno un frinire di cicale. Erano trascorsi quasi otto mesi da quando avevano lasciato Washington e da sei vivevano lì, in quel luogo tranquillo e solitario. Capitava che scendessero al mare e che andassero fuori a cena, ogni tanto vedevano altre persone, conoscenze superficiali che non indagavano sul loro passato, che si erano lasciati alle spalle per vivere soltanto del presente.
    Ian osservò Lauren, il sole faceva brillare i suoi capelli neri lunghi fino alle spalle, che ora portava un po' mossi e senza frangetta, indossava degli shorts ed una canottiera e la sua pelle era leggermente abbronzata. Era bella, lo attraeva in modo irresistibile, ma non solo dal punto di vista fisico, in quei mesi se n'era reso conto.
    L'aveva costretta a cambiare vita e sembrava che quella nuova le piacesse, talvolta aveva quasi l'impressione di vederla felice, ma forse era soltanto una mera illusione, forse quello che provava era la serena accettazione di una scelta obbligata, per questo Ian non la sentiva mai completamente sua, nemmeno quando facevano l'amore.
    Lauren guardò verso di lui e Ian le sorrise, lei ricambiò con un sorriso che subito si spense, e il suo volto ridiventò serio, come sempre più spesso accadeva dopo gli eventi di un mese prima.


    Un mese prima...

    New York

    Ashley Seaver si sedette sulla scomoda sedia accanto ad Hotch, sapendo che di lì a breve si sarebbe nuovamente alzata per girare a vuoto lungo il corridoio, l'unico modo che aveva per scaricare la tensione che le stringeva lo stomaco come una morsa. Era entrata a far parte della squadra da poco tempo, ma si era subito affezionata ai suoi colleghi, i quali l'avevano fatta fin dall'inizio sentire parte integrante del gruppo. La persona con cui aveva legato maggiormente era Spencer, dolce, a volte ingenuo, era senza dubbio particolare, pensò mentre i suoi occhi diventavano lucidi. Si voltò verso Hotch, che teneva le braccia conserte e il volto abbassato, traendo ogni tanto un lungo sospiro. Era anch'egli tormentato dall'ansia.
    Morgan era seduto più in là con i gomiti appoggiati alle ginocchia, e si teneva la testa fra le mani. Non aveva detto una parola da quando erano arrivati lì. David, che se ne stava in piedi appoggiato al muro e l'aria preoccupata, andò a sedersi vicino a lui.
    “Derek, non sentirti in colpa.”
    Morgan scosse la testa, passandovi sopra le mani.
    “Non dovevo lasciarlo andare da solo.”
    “Non potevi sapere che quell'uomo fosse l's.i., nessuno lo sospettava, eravate soltanto andati a fare alcune domande ai vicini della prima vittima.”
    Derek si alzò di scatto dalla sedia, facendo voltare verso di sé Hotch e Seaver.
    “Perchè non sono andato io in quella casa?! Adesso ci sarei io al posto di Reid!”
    Rossi si alzò e cercò di calmarlo.
    “Non esistono perchè, le cose succedono e basta, è il destino. Non ci resta che sperare” disse David con rassegnazione.
    “Se Spencer dovesse...” Morgan fece una pausa, non osava pronunciare quella parola. “Non so cosa farei” concluse appoggiando le mani al muro.
    Rossi gli mise una mano sulla spalla nel tentativo di fargli forza.
    “Reid vivrà e noi prenderemo quel bastardo” sostenne cercando di convincere anche se stesso.
    Ashley e Aaron si avvicinarono a loro, ma prima che potessero dire qualcosa un medico uscì dalla sala operatoria.
    Tutti si voltarono verso di lui con speranza e paura.
    “Il proiettile ha sfiorato il cuore, abbiamo fatto tutto il possibile ma le sue condizioni sono molto gravi.”
    “Ce la farà?” domandò Hotch.
    “E' presto per dirlo, tutto sta nel vedere se si sveglierà” spiegò il chirurgo osservando i loro occhi supplichevoli di una risposta positiva che però non aveva potuto dare.
    “Quindi adesso non è cosciente” fece Seaver.
    “No, è in stato di coma” affermò il medico, gettando tutti nello sconforto.
    Non riuscivano a credere che il loro amico, il loro piccolo genio, avrebbe potuto lasciarli per sempre, era qualcosa di troppo doloroso da accettare.
    “Possiamo vederlo?” chiese Derek in tono accorato.
    “Tra poco, quando verrà portato in una stanza. Ora scusatemi, ma devo tornare di là” si accomiatò gentilmente il medico.
    “Grazie” gli disse David, e l'uomo annuì. Era sempre difficile portare notizie di quel tipo.
    Rimasti soli si guardarono l'un l'altro, senza riuscire a proferire parola, persi in un mare di disperazione, dove la speranza sembrava farsi sempre più lontana.


    Isola d'Elba

    Quella mattina Lauren si svegliò con il rumore della pioggia e Ian ancora addormento accanto a lei, tra le lenzuola bianche del grande letto con la testiera in ferro battuto.
    Si alzò e dopo essersi fatta una doccia scese al piano di sotto. Andò in cucina, dai mobili in legno d'acero, e guardò la pioggia attraverso la porta finestra che dava sul giardino, quell'acqua avrebbe fatto bene alle sue rose.
    Preparò la moka con il caffè e la mise sul fuoco, ormai si erano abituati a berlo in stile italiano. Tirò fuori da un armadio la torta che aveva preparato la sera prima e la posò sul tavolo, quindi da un altro scomparto prese due tazze mentre Ian faceva il suo ingresso in cucina. Le andò vicino e la strinse tra le braccia.
    “Sei stata fantastica stanotte.”
    “Potrei dire la stessa cosa di te” disse Lauren regalandogli un sorriso malizioso e un fuggevole bacio. “Ma ora dovrei preparare la colazione.”
    Ian rise e prese la moka dal fornello, versando poi il liquido bollente nelle tazze che lei aveva messo sul tavolo insieme alla zuccheriera.
    Sedettero a iniziarono a fare colazione.
    “Con questa pioggia dovremo dire addio alla nostra giornata al mare” considerò lui tagliandosi una fetta di torta.
    “Già, dobbiamo rimandare a domani, sempre se ci sarà il sole.”
    Ian allungò una mano verso il telecomando sul mobile dietro di lui e accese il piccolo televisore vicino al forno a microonde.
    “Vediamo cosa dicono le previsioni.”
    In quel momento andava in onda il telegiornale del mattino e ascoltarono le notizie di cronaca senza troppo interesse, tra una battuta e l'altra sulla buffa cravatta del giornalista e il servizio che non riusciva a mandare in onda.
    Lauren si alzò per mettere nel lavandino le tazze vuote, mentre il conduttore diceva: “Rientrerà oggi in Italia la ragazza rapita da un omicida seriale durante la sua vacanza a New York, la quale era stata salvata da un agente federale dell'Unità di Analisi Comportamentale di Quantico, che insieme al team era sulle tracce dell'assassino.”
    Quelle parole destarono l'attenzione di Lauren, che si voltò a guardare il giornalista sullo schermo, il quale proseguì: “Le condizioni del coraggioso agente, il dottor Spencer Reid, rimasto ferito nello scontro col seriale, restano ancora molto gravi, tali da far temere per la sua vita. Il giovane si trova in coma da due giorni. Passiamo ora...”
    Lauren restò immobile a fissare il televisore, incredula, con il cuore in gola e un senso di vertigine.
    “Mio Dio...” mormorò incontrando lo sguardo di Ian, indecifrabile.
    Le parole del giornalista le riecheggiavano in testa, Spencer era rimasto ferito, era grave, era in coma. Reid, il collega con il quale aveva affrontato il capo di una setta, l'amico che vinceva sempre a carte, una delle persone più straordinarie che avesse mai conosciuto.
    Lauren attraversò la cucina e uscì dalla porta principale sul piccolo porticato antistante la casa, si sedette sul dondolo di legno e le lacrime iniziarono a scenderle irrefrenabili, accompagnate da singhiozzi che le toglievano il respiro, e che si confondevano con il rumore della pioggia.
    Ian la raggiunse ed il suo pianto lo toccò profondamente, quelle erano le lacrime che ella aveva trattenuto lungo tutti quei mesi. Si sedette accanto a lei e le accarezzò i capelli, le prese una mano e la strinse tra le sue. Lauren sollevò la testa e si guardarono in silenzio per un tempo indefinito, finchè lui estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare e compose un numero.
    “Buongiorno, vorrei prenotare un posto sul primo volo per New York... Sì... Lauren Reynolds... Va bene, grazie.”
    Ian chiuse la chiamata e lei gli rivolse uno sguardo stupito, per la seconda volta non riusciva a credere a ciò che aveva udito. Le lacrime che per poco le avevano dato tregua ricominciarono a scendere silenziose sul suo viso.
    “Ian...” mormorò, ma lui le appoggiò l'indice sulle labbra.
    “Poi torna da me.”
    A Lauren suonò più come un desiderio che come un ordine.
     
    Top
    .
  2. Emily27
     
    .

    User deleted


    Secondo capitolo


    New York

    Era pomeriggio quando il taxi lasciò Emily davanti al Bellevue Hospital. La donna entrò togliendosi gli occhiali da sole e si guardò intorno con attenzione, avrebbe potuto incontrare qualcuno di loro. Preferì non chiedere informazioni all'impiegato che stava all'entrata, e seguì le indicazioni per il reparto di terapia intensiva, dove probabilmente Spencer era ricoverato. Sempre guardinga salì con l'ascensore fino al quarto piano, dove si trovava il reparto. C'erano poche camere lì ed il corridoio era deserto, ad eccezione di un'infermiera che stava entrando da un malato. In un angolo c'era una scrivania, sul cui piano erano ordinate alcune cartelle cliniche e sparsi alcuni fogli, alla quale Emily si avvicinò furtivamente per esaminarli, finchè trovò quello che cercava: la stanza di Spencer era la numero cinque.
    Era una di quelle al centro del corridoio, la cui porta si aprì proprio in quel momento. Svelta entrò nella saletta d'attesa a pochi metri da lei, restando vicina alla porta che tenne solo accostata. Udì dei passi, poi le loro voci.
    “Vorrei non doverlo lasciare solo” disse Derek.
    “Tra poco verrà Seaver, noi dobbiamo pensare a prendere chi gli ha fatto del male, è quello che vorrebbe anche Reid” sostenne Aaron.
    Si erano fermati a parlare vicino alla saletta, a pochi passi da lei, a Emily sarebbe bastato uscire e si sarebbero ritrovati. Lì sentì allontanarsi. Con il cuore stretto in una morsa aprì un poco la porta e li guardò andare via attraverso le lacrime che le velavano gli occhi, finchè li vide girare l'angolo e scomparire alla sua vista. Respirò profondamente, ora doveva pensare a Spencer.
    Uscì dalla saletta e raggiunse la sua camera, incrociando soltanto un'infermiera.
    Lo vide steso nel letto, attaccato ad un respiratore ed il cuore riprese a farle male. Si avvicinò a lui, era molto pallido ed i suoi capelli, che aveva ripreso a portare lunghi, erano sparsi sul cuscino. Prese una sedia e si sedette accanto al letto.
    “Spencer...” lo chiamò piano, pur sapendo che non poteva udirla. Gli prese una mano fra le sue, era fredda. “Mi manchi dottor Reid... Non c'è più nessuno che mi batte a carte” disse sorridendo ma con voce rotta. “Mi mancate tutti...” Si portò al viso la mano del ragazzo e pianse. “Non andartene Spencer... Ti prego, resisti.”
    Quando le lacrime smisero di scendere Emily pregò affinchè l'amico al quale voleva molto bene sopravvivesse. Restò vicino a lui sempre tenendogli la mano, combattuta fra il voler rimanere ed il timore che qualcuno di loro entrasse.
    Ad un certo punto Reid mosse la testa, un movimento appena accennato.
    “Spencer...” fece lei sicura di averlo visto ma incredula al tempo stesso.
    Il ragazzo si mosse di nuovo e aprì gli occhi, voltandosi poi verso di lei. Si guardarono per alcuni istanti, dopodichè lui li richiuse, debole e provato.
    “Andrà tutto bene” gli disse Emily sopraffatta dall'emozione, stringendogli più forte la mano.
    Spencer ce l'aveva fatta, le sue lacrime ora erano di gioia.

    Emily uscì dall'ospedale serena e con un accenno di sorriso sulle labbra. Il pericolo era passato e Spencer sarebbe stato bene, presto gli altri sarebbero andati da lui, stringendosi felici attorno al ragazzo come una vera famiglia, ciò che erano. Emily si mise gli occhiali da sole ed il suo sorriso si spense. La sua famiglia.
    Andò in strada e fermò un taxi, poi vi salì chiedendo al tassista di condurla in aeroporto. Si appoggiò contro il sedile e chiuse gli occhi. Aveva fatto un salto in quella che era stata la sua vita fino ad alcuni mesi prima, l'aveva di nuovo toccata, sentita, senza poterla afferrare. Guardò fuori dal finestrino mentre il taxi la riportava verso quella nuova.


    * * *



    Reid osservava l'orsacchiotto di peluche che avevano portato Rossi e Seaver, garantendo che gli avrebbe tenuto compagnia. Sorrise. Era ancora molto debole ma i medici erano ottimisti circa un suo veloce recupero. La parte alta del letto era rialzata, così da consentirgli di restare un po' su con la schiena. Spencer si mosse per cambiare leggermente posizione ed una smorfia di dolore contrasse i suoi lineamenti, la ferita gli faceva male. Guardò oltre la finestra, dove la tapparella era abbassata per metà, quella splendida giornata di sole, pensando a quando l's.i. gli aveva sparato, alla fortuna che aveva avuto a sopravvivere e al momento in cui si era risvegliato dal coma.
    In quel mentre entrarono Hotch e Derek.
    “Ciao, come ti senti?” domandò Morgan.
    “Esattamente come l'ultima volta che sei stato qui, cioè tre ore fa” rispose Spencer che stava già abbastanza bene da sentirsi in vena di scherzare.
    “Scusa ragazzino” replicò l'altro sedendosi sul bordo del letto accanto a lui. “Sto invecchiando, non mi ricordo le cose.”
    “Starà perdendo la memoria ma butta ancora giù le porte che è una meraviglia” considerò Aaron sorridendo, rilassato dopo che tutto era finito bene.
    “Quello schifoso marcirà in galera” fece Derek provando ancora un moto di rabbia verso l's.i. che aveva quasi ucciso l'amico.
    Spencer annuì silenziosamente.
    “Domani mattina torneremo a Washington, ma qualcuno resterà qui con te finchè non ti sarai ristabilito abbastanza per poter affrontare il viaggio” lo informò Hotch guardando poi verso Morgan.
    “Tu?” domandò Reid indicandolo.
    “Ti farò da infermiere, contento?”
    Spencer alzò gli occhi al cielo, anche se la notizia gli fece molto piacere. Gli altri due risero della sua espressione, ma il ragazzo ad un certo punto si fece serio.
    “Emily è stata qui.”
    Gli amici lo guardarono perplessi.
    “Quando mi sono svegliato era qui.”
    Hotch e Morgan si scambiarono un'occhiata che esprimeva il loro turbamento riguardo le parole del ragazzo e la convinzione con cui le aveva pronunciate.
    “Eri appena uscito dal coma, non eri lucido, te lo sei soltanto immaginato” gli disse Derek ostentando una sicurezza che non provava.
    Spencer scosse la testa.
    “Emily era qui. Mi stava tenendo la mano e mi ha detto che sarebbe andato tutto bene” insistette con la calma di chi è certo di ciò che sta dicendo, facendo calare un silenzio denso dei pensieri di ognuno.
    Cedendo ad un impulso Aaron uscì dalla stanza e in corridoio si imbattè in un'infermiera che spingeva il carrellino dei medicinali. La fermò.
    “Mi scusi, qualcuno è venuto a trovare Spencer Reid?”
    La donna ci pensò su soltanto un attimo poi rispose: “Sì, ieri pomeriggio, proprio poco prima che si svegliasse dal coma. Una donna...”
    Hotch provò una stretta al cuore.
    “Me la potrebbe descrivere?”
    “Una bella donna, alta, con i capelli neri lunghi fino alle spalle...”
    Lui le fece un cenno di ringraziamento e l'infermiera riprese il giro dei malati.
    Aaron si sentì invadere da un miscuglio di emozioni. Incredulità, gioia, rimpianto, la sensazione di essere stato sfiorato da qualcosa che non aveva potuto trattenere.
    Derek lo raggiunse.
    “Qualcuno è stato da Spencer?”
    “No, nessuno” rispose Hotch.
    Nella lettera che gli aveva lasciato, Emily li pregava di non cercarla, che sarebbe stata bene.
    In qualunque posto ora ella si trovasse forse era davvero felice.

     
    Top
    .
  3. Emily27
     
    .

    User deleted


    Terzo capitolo


    E tutto quel che ho lo guardo andare via
    e mille luci accese su di noi si spengono e tu vai
    ma resta ancora tutto ciò che non mi hai detto mai
    che non ti ho detto mai...


    Isola d'Elba

    Luglio

    Ian aveva finito di sistemare la terra intorno agli ulivi e stava riportando gli attrezzi che aveva usato sul retro della casa. Lauren era rientrata poco prima per preparare la cena. Per tutto il tempo che erano stati in giardino non avevano parlato, lei era diventata taciturna da quando era tornata da New York, diverse volte aveva colto il suo sguardo triste, anche quando sorrideva. Non gli aveva raccontato niente dei due giorni in cui era stata via, gli aveva soltanto detto che il suo amico ce l'aveva fatta. Fino ad allora gli era sembrata realmente serena, ma adesso era cambiata e Ian ne intuiva la ragione. Se all'inizio Lauren aveva accettato il fatto di vivere una nuova vita insieme a lui, aver rivisto le persone a cui era stata strappata, perchè Ian immaginava che in qualche modo le avesse viste, doveva essere stato un duro colpo, che le aveva fatto sentire la loro mancanza in modo ancora più doloroso. Questo pensiero lo accompagnava ormai da giorni.

    Quella sera cenarono scambiandosi solo poche parole, poi Lauren si ritirò presto in camera da letto. Non aveva sonno, ma desiderava restare da sola con i suoi pensieri a riflettere. Uscì sul terrazzino da cui si vedeva uno scorcio di mare nella poca luce che ancora rimaneva, prima che la notte arrivasse a cancellarne ogni traccia. Si appoggiò alla ringhiera e respirò il profumo della sera, che sapeva di tranquillità e pace. La vita che stava vivendo non era la sua, quella se l'era presa il destino, ma si sentiva comunque serena, i suoi sorrisi non erano falsi e nonostante tutto Ian era capace di farla sentire bene, e quando faceva l'amore con lui si sentiva realmente coinvolta.
    Durante quei mesi aveva imparato ad anestetizzare il dolore che la mancanza dei suoi compagni le provocava, ma dopo quanto successo un mese prima tutto quel dolore le era piombato addosso come un macigno.
    “Ti mancano molto.”
    Lauren aveva sentito Ian arrivare.
    L'uomo le andò vicino e l'espressione di lei fu la conferma alle sue parole.
    “Vorresti tornare da loro.”
    Lauren volse nuovamente lo sguardo al mare, che era ormai diventato uno specchio scuro, e per un po' nessuno dei due parlò. Fu lei a rompere il silenzio, voltandosi a guardarlo negli occhi, nella penombra.
    “Se me ne andassi tu lo faresti veramente?”
    Ian non rispose, ma le accarezzò il volto per poi prenderla fra le braccia, mentre lei si lasciava andare contro il suo petto. Quando si sollevò a guardarlo lui la baciò e Lauren ricambiò quel bacio con profonda dolcezza.
    Ian la prese per mano e la condusse dentro, fino al letto, dove si spogliarono lentamente, fra baci e carezze sempre più vibranti di passione. Fecero l'amore a lungo, dandosi completamente l'un l'altra e godendo dell'intensità di ogni attimo, mentre tutto scompariva lasciando spazio soltanto alle loro emozioni.

    La mattina seguente quando Lauren si svegliò alle prime luci del mattino, Ian non era al suo fianco. Allungò una mano accarezzando le lenzuola fresche dove lui era stato, e si accorse di una busta sul suo cuscino. Si sollevò su di un gomito e la prese, sopra non c'era scritto niente, così l'aprì ed il suo contenuto la lasciò di sasso. Era un biglietto aereo con destinazione Washington DC, intestato a Emily Prentiss, la data della prenotazione risaliva a qualche giorno prima e la partenza era fissata proprio in quella giornata, di lì a poche ore.
    Lauren si rigirò il biglietto tra le mani, quel pezzo di carta rappresentava la sua libertà e quel lato di Ian che forse solo a lei era stato dato di conoscere.
    Udì il rumore del loro suv che si metteva in moto, poi lo sentì attraversare il vialetto di ghiaia e uscire in strada. Ian se ne stava andando ed era sicura che sarebbe tornato soltanto quando lei non fosse più stata lì.
    Quell'ultima notte trascorsa insieme era stato il loro addio.

    Emily si era fatta accompagnare da un taxi al piccolo aeroporto dell'isola, da dove avrebbe preso il volo per Milano e da lì successivamente per Washington DC. Si trovava in una sala d'attesa, seduta tra turisti che aspettavano l'aereo che li avrebbe riportati a casa, come lei. Non aveva bagaglio con sé, tutto ciò che era stato di Lauren l'aveva lasciato dove era giusto che rimanesse, nella casa in cui malgrado la situazione era riuscita a vivere momenti felici, che non avrebbe dimenticato.
    Chiamarono il suo volo ed Emily si alzò per dirigersi all'imbarco, adesso era libera di andare.


    Entrerò dentro ad un sogno, quando è già mattino
    e per quel giorno tu mi porterai con te
    Se hai giocato è uguale anche se ancora fa male
    Ma se hai amato era amore e non è mai un errore
    Era bello sentirti e tenerti vicino
    Anche solo nella luce del mattino




    Le parole all'inizio e alla fine del capitolo sono rispettivamente delle canzoni "Milleluci" di Paola e Chiara e "Non è mai un errore" di Raf.
     
    Top
    .
  4. Emily27
     
    .

    User deleted


    Questo è l'ultimo capitolo, ho scritto due finali perchè mi piacevano entrambi, e ho deciso di pubblicarli tutti e due sapendo di far felice qualcuno... ;) Il banner alla fine è stato gentilmente offerto dalla Pur Original Production ^_^



    Quarto capitolo




    Quando Ian fece ritorno a casa sapeva di non trovarvi più Lauren.
    Parcheggiò il suv in garage e camminò stancamente fino all'ingresso, poi entrò avvolto dal silenzio rivelatore dell'assenza di lei, che gli fece male. Andò in soggiorno e vide sul divano il libro che Lauren stava leggendo e su una poltrona la maglia che si metteva quando uscivano la sera per una passeggiata. Salì al piano superiore attanagliato da una profonda tristezza. In camera da letto alcuni vestiti di Lauren erano ben sistemati su di una sedia, il letto era stato rifatto e sul cuscino dove lui aveva lasciato la busta col biglietto aereo ora c'era una rosa rossa. Ian la prese e con delicatezza l'avvicinò alle labbra respirandone il profumo, che parlava di lei, come ogni cosa lì intorno.
    Aveva preferito lasciarla libera di andare piuttosto che tenerla legata a sé per sua univoca scelta. Era certo che Lauren fosse comunque stata bene in quei mesi, ma era giusto che tornasse alla sua vita.
    Ian rimise la rosa sul cuscino e uscì sul terrazzino a guardare il mare, sentendosi più sereno. Avrebbe sempre portato dentro si sé la gioia dei momenti trascorsi con Lauren e l'allegria che lei gli aveva donato, sarebbero stati il sole che avrebbe illuminato le sue giornate.
    Di tutto quello doveva ringraziare la meravigliosa persona che era Emily.


    Washington DC

    Il taxi procedeva lungo le vie di Washington, mentre il conducente si destreggiava nel traffico del centro città, lanciando di tanto in tanto un'occhiata dallo specchietto retrovisore alla sua passeggera, la quale guardava fuori dal finestrino con un sorriso felice.
    Emily osservava i palazzi, le persone che camminavano sui marciapiedi, i negozi, come se ne fosse stata lontana anni o soltanto minuti. Era di nuovo lì, dove aveva creduto di non poter più tornare, nel suo mondo, nella sua vita. Presto avrebbe ritrovato i suoi amici più cari, i quali non avrebbero mai saputo dove era stata in quegli otto mesi di lontananza. Sarebbe stato un segreto che avrebbe sempre custodito e cullato nel suo cuore, il ricordo di Ian e dei giorni trascorsi con lui su quell'isola come se fosse stata sospesa nel tempo non l'avrebbero mai abbandonata. Un filo invisibile ma forte li avrebbe legati per sempre.
    Il taxi arrivò a Quantico percorrendo strade ad Emily così familiari, e si fermò davanti ad un grigio edificio governativo.
    “Sta andando al lavoro?” domandò l'autista mentre lei gli lasciava i soldi per la corsa.
    “No, sto tornando a casa” rispose Emily con un sorriso.
    Scese dal taxi ed entrò nel palazzo, emozionata come la prima volta che l'aveva fatto. Nell'atrio sostavano alcune persone forse nell'attesa di qualcuno, altre entravano ed uscivano dagli ascensori, nessuno sembrava fare caso a lei. Si infilò anch'ella in un ascensore, dove quattro uomini la osservarono incuriositi. Emily sentiva crescere dentro di sé un'euforia che doveva riflettersi sul suo volto.
    Arrivata al piano uscì sul corridoio e mossi alcuni passi si trovò di fronte alla porta a vetri che recava il logo della BAU. Al di là di essa c'era tutto ciò che desiderava, le cose più semplici e importanti. Sorrise, poi aprì quella porta per tornare dalla sua famiglia.


    FINE




    * * *


    [...] Ian rimise la rosa sul cuscino e uscì sul terrazzino a guardare il mare, sentendosi più sereno. Avrebbe sempre portato dentro si sé la gioia dei momenti trascorsi con Lauren e l'allegria che lei gli aveva donato, sarebbero stati il sole che avrebbe illuminato le sue giornate.
    Di tutto quello doveva ringraziare la meravigliosa persona che era Emily.

    Il taxi stava salendo lungo la strada fiancheggiata da pini e castagni, tra i cui rami il sole creava giochi di luce. Emily guardava fuori dal finestrino osservando quei luoghi che ormai le erano divenuti familiari. Si sentiva leggera, perchè stava andando dove il suo cuore aveva deciso di riportarla. Non ce l'aveva fatta a salire sull'aereo per allontanarsi da quell'isola, a staccarsi da lui. Non l'avrebbe mai immaginato, ma nel momento in cui avrebbe potuto riprendersi la sua vita il suo cuore le aveva detto di non farlo, perchè la sua vita adesso era lì. Al di là dell'oceano c'erano le persone delle quali avrebbe sentito la mancanza ogni giorno, ma Ian le sarebbe mancato di più.
    “Sta tornando a casa?” domandò il tassista che ogni tanto le lanciava un'occhiata dallo specchietto retrovisore.
    “Sì” rispose lei allegramente.
    “Qualcuno l'aspetta?”
    Emily sorrise.
    “Credo proprio di no.”
    Ad un certo punto la strada diventò sterrata e lei chiese all'uomo di lasciarla lì, poi pagò la corsa e scese. Desiderava percorrere a piedi quell'ultimo tratto, dove spesso lei e Ian avevano passeggiato la sera. Giunse davanti a quella che ormai considerava casa sua e si sentì felice, con il cuore che le batteva forte nel petto. Il cancelletto era aperto, lei lo spinse entrando in giardino e proprio in quel momento Ian comparve arrivando dal retro della casa. Quando la vide restò immobile, guardandola come se non fosse vera, ma soltanto frutto della sua immaginazione.
    Emily gli andò incontro e Ian ancora incredulo si mosse verso di lei, finchè furono vicini e la potè stringere a sé. Emily appoggiò la testa sulla sua spalla e si rifugiò fra le sue braccia, l'unico posto in cui desiderava stare.
    Ian si sentì pervadere da un'infinita dolcezza, che sapeva di felicità. Per la prima volta sentì quella donna veramente sua, Emily era lì per sua scelta, libera da vincoli o costrizioni, unicamente perchè lo voleva.
    Lei sollevò la testa per guardarlo, sorridendo.
    “Sono qui...”
    “Per sempre?” domandò Ian accarezzandole dolcemente una guancia.
    “Per sempre” rispose lei, prima che le loro labbra si unissero in un bacio.
    Si appartenevano, e così sarebbe stato per sempre.


    FINE



    image

    Uploaded with ImageShack.us

     
    Top
    .
3 replies since 26/3/2011, 13:42   541 views
  Share  
.