Ritorno Alla Vita

Emily†

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    Un grazie particolare a Robin89




    Dedico 'Ritorno Alla Vita' a Pur, Robin e Emilyprentiss che, come me, sperano in un suo ritorno.


    Autore: Emily†
    Titolo: Ritorno Alla Vita
    Rating: Per il momento verde. In caso dovesse cambiare avviserò ad inizio capitolo
    Avvertimenti: /
    Personaggi/coppia: Emily Prentiss; Aaron Hotchner; Jennifer Jereau (comparsa); David Rossi, Spencer Reid, Penelope Garcia, Derek Morgan; Cameron Leane 'Ronnie' (Phantom from the past-Robin89) Personaggi inventati da me: Alexandra Coburn; Karinna Sunders.
    Spoilers: Nessuno Spoiler
    Disclaimer: Criminal Minds non mi appartiene, (tranne quelli da me inventati) i personaggi sono di Jeff Davis e non ci guadagno nulla.




    Per i commenti.


    Ritorno Alla Vita





    Prologo


    Alex legò i lunghi capelli castani in una coda di cavallo per permettere al nastro di strass di brillare alla luce del lampadario.
    - Non sei ancora pronta? – chiese una donna dai capelli rossi uscendo dal bagno e camminare in reggiseno e mutande nere verso l’ampia specchiera che si affacciava al letto matrimoniale della camera d’albergo.
    - Senti chi parla. – la brunetta sorrise fasciata in un corpino rosso mentre si sedeva sul letto per agganciare la giarrettiera che, ben presto, avrebbe custodito il suo coltellino dalla lama affilata. – Sbaglio o anche tu sei ancora svestita?
    - La convention inizierà fra un ora e noi dobbiamo essere da Easter fra meno di un quarto d’ora. – la rossa prese dall’armadio un vestito nero di Prada, lungo alle caviglie e lo infilò dal basso poi si avvicinò all’amica voltandosi di schiena.
    Alex sapeva già di che cosa aveva bisogna: sistemare la zip dell’abito. – Non ti preoccupare. Abbiamo già tutti i dettagli dell’operazione. – in un gesto rapito chiuse la cerniera ed indossò il suo abito un delizioso Valentino bordeaux di taffettà che le arrivava leggermente sotto le ginocchia. – Saremo al Castello in meno di dieci minuti. – si avvicinò alla specchiera per sistemarsi il rossetto e dare una controllata al trucco.
    - Tu hai i dettagli, io sono arrivata solo stamani e mi sono trovata davanti Easter che mi ha obbligata a partecipare all’operazione – la rossa fece lo stesso con l’abito di Alex chiudendole la zip ed allacciandole la piccola cintura di strass argentati che le fasciavano la vita snella.
    - Inutile farne una tragedia Karinna. Ti aggiorno io velocemente. – smise di sistemarsi il trucco praticamente già perfetto e la osservò.
    - Beh, finalmente qualcuno si degna. Clyde non mi pareva tanto propenso a farlo.
    Alex sorrise. – Il Generale Backman è atterrato ieri sera a Las Angeles per il Join Security Summit, per i Media e la polizia è una conferenza di esperti della sicurezza, ma in realtà è una convention di spie terroriste.
    - E noi cosa dovremmo fare?
    - Alla convention ci sarà anche Doyle sotto il falso nome di Drake Person, vuole screditare la Backman per prendere il suo posto.
    - Un colpo di Stato. – Karinna si pettinò i capelli rossi.
    - Doyle gestirà la CIA e la Sicurezza Nazionale. Questo perché nei piani alti ci sono infiltrati di Doyle, ha contatti ovunque e noi non abbiamo il potere né le prove per accusare uno di loro finché non li troveremo…
    - …con le mani nel sacco.
    Alex annuì seria. – La conferenza è prevista per stasera e saranno presenti anche i Cinque anziani. – prese una Browning Baby e la infilò nella borsetta bordeaux assieme ad un rossetto ed un caricatore in più.
    - Ho la netta sensazione che non si tratta di innocui vecchietti.
    - Senti ma tu cosa sei venuta a LA a fare? Credevo che il Generale Tosi ti avesse aggiornato che l’operazione Valhalla era stata riaperta.
    - Veramente ero a Parigi tranquilla quando Clyde mi ha imposto di raggiungerti a La per aiutarti e non farti andare nei casini da sola. – posò le mani sui fianchi e la osservò torva. – Potresti ringraziarmi o, almeno, spiegarmi chi diamine sono questi Anziani.
    - Gli anziani sono i leader della nuova organizzazione di Valhalla.
    - Certo. Doyle ha spie ovunque.
    - Soprattutto nelle agenzie più importanti del mondo, CIA, Sicurezza Nazionale, Interpol, M16,… ci infiltriamo alla Convention, smascheriamo Doyle, lo uccidiamo e catturiamo gli Anziani.
    - Alex la conferenza sarà circondata da un esercito di agenti di sicurezza. Sarà piana di spie! – esclamò piuttosto preoccupata. – Una missioni suicida!
    - La Backman ha scelto le migliori spie al mondo per questa operazione.
    - Consolante… - lasciò ciondolare le braccia e s’incamminò verso la scarpiera dove prese un paio di sandali neri e lanciò ad Alex le decoltè bordeaux. – Siamo già morte troppe volte, Alex. Vediamo di non lasciarci le penne definitivamente.
    Alex sorrise. – Dai che questo gioco delle identità false, sotto sotto, ti piace…
    Karinna fece un sorrisino malizioso e si infilò due coltelli nella cavigliera nascosta dall’abito – Chi saremo?
    - Ci presenteremo con Easter, saremo membri della delegazione russa per questo dovremmo travestirci.
    - Per questi Easter mi ha fatto tingere i capelli di rosso? Carino.
    Alex sogghignò e prese da una scatoletta grande come un portacipria delle lenti a contatto. Non appena le posizionò i suoi occhi divennero azzurri, freddi e seri come il ghiaccio dell’Antartide. - Queste… - proseguì avvicinandosi al comodino e prendendo da un fascicolo alcuni badge - …sono le nostre tessere di riconoscimento. Ci chiameremo – la passò una carta – Irina Kornikova e, io, Veruna Uljanov. Ci divideremo, tu andrai con James, io con Clyde.
    - Ecco, questo è l’unico punto del piano che apprezzo. Odio immenamente Clyde, meno lo vedo, meglio è.
    - Ma se ti ha salvato la vita più di una volta a Stoccolma!
    - Si, nel frattempo mi aveva rovinato la copertura!
    Alex fece spallucce. – Diaciamo che è un suo hobby.
    Indossarono le scarpe e si avviarono con passo sicuro verso la porta della camera. Alex fece scattare la serratura ed uscirno nel corridoio. Con una tessera magnetica chiuse la porta della camera dietro di sè e la infilò velocemente nella borsetta.
    - Alex…
    - Karinna?
    - Andrà tutto bene? Non moriremmo veramente?
    - Perchè dovremmo? Siamo già morte.

    Edited by Emily† - 27/4/2011, 19:00
     
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    Capitolo 1


    Ormai era diventata un’abitudine. Ogni giorno, nonostante ci fosse il sole o la pioggia, Garcia prendeva in mano il suo cellulare e scriveva un lungo messaggio.
    ‘Ehi, ciao! Oggi è stata una giornata impegnativa. Il team si è recato a Portland e Reid ha finalmente deciso di leggere Twilight! È una cosa incredibile: Reid che legge un romanzo simile? Oh, dovresti vederlo! Sembra un bambino piccolo che non sa da dove partire a leggerlo! Ti mando un grosso bacio, mia cara passerotta. A domani!’
    Il destinatario era sempre lo stesso: Emily Prentiss.
    Erano passati oramai tre mesi dalla morte della loro amica e nessuno era ancora riuscito ad accettare quella perdita.
    Davanti a quella tomba fredda, Garcia versava le sue lacrime, singhiozzava e scriveva i suoi messaggi giornalieri inviandoli sempre allo stesso numero.
    Il cielo era ancora luminoso, il sole non era ancora calato ed illuminava la lapide con i suoi raggi caldi. Il nome di Emily risaltava troppo alla vista della donna che non riusciva ad osservarlo per più di qualche istante.
    Con un gesto d’amore posò una rosa bianca in boccio davanti alla pietra sepolcrale – Bianca. – disse. – Perché tu eri pura… troppo pura per il male che ti hanno fatto.
    Con un fazzoletto si asciugo gli occhi lasciando sul bianco della carta il segno nero del mascara che stava colando, oramai ne era abituata. Visitata la tomba di Emily praticamente ogni giorno ed, ogni giorno, le portava in dono una rosa bianca in simbolo di amicizia ed affetto.
    Si accucciò come una bambina davanti alla lapide ed accarezzò lentamente la lastra ruvida.
    - Manca anche a me.
    - Ciao Morgan… - mormorò senza voltarsi. Lo incontrava spesso al cimitero dopo il lavoro. – Lo so.
    - Forse è sbagliato venire qui tutti i giorni. Forse dovremmo…
    - Lasciarla in pace? – disse fredda. – No. – si rispose con tono severo alzandosi in piedi. – Io non la lascio in pace. È già sola lassù, ha bisogno di qualcuno che venga a trovarla, che le parli.
    - Così facendo distruggi te stessa…
    Garcia si voltò verso Morgan mostrando gli occhi arrossati dal pianto. Lui si sentì tremendamente in disagio, non sapeva bene cosa dire o cosa fare così rimase ad osservarla. – Credi che non ti veda? Tu e Reid… credi che non vi veda?
    Morgan scosse il capo scioccato, come se non capisse cosa la donna voleva dirgli.
    - Vedo Reid che durante le pause pranzo parla da solo o legge il suo libro ad alta voce perché Emily possa sentirlo come spesso faceva per tormentarla. E tu… tu prendi sempre due caffé alla macchinetta e poi sei costretto a buttarne via uno perché ti ricordi che Em non c’è più.
    Derek abbassò lo sguardo incapace di controbattere.
    - È tutto troppo strano… troppo diverso da quando lei se n’è andata. Tante volte credo che questo sia solo un incubo e vorrei venire qui a svegliarla, prenderla per le braccia e stringerla come una sorella e dirle ‘Ehy! Che fai dormi? Svegliati’. Ma poi mi riscuoto e tutto è come prima, tutto è silenzioso alla BAU senza di lei, senza JJ.
    - Piccola…
    - No. – picchiò un piede a terra. – No, Derek! Non mi dire di smetterla perché è più forte di me! Non posso accettare tutto questo!
    - Penelope…
    - Non posso!
    Lui eliminò velocemente la distanza che c’era fra loro e l’abbracciò – Piccola so cosa provi. Le ho tenuto la mano in quel edificio, le sono stato accanto in ambulanza… le ho tenuto la mano ed ho sentito che stringeva le mie… anche io spesso mi sveglio la notte sentendo il cuore che batte all’impazzata, ma dobbiamo rassegnarci!
    Penelope scosse il capo mentre continuava a tenerlo posato sul forte torace di Morgan. – Non posso. Accettare vuol dire dir addio.
    - È questo che lei vorrebbe…
    - Ma non è quello che io voglio… non sono ancora pronta a dire addio.
    L’allontanò per guardarla negli occhi – Piccola… di capisco. Ti capisco più di chiunque altro, ma sappi che la vendicheremo. Vendicheremo la sua morte perché prenderemo Doyle, vivo o morto. Te lo giuro!
    - Sei un agente dell’FBI, non puoi promettere.
    - Ma per te lo faccio perché, ti giuro, che percorrerò mari e monti per raggiungere quel bastardo che ce l’ha portata via.
    - Spesso… - Garcia si voltò facendo qualche passo in direzione della bara ed accarezzando ancora la lastra di pietra. – Spesso mi domando se… se sia arrabbiata con noi.
    - Perché? Emily non potrebbe mai essere arrabbiata con noi…
    Fece spallucce. – Nessuno è andata a salutarla… nessuno ha voluto vedere il suo corpicino privo di vita…
    - Non è vero… - intervenne Morgan scuotendo il capo lentamente. – Io e Reid avevamo chiesto di vederla, ma il medico non ce l’ha permesso.
    - Come mai? – Penelope voltò il capo quando bastava per osservarlo in viso.
    - Al momento ce lo siamo chiesti anche noi… abbiamo insistito, ma non c’è stato nulla da fare. Ci siamo arresi e siamo tornati da voi in sala d’attesa. Non abbiamo detto nulla, non aveva importanza in quel momento…
     
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    Capitolo 2

    Ore 2.20 am, 15 giugno 2011
    Directorate of CIA, Langley, Virginia




    - Operazione Valhalla. – mormorò un uomo seduto ad un’ampia scrivania di mogano nero posando i gomiti sulla superficie liscia mentre osservava lo schermo del suo pc dove venivano proiettate le immagini di un uomo rinchiuso in una cella di detenzione.
    Vestiva con una divisa militare meticolosamente inamidata, lo sguardo duro e due occhi grigi e vispi che osservavano ogni mossa dell’uomo.
    Alle sue spalle, una donna osservava lo stesso schermo con le braccia conserte. Anch’ella indossava una divisa militare ed i capelli erano raccolti in uno ciniong fissato sulla nuca. – Di nuovo. – commentò la donna. – Questa volta dobbiamo distruggerlo. Non lo voglio vivo, ma morto.
    - Tutti lo vorrebbero vedere morto, Generale. – l’uomo fissò la donna. - Il riarmamento della JTF-12 è impossibile, la maggior parte dei suoi componenti sono morti e le agenzie estere non vogliono collaborare ad una nuova operazione.
    - Hanno lasciato tutto nelle nostre mani. CIA e Sicurezza Nazionale dovranno collaborare questa volta, Grahams.
    Il Generale della Sicurezza Nazionale rise. – Nonostante questo mi lascia perplesso e poco incline ad accettare, non abbiamo scelta. Per questa volta depositeremo le armi e ci alleeremo.
    Il Generale Backman, una donna tutta d’un pezzo a capo della CIA, si sedette su una sedia davanti al collega della Sicurezza Nazionale. – Ho collaborato inviando sul campo i miei migliori agenti.
    - L’agente Karinna Sanders è perfetta. Silenziosa, intelligente, ottima profiler. Sarà all’altezza della situazione.
    - Clyde Easter è un veterano. Lavorava già per la JTF-12, si è offerto per il reclutamento, come del resto, sapevate Generale.
    - Rapporto su Alexandra Coburn. – l’uomo prese due fotografie di due donne dai capelli castani e gli occhi scuri e osservò meticolosamente la prima. – Per Coburn e Sanders è rischioso. Loro sono già venuti in contatto con Valhalla, potrebbero essere riconosciute.
    - Coburn è fredda, meticolosa. Sa fare la spia meglio di tutte le mie reclute. È la migliore nel suo campo, non fallirà. – fece una pausa e riosservò l’uomo sullo schermo alzarsi in piedi e camminare per la cella in preda ad uno stato di panico generale. – Ho parlato con l’agente Coburn. Penseranno lei e l’agente Clyde alla sorveglianza mentre gli agenti Sanders e Miller penseranno a distruggere le loro tracce. Nessuno saprà mai che i nostri agenti hanno partecipato al Join Security Summit ne della loro permanenza a LA.
    - Ottimo. – esclamò il Generale Grahams sistemandosi la cravatta. – Coburn e Clyde prenderanno un jet fra un’ora. Giungeranno a destinazione nel giro di sei ore. Il nostro distaccamento italiano ha già avvisato i soggetti.
    - Speriamo che la missione abbia successo, per stasera abbiamo ottenuto ottimi risultati. Non ci aspettavamo di meglio.







    Note: il secondo capitolo non è ancora finito^^
     
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    Ore 12.25 am, 15 giugno 2011
    Torino, Italia



    - Il concetto di limite serve a descrivere l'andamento di una funzione all'avvicinarsi del suo argomento a un dato valore. – disse il professore alla classe mentre i ragazzi aspettavano con impazienza che l’orologio appeso al muro segnasse le 12.30 che segnava il suono della campanella per la fine delle lezioni. – Non calcola il risultato reale, ma quello più probabile. Esempio: se siete sulla Torino-Venezia il limite vi dirà che state andando a Venezia. – il docente, un uomo grassottello dai capelli castano corti iniziò a scrivere alla lavagna.
    - Ma se io poi non ci vado a Venezia? – chiese una ragazza bionda mentre gli altri compagni di classe la fulminavano con lo sguardo.
    - Hai ragione, Martina. Perché il limite non vi dice dove la funzione andrà ma dove sta andando.
    In quel istante suono la campanella che liberò dall’incombenza della matematica i giovane studenti della terza liceo.
    - Ehi ehi, aspettate! Compiti a casa per domani!
    - Ma professore, mancano tre giorni alla fine della scuola! – protestò un ragazzo dalla carnagione chiara e splendidi capelli biondo platino mentre rimetteva nello zaino i libri di matematica.
    - Vabbè. Niente compiti. Ragazzi ringraziate Hope! Ma sappi che – si girò per scrivere alla lavagna – il limite tuo per il mese di giugno è che prenderai 2 in matematica in pagella.
    Tutti scoppiarono a ridere, anche il biondino che, imperterrito, continuò a ritirare la sua roba.
    Nel giro di pochi minuti, un’immensa fiumana di giovani ragazzi usciva dal liceo classico di Torino per dirigersi alle proprie abitazioni.
    Il ragazzino rimase fra la folla il tempo necessario per intravedere una punto rossa che lo aspettava. Si diresse verso di essa continuando a guardarsi intorno come se fosse preoccupato di essere seguito da qualcuno. – Mamma… - disse spalancando la portiera.
    La donna sorrise al figlio con uno sguardo malinconico. – Sbrigati tesoro, dobbiamo muoversi.
    Lui ubbidì e salì in auto buttando dietro lo zaino senza curarsi del fatto che si era rovesciato. – Sono già arrivati?
    La donna, una signora sui cinquantenni dai capelli castano chiaro mossi, annuì. – Sono già a casa, stanno preparando la tua roba. – il tono della voce era triste e per nulla sereno come se non volesse che tutto questo accadesse.
    - Dai, mamma. Starò bene, poi si tratta di poco tempo.
    - Hai ragione, Nate. Starai certamente meglio che con me…
    La donna mise la prima e si immise nel traffico decelerando ogni volta che vedeva un’auto sbucarle davanti. Andava piano, come se non volesse riaccompagnare il figlio a casa.
    - Mamma, a questa velocità anche un cane ti supererebbe. Vuoi accelerare?
    - S-si. Hai ragione, Nate. – la donna fece come le aveva detto il figlio e accelerò mettendo finalmente la quarta. Parcheggiò in garage l’auto come faceva tutti i giorni e come le era stato detto di fare: non doveva cambiare le sue abitudini.
    Nate scese dall’auto, si diresse in casa buttando lo zaino per terra ed andò in salotto. Lì trovò due persone sedute sul divano. Non le riconobbe, ma sapeva bene che facevano parte della protezione testimoni. – Buongiorno.
    - Ciao Nate – disse la donna alzandosi in piedi. – Sei pronto?
    Lui annuì. – Dove mi porterete?
    L’uomo si alzò ed andò accanto alla collega – Purtroppo non possiamo dirtelo, lo vedrai appena arriveremo a destinazione. Io sono l’agente Easter, lei è l’agente Coburn.
    Nate strinse la mano solo alla donna, mentre si sentì intimorito dall’agente Easter senza motivo. – Posso chiedervi una cosa?
    Alex annuì.
    - Mi assicurate che mamma sarà al sicuro?
    - Una squadra di agenti della CIA la sorveglierà notte e giorno, non le accadrà nulla.
    - Posso fidarmi di voi? – chiese.
    La donna sorrise. – Certo.
    - Agente Coburn. – si intromise la madre di Nate entrando nel salotto in ciabatte. La donna osservò Alex che vestiva con un tailleur nero ed una camicia azzurra. Portava gli occhiali da sole come cerchietto ed un paio di orecchini di perle ai lobo. – Da donna a donna. Si occupi di mio figlio.
    Annuì sommessa. – Si fidi, signora Hope. Lei continui la sua vita, non cambi nulla e se dovessero chiederle dov’è Nate, risponda…
    - … che è partito per raggiungere mio marito a Francoforte. Lo so. – il tono della donna era intriso di pianto. – Nate… - si avvicinò al figlio prendendogli il viso fra le mani. – Sai che ti amo, bambino mio. Abbi fede. Presto tutto sarà finito e noi… noi potremo stare insieme.
    Il ragazzo abbracciò la donna con tutta la forza che aveva in corpo – Mamma stai tranquilla. Ci rivedremo presto.
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane - pronunciato 'Lein'). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.


    Capitolo 3

    Ore 2.20 pm, 16 giugno 2011
    BAU, Quantico, Virginia




    - Agente Hotchner, agente Jereau. – li richiamò un medico uscendo dalla sala operatoria e raggiungendoli con passo silenzioso. Indossava ancora il camice blu da sala e si stava levando la mascherina da davanti agli occhi.

    - L’intervento è andato bene. Ha perso molto sangue ma grazie alla prontezza del centro trasfusionale siamo riusciti a salvarla. Ora è in terapia intensiva, non posso farvela vedere, è troppo debole. Mi dispiace.

    - Dottore… - disse JJ avvicinandosi a lui mentre lanciava un’occhiata malinconica al di fuori della presala dove il team piangeva sconvolto. – In qualità di supervisore alla difesa, devo chiederle di eliminare i documenti riguardanti l’intervento dell’agente Prentiss.

    - Ciò che mi sta chiedendo potrebbe avere ripercussioni sulla mia carriera.

    - Se non fa ciò che le stiamo chiedendo potrebbe avere ripercussioni anche su quella donna. – si intromise Hotch piuttosto duro. – Sappiamo bene che è una situazione difficile, ma se quella donna non verrà considerata morta dal mondo morirà realmente.

    - Capisco, Agente Hotchner. Abbiamo già stilato la cartella clinica ondine, mi occuperò io stesso di cancellare i dati, ma dovrò mettere al corrente anche il Direttore.

    - Su questo non deve preoccuparsi. – JJ lo tranquillizzò. – A questo penserà il dipartimento di difesa.

    - Quando potrò vederla? – chiese Hotch.

    - Appena si sarà ripresa dall’intervento. Domani credo.

    Hotch guardò JJ e sospirò. – Penserò io a darle tutto l’occorrente, tu prepara il…

    -… funerale. – terminò lei abbassando lo sguardo. Estrasse il cellulare e cercò un numero nella rubrica, poi si recò verso le scale per telefonare.

    - Hotch… - la voce di Garcia lo risvegliò dallo stato di catalessi in cui era piombato.
    - Dimmi Garcia – si riscosse.
    - Tutto bene?
    - Si, si. Novità?
    La donna entrò dalla porta e diede dei fascicoli all’uomo – Ecco, sono arrivate queste. La polizia di Los Angeles chiede il nostro aiuto.
    Hotch prese il piccolo di fogli ed uscì dal suo ufficio seguito da Garcia – TUTTI IN RIUNIONE, SUBITO! – urlò al team che sostava in sala relax.
    Nel giro di pochi minuti, nella sala riunione sedevano Rossi, Derek e Reid, tutti quanti con un caffé fumante in mano.
    - Di Ronnie non si sa nulla?
    Fu Rossi a rispondere. – Ha preso qualche giorno di permesso, l’ho chiamata e mi ha detto che non riesce a tornare per tempo, ma di mandarle per mail tutte le informazioni sul caso in tempo reale. Ci darà una mano come potrà.
    - Quella ragazza è una grande. – esclamò Morgan con un sorriso. Poi si rivolse a Garcia – Che abbiamo?
    - La polizia metropolitana di LA ci ha chiesto un aiuto, sono scomparse tre persone nel giro di una convention. – inizio consegnando i fascicoli agli amici. – Il 14 maggio, l’altro ieri, a LA c’è stato il Join Security summit, uno speciale convegno sulla sicurezza internazionale. Hanno partecipato delegati provenienti da tutto il mondo ed hanno presentato i nuovi programmi di sicurezza mondiale. Al convegno dovevano partecipare un sacco di persone e, tre di loro, sono scomparsi inspiegabilmente dopo una strana interruzione del discorso di uno dei testimoni del progetto: Arthur Filips.
    - Testimoni?
    - Nessuno, Dave. Almeno è quello che hanno detto gli agenti di sicurezza presenti quella sera.
    - Com’è possibile che nessuno abbia visto tre uomini sparire? Ci deve pur essere qualcuno che ha visto qualcosa, insomma era una convention mondiale, ci saranno state centinaia di persone.
    - Vero, morgan. Ma molti di essi sono ritortati nei loro paese già dal mattino seguente e la polizia non può permettersi di accusare o interrogare dei delegati di altri Stati senza una motivazione più che valida. – spiegò Hotch sfogliando il fascicolo e leggendo i nomi di tutti gli invitati. – C’erano 294 invitati fra delegati, presidenti di multinazionali, forse dell’ordine. Un’impresa interrogarli tutti.
    - Gli agenti di guardia non hanno visto nulla di strano?
    Garcia scosse il capo. – Solo l’allontanamento dal palco di Arthur Filips. Ha ricevuto una telefonata ed è sparito dal palco per mezzora, durante la quale hanno visto cinque uomini allontanarsi senza motivo, al suo ritorno tre di loro sono spariti.
    - È stato interrogato?
    - torchiato per una notte intere, bambolino mio. Ma non si è Lasciato scappare nulla. Dicono che sia pulito, ma non è riuscito a dirci chi l’ha chiamato e dov’è andato durante la sua assenza.
    Reid corrugò la fronte. – Strana come reazione. Chi fa un discorso davanti al pubblico spegne il cellulare di solito…
    - Garcia fatti mandare il numero del cellulare e scopri da chi ha ricevuto la telefonata. Torchia per bene ogni sua mossa. Aereo fra meno di mezzora, si va a Los Angeles. Reid chiama Ronnie ed aggiornala. Dille che se non ha nulla da fare può raggiungerci.
    Hotch uscì dall’ufficio lasciando i colleghi ancora dentro a scambiarsi pareri ed opinioni. Si recò nel suo ufficio e preparò la borsa. Con un gesto veloce prese una cornice che aveva riposto delicatamente in un cassetto e la osservò.
    Raffigurava il team al completa durante una delle loro cene al giapponese: erano felici, sorridevano. E c’era anche lei.
    - Emily… - mormorò. Socchiuse gli occhi, li schiuse.
    Mise la cornice nella sua borsa ed uscì dall’ufficio chiudendo a chiave la porta dietro di se.
     
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    Capitolo 4

    11.20 pm, 16 giugno 2011
    Santa Monica, California




    - Siamo felici che l’operazione sia andata a buon fine, Agenti. La protezione di Nate Hope ha la priorità assoluto – disse il Generale Backman in videoconferenza mentre i due agenti erano in piedi dinanzi al computer. – Adesso dov’è il ragazzo?
    - A riposare, Generale. Era stanco per il viaggio e per il fusorario. – rispose Clyde sull’attenti.
    - Il fatto che Drake Person era presente alla Convention ha creato problemi e distrutto i nostri piani. Pensavamo di distruggerlo durante il convegno, ma purtroppo siamo stati raggirati dai nostri informatori.
    - Abbiamo tre dei cinque anziani, Generale. Un ottimo risultato.
    - Ha ragione, agente Coburn. – annuì mentre il Generale Grahams si sistemava alle spalle della donna per partecipare alla videoconferenza. – Ho un altro compito per voi. C’è un trafficante di armi a Santa Monica, viene chiamato Ásgarðr, le nostre fonti ci dicono che lavori per Doyle. È astuto, non consociamo la sua identità e l’ultimo contatto conosciuto è avvenuto un anno fa a Londra da parte del M16. poi è scomparso.
    - Se si farà vedere all’asta potremmo arrestarlo. – esclamò Alex posando una mano sul fianco e controllando che Nate non si svegliasse lanciando uno sguardo verso la sua camera.
    - Non sarà così facile, - intervenne il Generale Grahams – non sappiamo quale sia il suo aspetto, non ci sono foto. Nessuno che l’abbia visto è sopravvissuto per raccontarlo.
    - Dovremmo portarci, Nate. Lui magari l’ha incontrata.
    - Sai matto? – sbottò Alex guardando Clyde negli occhi – È un ragazzino spaventato! Come vuoi che ci possa aiutare?
    - Le uniche informazioni potrebbe averle lui, Alex.
    - Negativo. Non sono d’accordo. È troppo pericoloso, non ha esperienza sul campo, ne addestramento.
    - Oh, Alex è soltanto un asta!
    - Bene. Basta. Ho sentito abbastanza. – il Generale Backman chiese il silenzio alzando la voce. – Mettetelo sul campo. Hope parteciperà all’asta e controllerà che non ci sia qualcuno che riconosce. - detto ciò chiuse la comunicazione e la conferenza si spense.
    - Ehi, ehi – esclamò il ragazzo sbucando in boxer e maglietta bianca dietro i due agenti. – Cosa dovrei fare io?
    - Nate! Cosa fai sveglio? – chiese Alex avvicinandosi al ragazzino. – Hai sentito tutto?
    - Quello che bastava.
    - Mi dispiace, Nate…
    - Come mi devo vestire?? – sorrise poi assumendo un’espressione eccitata che fece impallidire la donne e scoppiare a ridere Clyde. – Cioè vanno bene le AllStar o metto le Nike?
    Alexandra alzò gli occhi al cielo sentendosi in minoranza in mezzo a due uomini appassionati di armi e lotta libera – Ti noleggerò uno smoking.
    - Oh, grazie mille! – sorrise – Ehi, come sapete la mia taglia?
    - Dalla ricevuta che dell’abito che hai noleggiato per la cresima. – bisbigliò Clyde cercando di non farsi sentire dalla donna. Lei lo osservò ringhiando, ma non aggiunse altro. – Scherzavo! – esclamò dopo aver visto la faccia perplessa del ragazzino. – Te lo chiederemo no?
    - Oh. Ah! Ok. Questa è la mia prima incursione nel fantastico mondo delle spie, ti pregherei di essere meno sarcastico, Clyde. Grazie! – borbottò sedendosi sul divano e sventolando la mano davanti al viso. - …e poi come potete essere certi che possa riconoscere il trafficante? Cioè… non mi ricordo nemmeno il volto della donna che mi ha salvato la vita! Abbiamo una foto?
    Alex assunse un’espressione turbata, corrugò la fronte e si girò andando verso il computer per spegnerlo. – Se ce l’avessimo tu non serviresti, tesoro.
    - Di cosa vi ho appena pregato? Di non prendermi in giro!
    - Ok. Scusa, ma il genio che ho accanto – iniziò Alex – ha pensato che tu, probabilmente, potresti avere avuto contatti con questo trafficante. Tuo padre potrebbe aver incontrato il nostro uomo quando era assieme a te.
    - Speriamo che appena tu lo veda ti venga in mente qualcosa di utile.
    - Non posso promettervi nulla… - si alzò dal divano grattandosi la schiena. – Ora, se permettete ed avete terminato di gridare, me ne tornerei a letto. – e si avviò verso la sua stanza dove si chiuse dentro.
    Alex accarezzò con un gesto automatico il ciondolo che portava al collo, una catenina d’argento con un ciondolo tondo e piatto. Si tolse la collana e la prese fra le due mani. Schiacciò un gancino ed il ciondolo si aprì magicamente. Dentro c’era una minuscola fotografia di un gruppo di persone sorridenti. Richiuse il ciondolo non appena Clyde le andò accanto.
    - Non ti credevo nostalgica.
    Lei si alzò dalla sedai senza rispondergli. – Vado a letto, sei pregato di non entrare nella mia camera.
    - Agli ordini, capo. Io mi metterò qui sul divano, devo pulire le pistole prima di andare a letto.
    - Non spararti in un piede…
    - Per chi mi hai preso, bellezza?
    - Non si sa mai. – si avviò verso le scale e salì al piano di sopra.
     
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  7. Emily†
     
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    Capitolo 5

    17 giugno 2011
    LA, California




    - Richard Conley, Robert Harry Every e Jason Hock. Sono i nomi dei tre uomini scomparsi il 14 giugno. – elencò Garcia leggendo le informazioni al computer.
    - Possiamo avere una lista di tutti i partecipanti alla convention?
    - Già fatto, piccolo Reid, e già inviati sui vostri bei palmari. Fra di loro ci sono delegati di ogni paese, persino dall’Australia!
    Spencer estrasse il suo cellulare ed aprì la mail trovando un documento con più di otto pagine che si apriva sullo schermo. – Fantastico… dovremmo controllare tutti questi nomi.
    - Ho detto che non possiamo interrogarli.
    - Lo so, Hotch. Ho capito. Ma almeno controlliamo se tutte queste persone hanno partecipato o meno alla convention.
    - E cosa potrebbe servirci?
    - Chi non ha partecipato è chiaramente insospettabile. – sorrise. Dopodichè usci dall’ufficio per andare a fare un raid veloce delle informazioni.
    - hotch, ho fatto come mi aveva chiesto e la telefonata al cellulare di Arthur Filips proveniva dal quinto piano dell’edificio, stanza 36.
    - Ovvero, bambolina?
    - L’ufficio del dirigente.
    - Ottimo. Garcia ribalta le vite dei nostri uomini. Voglio sapere tutto di loro. Lavoro, dove vivono, se sono sposati, se si conoscevano e chi frequentavano.
    - Yes, capo! Mi metto subito all’opera, pasticcini miei.
    Hotch alzò gli occhi al cielo e se alzò dalla sedia assieme a Rossi. – Noi due andiamo dal direttore dell’ufficio 36 e vediamo cos’ha da dirci.
    L’edificio non distava molto dalla centrale di polizia dove si era appostata la squadra, così impiegarono circa quindici minuto di strada. Parcheggiarono vicino all’ingresso e si presentarono con tanto di badge alla recepitone.
    La donna, una signorina bionda tutta composta, sgranò gli occhi. Era incredula, l’FBI non si vedeva tutti i giorni. – come posso aiutarla?
    - Ci sa dire di chi è l’ufficio 36 al quinto piano?
    - Certo. Jonah Raz, il direttore commerciale dell’azienda. È in ferie adesso.
    - Dobbiamo vedere l’ufficio.
    La donna prese le chiavi deposte in un cassetto – Seguitemi.
    Presero l’ascensore e salirono fino al quinto piano dove si stendeva una tappezzeria rosso sangue che arrivava fino all’entrata dell’ufficio.
    Era una stanza arredata in stile moderno, nera e bianca, con alcuni mobili tinti di rosso platino. La scrivania era in ordine e tutto pareva essere intatto.
    - Chi ha accesso a questo ufficio? – chiese Rossi avvicinandosi alla vetrata che dava sulla strada trafficata.
    - Solo il signor Raz e la sua segretaria.
    - Dove sono adesso?
    - Sono in vacanza, Agente Hotchner. Joseh Raz è sposato con la sua segretaria da diversi anni. Si sono presi un mese di ferie e sono partiti per Strasburgo.
    - Quando?
    - Una settimana fa.
    Hotch annuì e si avvicinò al telefono. – Se hanno chiamato da qui significa che potrebbero esserci impronte…
    - Se permettete… la polizia scientifica è già venuta qui a prelevare le impronte. Ieri, si. Lo ricordo perché ho aperto io l’ufficio, agenti.
    - Signorina Myers, era presente la sera della convention?
    La donna annuì timidamente. – Si. Ero presente. Lavoravo al controllo badge.
    - Controllava se gli invitati erano sulla lista?
    - Esattamente.
    - Ha notato qualcosa di strano? – chiese Rossi guardandola negli occhi. – Di insolito?
    Scosse il capo. – No, non credo… o forse… - rimase un istante pensierosa, poi si riscosse. – No, scusate. È solo una sciocchezza… davvero…
    - Questo spetta a noi deciderlo. - freddo, Hotch intimorì ulteriormente la donna.
    - Ho già informato la polizia, ma mi hanno detto non essere interessante come notizia…
    - Ce ne parli ugualmente - insistette con più dolcezza Rossi che, nel frattempo, aveva ricomposto l’ultimo numero fatto dal telefono e riscontrando che era proprio quello di Arthur.
    - Beh, uno dei delegati russi è stato cambiato all’ultimo momento. Al posto di Sasha Julija, si è presentata Irina Kornikova. E mi è parso strano dato che, solitamente era sempre Sasha a partecipare a questi eventi.
    - Invece ha fatto bene ad avvisarci. Sa il motivo di questa modifica?
    - No, mi dispiace. Io controllo le liste degli invitati e ricevo le mail di conferma. Quest’anno c’erano parecchi russi, ma nulla di strano. Solitamente sono i più presenti a questi convegni.
    - Hotch, potrebbe essere lei il nostro S.I.
    - Non acceleriamo le cose. Controlliamo il motivo per cui Irina Kornikova ha partecipato al posto di Sasha Julija.
    Detto ciò ringraziarono la donna e ritornarono alla basa dove il team stava lavorando sulle liste di presenti alla convention. Morgan stava maledendo Reid per quello sporco lavoraccio, mentre Garcia trafficava senza sosta sui suoi ultra pc sofisticati.
    Al ritorno di Rossi e Hotch, dopo un’oretta di assenza, Reid e Morgan non erano nemmeno a metà ed erano riusciti a trovare solo quattro tedeschi e due ucraini che non avevano partecipato al convegno.
    - Abbiamo scoperto che al posto di Sasha Julija ha partecipato alla convention Irina Kornikova. Controllate se il nome è presente.
    Reid ripercorse velocemente la sfilza di nome – Ecco. Irina Kornikova, delegata russa. Assieme a Veruna Ulijanov, Vladimir Ivanovich e Zaccarij Aleksandrovich. Qui però… - continuò – ci sono altri tre partecipanti..
    - La dipendente che ha lavorato per il convention ci ha avvisato che i russi erano in parecchi, quest’anno – fece notare Rossi. – Non possiamo nemmeno chiedere spiegazioni perché vige il segreto di Stato. Parrebbe un complotto e non mi sembra il caso di creare ulteriori problemi.
    - No. Evitiamo di tirare in mezzo altre Nazioni. Soprattutto la Russia. – mormorò Hotch. – Cerchiamo nell’archivio di Stato se ha già partecipato a qualche convegno qui in America.
    - Secondo me il nostro S.I. è un uomo. – intervenne Reid – e, soprattutto, non è solo.
    - Il ragazzino ha ragione. Sono spariti tre uomini. Ho il nostro uomo era da solo e ne ha catturato uno per volta oppure erano più di due.
    - Una banda intendete?
    - Si, Hotch.
    - Basta contare: - Morgan prese una penna ed iniziò a scrivere alla lavagna con il pennarello – Un S.I. ha telefonato ad Arthur Filips. Uno si è occupato di controllare quando i tre uomini hanno lasciato la stanza, un altro li ha seguiti e con l’aiuto di due complici li ha catturati. – finì di scrivere tutto e poi si voltò verso il supervisore. – Quattro, forse cinque uomini.
    - Per cui sono organizzati, meticolosi. Avevano già un piano da svolgere alla lettera. – Rossi si sedette sulla sedia prendendo un foglio per riscrivere ciò che Derek aveva messo sulla lavagna.
    - Ehi ragazzi! – urlò Garcia comparendo all’improvviso dal suo bunker – Ho trovato qualcosa! I nostri tre amici non erano poi così angioletti come volevano far vedere.
    - Cosa intendi, Garcia?
    - Cuccioletto, lasciami parlare. – fece l’occhiolino a Derek – Vuol dire che non erano veri e proprio uomini d’affari ma lavoravano per un’organizzazione che trafficava armi import/export con il Paraguay. Ho cercato di tracciare la rotta delle armi, ma tutto finisce all’arrivo in Paraguay. Probamente da lì partivano gli scambi in tutto il mondo.
    - Dove l’hai scoperto? – chiese Hotch alquanto sorpreso da quella notizia.
    - Ho ficcanasato nei loro pc e palmari. E conti bancari, vabbé – sorrise – Anche nei loro conti bancari. Ogni tre settimane ricevevano sul loro conto circa sette mila dollari a testa.
    - Quindi si conoscevano.
    - Questo non l’ho ancora scoperto. Non c’è nulla che li unisca, a parte le foto scattate alla convention, però è morto strano: stesso giorno, stessa quantità di soldi su tutti e tre i loro conti? – Garcia si grattò la testa. – Ok. Adesso scoppio. Chi vuole un gelato? Conosco una gelateria fantastica a Santa Monica!
    - Penelope è a mezzora da qui!
    - Amorino, nel frattempo possiamo pensare al caso! Andiamo! Su!
     
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  8. Emily†
     
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    Capitolo 6

    17 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - Nate non puoi uscire di casa da solo, ne abbiamo già discusso! – si oppose Alex mentre il ragazzino di sedici anni sedeva imbronciato con le braccia conserte sulla sedia del tavolo della cucina.
    - Sono due giorni che mi tenete prigionieri qui, voglio uscire di caso! Non avrei mai pensato che avrei rimpianto la scuola! – protestò mentre Karinna entrava nella cucina.
    Alex la salutò con un cenno della testa mentre sorseggiava il suo caffé fumante – Alex, non sei qui in vacanza. Forse non ti sei ancora reso conto che sei in pericolo! Tuo padre potrebbe trovarti!
    - Quello non è mio padre! È un gran bastardo! – si alzò di scatto. – Se davvero mi avesse voluto bene non sarebbe diventato un trafficante!
    Alex chiuse gli occhi allontanando quel triste ricordo dalla mente, sospirò piano ricercando la calma dentro di se, poi sorrise. – Se mi prometti di starmi accanto e non andare in giro da solo, andiamo a prender un gelato.
    Karinna la osservò stupita mentre prendeva dal frigorifero un succo di lamponi – Sicura? La Backman ha detto niente uscite.- Lo so. – Alex guardo Nate – Ma lui ha ragione. Non può restare chiuso in casa in eterno e poi tanto, questa sera, ci sarà l’asta e dovrà partecipare.
    - Conosci già la tua copertura? – chiese karinna sedendosi accanto a lui.
    - Si, Clyde sarà mio padre, lei sarà mia madre: una professoressa di spagnolo in vacanza a Santa Monica. Noi siamo inglesi. – recitò guardando Alex negli occhi per vedere se aveva ricordato tutto quanto.
    - Perfetto. Allora andiamo – Alex prese le chiavi della macchina e si avviò verso la porta. – Non più di un ora.
    Il ragazzo esultò felice saltellando ad abbracciare la donna che gli sorrise contenta. Uscirono di casa nel caldo del pomeriggio e salirono sulla decappottabile rossa di Clyde che sostava spenta nel vialetto.
    Alex salì in auto posando la borsa sul sedile posteriore e mise in moto. Fortunatamente notò che l’auto aveva il cambio automatico, odiava cambiare le marce, così mise la prima e schiacciò l’acceleratore.
    Partirono in gran velocità verso il centro di Santa Monica dove, di certo, sarebbero stati più al sicuro che in un luogo isolato. Aveva fatto indossare un cappellino a Nate per nascondere i suoi bei riccioloni biondi e lei aveva indossato un paio di occhiali da sole neri che le fasciavano il viso magro.
    - Vuoi un gelato allora?
    - Preferisco un frappé al cioccolato.
    La donna rise - Vada per il frappé. – ricordava la passione del bambino, ormai cresciuto, per il cioccolato.
    Parcheggio in un posteggio vicino al centro, chiuse l’auto con la chiave e recuperò la sua borsa.
    S’incamminarono per le vie della città, fianco a fianco. Alex, ogni tanto, si guardava attorno per controllare che tutto fosse normale e teneva, di nascosto, una mano sulla chiusura della borse che conteneva la Browning Baby. La Calibro 9, invece, era custodita nella fondina dietro i jeans.
    - Stasera potrò avere anch’io una pistola?
    - Stasera potrai avere solo le caramelle, Nate.
    - Ehi, non vale! Perché voi si ed io no? Anche io voglio fare la spia…
    - Tesoro, cammina senza guardarti attorno e smettila di parlare di spie – gli disse fra un sorriso ed una smorfia di disappunto. – Cerca di comportarti normalmente, come se stessi in giro con tua madre. So di non essere Louis, ma cerca di fare finta.
    - Però è come se lo fossa… mi hai ridato la vita…
    Alex si fermò di colpo osservando il ragazzino camminare davanti a lei. Non disse nulla, rimase in silenzio e riprese a camminare. Attraversarono la strada per entrare in centro e s’immersero fra la folla.
    Si fermarono poco lontano in una gelateria in 66 street dove Nate si volle sedere per assaporare il gelato senza problemi.
    Il cameriera li raggiunse in poco tempo per ritirare le ordinazioni – Cosa volete?
    - Due frappé al cioccolato! – chiese Nate.
    - No, io nulla, grazie!
    - Invece si. Due frappé al cioccolato.
    - Ok. – il cameriere scrisse e andò via con le ordinazioni.
    Alex guardò il ragazzino – Sei proprio cocciuto!
    - Avanti, tanto lo so che ti piace il cioccolato!
    - Può anche essere.
    - Sei un agente della CIA – sussurrò – non sei mica un extraterrestre a cui non può piacere nulla. Un gusto non determina chi sei.
    - Oh, ma sentilo! – rise sistemandosi i capelli – Come siamo filosofi, Nate.
    Il cameriere portò i due frappé ed Alex pagò subito il giovane. Bevvero il frappé lentamente come se volessero assaporare la freschezza di quella bella giornata di giungo.
    Ad un tratto, senza motivo Alexandra non poté far a meno che guardarsi attorno attirata da qualcosa che nemmeno lei riuscì a decifrare.
    Se sentiva osservata e la cosa non la rilassava per nulla. – Nate… alzati… - mormorò lentamente sistemando gli occhiali da sole e poi aggiustando il cappello in testa al ragazzo.
    - Che succede? – domandò preoccupato. – non abbiamo finito i frappé!
    - Alzati. – lei lo prese per un braccio, racimolò la borsa e s’immersero nuovamente fra la folla accelerando il passo per raggiungere la macchina.
    - Alex, mi spieghi che succede?
    - No, Nate. Muoviti, torniamo a casa.
     
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  9. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.



    Capitolo 7

    17 giugno 2011
    Los Angeles, California




    Garcia scese dal SUV mettendo la borsetta gialla a tracolla e sistemandosi il vestitino verde pisello che le scendeva fino alle ginocchia.
    Camminò a fianco di Morgan che era impegnato ad aggiornare Ronnie a telefono in vivavoce. – Hai segnato tutto, piccola?
    - Per chi mi hai preso? Certo che ho segnato tutto ed appoggio a pieno la vostra teoria.
    - Quella del gruppo di S.I.? – si intromise Reid.
    Stavano camminando in gruppetto seguendo Garcia verso la speciale gelateria che la donna aveva insistito a raggiungere.
    - Da quello che Penelope ha detto erano tre uomini piuttosto forti. Il nostro S.I. non avrebbe potuto tenere a bada tre uomini, è impossibile! Anche se fosse stato un campione di Wrestling. – fece una piccola pausa per sorseggiare qualcosa da bere mentre si sentiva il suo continuo digitare su una tastiera – Sono un gruppo di S.I., secondo me più di cinque.
    - Quindi sono un’organizzazione… - ripeté Morgan riflettendo velocemente.
    - Ma pasticcino – la voce di Garcia risuonò acuta e gioviale – come hanno fatto ad entrare al convegno?
    - Come invitati. – rispose Ronnie senza troppo preamboli.
    - Ci stai dicendo di indagare fra gli invitati alla convention?! – esclamò Rossi – Sai che bomba diplomatica potrebbe scoppiare se gli alti Stati venissero a sapere che accusiamo i loro delegati?
    - Oh, dai Dave! Garcia è un genio in queste cose. Come ficcanasa lei non ficcanasa nessuno, ti pare che potrebbero mai beccarla?
    - Puoi dirlo forte, raggio di sole. Sono il dio dell’informatica, il vostro! Potrei battere persino Bill Gates se solo ne avessi il tempo! E beh… i soldi che ha lui… chiaro…
    Ronnie fece sentire la sua bella risata da ragazza in vacanza – Ora vado.
    - Dove?
    - Ho un appuntamento, Morgan. Geloso?
    - Io? Ma va’! – esclamò, poi aggiunse: - Con chi?
    - Bagno turco!
    - Infame! – concluse la telefonata riattaccando il cellulare senza salutarla: era troppo geloso del paradiso in cui si trovava la giovane.
    Il team si sedette ad un tavolino di un bar che dava sul centro della città dove un cameriere in divisa bianca stava sparecchiando un tavolino poco distante a loro. Il bar era un posticino accogliente, piuttosto grande e pieno di bambini che mangiavano il gelato assieme ai loro genitori o nonni.
    Garcia estrasse dalla sua borsa il suo inseparabile pc portatile e lo aprì davanti a se lasciando tutti a bocca aperta per la meticolosità della donna. La biondina lo accese e, mentre giocherellava con le caramelle che aveva per orecchini, aprì l’archivio che stava consultando in ufficio. – Bene. Per cui volete che indaghi su tutti gli invitati del convegno? Sapete che potrei metterci una vita e mezza? No, forse non basterebbe nemmeno.
    - No, Garcia – la tranquillizzò Hotch. – Dobbiamo prima restringere la cerchia. Iniziamo ad indagare per bene sui nostri tre uomini, a fondo, intendo.. e su Arthur Filips. Non so perché quell’uomo non mi piace.
    - e chi ti piace a te… - sussurrò fra se e se la tecnica informatica. Soltanto Rossi la sentì e dovette far finta di tossire per evitare di scoppiare a ridere.
    - Cosa vi posso portare? – domandò il cameriere avvicinandosi a loro dopo qualche minuto di attesa.
    Fu Hotch ad ordinare per tutti. Sapeva già che cosa gli amici e colleghi avrebbero preso – Quattro caffè, grazie e… - guardò Garcia i quali occhi diventarono piccole stelline luminose e luccicanti.
    - Allora, io prendo un caffé con tanta panna montata e schegge di cioccolato fondente, poi una brioche con gelato alla fragola e al pistacchio.. così si intona al mio vestito!
    - Salute! – mormorò Morgan – Non hai paura del grasso in eccesso?
    - Si chiama tessuto adiposo, Morgan. Scientificamente è un ammasso di…
    - Eh, Redi! Sicuro che non vuoi anche tu un gelato? – lo zittì Hotch cercando di non far iniziare il solito tormento che Reid voleva propinare al team in qualità di dottore modello.
    - No, non lo voglio! Perché non mi ascoltate mai quando parlo? – protestò mentre il cameriere andava via con le ordinazioni.
    - Tu parli sempre Reid.
    - Non è vero, Dave io spiego che è diverso. Io cerco di aprirvi la mente a dati scientifici, a lezioni di statistica avanzata e…
    - Si, abbiamo capito. Ma dall’altezza del tuo QI non ha compreso che a noi non ci interessa – gli sorrise Morgan sornione mentre il cameriere ritornava con i cinque caffé ed il cornetto gelato per Garcia.
    Rossi sogghignò e Hotch distolse lo sguardo per non farsi vedere ridere. Penelope, invece, parve non ascoltare.
    Aveva posato lo sguardo sui tavolini del bar attiguo ed un senso di inquietudine le aveva reciso tutta la sua attenzione.
    - Ehi bambolina, la tua brioche è qui, non la vuoi più?
    La donna non rispose, si limitò a balbettare qualcosa di incomprensibile additando un luogo lontano da loro – I-io… lei… no-non… - il suo sguardo era sconvolto.
    Il team si angustiò nel vederla in quello stato, tutta tremante come una bambina spaventata.
    – Cosa succede, Garcia? – Rossi corrugò la fronte non appena la vide scoppiare a piangere mentre si alzava in piedi.
    I suoi occhi si erano posati sul viso pallido e magro di una donna, un viso conosciuto nonostante fosse fasciato da un paio di occhiali da sole neri. Indossava una camicetta bianca a maniche corte ed i capelli si posavano delicatamente sulle spalla. Davanti a lei c’era un ragazzino che rideva mentre lei sorrideva e Penelope ebbe la sensazione di ripiombare nel passato.
    - E-Emily… - balbettò.
    Non appena Morgan udì quel nome si alzò in piedi al canto della bionda che, in una frazione di secondo, vide la donna bruna, somigliare incredibilmente ad Emily, andarsene via di fretta prendendo il ragazzo per un braccio.
    Non sentì cosa le disse Morgan e le corse dietro senza badare al team che stava cercando di fermarla.
    Camminò velocemente fino alla fine della strade e, non appena ebbe svoltato l’angolo, la donna era svanita fra la folla. Si guardò attorno più e più volte cercando con lo sguardo quel miraggio, ma non vi riuscì.
    - Garcia! – Morgan le posò una mano sulla spalla – Sei impazzita?
    - Emily! – esclamò ancora – Era… si, era… lei… era…
    Lo sguardo di Morgan era malinconico e segnato dal dolore – Andiamo… - la prese per mano e, delicatamente, la ricondusse al tavolo dove il team era rimasto silenzioso. Era piombato in un grande silenzio: Rossi giocherellava con il cucchiaino, Redi osservava la gente guardare i negozi ed Hotch fissava la sua borsa e sentiva il bisogno di aprirla per vedere la foto della donna che amava.
    - È stata solo la proiezione di un tuo desiderio a livello di subconscio…. – ruppe il silenzio Redi senza guardare l’amica in faccia. Anche lui non poteva restare indifferente quando sentiva il nome di Emily, la sua confidente.
    Lei non rispose, continuò a singhiozzare consapevole di aver fatto cadere il team in uno stato di malinconia torbido dal quale stavano cercando di uscire da mesi. Come una bambina cercò di autoconvincersi che quella che aveva visto era solo una donna che le somigliava… ma la tentazione era forte.
    Si asciugò le lacrime e Morgan le accarezzò la testa dolcemente senza dire nulla, ricordando soltanto le mani fredde dell’amica.
    Hotch non riuscì a dire nulla; girò la testa verso il luogo indicato da Penelope e rimase a fissarlo mentre il cuori gli si stringeva nel petto.
    - Hotch… - lo chiamò Rossi - …forse è meglio andare…
    Garcia non aveva toccato cibo e si era aggrappata al braccio di Morgan.
    Per tutto il tragitto dal bar all’ufficio nessuno effe la forza di parlare.
     
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  10. Emily†
     
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    Capitolo 8

    17 giugno 2011
    Base CIA, Los Angeles, California




    - Che cos’è successo? – Clyde si sedette davanti ad Alex al tavolo della base, il Castello, come veniva chiamato da loro. Era una base costruita sotto la casa che, falsamente, apparteneva alla famiglia Coburn da generazioni.
    Era una base moderna, piena di pc ultra moderni e schermi per la videoconferenza e, in una stanza attigua, un’aggiornata esposizione di armi.
    - Non lo so. – mormorò posando la pistola e il distintivo sul tavolo – C’era qualcuno che ci stava osservando, ho preferito rientrare alla base.
    - Hai visto chi era?
    Scosse il capo.
    - Sicura?
    - Si, Clyde!! – rispose seccata fulminandolo con lo sguardo.
    - Perché te la prendi tanto, allora?
    - Clyde, lasciami stare…
    - Ehi! – Nate bussò alla porta aperta della base ed entrò scendendo le scale che lo avrebbero condotto fino ai due agenti. – Tutto bene? – domandò vedendo Alex piuttosto accigliata.
    - Tutto bene. – fu Clyde a rispondere – Allora, piaciuto il giro, ragazzino?
    - Avrei preferito terminare il frappé, ma si, mi sono divertito con la mia finta madre.
    - Oh, di già la chiami madre?
    Alex borbottò qualcosa, ma Clyde non le diede retta. – Dai che sotto sotto, molto in profondità, Alex è contenta di averti portato fuori.
    - Per ò mi dispiace…
    A quelle parole dette dal giovane Nate, Alex alzò lo sguardo – Perché?
    - Scusa…
    - Per cosa?
    - Se ti ho convinta ad uscire. Non vorrei averti messa nei guai con i tuoi superiori… - aveva un’espressione sinceramente dispiaciuta.
    - Non preoccuparti, non mi riprenderà nessuno, tranquillo Nate. – lo rasserenò con un sorriso – Ora vai a prepararti. Il vestito è sul mio letto, cambiati. Fra meno di un’ora inizia l’asta.
    Asserì e corse su per le scale facendole due a due e svanì dietro la porta che chiuse dietro di se. Era piuttosto eccitato all’idea di entrare in gioco al canto di due vere spie.
    Alex e Clyde rimasero nuovamente soli; la donna si alzò per preparare le armi da portare con loro quella sera e Clyde la seguì nella stanza degli armamenti.
    - Avanti, Alex. Cosa succede? Oggi sei più fredda e nervosa del solito.
    - Clyde ho in mano una mitraglietta – gli mostrò il revolver – vuoi rischiare di venire impallinato prima ancora di partecipare all’asta? – disse riponendo l’arma e recuperando un colt nera.
    - Visto?! Sei nervosa e so perché… so bene chi hai visto oggi.
    - A si? – enfatizzò – e chi?
    - L’FBI è a Los Angeles, Alex. Mi ha avvisato la Backman.
    La donna smise di fare ciò che stava facendo ed abbassò lo sguardo, sapeva di non poter fuggire ancora a lungo dall’analisi di Clyde, la conosceva fin troppo bene.
    Posò una mano sul medaglione che portava al collo – Per favore…
    - So bene qual è il problema.
    - No, non lo sai!
    - Credi che non veda quanto stai soffrendo per questo allontanamento?
    - Non farmi il profilo!!! – gridò per il nervoso. Odiava essere analizzata, soprattutto da lui.
    Prese le cartucce per la sua Browning Baby ed un coltello dalla lama argentata – Io non esisto più. Sono morta, Clyde e, come tale, non posso soffrire.
    - Ma tu non sei morta.
    - Per tutti lo sono. L’indirizzo di casa mia è il cimitero di Quantico, mia madre piange da tre mesi sulla mia tomba. Devo essere morta.
    - Stai dicendo cose che non hanno senso – notò – Lo fai spesso quando sei nervosa.
    - E allora smettila di assillarmi!
    Clyde scosse il capo. – Stai facendo tutto questo per Nate, per la seconda volta. Hai abbandonato la tua vita, hai lasciato la tua famiglia per seguire il tuo passato, nulla ti vieta di tornare alla vita una volta vinta la guerra.
    - Forse. – disse caricando la colt – Prima pensiamo ad eliminare Doyle, poi penseremo a tornare in vita. – uscì dalla stanza e si avviò all’uscita della base sotterranea.
    - L’uomo che ami – le disse l’agente Easter dandole le spalle ed appoggiandosi al muro – ti sta aspettando.
    Lei smise di salire le scale, socchiuse gli occhi e si sentì ripiombare nel passato.

    Era sdraiata in un letto d’ospedale e fissava fuori dalla finestra. Una finestra dalle tende tirate. Aveva una flebo al braccio e si sentiva tremendamente debole e dolorante.

    - Emily… - la richiamò la voce di Aaron facendola voltare lentamente verso di lui che sostava in piedi davanti alla porta – Come ti senti?

    - Strana…

    - Cosa intendi?

    - Non so più chi sono, Hotch… - sussurrò. – Mi sento smarrita in un mondo che non conosco e che non conosce me.

    - Sei sempre te stessa. Non importa chi sei, ricordalo.

    - A te interessa chi sono?

    - Io ti amo così come sei. Anche se porti un altro nome.

    - Ha già portato troppi nomi… sono stanca…

    - Ti aspetterò… - disse ad un tratto lui, cambiando completamente discorso.

    - Cosa? – lei lo guardò.

    - Ti aspetterò – ripeté – Aspetterò Emily Prentiss ritornare con il suo sorriso alla BAU.

    - Ci vorrà tempo.

    - Ho tempo. Ti aspetterò. Sempre. – si chinò per baciarla.


    Alex riaprì gli occhi, voltò il capo, fissò Clyde – Muoviamoci ad ammazzare quel bastardo.
     
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  11. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 9

    Ore 8.30 pm, 17 giugno 2011
    Camera 606, Los Angeles, California




    - Garcia, devi farti forza… era solo una persona che le somigliava… - le disse Ronnie al telefono.
    - Non lo so, pasticcino. – disse sistemando l’auricolare nell’orecchio – So solo che era troppo reale…
    - Credo che dovresti riposare un po’.
    La bionda mugugnò sedendosi sul letto e guardando fuori dalla finestra la strada trafficata. – Forse hai ragione, Ronnie. Credo andrò a letto e mi farò una bella maschera rilassante per la pelle.
    - Brava! Ci sentiamo domani.
    - Va bene, zuccherino. Buona notte. – ripose l’auricolare e si sdraiò sul letto. Non aveva sonno, era stanca, ma era anche certa che non sarebbe riuscita ad addormentarsi. Ripensò a quel pomeriggio ed al viso di quella donna troppo somigliante ad Emily. Non poteva essere diventata matta tutto ad un tratto, era certa di averla vista assieme ad un ragazzo.
    Non poteva averla immaginata e basta.
    Era come un’ossessione che l’assillava e non riusciva a toglierla dalla mente. Si alzò da letto e prese il cellulare: doveva levarsi un dubbio che l’assillava da giorni, cos compose il numero di JJ.
    - Pronto, Garcia!
    - Ciao pasticcino alla crema! Come sta il mio piccolo orsacchiotto di peluche??
    - Oh – rise compiaciuta – È qui che mangia la mela grattugiata di Will. Ma dimmi, come mai questa chiamata improvvisa?
    - Non posso più sentire la mia amica?
    - Certo che puoi, ma quando telefoni a quest’ora significa che è successo qualcosa o c’è qualcosa che ti turba. Ti conosco mascherina!
    E così disse tutto in un fiato. – Il suo corpo… - mormorò - Non ci hanno permesso di vederlo…
    JJ tentennò per una frazione di secondo. – Garcia… - sussurrò abbassando la voce – Ti prego…
    - No, non posso. È un’ossessione oramai. Perché non ci hanno permesso di vederla? Solitamente i corpi di chi è sfigurato non vengono fatti vedere, lei non era… - si bloccò… - lei stava bene, JJ.
    - Penelope… io… - cercò di formulare una frase – Non lo so, so solo che il medico l’ha ritenuto…inopportuno.
    - No, non è possibile! Oggi mi è sembrato di vederla!
    - Come? – esclamò quasi spaventata JJ.
    - Per una frazione di secondo ho visto il suo sorriso, l’ho rivista JJ! Era seduta ad un bar con un ragazzino!
    - Dove? – insistette – E quando?
    - In un bar di Los Angeles… o meglio, Santa Monica… oggi pomeriggio…
    Ci fu un attimo di silenzio rotto solo dagli urletti del piccolo Henry che rideva di guasto. – È solo ..suggestione…
    - Era così reale… non potrebbe essere lei? Qualcosa come… la CIA la prelevata dall’ospedale per portarla in salvo?
    - Garcia ma che dici? Emily è morta, devi fartene una ragione, amica mia…
    - Non ce la faccio, JJ. è tutto così irreale… - sospirò profondamente.
    - Dai, vedrai che passerà… piuttosto, come sta andando il caso?
    Penelope fece spallucce – Ho bisogno che mi controlli alcune persone, ti mando i nomi per mail, ti è possibile?
    - Certo.. nessun problema.
     
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  12. Emily†
     
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    Capitolo 10

    Ore 11.30 pm, 17 giugno 2011
    Asta di Bryce Jackson, Santa Monica, California




    - Credevo di averti detto di restare in macchina! – strillo Alex a Nate mentre cercava di proteggersi dai proiettili nascondendosi dietro ad una berlina nera.
    Poco lontano da loro, Clyde estrasse un revolver e colpì in pieno petto uno dei solo assalitori facendolo cadere al suolo privo di vita.
    - Scusa!! – urlò il ragazzino che si copriva la testa con le mani – Io non volevo solo guardare come lottavano delle vere spie!
    Alex estrasse dalla borsetta la Browning e la lanciò in mano al ragazzo – Punta e spara! Possibilmente non ai nostri!
    - Che cosa?!
    - Sei matta! Questo ci uccide tutti! – imprecò Clyde tuffandosi verso di loro non appena ebbe visto altri due uomini della sicurezza uscire allo scoperto. Uno di loro aveva una mitraglietta, Clyde sgranò gli occhi – Abbiamo schivato un sacco di pallottole, ma non so quante vite ci restano!
    - Parla per te! Io sono ancora giovane! – Nate puntò la pistola e, titubante, premette il grilletto colpendo il palo della luce e finendo a terra – Te l’avevo detto che non ero capace!
    Alex prese il cellulare e compose più in fretta possibile il numero di Karinna che, di certo, si era già messa all’opera assieme a James. Dopodichè gattonò rasente l’auto e prese la mira, premette il grilletto e colpì un altro uomo. – Quanti sono?
    - Ne ho contati otto, quattro sono morti ma il trafficante è sparito!
    - Non possiamo lasciarlo scappare!
    La donna si alzò in piedi e corse più veloce che poteva verso il muro che cingeva il giardino posteriore della villa, fortunatamente la musica era molto alta e loro erano piuttosto lontani dalla sala dell’asta e nessun civile si era accorto di nulla: non potevano permettersi che uno di loro restasse ferito altrimenti sarebbe intervenuta la polizia e loro sarebbero stati nei guai.
    Con la pistola tesa davanti a se sparo quattro colpi ferendo due uomini che rilasciando le loro armi. Fu allora che Clyde, prendendo il ragazzino per la manica della giacca, lo trascinò dietro di se in direzione del parcheggio dove avrebbero potuto salire in auto e ritirarsi.
    - Tu porta Nate al sicuro, io cerco Ásgarðr.
    - Scordatelo, non ti lascio nelle fauci dei leoni!
    - Vi conviene alzare le mani, buttare le postole e girarvi lentamente. – mormorò piano una voce roca, per nulla spaventata. Pareva burlarsi di loro.
    Alex, Clyde e Nate fecero come era stato detto loro e posarono lentamente a terre le pistola. Con un gesto, Alex passò davanti al ragazzino per proteggerlo e fissò l’uomo.
    Era alto quasi un metro e novanta, folti capelli neri, barba e gli occhi scuri. Indossava uno smoking nero che si confondeva con la notte; puntava loro la pistola, una colt grigia metallizzata e pareva alquanto divertito.
    - Ma guarda: tre piccioni con una fava – scherzò con un accento irlandese. – Lo sapevo che i bastardi della CIA mi erano alle costole, ma io sono stato più furbo di voi.
    - Attenzione Ásgarðr, potresti bruciarti col fuoco. – ribatte Alexandra tenendo le braccia in alto e scuotendo piano la testa facendo danzare i pendenti di diamanti che portava alle orecchie.
    Indossava un abito nero lungo alle caviglie scollato sulla china e legato dietro al collo con una lieve scollatura a V che nascondeva il tatuaggio a forma di quadrifoglio inciso sopra al seno.
    Appena il trafficante schioccò le dita, un uomo comparve alle sue spalle con tanto di revolver alla mano.
    - Michel – ordinò. – Perquisiscili.
    Rapidamente, Michel ubbidì all’ordine come un cagnolino, ma smise di divertirsi quando incontrò gli occhi tenebrosi e collerici di Clyde. Impallidì leggermente dopo aver allontanato con un calcio le tre pistole gettate a terra. – Sono puliti. – esclamò consegnando poi i vari coltelli e pugnali che aveva rinvenuto nella giacca di Clyde.
    - Bene. Vorrà dire che mi occuperò io della signora.
    Alex lo guardò torva non appena Ásgarðr si avvicinò con troppa spavalderia. –Se fai il porco, giuro che sfodero i miei pugnali e corro i miei rischi.
    Nate la fissò esterrefatto, Clyde invece sogghignò: ricordava quanto potesse essere stronza la sua compagna.
    - Sarai trattata come una vera signora. Parola mia.
    - Dovrebbe consolarmi?
    Ásgarðr le sollevò la gonna dell’abito nero che indossava e le levò i pugnali che aveva saldamente affrancato alla gamba destra. – Hmm, molto curati. Fatti su commissione?
    Nate non sentì risposta.
    - Sai? So apprezzare le buone armi.
    - Tienili puri, li riprenderò più tardi.
    Nate impallidì visibilmente nel sentire la risposta dell’agente della CIA. Clyde, invece, era caduto in una sorta di mutismo dove si stava divertendo un mondo.
    - Devo riconoscere che hai fegato. – ridacchiò.
    - …e tu sei un codardo. Guarda come sei caduto in basso: partecipare ad un asta di beneficenza per farti bello danti a Valhalla.
    Il sorriso svanì. – Voler aver per forza l’ultima parola è un bruto difetto, mylady. Irrita la gente.
    - È proprio questa l‘idea.
    Al termine della perquisizione, Ásgarðr rimase quasi senza parole: tre pugnali ed un coltello. Nate si stava chiedendo dove li avessero presi e, soprattutto, dove li aveva nascosti, ma evitò di fare domande.
    – Chi credete di essere, voi?! La cavalleria??
    Nessuno disse una parola. C’erano troppi tizi armati per farne arrabbiare anche solo uno. Erano in minoranza per numero e per armamenti. Non era certamente un buon modo per finire la giornata.
    In men che non si dica si sentirono un urlo di terrore rompere l’aria e una mitragliata colpì i due uomini. Alex e Clyde scattarono verso le loro pistole e le puntarono verso Ásgarðr steso a terra: era stato ferito alle gambe, mentre il suo compagno era steso a terra, probabilmente morto.
    Nate si era rannicchiato a terra terrorizzato dopo aver lanciato un urlo – Non voglio moriree! Strillò finche non ebbe più fiato.
    - Smettila, marmocchio! – Clyde lo riscosse – Abbiamo vinto.
    Alex si avvicinò al trafficante ancora urlante dal dolore che perdeva copiosamente sangue. Si chinò quanto bastava per recuperare i coltelli e gli disse: - Te l’avevo detto che li avrei ripresi più tardi. – poi gridò verso un punto indefinito – Karinna! James! Ottimo lavoro!
    Una donna dai capelli rossi ed un uomo alto due metri e robusto come un lottatore di wrestling si fecero avanti baldanzosi e sorridenti. – eh – disse lui – cosa fareste senza di noi.
    - Sicuramente non avremmo dovuto portarci dietro Nate. Dovevate controllarlo e proteggerlo quando ve l’abbiamo mandato fuori. – disse alex arrabbiata.
    Karinna non le rispose, anzi, non le diede quasi retta e prese il cellulare – Mandate una: Abbiamo il nostro uomo. – ordinò. Nate, dal suo cantuccio, immagino che avesse chiamato altri agenti della CIA per arrestare Ásgarðr e i suoi scagnozzi.
    James ritirò la pistola ed estrasse due manette che affrancò saldamente alla mani del trafficante – Bastardi! Me la pagherete!
    - Per il momento siamo noi che l’abbiamo fatta pagare a te.
    - Valhalla mi vendicherà.
    - Lo sto aspettando, credimi Ásgarðr, lo sto aspettando. – ripeté Alex mentre gli sorrideva sorniona. Dopodichè lasciò il posto di guardia a Clyde e raggiunse Nate che era accucciato accanto al muro dondolandosi mentre fissava la Browning. – Come primo sparo non è andato male.
    - Ah, no? Ho beccato un lampione!
    - Su, alzati. – lei gli porse la mano e lui la prese afferrandola saldamente – Sei stato coraggioso, ma la prossima volta…
    - Spero non ci siano…
    Rise. – Ok. Però la prossima volta resta in auto.
    Karinna si avvicinò ad Alex con la pistola ancora in pugno in caso arrivassero gli agenti della sicurezza. – Abbiamo scambiato il bracciale.
    - Molto bene. Dov’è?
    - In auto. Sotto i sedili.
    - Scusate, avete messo in auto un bracciale che vale milioni di dollari? – esterrefatto Nate le guardo scrutando prima Alex poi Karinna e prendendole quasi per pazze.
    - È falso tanto. – Alex scrollò le spalle.
    - Falso? Tutto questo casino per un bracciale falso??
    - Certo. In un’esposizione tanto importante per vendere un bracciale così costoso viene fatta una copia da mettere sotto la teca espositiva.
    - E voi cercavate il falso?
    Karinna ed Alexandra annuirono. – Il gioiello esposto è stato creato da un falsario molto conosciuto nel suo campo perché il trafficante lo rubasse. Il bracciale è insignificante per noi, ma contiene un microchip che Doyle vuole ad ogni costo.
    - Che microchip?
    - Fai troppe domande ragazzo. – lo ammonì Karinna.
     
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  13. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.



    Capitolo 11

    18 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    - Fanciulli, ho una notizia allarmante. Dico allarmante perché non saprei come altro definirla… magari incredibile, spietata… no, spietata no…
    - Garcia… – Hotch cantilenò il suo nome per riportarla sul pianeta terra.
    - Oh, si. – si ricompose osservando i membri del team seduti al tavolo rotondo – Tu ci sei, Mon amour? – guardò il cellulare di Morgan connesso in vivavoce con Ronnie che, ultimamente, non riusciva a godersi nemmeno un’ora delle sue tanto sudate vacanze ai Tropici.
    - Oui, oui. – si sentì echeggiare.
    - Perfetto. Allora ieri sera ho fatto una telefonata ad un’amica comune, alias JJ e le ho fatto fare qualche ricerca sui nostri Richard Conley, Robert Harry Every e Jason Hock. Ed indovinate un po’? Tutti e tre erano tenuti sotto controllo dal dipartimento di difesa per traffico di armi.
    - Dei bravi ragazzi, come si suol dire.
    - Esatto, piccolo Spencer. Dei bravi boyscout. E non è finita! Assieme a loro ci sono anche Cooper Sprite e Harryson Perris che, guarda guarda, anche loro erano invitati alla convention.
    Reid prese in mano l’elenco dei delegati e trovò i cinque nomi. – Sono tutti e cinque irlandesi. Però l’Irlanda non ha sporto denuncia di scomparsa…è stato Arthur Filips
    - Vero. – esclamò Rossi – La cosa non si spiega. Come faceva Arthur a sapere della loro scomparsa?
    - Non vi ho detto un’ultima cosa.
    - Garcia, non spiegare a rate. Di tutto in una volta. – l’ammonì Hotch.
    - Ehi, ehi! – fermo tutto Ronnie ad un tratto. – Un attimo! Garcia JJ come ha fatto a sapere che sono tre ricercati? Da chi, tra l’altro?
    - Ecco, la piccola Cammy ha centrato il punto. Non lo sanno. – annuì furtiva con una smorfietta poco allegra. Sapeva che si stavano imbattendo in un campo che non era loro.
    - Aspetta un momento, JJ ci sta dicendo che Richard Conley, Robert Harry Every e Jason Hock sono ricercati da qualcuno che lei non conosce? – Morgan cercò una conferma.
    - Esatto. Si è informata grazie a degli amici del dipartimento di Stato, ma non è riuscita ad ottenere ulteriori informazioni. Sappiamo però come fanno a trafficare armi.
    - Come?
    - Ronnie, Ronnie. Non interrompere il mio monologo! – la sgridò – dicevo: i nostri tre uomini, forse cinque, sono entrambi dirigenti di aziende estere con sede centrare in Irlanda e filiali in tutto io mondo. Commerciano pentole di facciata, ma in realtà hanno una produzione di armi sofisticate, missili terra aria e quant’altro. Spediscono la loro merce in Paraguay dove viene, poi, spedita ai luoghi di destinazione.
    - Chiaro. Lì non ci sono molto controlli. – fece notare Rossi. – Ti ha detto anche chi sono gli acquirenti?
    Scosse il capo. – Pagano in contanti, per cui niente. Sono loro che incassano facendo portare in banca alle segretarie.
    - Le segretarie dovrebbero pur sapere qualcosa. – la voce di Ronnie echeggiò nella stanza mentre le onde del mare si udivano di sottofondo. Morgan aveva una mezza voglia di raggiungerla ed annegarla, ma reprimette l’istinto omicida.
    Si sentì bussare alla porta ed entrare un poliziotto in divisa che salutò militarmente gli agenti speciali. – Agente Supervisore Hotchner, abbiamo un nuovo problema.
    - Quale?
    - Ieri sera alla residenza di Bryce Jackson è scomparso un uomo.
    - Un’altro? – Rossi strabuzzò gli occhi. – Chi è?
    - Non lo sappiamo signore, però è stato rubato anche il bracciale che era stato messo all’asta. Fortunatamente era un falso perchè l’autentico era chiuso in cassaforte però nel giardino posteriore c’è stata una colluttazione.
    - Di che genere?
    - Sparatoria.
    - Ci sono testimoni? – chiese Ronnie spaventando l’agente che, esterrefatto, si guardò attorno per vedere da dove proveniva la voce, dopodichè vide Derek che gli indicava il cellulare e lui si tranquillizzò.
    - Nessuno. I giardinieri hanno trovato la berlina del signor Jackson semi distrutta dai proiettili, hanno avvisto il signore e chiamato noi. Abbiamo pensato di avvisarvi.
    - Pensate sia collegato?
    - È stato trovato un solo bossolo a terra ed è stato sparato dalla stessa arma usata alla convention.
    - C’è stata una sparatori? – urlò Hotchner alzandosi in piedi – Perché non ci avete avvisato?! Era un dato rilevante!!
    - Perdonate, agente, ma io sono rientrato solo oggi in servizio. Non sapevo nulla! – si scusò chinando il capo. – È stato trovato un solo proiettile in un muro dietro una tenda. Né sangue né null’altro.
    Hotch si massaggiò le tempie mentre il team allargava le braccia ed alzava gli occhi al cielo senza parole. – Dove si trova adesso il giardiniere?
    - È di là, nella sala interrogatori.
    Hotch si alzò e fece cenno a Rossi di seguirlo. Si recarono entrambi nella stanza degli interrogatori, una stanza grigia ed asettica dove c’era soltanto uno specchio a muro. Rossi rimase fuori mentre Hotch entrò e si sedette al tavolo davanti al giardiniere ed al signor Bryce.
    - Agente Aaron Hotchner, supervisore della Dipartimento di analisi comportamentale.
    - Bryce Jackson e questo è Matt Borns, mio federe giardiniere. – si presentò il signore in giacca e cravatta giungendo le mani davanti a se sul tavolo in perfetto agio.
    - Cosa mi potete dire, signor Borns di questa mattina.
    - Ecco, sono arrivato alla villa del signore alle sette eventi. – disse giocherellando nervosamente con le dita. – Avevo le chiavi quindi non ho suonato per non svegliarlo. Sono andato dietro alla dependance dove c’è la stanza degli attrezzi e sono andato nel giardino posteriore. Quando sono arrivato ho trovato l’auto del signore piena di buchi, come se le avessero sparato… insomma, come nei film… - cercò di spiegare al meglio il pover’uomo – Così ho svegliato il signore e mi ha detto di chiamare la polizia. Così ho fatto.
    - Lei signor Jackson? Ieri sera non ha notato nulla di strano?
    Annuì. – Il furto del bracciale di Cleopatra. Fortunatamente era un fake, un falso, non espongo mai gioielli veri, ma faccio fare una copia curata in caso di furto.
    - Ha dato l’allarme?
    Scosse il capo questa volta. – Come ho già detto era un falso. Privo di valore. Bigiotteria pura. Non ho dato l’allarme, ne ho udito o visto nulla di strano. Ho venduto il mio gioiello ad Hanna Parker, una distinta donna d’affari che partecipa sovente alle mie aste e verrà a ritiralo questa sera.
    - È ininfluente per le indagini, signor Jackson. – disse Hotch nel suo solito tono – C’erano individui strani all’asta?
    - Ricordo una coppia, una donna ed un uomo assieme ad un ragazzino… - rifletté – era la prima volta che li vedevo ed hanno fatto offerte piuttosto alte. Poi li ho persi di vista.
    - Riuscirebbe a descriverli?
    - Oh, agente. Erano una così bella famiglia. La donna era molto bella, castana con gli occhi scuri ma non riuscirei a farle una descrizione più accurata.
    - Nessun altro?
    - Si, - disse facendo innervosire Hotch: odiava avere informazione a rate e per quel giorno ne aveva già abbastanza – Un uomo, si faceva chiamare Frederick Von Dick, ma ho sentito che un uomo lo chiamava Ásgarðr. È sparito dopo il furto del mio bracciale.
    - Ok. – si alzò – lo ringraziò – porse la mano e li salutò. Aveva già abbastanza informazioni per poter dire che era lo stesso caso.
    - Hai ascoltato? – chiese a Rossi uscendo dalla sala degli interrogatori ed avviandosi verso l’ufficio dove il team continuava la riunione.
    - potrebbero essere collegati, ma non sappiamo se queste tre persone c’erano anche alla convention.
    - Resta che i bossoli sono sparati dalla stessa pistola. – Garcia – la chiamò sull’attenti non appena entrò nella stanza della riunione. – Cerca Frederick Von Dick fra le denunce arrivate alla polizia.
    Partì in quarta verso il suo pc e si mise a lavorare con grande lena. Hotch le andò accanto.
    - Trovato: Frederick Von Dick. – l’espressione di Penelope si fece sorpresa. – È dato per scomparso dalla fidanzata, Sarah Ferguson. La denuncia è arrivata stamani, non è tornato a casa dopo l’asta di ieri sera.
     
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  14. Emily†
     
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    Capitolo 12

    Ore 9.06 am, 18 giugno 2011
    Torino, Italia




    Sui monitor solo una linea ininterrotta.






    Non c’era nulla che potessero fare i medici per quella donna stesa su quel letto.
    Era stata portata d’urgenza in sala operatoria dopo che l’ambulanza l’aveva prelevata dalla sua abitazione medita di sangue: qualcuno le aveva sparato.
    Una collega, non vedendola arrivare al lavoro, aveva provato a telefonare a casa, ma lei non aveva risposto; così aveva chiesto un permesso ed era andata a vedere cos’era capitato: era difficile che lei non si presentasse in ufficio. L’aveva trovata riversa sul pavimento rimettendo con la bocca insanguinata. Accanto a lei due uomini: lei respirava a fatica; loro, invece, erano morti.


    Un acuto sibilo continuo.




    Gelide lacrime di dolore solcarono ed incisero a sangue il volto della donna, i capelli color champagne era sparsi sul letto aperto come un ventaglio.
    Non c’era stato un preavviso, né avevano potuto far qualcosa per salvarli.
    Una scarica di proiettili aveva rubato loro l’anima, la vita e la felicità di rivedere i propri figli crescere e sorridere alla vita.
    Era una mattinata di giugno, calda e tremendamente afosa dove il sole galleggiava tondo e luminoso nel cielo azzurro e privo di nube.
    Amava quelle giornate calde e le piaceva passeggiare per il parco di Torino assieme al suo bambino: ora non lo poteva più fare, non poteva più riabbracciarlo, ma avrebbe potuto stargli accanto per l’eternità, accarezzandolo durante il sonno e godendo delle immagini che vedeva da spirito.

    Biiiiiiiiiii

    Un fischio.

    Un’altra scarica.

    Un’altro fischio continuo.



    La morte le aveva teso la mano e lei, scioccamente, l’aveva afferrata non riuscendo più a riaprire gli occhi alla vita.
    Era stanca di fuggire, stanca di lottare contro un demone del passato.
    Si era lasciata abbracciare e trascinare in un mondo dove nessuno avrebbe mai più potuto rivederla.
    In un minuto la sua vita era finita.
    In un minuto la vita di suo figlio era cambiata. Non sarebbe più stato lo stesso.
    Non si sarebbe svegliata. Non l’avrebbe salutato con un abbraccio ed un bacio sulla testa.
    Il suo corpo giaceva immobile in un letto bianco, freddo. Senza la sua anima.
    Un corpo vuoto. Senza vita.
    Un corpo. E basta.

    Torino, h. 09.06

    Sabato 18 Giugno 2011



    Ospedale Martini di Torino.
    Reparto di chirurgia.
    Terapia intensiva.
    Terzo piano, stanza 23.
    Louis Hope, quarantanove anni.
    Capelli castano chiaro, occhi marroni, un sorriso materno.
    Louis, quarantanove anni. Madre di Nate Hope.
    Ferita d’arma da fuoco all’addome.
    Tentativi di rianimazione: inutili.


    Un fischio continuo

    Biiiiiiiiiii

    Sugli schermi solo una linea continua.

    Encefalogramma piatto.

    Un unico suono.

    Un acuto sibilo continuo.

     
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  15. Emily†
     
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    Avvertenze: in questo capitolo verrà citata Ronnie (Cameron Leane – Lettosi ‘Cameron Lein’ e detta Ronnie). Ronnie appartiene esclusivamente a Robin89 in quanto personaggio partorito dalla sua mente. È inserita in ‘Ritorno alla Vita’ come sostituta della Seaver che, chiaramente, non mi sta molto simpatica. Ringrazio Robin89 per la gentil concessione.




    Capitolo 13

    Ore 9.50 pm, 19 giugno 2011
    Stazione di polizia, Los Angeles, California




    - Frederick Von Dick non esiste. – enunciò Reid ormai anche lui arresosi all’evidenza: non avevano in mano nulla.
    - Come non esiste? – Redi giocherellò con la matita.
    - È un nome probabilmente falso. L’unico Frederick Von Dick esistente è morto in Germania tre anni fa, tesoro.
    - Per cui abbiamo quattro uomini, tre trafficanti…
    - Quattro – interruppe Garcia – Ho controllato il nome con il quale è stato chiamato Frederick, Ásgarðr, ed ho scoperto che è un ricercato mondiale per traffico di armi.
    - Perfetto. Non ne bastavano tre, adesso anche il quarto! – Morgan si portò le mani alla testa – Cos’ha detto la fidanzata?
    - La donna stava con Frederick o chiunque esso sia da tre settimana. Lei gli dava ospitalità a casa sua e lui diceva di amarla, classica farsa per portarsi a letto qualcuno. Non vedendolo tornare ha chiamato la polizia. L’ho interrogata stamattina – spiegò Reid dondolandosi sulla sedia. – Non sa nulla.
    - Per cui abbiamo un gruppo di S.I. che rapisce trafficanti di armi – disse Rossi – e dov’è il problema? Lo Stato dovrebbe ringraziare!
    - Dave! – Hotch non era molto d’accordo con il vecchio amico.
    Garcia si voltò verso il gruppo con un’espressione malinconica sul viso – Ásgarðr… è legato alla mitologia norrena…
    - E allora? – chiese Morgan avvicinandosi al pc.
    - È legato al termine Valhalla.
    Nessuno disse nulla. Ancora una volta risuonava nella loro testa quel nome, il nome dell’uomo che aveva portato via la loro amica e confidente. Morgan diede un pugno al tavolo facendolo traballare – Che cazzo centra??
    - Ecco…io-io – balbetto Penelope spaventata – Nella mitologia norrena, Valhalla è uno dei palazzi dell'Ásgarðr e residenza dei morti gloriosamente in battaglia. Io-io non so cosa centra, però… strano… i nostri tre uomini sono irlandesi, trafficanti e quest’uomo, Frederick, porta un nome connesso a Doyle…
    - È una coincidenza, solo una coincidenza… - cerco di convincersi Rossi.
    - Statisticamente le possibilità che Doyle si faccia rivedere sono dello 0.25%... – poi si zittì, ripensando che, per quella volta, era meglio che rimaneva in silenzio.
    - Ragazzi non iniziamo a fare di tutta un’erba un fascio. – Hotch fece sentire la sua autorità – Analizziamo la questione rapportandoci ai fatti, non alle coincidenze. Abbiamo quattro uomini, quattro trafficanti di armi, quattro ricercati. Chi è che potrebbe avere interesse a rapire gente simile?
    - Qualcuno che vuole loro estorcere informazioni.
    - Esatto, Derek. – annuì – Se fosse solo per divertimento avrebbero preso pesci più piccoli, ma da quello che abbiamo in mano sono tutt’altro che pedine, sembrano piuttosto leader di qualche organizzazione di traffico d’armi. Sicuramente ci dev’essere qualcosa di cui loro sono a conoscenza e, i nostri S.I., hanno pensato bene di prelevarli e obbligarli a parlare.
    - Interpol?
    - Potrebbe darsi, Garcia. Redi – si voltò verso il ragazzino – Telefona a Ronnie e fatti dire se ha ancora qualche piccolo aggancio all’Interpol. Aggiornala e dille di fare più in fretta possibile.
    - Vado. – si alzò e uscì dalla stanza.
    - Hotch, non credi che dovremmo chiedere aiuto al Dipartimento di Difesa? JJ potrebbe darci una mano.
    - Lasciamola fuori, Morgan. – mormorò – Per adesso possiamo andare avanti da soli. Al caso la informeremo su tutto.
    - Ásgarðr è ricercato in tutto il mondo. – esclamò Garcia trafficando sempre al computer. – Ho trovato alcuni articolo in database del Connecticut. Dicono che non è mai stato preso e nessuno sa che faccia abbia.
    - Quindi chi l’ha rapito doveva conoscerlo o, almeno, conoscere il suo aspetto. – Rossi si passò una mano dietro al collo medito di sudore.
     
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