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Mary15389

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    Autore: Mary15389
    Titolo: Choices
    Rating: PG13 (per sicurezza)
    Categoria: Angst, Thriller
    Avvertimenti: What if...?
    Personaggi/coppia: Un po' tutti, ma proprio tutti...
    Spoilers: Dalla sesta stagione in poi
    Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, sono di Jeff Davis. Criminal minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    Note: Riprendo tra le mani questa storia che avevo pubblicato qualche tempo fa, ma poi cancellato perchè incapace di mandarla avanti u.u con la speranza che stavolta ci riesca. Intanto ricopio le vecchie 'Note' che avevo scritto e che sono ancora valide u.u
    Come avevo accennato precedentemente, torno a fare una pazzia. Ho avuto un'idea folle, così, fulminea, e l'ho concretizzata in questo prologo. In realtà non ho idee molto chiare su come proseguire la cosa, motivo per cui lo specchietto non risulta molto preciso. Ad ogni modo il discorso è sempre quello: se non pubblico continuerò a tenerla per me o non la continuerò mai e resterà tra tutte le storie incomplete o incerte che sto collezionando nel mio pc negli ultimi mesi.
    Come vedete dagli avvertimenti, è una What if...?, ed è la prima volta che ne scrivo una. Non credo sia necessario dire qui quale sia il cambio operato alla trama originale per renderla tale, perchè si scopre subito nel prologo. E sono certa che è qualcosa che nessuno di voi gradirà, quindi son pronta a ricevere gli insulti.
    Ora mi eclisso e vi lascio ad una buona (?) lettura.


    Choices


    7 ANNI PRIMA – Toscana, Italia

    Scostò con una mano i biondi riccioli di quel bambino, risollevando lo sguardo verso l’uomo che li osservava dall’altra parte del divano. Le aveva appena chiesto di diventare la madre di quel bambino che avrebbe dovuto crescere come un guerriero e lei stava vacillando nel fornirgli una risposta. Non riusciva a pensare a qualcosa di sensato in tutta quella storia che di sensato non aveva nulla. Lo credeva figlio della cameriera e invece era figlio di quell’uomo con cui viveva ormai da parecchio tempo a stretto contatto. Uomo che avrebbe dovuto spiare e invece quei suoi occhi magnetici, gli stessi che era certa usasse insieme ai suoi modi affascinanti per farsi obbedire dal suo stuolo di uomini, l’avevano stregata. Forse troppo.
    «Va bene...» disse improvvisamente, non riuscendo a credere a quello che era appena venuto fuori dalle sue labbra. «Come una famiglia.» aggiunse, voltandosi verso il piccolo e rimettendosi dritta, «Ora va’ da tuo padre.» lo invitò spingendolo delicatamente con una mano verso la figura che poi guardò anche lei, osservando quel sorriso raggiante che le stava rivolgendo, prima di chinarsi e prendere in braccio il piccolo.
    Lei si voltò portando le mani a sfiorare la collana che portava sempre al collo, con l’anello che Ian le aveva regalato a modi ciondolo. Se lo rigirò tra le mani, fissando lo sguardo nel vuoto e riflettendo. O almeno provandoci. Ma una calda mano che la raggiunse alla spalla la spinse a sorridere di nuovo prima di voltarsi e stringersi a quella che aveva poco prima chiamato la sua famiglia.
    Si separò da Doyle che si abbassò per rimettere il piccolo Declan a terra, così da invitarlo a raggiungere Louise nell’altra stanza, quindi rimase sola con lui, osservandolo e sorridendo.
    «E così questo è il tuo piccolo segreto.» constatò indicando verso la porta da cui era appena sparito il biondino.
    «Te l’ho detto, è il mio più grande segreto. Quello che può mettermi in pericolo. È ciò che di più prezioso ho al mondo.» affermò e la donna sentì una fitta al cuore. Quell’informazione sarebbe stata ciò che più aveva cercato in quegli ultimi mesi, ma era abbastanza per sacrificare una vita innocente?
    «La madre?» domandò.
    «È morta dopo averlo dato alla luce.» rispose l’uomo senza esitare, «Non preoccuparti. Non verrà a reclamarlo.» scherzò afferrandola per la vita e avvicinandola di più a sé.
    Lauren sollevò le mani, avvolgendole intorno alle sue spalle, ritrovando il sorriso che quel viso riusciva sempre a trasmetterle. Si avvicinò al suo viso baciandolo con la solita passionalità che ci metteva sempre e che le faceva smarrire la bussola del giusto e dello sbagliato, che il suo giuramento doveva invece averle reso abbastanza chiaro.
    Al diavolo quel giuramento quando veniva ipnotizzata da quegli occhi e da quelle labbra che ora stava esplorando e accarezzando con le proprie, prima di farsi strada all’interno alla ricerca di una lingua che subito la accompagnò complice.
    Si separarono con qualche remora, «Resterei con te e andrei più a fondo, se gli affari non mi aspettassero.» disse lui concedendole ancora un bacio nello sforzo di non rimandare tutto a più tardi e rimanere con lei.
    «È lavoro...» rispose lei a fior di labbra. Tutto sommato non le dispiaceva passare del tempo da sola in quel momento, dopo tutto quello che aveva saputo e fatto.
    Lasciò scivolare le braccia lungo le sue, allontanandosi mentre con la lingua si inumidiva le labbra, come per fermare il sapore di quel bacio e tenerlo lì fin quando non fosse tornato.
    Ian si spostò di qualche passo indietro, lasciandole i fianchi e dirigendosi all’esterno di quel salotto dove lei rimase ancora per qualche momento, attendendo il rumore della porta di ingresso che si chiudeva, prima di decidersi a raggiungere la camera da letto.
    Vi entrò richiudendosi il battente alle spalle e portando subito le mani a coprirle il viso. Sbuffò all’interno di quella maschera creata dai suoi palmi, procedendo poi verso il letto dove si sedette. D’istinto le dita tornarono a giocare con quell’anello che le pendeva all’altezza del cuore.
    Quel giorno avrebbe dovuto far pervenire un rapporto all’Interpol sulle ultime scoperte fatte, ma non era certa di poterlo fare. Aveva accettato quell’incarico sotto copertura quando si era resa conto che il criminale più pericoloso, Ian Doyle, era un tipo che avrebbe potuto facilmente circuire per entrare nelle sue grazie. E d’altronde era quello che era riuscita a fare in un batter d’occhio. Ma la pericolosità di quell’uomo non stava solo nelle sue armi e nei suoi modi spietati, ma anche nel modo in cui la guardava e come la faceva sentire quando erano insieme. Si era ripromessa di prendersi cura di lei e il suo cuore le aveva già gridato a gran voce di trovare un modo per tirarsi fuori da quella storia senza mettere di mezzo Ian, di trovargli una via di fuga quando i colleghi sarebbero venuti a smontare tutto e portare in carcere chiunque fosse coinvolto in quella storia. D’altronde era Valhalla che volevano.
    E il mondo le era crollato addosso proprio quando Doyle l’aveva messa al corrente che lui e Valhalla erano la stessa persona. Non avrebbe potuto consegnare l’uomo che tanto cercavano senza consegnare anche l’uomo di cui, si vergognava ad ammetterlo, si stava innamorando. Lentamente.
    Quel lavoro poteva logorarla, poteva spingerla a non capire più cosa fosse menzogna ai fini della copertura e della recita che questa prevedeva e cosa invece fosse un reale sentimento.
    Ma in quella stanza aveva detto di sì pochi minuti prima. Si era offerta di formare una famiglia con Ian e con il figlio Declan. Perché anche quella figuretta bionda concorreva a sconvolgere il suo mondo interiore: un bambino sarebbe stata un’ottima leva per far capitolare Valhalla, ma avrebbe significato anche che sarebbe dovuto crescere senza una figura paterna accanto e con il terrore che chiunque ce l’avesse con Doyle si sarebbe potuto rivalere su di lui. Era così sacrificabile? Quei capelli color dell’oro e quegli occhi azzurri potevano essere venduti all’Interpol, che non era certa famosa per i suoi modi morali ed etici di condurre le azioni? A loro importavano i risultati e non quante vittime potevano lasciarsi dietro sul loro cammino. E lei non poteva farsi complice di un pensiero del genere.
    Si lasciò andare con le spalle sul materasso, lasciando che i morbidi capelli castani si distendessero attorno al suo viso. Cosa sarebbe successo dopo? Come si sarebbe comportata? Ancora non lo sapeva, ma era certa che ogni cosa si sarebbe svolta nel modo giusto al momento opportuno.


    GIORNI NOSTRI – Quantico, Virginia

    L’open space era popolato di gente intenta nel proprio lavoro e Reid era fermo ad osservare la biondina che aveva seduta di fronte. Era lì da qualche mese e stava cercando di ambientarsi nella squadra, nonostante le difficoltà che un cadetto potesse incontrare nell’entrare a far parte di un team di profilers esperti. Si era stupito quando Rossi e Hotch l’avevano portata a Quantico: dopo l’esperienza avuta con la sostituta di Elle, che si era rivelata essere solo una spia al servizio della Strauss e quindi era stata licenziata maldestramente, avevano tutti problemi a relazionarsi con chiunque venisse messo a ricoprire quel posto vacante. Ma dopo il trasferimento di JJ al Dipartimento della Difesa, i membri rimasti a gestire quell’unità erano decisamente pochi e qualche forza in più non avrebbe fatto male.
    Ashley d’improvviso risollevò gli occhi, incrociando quelli del federale che la stava osservando e che subito li abbassò imbarazzato. Non si sentiva a proprio agio nel sentirsi giudicata e controllata, ma quando aveva chiesto di completare il suo addestramento nella squadra di Aaron, finendo poi per rimanerci, sapeva che questo sarebbe successo. D’altronde era lì per imparare e perfezionarsi.
    Sorrise quindi, anche se il ragazzo non poteva più vederla, quando una presenza la fece voltare alla sua destra, notando la figura imponente di Derek accanto a lei. «Ehi.» disse dopo aver appurato che fosse una persona amica e quindi rilassando i muscoli che si erano tesi istintivamente.
    «Buongiorno.» rispose l’agente di colore, ma ogni tentativo di discussione si spense per un rumore che li distrasse provenendo dal piano rialzato, verso cui tutti indirizzarono lo sguardo: Hotch era velocemente uscito dalla sua stanza dirigendosi a grandi passi nell’ufficio adiacente.
    Subito Seaver riportò il capo verso i colleghi che la osservavano ugualmente straniti. Tutto quel movimento non poteva presupporre nulla di buono, ma non potevano far altro che attendere di sapere di cosa si trattasse.
    Non ci volle molto perché i due agenti uscissero dalla stanza scendendo nell’open space per raggiungerli: il supervisore capo procedette verso la porta a vetri senza nemmeno fermarsi, mentre David rallentò arrestandosi accanto a loro, mentre con gli occhi guardava Aaron scomparire oltre le porte dell’ascensore che si chiudevano nascondendo la sua figura.
    «Che succede?» domandò Ashley spezzando quel silenzio lievemente preoccupata.
    «Una situazione molto particolare.» disse Rossi, riportando l’attenzione sui colleghi. «Dobbiamo andare velocemente in sala conferenze, Garcia ci aspetta lì.» continuò non tradendo alcun sentimento nella sua voce.
    Seaver e Reid balzarono subito in piedi, quindi si mossero tutti verso la sala dal tavolo rotondo guidati da Dave, senza avere il coraggio di chiedere ulteriori spiegazioni ma curiosi di sapere cosa stesse accadendo.
     
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    CAPITOLO 1

    Presero posto intorno al tavolo, Ashley tra Reid e David e Derek subito accanto al genietto, e dopo pochi istanti una figura variopinta fece il suo ingresso dalla porticina accanto al monitor con cui presentavano il caso. Reggeva tra le mani carta e penna, «Come mai questa convocazione?» domandò spaesata, fermandosi a pochi passi dalle sedie ancora vuote.
    Dave la invitò a sedersi, «Nessuna idea?» chiese con un sorriso.
    «Non ho ricevuto nessun caso per il quale preparare gli incartamenti da caricare sui vostri iPad.» si giustificò, prendendo posto con un movimento rigido, come se fosse paralizzata dalla preoccupazione.
    «Bambolina calmati. Non può essere nulla di diverso dal solito.» intervenne Morgan con un sorrisetto, allungando un braccio a sfiorarle la mano nel tentativo di infonderle calma.
    «Ma io non ho ricevuto nessun caso...» ripeté spostando gli occhi su ciascuno dei colleghi che aveva di fronte e che vedeva confusi quanto lei.
    L’agente Rossi sospirò. Capiva benissimo le preoccupazioni generali: dopo il trasferimento di JJ e le insidie da parte di Erin Strauss sempre ben disposta a distruggere quell’unità, tutti si aspettavano qualche altro tragico rivolgimento che avrebbe minato quella serenità quasi familiare che li caratterizzava e li aiutava ad affrontare i casi più spietati del paese. «Non so di cosa si tratta. Aaron è corso nel mio ufficio chiedendomi di convocarvi tutti mentre lui andava a ricevere qualcuno.» comunicò quei pochi dettagli di cui era stato messo al corrente, alzando verso l’alto i palmi delle mani. Non aveva nient’altro da poter dire per rassicurarli.

    Aaron accompagnò la nervosa corsa in ascensore con un piede che batteva ritmicamente contro il pavimento. Stava ancora metabolizzando ciò che gli era stato comunicato nelle ultime due telefonate, la prima della Strauss, la seconda interna, che lo informava dell’arrivo alla reception dell’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere in quei giorni tra le mura della BAU; non perse un momento, riponendo la cornetta e raggiungendo l’adiacente ufficio di Dave, per farsi aiutare a convocare tutti. Non aggiunse altro, pregandolo di chiamare anche Penelope che era già dalle prime ore chiusa nel suo ufficio. Quindi scese al pian terreno per accogliere quella gradita visita.
    Tra questi pensieri le porte argentee dell’ascensore si aprirono davanti a lui, rivelandogli l’ampio spazio dell’ingresso dell’edificio di Quantico. Si avviò sicuro, con strane emozioni rinnovate dentro di sé, in direzione del banco di accoglienza al quale qualsiasi visitatore doveva presentarsi per essere ammesso alle aree operative. Cominciò a sorridere già prima di vedere quella figura che con eleganza lo stava aspettando composta. Porse la mano, stringendo la sua calorosamente, quindi, da bravi professionisti quali erano, parlarono di lavoro, mentre dei fascicoli venivano consegnati all’agente Hotchner. Il supervisore diede loro un’occhiata sommaria, mentre ascoltava cosa quella persona avesse da dirgli. Quando terminò, sollevando il capo, disse l’unica cosa che fosse adeguata per la situazione:
    «Presentiamo il caso alla squadra.»

    Penelope vagava ancora con gli occhi sui volti dei presenti, quando d’improvviso li fermò sulla porta d’ingresso che aveva proprio di fronte, sbiancando. «Oh...Dio...» mormorò spingendo tutti gli altri a voltarsi di scatto nella stessa direzione e in breve assunsero la sua stessa espressione smarrita.
    Il loro capo era appena entrato in sala conferenze, ma non era quello ad averli colpiti, ma la figura alle sue spalle: stretta in un cappotto elegante e con una professionale ventiquattrore tra le mani, la figura di JJ camminava con decisione dietro di lui.
    Jennifer procedette per la stanza, fino a fermarsi accanto al monitor e sorridere guardando ad uno ad uno i suoi ex colleghi negli occhi: colse la felicità mista a sorpresa dietro le lenti colorate di Garcia, la stessa che vide nelle iridi nocciola del suo Spence. Poi il sorriso paterno di Dave e quegli occhi sconosciuti che la guardavano spaesata. Infine Derek, seppure composto, tradiva una certa gioia nel rivederla tra loro.
    «Penso che non servano presentazioni per l’agente Jareau del Dipartimento della Difesa.» esordì Aaron richiamando l’attenzione di tutti, «Tranne che per Ashley.» disse mentre JJ si allungava a stringerle cordialmente la mano. Avrebbero sicuramente avuto modo di conoscersi meglio in seguito.
    «La Strauss mi ha contattato stamattina comunicandomi di avere un incarico molto particolare per la nostra squadra.» continuò quindi il capo. «Come avrete già capito, c’è di mezzo il Pentagono, quindi la situazione è complicata. Ma lascerò che sia JJ ad illustrarvi il caso.» concluse lasciandole così la parola mentre poggiava sul tavolo quei fascicoli che gli aveva consegnato all’ingresso.
    La bionda, che nel frattempo aveva adagiato ventiquattrore e cappotto su una sedia a pochi passi da lei, allungò un pen-drive verso Penelope mentre le concedeva un sorriso, «Potresti mostrare le immagini per tutti?» domandò puntando un dito verso il grande monitor della sala.
    La tecnica informatica balzò in piedi, sistemandosi con una mano gli occhiali sul naso, mentre l’altra si stringeva intorno all’oggetto tecnologico che l’ex collega le stava porgendo, portandolo subito con sé per inserirlo nella porta usb di cui era dotato il televisore. Quindi afferrò il telecomando, lasciato lì accanto, portandolo a Jennifer, che lo prese con un sorriso, voltandosi ad incontrare di nuovo gli occhi di tutte le persone che aveva più a cuore in quell’edificio. Fece un profondo respiro, sentendosi tornata a prima del suo trasferimento, quindi cominciò a descrivere la situazione:
    «Come sapete il Dipartimento della Difesa si occupa anche di salvaguardare il paese da eventuali attacchi terroristici.» esordì con professionalità, spostandosi di qualche passo così da lasciare scoperta la visuale sullo schermo dove apparve la foto di un pezzo di carta, subito seguito da altri simili. «Nelle ultime settimane sono arrivate all’attenzione del Pentagono delle minacce rivolte ad agenti di alcune divisioni governative.»
    «Un altro caso a stretto contatto con la CIA?» domandò Derek con un sorrisino in ricordo dell’esperienza di quasi cinque anni prima.
    Hotch alzò lo sguardo sul collega, «Non si tratta di questo stavolta.» lo informò spostando gli occhi verso la donna bionda a pochi passi da lui.
    «Ma dell’Interpol.» confermò lei. «Gli agenti Clyde Easter, Sean McCallister, Tsia Mosely e Jeremy Wolff...» elencò mostrando per ciascuno di loro una foto sullo schermo, «...hanno tutti ricevuto delle lettere minatorie dal contenuto simile.»
    «Lavorano ad uno stesso caso?» domandò David, sporgendosi in avanti e intrecciando le dita delle mani di fronte a sé.
    Jennifer scosse il capo, «Risultavano facenti parte di un progetto riservato che è stato smantellato alcuni anni fa, di cui però non ci è concesso sapere di più.»
    «L’Interpol è strettamente riservata con i propri incarichi.» intervenne Reid con fare enciclopedico. «Si occupano di sicurezza a livello internazionale, con complesse cooperazioni dove l’errore di una pedina del puzzle potrebbe mettere in moto un effetto distruttivo su scala globale.» sciorinò rapidamente, fissando gli occhi sull’agente Jareau.
    «Non sono molto collaborativi.» precisò lei. «Specialmente l’agente Easter. Crede molto nel proprio ruolo e si sente ancora vincolato al segreto a cui ha giurato fedeltà quando ha accettato l’incarico. Qualunque esso sia.»
    «E allora cosa dovremmo fare noi?» domandò Seaver guardandosi intorno. Ogni volta che formulava una domanda, si svegliava dentro di lei la paura per l’eventuale critica che i colleghi avrebbero potuto rivolgerle.
    «Il Dipartimento della Difesa non può ignorare delle minacce che potrebbero essere rivolte al nostro paese e deve impegnarsi per fare il possibile per difenderlo. Se gli agenti non collaborano e non ci spiegano a quale incarico erano assegnati, così da fare chiarezza su ciò che accade, dobbiamo ritenerci comunque in stato di massima allerta. Visti i successi che abbiamo avuto in altri casi che coinvolgevano il pericolo di attentati terroristici, non mi è venuta in mente una squadra migliore della vostra per occuparsi delle indagini.» spiegò JJ con un sorriso che si aprì subito dopo sulle sue labbra. «Ho nel fascicolo una copia delle lettere, così da poter condurre un’analisi grafologica e linguistica. Se riterrete opportuno, potrò mettervi in diretto contatto con gli agenti che vi farò incontrare all’Ufficio Centrale Nazionale dell’Interpol qui a Washington D.C.»
    Hotch aprì il faldone che aveva di fronte, tirando fuori le lettere repertate e porgendole a Spencer: l’analisi grafologica e linguistica sarebbe toccata a lui.
    Il giovane si alzò afferrando il materiale ed avvicinandosi alla lavagna sulla quale avrebbe potuto scrivere tutti gli appunti necessari, cominciando a mettere in moto il proiettore che gli avrebbe permesso di avere di fronte un’immagine ingrandita dei documenti.
    «Gli do un mano.» si propose Morgan alzandosi in piedi, ma voltandosi subito verso Ashley, «Vuoi partecipare?» le domandò.
    La ragazza lanciò uno sguardo verso il capo e quando non vide in lui nessuna espressione di contrarietà si unì ai colleghi. Era la prima volta che partecipava ad una analisi del genere e voleva proprio imparare qualcosa di più, rispetto a quello che era scritto nei manuali.
    Aaron riportò l’attenzione sugli agenti rimasti intorno al tavolo, «Garcia, le tue abilità informatiche dovrebbero aiutarci a scoprire qualcosa di più sui destinatari delle lettere. Vedi di trovare ciò che puoi.»
    «Se si tratta di documenti dell’Interpol saranno sicuramente secretati.» obiettò lei con sguardo confuso.
    «Ti serve un permesso scritto per compiere i tuoi trucchi di hacker?» scherzò Dave sporgendosi verso di lei.
    Penelope si guardò intorno, «Oh! Si certo, vado subito al lavoro. Le mie magie vi lasceranno a bocca aperta.» esclamò balzando in piedi e affrettandosi verso il suo studio in fondo al corridoio.
    L’agente Jareau la guardò andare via con una sensazione malinconica che le attraversò la schiena. Ma si riscosse, consapevole che a lei, Hotch e Rossi rimaneva il lavoro burocratico da sciogliere nella maniera più corretta e precisa.
     
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