Who are you? I am Jack Brooks

Zavarix

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    Autore: Zavarix
    Titolo: Who are you? I am Jack Brooks
    Rating: G
    Avvertimenti: OC,
    Personaggi/coppia:Aaron Hotchner, Jack Hotchner, tutta la squadra, più due personaggi inventati da me
    Note: Jack è cresciuto ed è entrato nell'accademia dell'FBI. Non vuole essere riconosciuto come il figlio del grande Aaron Hotchner e quindi si fa conoscere come Jack Brooks







    “Uscito per buona condotta, bravo”, disse il secondino mentre gli restituiva i suoi oggetti personali. Non rispose, prese le sue cose e se ne andò. Di fuori non c'era nessuno ad aspettarlo, cosa che lui si aspettava, ma strinse comunque le mani per la rabbia.
    “È colpa loro! È tutta colpa loro!”, mormorò tra i denti. Andò alla fermata più vicina e prese il primo autobus diretto verso la città. Non che avesse qualcosa da fare, o qualche posto in cui andare, qualcuno da incontrare. Quella città non aveva niente a che fare con lui. In effetti, niente sembrava avere più qualcosa a che fare con lui. Si fermò ad una fermata a caso e si incamminò per la strada. Alzò lo sguardo accorgendosi di essere arrivato davanti al tribunale. Sputò per terra ricominciando a muoversi, quando un uomo, visibilmente di fretta, gli finì contro perdendo a terra tutte le sue carte. Le raccolse di fretta senza togliere il cellulare dall'orecchio.
    “Perché non guardi dove vai?”, lo aggredì prima di riprendere la conversazione al telefono. Non con cattiveria, ma solo perché era troppo di corsa per pensare alle buone maniere. Lui guardò uno dei fogli che gli erano rimasti in mano, su cui campeggiava il nome e il titolo del suo possessore: avvocato Dyne.
    “Non è colpa mia!”, disse ancora tra i denti incominciando a seguire l'avvocato dentro ad un vicolo, dove probabilmente aveva lasciato la macchina.
    “Sì! Lo so che sono in ritardo! Sì, no. Non- no! Sì, lo so! No, ok , aspettami lì che arrivo. Che ti devo dire? Mi hanno trattenuto in tribunale! Dai, tranquillo che adesso arrivo”. L'uomo chiuse la chiamata e mise la mano sulla maniglia della porta, ma non fece tempo ad aprirla che lui lo raggiunse alle spalle e lo tramortì. Poi lo mise in auto e partì.
    “Non è colpa mia”, continuava a mormorare guardandosi intorno. “Non è colpa mia!”, gridò poi pestando con forza i pugni sul volante.




    Il professore finì di parlare proprio quando suonò la campanella che segnava la fine della lezione. Tutti gli studenti, solitamente non troppo attivi, erano già pronti per uscire e, appena il professore si era alzato per andarsene, incominciarono ad accalcarsi alla porta. Tutti gli studenti a parte due, anzi uno, che, apparentemente con calma, stava finendo di mettere le sue cose nella borsa.
    “Dai Jack! Aspetto questo momento da anni! Non puoi muoverti più in fretta?”, chiese Elder agitato.
    “Tranquillo Mike, i fogli non scappano”, rispose tranquillo Jack, anche se in verità era ansioso pure lui. Finalmente avevano raggiunto l'ultimo anno dell'accademia e per i prossimi due mesi, in gruppi da tre, avrebbero affiancato una squadra della BAU
    “Secondo te saremo nello stesso gruppo?”, chiese Elder mentre arrivavano finalmente alla massa di studenti che si affollava davanti alla bacheca nel corridoio.
    “Spero di sì”, disse Jack alzandosi in punta di piedi, forse avrebbero fatto meglio ad aspettare che il gruppo si sfoltisse, tanto non sarebbero riusciti a passare.
    “Sì, siete finiti nella stessa squadra”, disse un loro compagno uscendo dal gruppo. “E siete stati i soliti fortunati... Siete finiti nella squadra migliore della BAU, quella di Aaron Hotchner”, continuò guardandoli con invidia e aspettandosi un'esclamazione di felicità. Ma dovette accontentarsi di due sorrisi tirati.
    “E dai, avrete da faticare ma ho sentito dire che sono simpatici”, scherzò dando poi un colpo sulla spalla ad Elder e andandosene.
    “Come facciamo? Se fossimo solo noi due non ci sarebbero problemi ma...”, disse Jack allontanandosi.
    “Non credi che sia ora di rivelare chi sei? Infondo siamo all'ultimo anno!”, provò a convincerlo Mike.
    “Ti ho già detto con non-”
    “-voglio uscire a pieni voti solo perché ho un padre famoso”, lo scimmiottò Elder. “E provare a dirlo al terzo compagno facendoli promettere di non dire niente a nessuno?”, suggerì.
    “Ehi! Compagni di avventure!”, li salutò una ragazza bruna allegramente. “Sarò con voi allo stage! Sono così eccitata! Incredibile essere finiti nella migliore squadra della BAU, vero?”
    I due ragazzi si guardarono e Jack scosse la testa leggermente.
    “Che succede ragazzi? Non siete contenti?”
    “Siamo solo stanchi, Margaret, abbiamo giocato a basket fino a tardi ieri sera”, disse Elder stiracchiandosi e mimando uno sbadiglio. La ragazza li guardò poco convinta ma poi alzò le spalle.
    “Vedete di non far tardi stasera, domani si incomincia!”. Detto questo li salutò.
    “Tra tutti lei! Se gli rivelo tutto dopo due minuti lo saprà tutta l'accademia!”, disse Jack appena lei se ne fu andata.
    “Non è che hai paura di rivelarti? Forse temi di non reggere il confronto con tuo padre...”, lo stuzzicò Elder guadagnandosi un'occhiataccia. “Stavo scherzando!”




    “Avanti”. JJ, che aveva appena bussato alla porta, entrò nello studio di Hotch. Ormai tutti se ne erano andati e rimanevano solo loro due in ufficio. “Ancora qui? Credevo fossi già andata”, commentò Hotch.
    “Aveva del lavoro da sbrigare e poi mi dovevano ancora arrivare i nomi degli studenti che ci affiancheranno da domani per le prossime settimane...”, spiegò lei.
    “Giusto. Jack era ansioso di scoprire dove sarebbe finito”, si ricordò l'agente sorridendo pensando al figlio.
    “Ecco... A proposito di questo. Mi hanno finalmente inviato i nomi di chi ci è toccato”. JJ posò la cartelletta che aveva in mano sul tavolo.
    “C'è qualcosa che non va? Ci hanno affidato studenti dai pessimi voti?”
    “No, direi di no”, disse lei aspettando che il capo si accorgesse di qual'era il problema, cosa che avvenne qualche decimo di secondo dopo.
    “Jack. Ecco il problema”, commentò Aaron.
    “Se vuoi posso chiamare all'accademia e inventarmi una qualche scusa...”, propose la bionda mettendosi i capelli dietro le orecchie.
    “No, Jack continua a dire che non vuole favoritismi e questo gli sembrerà un mio modo di non metterlo in difficoltà...”, l'interruppe Hotch. “Sarà difficile, ma credo che voglia che noi facciamo finta di non conoscerlo”
    “Allora avverto la squadra, domani mattina inizieranno il loro stage. Buona notte Hotch”, lo salutò lei.
    “Buona notte”




    “Buongiorno!”, disse Hotch facendo entrare la luce del sole aprendo le imposte della stanza del figlio. Il quale, disturbato dal sole, si girò nel letto grugnendo.
    “Non è divertente papà”, si lamentò cercando di aprire gli occhi ma non riuscendoci a causa della luce.
    “Non sei contento? È il tuo primo giorno di lavoro”. Jack si tirò su come se l'ultima frase detta dal padre fosse stata una specie di campanello d'allarme.
    “Ehm... Hai saputo..?”
    “Si”, sospirò Hotch. “Come pensi di fare? Rivelerai al mondo che sei mio figlio o ti vergogni ancora così tanto di me che non vuoi farlo?”, chiese Hotch facendo una faccia seria. Jack lo guardò male.
    “Lo sai che non lo faccio per questo”, ribatté, ancora troppo addormentato per accorgersi che lo stava prendendo in giro. “Dovremo fare finta di non conoscerci”. Jack si stiracchiò mentre Hotch annuiva.
    “L'avevo immaginato. Ho già avvertito tutta la squadra”. Detto questo uscì dalla stanza. “Io vado di già! La colazione è pronta in tavola”, urlò dal corridoio mentre Jack si sollevava pian piano dal letto.





    “Jack verrà a lavorare con noi e dovremo far finta di non conoscerlo?!”, chiese scandalizzata Garcia. Stranamente JJ non era riuscita a rintracciarla la sera prima e così era venuta a sapere tutto la mattina.
    “Esatto. Nessuno all'accademia sa che è figlio di Hotch e Jack non vuole che si sappia”, spiegò JJ.
    “Un giorno o l'altro dovrò fargli un bel discorsetto a quel giovanotto!”, disse Garcia decisa.
    “State parlando di Jack?”, chiese Morgan entrando in quel momento. JJ e Garcia annuirono. “Riesco a capire la sua decisione solo pensando al fatto che è figlio di Hotch... E dovremo far finta che non lo sia!”, commentò incrociando le braccia.
    “Ora è meglio andare, Jack e i suoi due compagni arriveranno tra poco e dovremo presentarci a loro”, disse JJ avvicinandosi alla porta.



    “Benvenuti nella nostra squadra”, disse Hotch ai due giovani che aveva di fronte a sé. Uno era l'alto ragazzo di colore che già conosceva, il grande amico di Jack, Michael Elder, che però, come anche con suo figlio, doveva far finta di non conoscere. L'altra era una ragazza dai capelli molto corti e marroni, con degli occhi praticamente neri e un enorme sorriso.
    “Io sono l'agente supervisore Aaron Hotchner, loro sono gli ag-”
    “Scusate il ritardo”, disse Jack entrando in quel momento con il fiatone.
    “Stavamo iniziando adesso”, disse l'agente sforzandosi di non dare a vedere di conoscerlo. “Come stavo dicendo... Io sono l'agente speciale supervisore Aaron Hotchner, il capo dell'unità. Se ci sono problemi di qualunque genere dovete rivolgervi a me”, disse presentandosi. “Loro invece sono l'agente speciale supervisore David Rossi, che, come saprete sicuramente, è uno dei creatori di questa unità; il dottor Spencer Reid, il nostro esperto di qualunque cosa; l'agente speciale Dereck Morgan, specializzato in crimini ossessivi; l'agente speciale Jennifer Jerau, si occupa della parte burocratica del lavoro, come decidere quale casi accettare tra tutti quelli che arrivano; e infine Penelope Garcia, il nostro tecnico informatico, qualunque informazione chiedetela a lei”, concluse Hotch.
    “Benvenuti nella nostra squadra”, intervenne Rossi facendosi avanti e stringendo la mano a tutti e tre, subito imitato dal resto della squadra.
    “Per ora non abbiamo niente da fare quindi vi consiglio di sistemarvi in tre scrivanie nell'openspace e fare un giro nell'edificio, per ambientarvi”, disse Hotch come congedo, e così tutti uscirono dalla sala riunioni.


    Finito il giro di ambientamento i tre stagisti poterono sistemarsi nell'openspace: Jack prese posto nella scrivania davanti a Reid, Elder in quella vicina alla sua e Margaret quella di fronte a lui.
    “Visitato tutto l'edificio?”, chiese Morgan ai tre, che erano stati accompagnati da Garcia, ansiosa di conoscere meglio i nuovi venuti.
    “Sì, signore”, disse esitante Jack, più perché, come con Garcia, non sapeva come comportarsi con loro, piuttosto che per la normale agitazione di un cadetto rispetto ad un agente più anziano.
    “Non siamo così formali, chiamatemi pure Morgan”, disse l'uomo sedendosi sulla scrivania di Reid. “Avete visto anche l'area relax?”, chiese ancora.
    “Esiste un'area relax?”, chiese Elder stupito. Morgan rise.
    “Con il lavoro che facciamo è il minimo. Venite, ve la mostro”. Detto questo si alzò dirigendosi verso una porta lì vicino.


    “Lo sai che prima o poi dovrai dire a tutti di chi sei figlio?”, disse Morgan quando Margaret ed Elder se ne furono andati, 'sequestrati' di nuovo da Garcia, che si era messa d'accordo con l'uomo di colore per fare in modo che lui rimanesse da solo con Jack. Il quale, dopo che Morgan li aveva invitati a lasciare perdere le formalità, si era quasi affrettato a dire a Morgan di chiamarlo pure per nome.
    “Ma contavo di farlo dopo il diploma, in modo che nessuno possa dire che sono passato solo perché sono figlio di mio padre”
    “Non lo direbbe nessuno conoscendo Hotch”, contestò Morgan.
    “Ne sei sicuro? E poi direbbero che bastava la fama di mio padre, che potrebbero aver fatto tutto i professori senza neanche coinvolgere per forza papà”. Diede un sorso al caffè mentre Morgan scrollava la testa.
    “Sei impossibile ragazzino... Volevo solo dirti una cosa. Per noi sarà difficile, per Garcia praticamente impossibile e per tuo padre ancor di più...”
    “Quindi dovrei prepararmi al fatto che Margaret potrebbe scoprirlo?”, chiese Jack.
    “Esatto... Aspetta. Perché hai parlato solo di Margaret?”, chiese curioso Morgan inclinando la testa.
    “Perché Elder lo sa già”, gli comunicò Jack sorridendo.
    “Allora l'hai detto a qualcuno! È già un passo avanti”. Gli batté la mano sulla spalla mentre si dirigevano di nuovo verso l'openspace.
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    Edited by zavarix - 2/8/2013, 23:29
     
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    Capitolo 2


    “Tutti in sala riunioni, abbiamo un caso”, li avvertì Hotch passando per l'open space.

    “Edward Dyne è stato ritrovato nel parco di una piccola cittadina in Ohio, Poland, l'altro ieri.Gli mancava la lingua”, iniziò JJ. “E il giorno dopo è stato trovato un altro cadavere,non ancora identificato, sempre nel parco, senza gli occhi. Ah! E della prima vittima non si trova la macchina, sospettano che l'abbia presa l'SI”
    “Come mai non ancora identificato?”, chiese Reid.
    "Per questo”, rispose JJ mostrando delle foto dei corpi ritrovati. Dei quali difficilmente si poteva riconoscere qualcosa.
    “Mai visto un eccesso di rabbia così grande”, commentò Morgan mentre i tre stagisti distoglievano lo sguardo.
    “Per questo ci vogliono il prima possibile, è una città piccola e non vogliono che il prossimo sia trovato da un bambino”
    “Partiamo subito, finiremo di aggiornarci in volo. Garcia, mandaci il fascicolo sulla vittima identificata”, disse Hotch alzandosi.


    Sul Jet
    “Cosa sappiamo della prima vittima?”, chiese Morgan.
    “Edward Dyne, 44 anni, avvocato, lavorava e viveva a Cleveland, che è a 70 miglia da Poland. Era sposato con Meredith Brown e aveva due figli di tredici e diciassette anni”, elencò Garcia dallo schermo del computer.
    “Magari è una vendetta, con quel lavoro ti fai un sacco di nemici”, ipotizzò Reid.
    “Nein, caro il mio dottorino. Tutti casi tranquilli: una contesa tra due pizzaioli in grande competitività, una causa di divorzio mai conclusa perché i due si sono rimessi insieme... Il caso più grande che ha avuto è la rapina di un negozio ad opera di due ragazzi di vent'anni. In più non ha cercato di fare carriera, nel senso che non ha pestato i piedi a nessuno”, disse Garcia.
    “Vita privata?”, chiese Hotch.
    “Dal suo account su Facebook ho scoperto che la domenica andava a pesca con un amico, Anselm Davis. Ci sono molte foto di loro due in tenuta da pesca. Doveva essere proprio un appassionato perché ogni mese spendeva un bel po' per attrezzatura”
    “Collegamenti con Poland? Andava a pescare lì?”, chiese Morgan.
    “Niente di niente, non sembra esserci mai stato”
    “Perché fare tanta strada allora? Da Cleveland a Poland ci vogliono minimo un'ora e ventun minuti”, commentò Reid.
    “Il posto deve avere un significato particolare per il nostro SI. E il fatto che non ci sono collegamenti tra la nostra vittima e Poland esclude il fatto che lo conosca, è il sostituto di qualcuno”, commentò Hotch.
    “Ragazzi! Mi è arrivato un messaggio dalla polizia di Poland... Hanno identificato anche il secondo cadavere”, disse Garcia incominciando a battere sui tasti. “La seconda vittima è George Edwards, 47 anni. Non è sposato. Fa il muratore e viveva anche lui a Cleveland. Nessun collegamento con Dyne se non che è stato ritrovato anche lui in quel parco”
    “Due vittime di diverso status sociale, ma che ha massacrato con la stessa rabbia... E ha preso un trofeo diverso”, disse Reid pensieroso. Ci fu un attimo di silenzio mentre tutti fissavano i fascicoli che avevano in mano, come a cercare delle risposte a quei misteri.
    “Atterreremo tra poco. Morgan, tu vai sulla scena, portati Margaret.”, disse Hotch rompendo il silenzio per distribuire i compiti. “Rossi, vai dal medico legale a Cleveland, Elder con te. Brooks verrà con me, Reid e JJ in centrale”
    Margaret passò un attimo lo sguardo tra Jack e Hotch. Aveva notato un'altra volta una certa incertezza da parte di Hotch nel chiamare il ragazzo seduto vicino a lei. Il quale si alzò in quel momento andando verso la macchinetta del caffè in cima all'aereo. Arrivato all'altezza di suo padre si fermò quasi come se fosse stato lui a stopparlo.
    “Ti devo parlare”, sussurrò indicando il caffè. Hotch annuì e poi seguì Jack.
    “Che succede?”, chiese preoccupato Hotch al figlio.
    “Io... Lo so che è difficile e che ti stai impegnando molto per fare come ti ho chiesto ma...”
    “Ma mi lascio sempre sfuggire indizi, lo so. Ho visto anch'io l'occhiata di Margaret”, completò Hotch e Jack annuì. “Cercherò di stare più attento”, disse Hotch incominciando a farsi un caffè.
    “Grazie... Papà”, disse Jack sussurrando l'ultima parola. Hotch lo guardò con gli occhi che sorridevano mentre la bocca rimaneva seria, la ragazza sospettosa li stava osservando.
    “Di niente figlio mio”, sussurrò tra le labbra guardando il figlio tornare a posto.
    “Che voleva il capo da te?”, chiese Margaret quando Jack arrivò al suo posto.
    “Niente, mi ha detto che non accetterà più ritardi. Ho provato a spiegargli che era colpa dei trasporti ma credo sia meglio che d'ora in avanti vengo in bici, dovrò partire prima ma almeno non arriverò in ritardo”, disse sorridendo e sperando che lei se la bevesse. Lei annuì e poi si sistemò meglio sulla poltrona cercando di imitare Elder, che in un attimo si era profondamente addormentato.




    "Ti starai chiedendo perché ricontrolliamo la scena anche se c'è già stata la scientifica", disse Morgan quando arrivarono al parco. Margaret scosse la testa.
    "Nelle ultime lezioni ci hanno spiegato un po' cosa si fa sul campo", spiegò lei in risposta allo sguardo stupito dell'agente. "Ed è anche chiaro. A noi la scena può dire molto di più che alla scientifica"
    "Brava. Allora, tu che vedi?", chiese Morgan sinceramente sorpreso. Margaret si guardò intorno.
    "Da qui si possono vedere tutte le entrate del parco senza essere visti. Un ottimo posto per scaricare un cadavere, ma difficile da individuare se non sei del luogo. In più non è grande come giardino, eppure è riuscito a scaricare qui anche il secondo cadavere nonostante il posto fosse sorvegliato", disse sicura Margaret. "L'SI dev'essere cresciuto da queste parti, solo un bambino conosce così bene il parco-giochi del suo paese"
    "Sicura di non essere una profiler infiltrata tra gli studenti?", le chiese Morgan scherzando. "Neanche il piccolo Ho-". Morgan si bloccò a metà della frase accorgendosi dell'errore che stava per fare.
    "Piccolo Hotchner? Hotch ha un figlio?", chiese Margaret guardandolo sorpresa. Morgan annuì.
    "Ehm sì", cercando una via di fuga si guardò intorno. E fu così che la vide. "Guarda lì", disse alla ragazza andando nella direzione indicata dal suo braccio.
    Sotto un cespuglio c'era un pacchetto. Morgan lo prese con molta cura e lo aprì, trovandosi in mano una lingua e in un sacchetto di plastica trasparente due occhi.
    "Come può essere sfuggito alla scientifica?", chiese Margaret sorpresa.
    "Non può. Ha messo tutto qui dopo, nonostante il posto sia controllato. Ci sta prendendo in giro"










    "Ora vedremo i cadaveri, sicuro di farcela?", chiese Rossi subito prima di entrare. Elder annuì convinto.
    "Guardo Supernatural da anni", disse sorridendo come se quello sistemasse tutto.
    "Non ho idea di cosa sia, comunque spero per te che sia veramente forte", rispose l'agente prima di raggiungere il medico legale. "Agente Rossi", si presentò.
    "Ah! Allora siete voi quelli dell'FBI, dottor Niathan", disse il medico stringendogli a sua volta la mano. "Venite, vi faccio vedere i corpi". Detto questo si avvicinò ai tavoli per autopsie e sollevò il telo bianco che fino a quel momento aveva nascosto uno dei due cadaveri. A quella vista Elder si girò di spalle assumendo un colore verdognolo.
    "Prima volta?", chiese il medico e Rossi annuì.
    "Non che questo possa essere normale per chiunque", commentò l'agente.
    "Ne ho visto tanti con un lavoro come il mio, ma ha ragione. E questo poveretto, come quell'altro, è conciato peggio di chiunque io abbia visto", disse il medico. "E pensare che sono tutte ferite post-mortem"
    "Tutte?", chiese sorpreso Rossi mentre Elder si avvicinava di nuovo. Il medico annuì.
    "Più o meno. Il primo colpo è stato diretto alla testa con una forza impressionante. Poi gli ha cavato la lingua e infine lo ha ridotto in questo stato”. Elder, che si era ripreso, dovette rigirarsi a riprendere fiato.
    “E la seconda vittima?”, chiese Rossi disgustato anche lui, sebbene ne avesse viste di tutti i colori.
    “Stesso modus superandi... è così che dite, vero?”, rispose il medico indicando l'altro tavolo coperto da un telo bianco.
    “Possibile che abbia fatto tutto questo per impedirne la identificazione?”, chiese Rossi. Il medico scosse la testa.
    “No. Avrebbe colpito ancor di più la faccia per rompere anche i denti costringendoci ad aspettare l'arrivo delle analisi del sangue... E poi non serve fare questo macello per impedire che un corpo venga identificato”




    “Commissario Dalton?”, chiese JJ avvicinandosi ad un corpulento signore con dei folti baffi bianchi.
    “Sono io. Voi siete quelli dell'FBI, giusto?”
    “Agente Jennifer Jerau. Abbiamo parlato al telefono. Loro sono l'agente Hotchner, il dottor Reid e lo stagista Brooks”, rispose JJ presentando i suoi compagni.
    “Vi stavamo aspettando, ho sistemato tutto quello che vi serve di là e i familiari della prima vittima sono arrivati”, disse lui mentre stringeva le mani a tutti tranne che a Reid che si limitò ad agitarla.
    “La ringrazio. E i familiari della seconda vittima?”, chiese Hotch.
    “Non ne ha a quanto so... Veniva spesso qui in zona, ha passato qui la sua infanzia e sua madre è sepolta nel nostro cimitero”, rispose Dalton.
    “Lo conosceva bene?”, chiese Hotch mentre Reid Jack e JJ andavano a sistemarsi nella stanza loro assegnata. Dalton annuì.
    “Non è un paese grande, è facile conoscersi. Non dico di conoscere tutti, ma molti sì”
    “Ed Edwars? Era conosciuto in zona?”, chiese Hotch ricevendo come risposta un cenno affermativo.
    “Era uno che si faceva notare"
    "In che senso?", chiese Hotch curioso.
    "Era conosciuto per sapere sempre tutto di tutti quando era qui, ancora oggi credo ci sia gente che aspettava che ritornasse in zona per chiedergli qualche informazione..."
    "Sa se era in zona questi giorni?", chiese Hotch.
    "Sì, è l'annversario della morte della sua povera madre. Credo... Credo di essere l'ultimo a vederlo vivo. L'ho incrociato mentre usciva dal cimitero il giorno prima che è stato trovato morto nel parco", rivelò il commissario. "Che altro posso fare per aiutarvi? La gente è preoccupata, vuole risposte”, chiese Dalton mostrando tutta la sua preoccupazione.
    “Vada con l'agente Jerau a fare un'intervista alla stampa, cerchi di tranquillizzare i suoi concittadini. L'agente le spiegherà tutto”, disse Hotch andando, seguito dal commissario, a raggiungere JJ, Reid e Jack.

     
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    CAPITOLO 3


    “Sa, credo che si pentirà di aver detto alla gente di chiamare per qualunque cosa strana che vedessero”, commentò JJ mentre lei e il commissario tornavano in centrale.
    “E perché?”, chiese sorpreso lui.
    “Perché il centralino sarà intasato di chiamate”, spiegò lei aprendo la porta. Entrati, infatti, notarono i due centralinisti già indaffaratissimi. Non riuscivano a mettere giù la cornetta che una nuova chiamata arrivava.
    “Ma forse tra tutte quelle inutili troveremo una segnalazione utile”, commentò il commissario.


    Avevano raggiunto la squadra anche Rossi ed Elder ormai da un paio d'ore, eppure sembrava che non riuscissero a fare progressi.
    “Cosa sappiamo?”, chiese Hotch ritenendo sensato fare, per l'ennesima volta, il sunto delle loro informazioni.
    “L'SI deve essere molto forte, ha sopraffatto due uomini in grado di difendersi e li ha uccisi con un solo colpo molto violento alla testa”, disse Morgan alzando la penna dal tavolo.
    “Ha passato almeno la sua infanzia qui a Portland, probabilmente abitando vicino al parco”, disse JJ.
    “Ma in un villaggio come il nostro abitare nelle vicinanze del parco corrisponde più o meno a tutto il paese. Tutti, o quasi, i ragazzi avevano e hanno una bicicletta e il parco è sempre stato un punto di ritrovo”, commentò il commissario ravvivandosi i capelli radi.
    “Quindi sappiamo semplicemente che abitava qui, che molto probabilmente conosceva la seconda vittima, e altrettanto probabilmente non conosceva la prima”, aggiunse Rossi guardando poi Hotch in cerca di conferme.
    “La moglie non ha saputo dirci niente che non sapessimo già, e neanche il migliore amico sapeva qualcosa”, disse Hotch.
    “Mi dispiace aggiungere brutte notizie a brutte notizie”, intervenne Garcia dal cellulare di Morgan, che l'aveva chiamata per farla partecipare a quel momento condiviso. “Ma neanche il vostro genio della lampada può dirvi molto. Ci sono troppe persone che corrispondono al profilo parziale che avete dato adesso”. Ci furono degli attimi di silenzio in cui tutti guardavano il proprio fascicolo.
    “Che dite voi?”, chiese Morgan rivolgendosi agli stagisti. Non avevano detto niente e lui sospettava che se non fossero stati invitati non avrebbero aperto bocca. “Il profiling è un lavoro di gruppo”. I stagisti si guardarono un attimo, poi Mike si fece coraggio.
    “N-non abbiamo parlato del perché ha tolto quelle parti del corpo alle vittime...”, incominciò prendendo sempre più sicurezza. “Ma credo che sia collegato al lavoro che facevano...”. Tutti lo guardavano con interesse ed Elder sentì la voglia di sprofondare. Gli piaceva il profiling, e sapeva di avere le intuizioni giuste, ma non era mai stato come Jack e Margaret. Loro intervenivano spesso durante le lezioni per dire la loro, lui invece preferiva ascoltare e ragionare per conto suo. Ma aveva ragione Morgan, il profiling è un lavoro di gruppo, e così si fece forza e andò avanti. “A Dyne, che era avvocato, gli ha tagliato la lingua, che in fondo è lo strumento del suo lavoro. Edwards era muratore, e questo sembra non centrare più di tanto, ma sappiamo che era anche una specie di spia, uno che sa sempre tutto. Nei paesi quelli così più che altro ascoltano molte storie. È per questo che sembrano sapere ogni cosa. Quindi anche ad Edwards in verità ha tagliato i suoi attrezzi del mestiere”, concluse Mike.
    “Il ragazzo ha ragione”, disse Morgan. “Ma c'è ancora un problema... Perché? La prossima vittima sarà un corridore senza piedi, o uno scultore senza mani?”. Non ci fu risposta, e non ne serviva una. Con le informazioni che avevano non sarebbero andati avanti.
    “In estrema sintesi sappiamo che è un uomo molto forte, che abitava o abita a Portland e che taglia quelle parti del corpo a quelle vittime per qualcosa che centra con il loro lavoro o specialità”, disse Hotch. “Per oggi non riusciremo a fare nient'altro. È tardi e siamo tutti stanchi. Da riposati saremo più utili”, disse alzandosi, imitato dagli altri.
    “Ehi! Mike”, chiamò Margaret stoppandolo prima che uscisse. Si trovarono così da soli nella stanza.
    “Che succede?”, chiese il ragazzo.
    “Non trovi che il comportamento di Jack sia strano?”, chiese la ragazza.
    “No, non mi sembra”, rispose lui incominciando a preoccuparsi che avesse scoperto qualcosa sul suo amico.
    “In effetti non proprio lui... Ma il suo comportamento con gli altri, e come lo trattano loro...”, rivelò lei.
    “Sicura? Io non ho notato niente”, provò a minimizzare lui.
    “Hotch esita sempre nel chiamarlo, e se può non lo fa”, continuò lei.
    “Ah, è questo dunque?”, chiese Mike pensando di aver trovato una soluzione. “Forse so io perché”, disse infatti.
    “Sentiamo, perché?”, chiese lei.
    “Ti ricordi quando Reid è venuto a sostituire il prof e ci ha fatto quella lezione sul Mietitore?”
    “Certo, è stato molto laconico, non ha detto praticamente niente. E lo capisco, averci lavorato deve essere stato traumatizzante”, assentì la ragazza.
    “Esatto, io però volevo sentire tutta la vicenda, e ho scoperto che è molto peggio di come ce l'ha raccontata”
    “Davvero?”, chiese lei stupita.
    “Sì. Ho fatto ricerche e ho scoperto che il Mietitore ce l'aveva con Hotch. Tanto che gli ha ucciso la moglie”, le rivelò.
    “Me è terribile! Però non capisco che centra...”, disse Margaret addolorata ma anche confusa.
    “La moglie di Hotch... Si chiamava Brooks di cognome. Probabilmente il cognome di Jack gli ricorda la moglie, ci credo che non gli piaccia chiamarlo”, disse spiegando il suo pensiero. “Ora è meglio andare, si chiederanno dove siamo finiti”. Detto questo uscì dalla stanza mentre Margaret lo seguiva pensierosa.



    Le stanze erano divise come al solito: in una le ragazze, Morgan con Reid, Rossi e Hotch e poi i due stagisti. Tutti erano saliti in camera tranne Morgan, Reid e Margaret. Per dei disguidi dell'hotel la stanza di Dereck e Spencer era ancora da sistemare e così stavano lì ad aspettare che le cameriere finissero. La stagista invece stava sorseggiando un tè, come faceva sempre prima di andare a dormire. Morgan la guardò un attimo dal divano che divideva con Reid, poi gli venne un'idea.
    “Ehi, ragazzino”, chiamò battendogli una mano sulla coscia.
    “Che c'è Morgan?”, chiese senza alzare gli occhi dal libro enorme che stava leggendo.
    “Hai preso il regalo che avevamo deciso per il figlio di Hotch?”, chiese strizzandogli la gamba, sperando che non facesse commenti che svelassero la sua finta.
    “Che- No, n-non ancora”, disse senza capire perché il collega voleva che mentisse.
    “Devi sbrigarti, la prossima settimana quel ragazzo compie dieci anni”, disse facendogli l'occhiolino, e parlando a voce abbastanza alta in modo che sentisse anche Margaret, che sedeva nella poltrona davanti a loro.
    “Fate regali hai figli dei colleghi?”, chiese stupita lei.
    “Siamo come una grande famiglia. J-joshua, il figlio di Hotch, ci chiama zii, proprio come fa il figlio di JJ”, disse Morgan sorridendo.
    “Signor Morgan, signor Reid?”, chiese una cameriera vestita in rosso arrivando nella sala.
    “Siamo noi”, disse Morgan alzandosi.
    “La stanza è pronta”, li avvertì lei.
    “Grazie, buona notte Margaret”, salutò Morgan.
    “Buona notte”, disse anche Reid chiudendo il libro e appoggiandolo sul tavolino.
    “Lo lasci qui?”, chiese sorpresa Margaret.
    “Sì, è dell'albergo. E tanto l'ho finito”, disse tranquillo proseguendo verso le scale. Morgan, che lo aspettava sui primi gradini, scoppiò a ridere vedendo la faccia strabiliata della ragazza.


    “Avanti”, disse Hotch, quando sentì bussare alla porta della stanza che divideva con Rossi, il quale era chiuso in bagno da un'eternità e non dava segni di voler uscire.
    “Ciao Hotch”, disse Morgan entrando solo per metà.
    “Altri problemi con la vostra camera?”, chiese.
    “Ehm, no. Ti volevo solo avvisare che tuo figlio si chiama Joshua e che la prossima settimana compirà 10 anni”. A queste parole Hotch gli fece segno di entrare e chiudere la porta.
    “Cosa?”, gli chiese.
    “Mi sono lasciato scappare il fatto che tu hai un figlio e ho voluto confondere le idee a Margaret dicendole che hai un figlio di nome Joshua che compirà la prossima settimana dieci anni”, spiegò l'uomo di colore. “Buona notte”, aggiunse uscendo.
    Proprio in quel momento Rossi uscì dal bagno con addosso un asciugamano dell'hotel.
    “Che succede?”, chiese vedendo Hotch un po' scioccato.
    “Ho appena scoperto di aver un figlio di dieci anni che si chiama Joshua”, rispose l'agente entrando in bagno, mentre Rossi lo guardava sorpreso.




    “Cosa hai detto a Margaret???”, chiese Jack saltando su dal letto. Elder glielo aveva appena raccontato, orgoglioso per quella che per lui sembrava una bella soluzione. Per questo stette in silenzio a guardare sbalordito l'amico. “Adesso sa anche che il mio cognome è lo stesso della moglie di mio padre, cioè di mia madre!”, sussurrò Jack furioso. Non era veramente arrabbiato con Elder, ma quella situazione lo stava stressando parecchio, ancor di più di quanto aveva pensato all'inizio.
    “Non avrei mai pensato che qualcuno potesse trovarsi nella situazione di dire una cosa del genere”, disse Elder non riuscendo a trattenersi e cercando di non ridere. Jack lo guardò male, o almeno ci provò, perché anche lui non poté resistere e scoppiò a ridere, dando come il permesso all'amico, che si liberò ridendo fragorosamente.
    Jack guardò l'amico che ormai quasi si rotolava per terra dal ridere. Mike era fatto così, poteva ridere su quasi qualunque cosa. Lui invece era più come suo padre, abbastanza serio. Forse per questo erano tanto amici, si completavano a vicenda.
    Dopo un attimo si calmarono, la situazione era seria e il caso tutt'altro che allegro.
    “Certo che anche tu... Non potevi aspettare a parlare a tuo papà? Dovevi farlo per forza in aereo?”
    “Hai ragione”, convenne Jack. “Non so che mi sia preso, avevo un urgente bisogno di parlargli”
    “A chi?”, chiese gioviale Margaret entrando in camera e spaventando i due ragazzi.
    “Marga!”, urlò Mike.
    “Oh! Strano diminutivo! Mi piace”, commentò lei sorridendo a Mike.
    “Non hai pensato che potevamo essere nudi per cambiarci?”, chiese invece Jack. Margaret fece spallucce.
    “È passata un'ora da quando siamo arrivati, ti conosco abbastanza da sapere che non aspetti mai così tanto per fare una cosa, qualunque essa sia, quindi anche cambiarti per andare a letto. Ed Elder ti avrà imitato”, spiegò lei sedendosi sul letto vicino a lui, che arrossì. Lo conosceva così bene? “Non stupitevi così tanto! Ormai sono una brava profiler, lo ha detto anche Morgan”, disse lei osservandoli e facendogli l'occhiolino.
    “Ma che ci fai qui?”, chiese allora Elder.
    “Quello che mi hai detto mi ha fatto pensare”, disse Margaret facendo trasalire i due ragazzi.
    “Ah si?”, chiese Mike e Margaret annuì.
    “Tutta la squadra ha storie così? Di serial killer che li hanno colpiti così da vicino?”, chiese Margaret. Jack, senza pensarci troppo, annuì subito.
    “Si, più o meno”, disse accorgendosi poi che poteva essere strano che lui sapesse così tanto della squadra da rispondere in modo così sicuro. “O almeno credo”, aggiunse subito dopo. “Con questo lavoro può sembrare quasi logico”, continuò. Ok, scampata anche questa, pensò. Margaret non diceva niente. “Ehi, Marga”, la chiamò il ragazzo adottando il soprannome che aveva coniato qualche minuto prima il suo compagno di stanza. “Ci sei?”, chiese vedendola ancora persa nel vuoto.
    Elder le passò una mano davanti agli occhi svegliandola definitivamente.
    “Ehm... sì, sì, ci sono”, rispose Margaret. “Ora è meglio se vado, buona notte. A domani”. Detto questo si alzò e lasciò soli i due ragazzi, i quali si guardarono stupiti, ma decidendo di lasciare perdere.
     
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