Improvvisazioni

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    Autore: DVI
    Titolo: Improvvisazioni
    Rating: Giallo.
    Categoria: Drammatico, Romantico.
    Avvertimenti: la storia parte dagli eventi raccontati nella puntata 3x02, nel momento in cui Hotch bussa alla porta di Prentiss.
    Personaggi/coppia: Hotch/Prentiss; avranno una certa rilevanza Rossi e Reid, comunque saranno presenti tutti (il "cast storico": Morgan, Garcia, JJ, Strauss).
    Disclaimer: i personaggi appartengono a Jeff Davis, così come Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
    Note: Ciao a tutti,sono nuova del Forum, mi sono proprio appena presentata. Propongo una storia a capitoli che mi piacerebbe semplicemente condividerla con voi. :) E' una vicenda che, a parte l'incipit, vira in AU. Avverto che, probabilmente, i personaggi saranno OOC rispetto alle linee canoniche. Buona lettura, spero. Per i commenti, cliccate qui.

    I.
    Il rumore lieve alla porta la ridestò dal suo stato di leggero torpore. Guardò nello spioncino e la figura che vide nel corridoio la fece trasalire. Posò la fronte sulla superficie liscia, respirò a fondo, indecisa se aprire o meno. Attese pochi secondi, dunque spalancò la porta: Hotch era davanti a lei, immobile, con le gambe appena divaricate, una mano intrecciata all'altra e l’espressione fissa innanzi a sé. Non gli disse nulla: era troppo stupita, e forse troppo imbarazzata dalla sua presenza.
    <<posso entrare?>> domandò lui, sbrigativo.
    Emily si scostò, giusto per permettergli d’introdursi nell'appartamento. Hotch, senza delicatezza, in fretta, camminò fino al soggiorno, al centro del quale si fermò. Lei notò qualcosa di diverso, in lui, qualcosa che non aveva mai scorto prima … Nascosta dietro alla ruvidezza dei modi, c’era un’esitazione che quasi riusciva a commuoverla.
    <<la squadra ha bisogno di noi, è su un caso a Milwaukee. Gideon è sparito … E non mi dire che ti sei dimessa, o che io ho chiesto il trasferimento.>> sciorinò, compito come al solito.
    <<tu hai chiesto il trasferimento?>> domandò Emily, sinceramente sorpresa.
    <<nessuna delle due cose è ufficiale, tecnicamente siamo inadempienti.>>
    Prentiss lo scrutò con attenzione, piuttosto stranita.
    <<mi dispiace.>> pronunciò, con voce chiara e priva di tentennamenti. <<non posso.>>
    Lui l’osservò.
    <<giusto. Scusami.>> e fece per andarsene.
    In equilibrio tra curiosità e preoccupazione, Prentiss fece un piccolo passo verso di lui.
    <<hotch!>> lo chiamò, risoluta. <<perché … Qual è la vera ragione per cui sei venuto qui?>> gli chiese.
    Aaron si bloccò, alla ricerca di un sostegno appoggiò le mani sul tavolo, per un momento tacque.
    <<e va bene. Te lo dirò.>> accettò. <<credo che la Strauss ti abbia chiesto di screditarmi.>> disse, tutto in un fiato.
    <<e … Perché lo avrebbe fatto?>>
    <<se una persona mira alle più alte cariche dell’FBI, deve sapere chi può esserle d’intralcio.>> le spiegò.
    <<<cosa avrei potuto dirle, in fondo?>> indagò Emily.
    <<che un mio agente ha ucciso un sospettato a sangue freddo, per esempio. Oppure che un altro mio agente ha avuto gravi problemi di droga, problemi che io non ho riferito. Se la Strauss avesse le prove di ciò, la mia carriera sarebbe finita. Ho ragione di supporre che la Strauss si aspettasse qualcosa da te: ti ha inserito nella squadra, senza passare per la mia supervisione, né per quella di Jason … Questo ti fa onore: ti sei dimessa, piuttosto che gettare fango.>>
    <<e’ più forte di me: destesto i politicanti.>> rivelò la donna, senza pensare.
    Lui non interruppe il confronto visivo.
    <<vieni a Milwaukee con me, Prentiss.>> e intanto s’accorse della titubanza della sua interlocutrice. <<facciamo così: se la tua ventiquattr’ore non è pronta, non ti disturberò oltre … Ma se è pronta, sali sull’aeroplano con me. Un ultimo caso.>>
    Emily rivolse i propri occhi al pavimento, assorta.
    <<non ho più pistola e distintivo.>> gli ricordò.
    <<e’ solo ferraglia.>> puntualizzò Aaron.
    Gli fece cenno di rimanere in attesa. Percorse le scale che conducevano alla camera da letto, cercando di non correre. Una volta raggiunta la stanza, decise di cambiarsi: indossò un paio di pantaloni multitasche, gli anfibi e una maglia bianca. Aprì l’armadio ed estrasse la ventiquattr’ore … Hotch aveva capito subito.
    Tornò al piano inferiore.
    <<sono pronta.>> dichiarò.
    Aaron esibì un raro sorriso.

    Non conversarono molto, sull'aereo. La vaga, reciproca, attrazione che c’era tra loro aveva sempre reso i rapporti più complicati del previsto, soprattutto in quel momento tanto particolare. Da parte di Hotch, la scoperta di potersi fidare di lei rappresentava una sorta di ostacolo in più: ora non aveva alcun pretesto per tenersi a distanza da lei … E neppure sapeva più se desiderava mantenere le distanze. Ferito e disilluso com’era, aveva un disperato bisogno che qualcuno lo ascoltasse, e non avrebbe mai immaginato che quel qualcuno avrebbe assunto le sembianze di Emily Prentiss.
    <<mia moglie mi tradisce.>> confessò, sentendosi subito più leggero.
    Emily lo sogguardò, insicura. Non era preparata ad affrontare una simile scoperta, non sapeva come gestire le emozioni del suo capo – non sapeva se lo conosceva abbastanza, e si stava domandando per quale ragione lui le avesse restituito quella confessione.
    <<come hai detto?>> bofonchiò.
    <<haley ha un amante.>> riformulò lui.
    <<oh … Ma … Come l’hai scoperto?>> gli chiese.
    <<ieri qualcuno ha telefonato a casa, ho risposto io: non appena il chiamante ha sentito la mia voce, ha riattaccato. Subito dopo, è squillato il cellulare di mia moglie.>>
    <<questo non prova niente.>> tentò di sdrammatizzare Emily.
    <<non essere ridicola, Prentiss!>> esclamò Hotch. <<siamo profiler: è inutile cercare di indorare la pillola.>>
    <<effettivamente, è sospetto.>> riconobbe. <<le hai parlato? Hai provato a chiarire?>>
    <<no. Non servirebbe: la verità è che io so che le cose stanno così, da parecchio tempo. Vorrei che tutto fosse diverso, e senz’altro è colpa mia se la realtà si è fatta così pesante.>> concluse.
    <<ti senti in colpa?>>
    <<se io non amassi questo lavoro tanto quanto lo amo … Se io fossi più spesso a casa …>>
    <<… Non ha senso recriminare, Hotch. Prova a recuperare, invece: lotta per il tuo matrimonio.>> gli consigliò, partecipe.
    <<no, non c’è più niente da recuperare, niente per cui lottare – ad eccezione di Jack, naturalmente. Se Haley ha davvero una relazione con un altro uomo, diversamente dal sottoscritto ha almeno avuto il coraggio di essere sincera con se stessa.>>
    Emily aveva già sentito voci di corridoio poco carine a riguardo; era sempre riuscita a tenersi al di fuori dei pettegolezzi, ma non aveva mai potuto evitare una piccola stretta al cuore quando qualcuno derideva l’integerrimo Agente Speciale Supervisore Hotchner, la stessa che provava ogni volta che la Strauss tentava di convincerla a tradire la fiducia della BAU e del suo rappresentante. In un attimo, le montò dentro un’enorme rabbia nei confronti di Haley, e non seppe spiegarsene la ragione. Istintivamente posò una mano sul braccio del suo capo, piano avvolse il suo polso in una stretta solidale.
    <<mi dispiace.>> gli mormorò. <<sei troppo duro con te stesso: a volte qualcosa smette di funzionare, ecco tutto.>>
    Hotch non si era sottratto al contatto, anzi, aveva silenziosamente ringraziato la sua collega – la sua subordinata – per quel gesto inusuale, forse inopportuno, che era stato in grado di alleviare un poco un’ansia che rischiava di diventare incontrollata. Non sapendo come replicare, pregò affinché i propri occhi si dimostrassero capaci di trasmetterle la gratitudine che sentiva di doverle; un lampo di comprensione accese lo sguardo di Prentiss, ed Aaron abbozzò un altro, minuscolo, sorriso.

    I sorrisi di Reid, JJ e Morgan erano stati come balsamo, per i cuori di Hotch ed Emily: nel rivederli, la squadra aveva dimostrato un entusiasmo ed una felicità che avevano contribuito a lenire il peso che Aaron sentiva sul cuore, e ad ammansire il senso di disgusto che Prentiss provava nei riguardi della “macchina del fango” che si celava dietro alla giustizia.
    Certo, incontrare ancora una volta la Strauss non era stato affatto piacevole: l’occhiata severa che aveva rivolto ai due investigatori clandestini non prometteva nulla di buono, anzi, prefigurava uno scenario piuttosto preoccupante. Tuttavia, la situazione si era mantenuta su un registro tranquillo – almeno fino al termine della giornata.
    Purtroppo, le ricerche dell’assassino si erano rivelate infruttuose, e il corpo di Claire Gershwin era stato ritrovato riverso in un fosso. Il soggetto ignoto aveva improvvisamente cambiato le tempistiche di uccisione. Preda della propria frustrazione, Derek aveva preso a calci un idrante, e solo Garcia, da Washington, era riuscita a tranquillizzarlo.
    L’apparenza glaciale e calcolatrice di Erin Strauss era stata scossa dal ritrovamento del cadavere: la sera si era ritirata in silenzio, senza avvertire nessuno, con aria mesta e sconfitta … Almeno, quella fu l’impressione condivisa da Morgan e Reid.
    Da parte sua Spencer, una volta rientrato in albergo, vagava avanti e indietro nel corridoio, come un fantasma, incurante delle parole incoraggianti di JJ. La bionda agente sapeva che, oltre allo stress causato da un caso spinoso, in Reid era potentissima la preoccupazione nei riguardi dell’improvvisa scomparsa di Gideon: il ragazzo era sperduto, disorientato, e Jennifer non l’aveva mai visto in uno stato tanto confuso. Si augurò che Jason si rivelasse capace di dare a Spencer una spiegazione plausibile del suo comportamento, non foss’altro per rimediare al doloroso disorientamento che gli aveva causato. Tuttavia, lei e Penelope condividevano il sospetto che l’assenza dell’esperto profiler non fosse soltanto momentanea …
    Le cose non erano più serene per gli altri due membri della BAU – o meglio: per i due agenti che, nonostante le rispettive dimissioni e richieste di trasferimento, stavano tentando di supportare il team. Aaron aveva provato a richiamare Haley, senza avere alcuna risposta. Aveva finito con l’intestardirsi: aveva lasciato passare mezz’ora, poi aveva telefonato con numero privato … E gli aveva risposto un uomo. Aveva subito pigiato il tasto rosso del proprio cellulare. In fondo, era solo una conferma … Ma qualcosa, dentro di lui, ribolliva: non già per amore o per affetto, ma per una sorta di orgoglio personale.
    Emily era seduta sul letto, e si augurava che tutto – tutto – si risolvesse per il meglio. Intanto, dubbi circa la sua decisione di abbandonare l’FBI si affollavano nella sua mente, ed era tanto assorta che quasi non s’accorse dell’insistente bussare alla porta. Quando udì i colpi discreti immaginò si trattasse di un deja-vu; e la sensazione perdurò, quando aprì l’uscio e vide Aaron Hotchner.
    <<hotch. E’ successo qualcosa?>>
    <<riesci a dormire?>> le domandò lui, di rimando.
    <<no, in effetti.>> ammise lei.
    <<avevo ragione: c’è un altro.>> sbottò Hotch, e in breve le spiegò la sua disavventura telefonica.
    Prentiss pensò che non fosse il tipo di discorso da intraprendere sulla porta di una camera d’albergo; così, invitò il suo capo a calmarsi e scese con lui fino al bar. Chiacchierarono a lungo, e ognuno chiese a se stesso da quando fosse diventato tanto semplice confidarsi con l’altro. Hotch le raccontò di tutte le stupide manie di Haley sul modo corretto di appendere gli asciugamani in bagno, Prentiss gli rivelò di quando aveva scoperto che un suo recente boyfriend era appassionato di pornografia senile. Per lui era piacevolmente bizzarro parlare con una donna che non fosse Haley e che, almeno in quel preciso istante, non fosse una sua collega; per lei era strano ridere e scherzare con un uomo al quale non aveva mai, in precedenza, attribuito alcun senso dell’umorismo.
    Decisero di tornare in camera due ore più tardi; condividevano il piano con Reid e JJ, mentre le camere di Morgan e della Strauss erano al piano superiore. Emily si fermò davanti alla porta della sua stanza.
    <<spero che tu stia meglio.>> disse.
    Hotch non rispose. Si chinò su di lei e la baciò; con sua grande sorpresa, Emily si scoprì a ricambiare. Entrambi fecero pochi passi ed entrarono in camera. Ad Hotch bastò allungare la mano, per chiudere la porta.

    Edited by DVI - 23/9/2013, 18:05
     
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    II.
    Entrambi erano consapevoli della situazione.
    Non furono necessarie le classiche frasi di circostanza, non ebbero bisogno di spiegare … Tutti e due si sentivano soli e traditi, tutti e due avevano avvertito l’esigenza di un contatto umano: condividere quel momento di debolezza aveva contribuito non solo a farli stare meglio, li aveva ulteriormente avvicinati. Prima che s’abbandonassero uno all’altra, avevano messo in conto che una coltre di soggezione e d’imbarazzo li avrebbe inesorabilmente avvolti, quando tutto si sarebbe esaurito … Contrariamente alle loro previsioni, tuttavia, sentirono soltanto una confortevole pace; per quanto fossero tacitamente concordi nel ritenere quella notte trascorsa insieme un evento unico, derivato da un attimo del tutto particolare, né Hotch, né Prentiss potevano evitare di riconoscere che era stato molto più bello di quanto avessero osato immaginare.
    Poiché non potevano rischiare che il capo sezione li cogliesse in piena (o quasi) flagranza, Hotch non attese le sette del mattino (ora in cui, canonicamente, il team aveva la sveglia) per lasciare la camera di Prentiss. Erano le cinque, e lui si rivestiva lentamente, mentre lei era in accappatoio, in piedi accanto alla porta del bagno, ad osservarlo con attenzione.
    Quando Aaron ebbe indossato camicia e cravatta, si voltò a guardarla e le sorrise con timidezza, quasi desiderasse scusarsi: non voleva che lei pensasse che l’aveva soltanto usata per una sorta di ripicca nei confronti di Haley. Forse c’era qualcosa di vero, perché il risentimento per Haley era innegabilmente forte; eppure, tra loro c’era stato anche tanto altro. Si sentì in qualche maniera rassicurato, quando Emily corrispose al suo sorriso. Le s’avvicinò, si fermò alle sue spalle e, con delicatezza, l’abbracciò; lei non smise di sorridere, gli permise di stringerla a sé.
    <<grazie.>> bisbigliò lui, con riconoscenza e, forse, con un pizzico di rimpianto mal trattenuto.
    <<grazie.>> riprese lei.
    Rimasero così, senza dire più nulla, per un momento.
    <<parlerai con Haley, vero? Me lo prometti?>> gli domandò Emily, rompendo il silenzio.
    Hotch sospirò profondamente: il tono di Emily era stato così dolce, la sincerità era stata così lampante, che il suo cuore si fermò per un paio di secondi. Aveva tradito Haley – lui, che neppure aveva mai preso in considerazione un’altra donna che non fosse sua moglie, e lo aveva fatto con una sua collega – una sua subordinata, per l’esattezza (trascurò che, in quel preciso istante, le loro precise professioni erano piuttosto indefinite): aveva, così, infranto due regole in una sola volta, e con questa cognizione avrebbe dovuto, da allora in poi, fare i conti.
    <<te lo prometto.>> le garantì, in un sussurro.
    Emily si volse per guardarlo negli occhi, e si spostò, in modo da avere la possibilità di posargli le mani sul petto – un gesto di solidarietà e di affetto.
    <<e’ meglio che tu vada … Aaron.>> gli consigliò, seppure a malincuore. Emily pensò che la sua voce aveva prodotto un suono piacevole, nel pronunciare quel nome, Aaron.
    <<hai ragione. Ci vediamo tra poco, Emily.>>
    Lei si limitò ad annuire, e dunque lo baciò dolcemente. Quindi, lo fissò mentre usciva dalla stanza.

    <<lasciatemi entrare. Il bambino è da solo, sta guardando i cartoni: mi aprirà.>> propose Prentiss.
    Hotch le rivolse uno sguardo apprensivo, che tentò subito di mascherare.
    <<nemmeno per idea!>> sortì la Strauss, mentre Morgan e il detective parevano valutare la parole di Emily.
    <<cerca figure femminili autoritarie, dobbiamo entrare invitati da lui: lasciatemi andare da sola.>> perseverò Prentiss.
    <<e se suonassimo alla porta? L’assassino potrebbe spaventarsi e lasciar perdere tutto.>> ipotizzò il poliziotto locale.
    <<potrebbe anche infuriarsi e uccidere subito la sua vittima.>> ragionò Hotch.
    <<dobbiamo sbrigarci! Reid e JJ stanno monitorando il retro, e quel tizio tiene prigioniera una donna!>> s’arroventò Morgan.
    <<non lo sappiamo, con certezza.>> continuò la Strauss. <<se davvero ha preso in ostaggio quell’infermiera non l’ucciderà subito, aspetterà quarantotto ore.>>
    <<ha modificato tutto del suo modus operandi, tempistiche comprese! Non possiamo più aspettare!>> protestò Derek.
    <<lasciatemi entrare.>> continuò Emily, seria.
    Quando Aaron vide che gli occhi di Emily si erano fissati nei suoi, lottò contro se stesso: erano su un caso, una donna rischiava la vita, un bambino era stato addestrato per procurare le vittime ad un serial killer tanto più pericoloso quanto più era arrabbiato con il mondo intero … Prentiss era un ottimo elemento, e si stava dimostrando sempre più coraggiosa e capace. In più, come avrebbe potuto non fidarsi? Da quando aveva scoperto l’atto di lealtà con il quale gli aveva dimostrato il proprio rispetto e la propria ammirazione, Aaron non poteva non affidarsi a lei – qualunque cosa ci fosse stato tra loro, qualunque cosa ci fosse tra loro, restava il fatto che Emily Prentiss era un agente FBI preparato e qualificato.
    <<lei non fa più parte dell’FBI!>> recriminò la Strauss, veemente.
    Hotch riemerse dalle proprie riflessioni.
    <<tanto meglio!>> esclamò, e intanto splancò la portiera del SUV per cercare qualcosa all’interno.
    Derek sfilò la pistola di riserva dalla fondina sulla caviglia.
    <<tieni, Prentiss.>>
    <<grazie.>> disse lei, mentre nascondeva l’arma sotto la felpa.
    <<prentiss, lei sta intralciando un’indagine federale!>> proseguì il capo sezione, quasi con disperazione.
    <<beh, se non sono più dell’FBI significa che lei non ha più alcuna autorità su di me: sono una cittadina che bussa a una porta.>> si pronunciò Emily.
    Aaron le s’accostò e le porse un segnalatore d’emergenza. L’oggetto restò sospeso, e per un breve attimo le dita di Hotch sfiorarono quelle di Prentiss.
    <<dacci il segnale, non appena vedi qualcosa che possa giustificare il nostro intervento … Stai attenta.>>
    Emily si limitò ad acconsentire con un cenno del capo, dunque gli voltò le spalle e s’inoltrò nel vialetto dell’abitazione. Aaron la seguì con lo sguardo, preoccupato.

    Emily era stordita e sanguinante, ma fortunatamente stava bene. Aaron, davanti a quel bambino che gli aveva puntato la pistola addosso, era rimasto allibito: l’associazione era partita automaticamente, e il suo pensiero era andato a Jack. Come lo avrebbe giudicato, suo figlio, se lui avesse davvero lasciato il proprio lavoro? C’era stato un periodo, non molto lontano, in cui Hotch era ardentemente votato alla scalata delle vette del Bureau … Sarebbe stato anche disposto a rinunciare alla presenza di Gideon, a quella di tutti i componenti della BAU, pur di raggiungere il suo obiettivo; poi qualcosa era cambiato. Forse era stato perché trovava disarmante l’intelligenza e, insieme, l’ingenuità di Reid; forse perché aveva scoperto da cosa derivasse la sete di giustizia di Morgan, oppure perché adorava il fatto che Penelope si circondasse di pupazzi colorati per esorcizzare l’orrore quotidiano, o perché apprezzava la quieta e inconsapevole saggezza con cui JJ era in grado di svolgere la mansione che le era stata affidata, perché aveva sempre intravisto in Jason una crepa – la stessa crepa che Frank aveva individuato e aperto, rendendola così una ferita viva e pulsante. Probabilmente, pure l’addio di Elle e l’iniziale tensione con Prentiss lo avevano aiutato a trasformarsi, ad uscire dalla sua ambizione fine a se stessa: e si rendeva conto, proprio ora che era sul punto di perdere ogni cosa, che quella squadra era preziosa, che ogni suo membro era importante, che il suo primo dovere era quello di proteggere ognuno di loro, perché erano tutti parte di lui.
    Un paramedico stava disinfettando la ferita alla fronte che Emily aveva ricavato dalla sua ricognizione. Aaron la raggiunse, felice di vederla tutta intera – nonostante il rigagnolo di sangue le avesse macchiato il viso e parte del collo.
    <<come stai?>> l’interrogò, senza troppi preamboli.
    <<sto bene.>> gli replicò, usandogli la medesima franchezza. <<e’ strano, sai? Sono contenta di essere qui.>> ammise.
    <<lo so. Capisco.>> le disse. <<farò in modo che sia ufficiale; del resto, Garcia ci ha già messo del suo …>> rammentò, fingendo una severità che, in realtà, non corrispondeva al suo vero stato d’animo.
    Emily ridacchiò, un po’ impacciata e un po’ sollevata. Con spontaneità, Aaron posò la mano sul suo braccio. Strinse appena, per trasmetterle la propria vicinanza. Lei gli dedicò un sorriso che lui le rese subito, per poi dirigersi verso il capo sezione.
    La Strauss non perse tempo, e rinfacciò il modo con cui era avvenuto l’arresto. Hotch non si scompose.
    <<perché ha queste riserve? L’arresto si è svolto del tutto legalmente.>>
    <<si rende conto che nessuno di voi arriverà a posizioni di comando?>>
    <<signora, mi rendo conto che sciogliere quest’unità sarebbe un grave errore. Allo stato attuale delle cose, non vedo una ragione plausibile per cui dovrei effettivamente abbandonare la BAU.>>
    Spencer e Jennifer, alle spalle di Hotch, sorrisero, visibilmente felici; Aaron fece per allontanarsi, ma Derek lo fermò.
    <<ho sentito bene, Hotch? Non vuoi più lasciarci?>> gli chiese, con trepidazione.
    <<non lo so.>> riconsiderò lui, ricordando la reazione di sua moglie, prima della partenza per Milwaukee. <<devo parlarne con Haley.>>
    Da lontano, Emily seguì lo scambio di battute tra Morgan ed Aaron. Si morse il labbro inferiore, senza sapere se essere più imbarazzata per quanto era accaduto durante la notte precedente o più speranzosa per il sospirato ritorno di Hotch al comando.

    Hotch entrò a casa, e si sorprese del silenzio più totale che avvertì: solitamente, la sola presenza di Jack implicava un allegro rumore di sottofondo. Un sospetto gli percorse la mente …
    <<haley!>> chiamò nervoso, esplorando il salotto, il bagno, la cucina e la camera da letto. <<haley.>> ripeté poco dopo, rassegnato, ormai conscio della realtà … Sua moglie era andata via, e quel che era peggio aveva portato con sé Jack senza dirgli nulla, senza nemmeno lasciargli un messaggio … Si era presa tutto, e non gli aveva neppure dato l’opportunità di un chiarimento …
    Istintivamente mise mano al cellulare, cercò sulla rubrica quel cognome: Prentiss. Per un po’ restò indeciso sul da farsi. No, non l’avrebbe chiamata: non poteva sovraccaricarla dei suoi guai, non più di quanto avesse già fatto. La tentazione di pigiare il tasto verde e di sentire la sua voce, tuttavia, rimase in agguanto nel corso di tutta la notte che trascorse insonne.

    Emily richiuse la porta alle proprie spalle, gettò la ventiquattr’ore nel corridoio ed emise un lunghissimo sospiro. Era uno dei componenti della BAU, apparteneva a quell’unità e ne era orgogliosa. Ripensò ad Aaron Hotchner, si chiese se stesse parlando con sua moglie, si domandò se sarebbe riuscito a riparare il suo matrimonio, se Haley si rendesse conto di quant’era fortunata … E poi ricordò cos’aveva fatto: quella consapevolezza la fece sentire strana. Che Hotch avesse cercato un’intima vicinanza era da considerarsi, dato il suo stato d’animo, piuttosto prevedibile … Non era da considerarsi altrettanto prevedibile che lei avesse condiviso la sua esigenza, che avesse tranquillamente accolto l’abbraccio (e non solo l’abbraccio) del suo capo.
    <<sono stata a letto con Aaron Hotchner.>> rielaborò a mezza voce, stupita.

    Appena tornato a Washington, Spencer fece quello che, da giorni, più gli premeva: si recò allo chalet, per scoprire che fine avesse fatto Jason. Giunto a destinazione, trovò tutte le luci spente. Non si scoraggiò: entrò senza alcuna difficoltà, e si sorprese che la porta d’ingresso non fosse chiusa a chiave. Ebbe paura che Gideon fosse stato sorpreso dai ladri, e prese la pistola; controllò alcune stanze, ma tutto era perfettamente in ordine. Arrivò nel soggiorno, e sul tavolino trovò la pistola e il distintivo di Jason. Proprio lì, vide anche una busta, sulla era scritto il suo nome: la grafia era inconfondibile. Gideon gli aveva scritto una lettera; Spencer non seppe resistere, l’aprì e la lesse immediatamente.
     
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  3. DVI
     
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    III.
    Il campanello trillò con insistenza: persuaso che, ormai, il misterioso visitatore non intendesse arrendersi, Spencer si alzò dalla poltrona e andò ad aprire alla porta. Si trovò davanti JJ e la scrutò, sorpreso di vederla.
    <<spence! Sei sordo, per caso? Sono appesa al tuo campanello da almeno dieci minuti!>> sbottò lei.
    <<jj … Scusami …>> borbottò il ragazzo.
    <<… Mi sono preoccupata.>> rivelò Jennifer, e rivolse all’amico un’occhiata allarmata: notò la sua espressione mesta, la sua postura più dimessa del solito, la piega triste disegnata sulla sua bocca.
    Non era una profiler, ma poteva ben dire di aver qualche esperienza a riguardo: non era necessario essere un genio, per intuire che cosa stesse accadendo a Reid.
    <<ero sovapensiero, non aspettavo nessuno, e …>>
    <<… Spence, avevi appuntamento con me e Garcia. Lo avevamo fissato due mesi fa, Penelope ci aveva chiesto di accompagnarla da sua nonna per festeggiare il suo compleanno! Sai che la signora Garcia ha un debole per i tuo giochi di prestigio.>> gli rammentò.
    Reid si colpì la fronte con il palmo della mano; non aveva bisogno di dire che aveva completamente dimenticato la ricorrenza. Provò ad inventare una scusa, ma non riuscì a pronunciare una sola parola.
    <<mi dispiace.>> mormorò, infine.
    JJ sospirò; conosceva abbastanza Spencer, sapeva perfettamente che, ora, temeva che lei fosse arrabbiata con lui. Lo rassicurò, spiegandogli che non era successo nulla di trascendentale, che poteva capitare persino a chi, come lui, aveva una memoria eidetica ed un quoziente intellettivo al di sopra della media. Avrebbe voluto affrontare il discorso Gideon, ma si rendeva conto che non era il momento giusto per farlo … Affrettare i tempi, soprattutto con Spencer, avrebbe provocato un effetto contrario a quello sperato. Lo abbracciò, gli ripeté di non preoccuparsi e tornò sui suoi passi.
    <<aspetta, JJ: non è giusto. Ho preso un impegno con Garcia, non voglio deluderla … E poi, mi fa piacere: sua nonna è sempre stata così carina, con me!>>
    Ancora una volta, JJ accettò le condizioni di Reid. Discutere con lui non sarebbe servito a nulla, sebbene il suo disagio fosse fonte di dispiacere e la facesse sentire impotente. In compenso, JJ aveva preso ad odiare Gideon: qualunque ragione egli avesse avuto per lasciare l’impiego, non giustificava l’improvviso abbandono di Spencer – anche perché era convinta che quest’ultimo l’avesse eletto quale padre ideale … E visto che non aveva rapporti con il padre reale, che l’affetto di Reid per Gideon fosse destinato a travalicare la normale stima professionale era quasi ovvio per un profano, figurarsi per un profiler.
    A dispetto delle sue elucubrazioni, JJ ritenne che, in fondo, il compleanno della nonna di Penelope rappresentava un’occasione di svago per il suo caro amico … O, forse, si trattava soltanto di una speranza.

    <<non me lo spiego. Dico davvero.>> farfugliò Erin Strauss, insolitamente in soggezione davanti ad un altro essere umano.
    <<io non mi spiego il tuo non spiegarti.>> celiò il suo interlocutore. <<ho saputo che Jason si è allontanato dalla BAU, che ti sono arrivate le sue dimissioni irrevocabili e che non è più reperibile … All’unità serve un uomo, serve qualcuno che possa fare le veci di Gideon: voglio dare una mano.>> continuò, con tono sereno.
    <<david.>> chiamò la Strauss, tentando di mantenere la calma. <<questo non è un gioco.>>
    <<non ho mai pensato che lo fosse, Erin.>>
    <<ti sei ritirato dieci anni fa. Hai scritto libri che sono diventati pietre miliari della criminologia e del diritto criminale. Sei richiesto per consulenze private, e i tuoi onorari non sono certo alla portata di tutti. Cosa diavolo ti spinge a tornare sul campo?>>
    <<dimentichi che sono il fondatore della BAU: io ho creato quest’unità quando nessuno credeva che potesse avere un’utilità, quando tu mi ridevi in faccia per quello che definivi il mio spirito utopistico … Beh, ora la BAU è in difficoltà, voglio aiutare.>>
    Il capo sezione Strauss era consapevole di non avere strumenti per smascherare le reali intenzioni dell’agente speciale David Rossi. In maniere opposte a quelle di Jason Gideon, l’uomo che sedeva di fronte a lei era capace di esplorare la mente umana, fiutarne le debolezze e le paure, e senz’ombra di dubbio egli aveva colto in lei lo strascico della sua recente delusione.
    <<se davvero tornassi, non saresti il capo dell’unità: Hotchner è al comando, e a quanto pare i suoi agenti non hanno la minima intenzione di avere un rappresentante che non sia lui.>> brontolò, ripensando al clamoroso gesto di Prentiss ed alla gioia espressa da tutti gli altri componenti della BAU al momento della riconferma di Hotch.
    <<ne sono felice!>> esultò Rossi, stupendo non poco la Strauss. <<aaron è sempre stato un ragazzo scrupoloso e serio … Certo, forse l’apparenza tetra lo penalizza, però si merita il riconoscimento di …>>
    <<… David!>> si stizzì la donna. <<piantala di girarci intorno, e dimmi perché sei così ansioso di rientrare in servizio!>>
    Rossi non perse affatto il suo tipico aplomb, e non consentì che la sua caratteristica aria sorniona sfumasse.
    <<tu mi ferisci, Erin; non solo, dimostri di non conoscermi affatto: ho a cuore le sorti della BAU. Durante la mia assenza ho provveduto a tenerla d’occhio da lontano, ho letto dei suoi successi e delle sue battute d’arresto, sono stato felice per i primi e mi sono intristito a causa delle seconde. Adesso ho l’opportunità di aiutare Hotcher e gli altri agenti. Esattamente, quale concetto ti è difficile afferrare?>>
    <<nessuno fa niente per niente, nemmeno il leggendario David Rossi.>> sentenziò Erin. <<qual è il tuo vero scopo?>>
    L’uomo sbuffò, più divertito che irritato. Non aveva dimenticato la puntigliosità della Strauss; quella donna aveva la terribile reputazione di arrampicatrice, ma la sua nomea non era motivata, quantomeno non lo era completamente: David era a conoscenza di un altro lato del capo sezione, più vulnerabile e dubbioso – ed era precisamente tale aspetto che, in quel momento, stava notando in lei. Nella sua voce e nel suo sguardo notava una strana sfumatura di sconfitta, e aveva fatto caso ad una variazione di tono nel pronunciare il nome Hotchner.
    <<io voglio offrire un supporto alla BAU.>> puntualizzò di nuovo, scandendo bene le parole. <<niente di più, niente di meno.>> si concesse una brevissima pausa, dunque fissò i propri occhi in quelli di Erin: <<lascia perdere Hotchner. Quali che siano i tuoi piani, lascialo in pace.>>
    La Strauss era esterrefatta, ma cercò di non darlo a vedere. Decise di giocare il tutto e per tutto:
    <<cosa ti fa pensare che io abbia delle questioni in sospeso con Hotchner?>>
    <<sono David Rossi, no? Per tua stessa ammissione, io sono una leggenda. Ti basta, la mia spiegazione?>> scherzò ancora lui. <<resta fuori dalla traiettoria di Hotchner, perché lui non ha intenzione di nuocerti.>>
    <<mi stai minacciando, David?>> domandò lei, con una parvenza severa che voleva nascondere lo sbalordimento.
    <<no. Ti sto dando un consiglio da amico. Allora, è deciso!>> esclamò, battendo le mani in un cenno di giubilo. <<domani conoscerò i nuovi membri della BAU, domani riprenderò il mio lavoro al Bureau!>>
    La Strauss aggrottò le sopracciglia.
    <<non ho ancora deciso niente, a dire il vero.>>
    <<smettila di fare la vergine di ferro.>> la prese in giro. <<non sei mai stata insensibile al mio fascino, e non ne sei immune neppure ora. Avverti Aaron, per cortesia: domani, alle nove in punto, andrò da lui e dalla squadra. Mi accompagnerai, vero?>>
    <<fuori di qui, canaglia!>> se ne uscì lei, ormai allo stremo.
    David arrivò fino alla porta, quindi si voltò ancora verso la Strauss.
    <<non hai più sentito Jason, dopo il suo abbandono?>>
    <<no.>> rispose lei, semplicemente. <<perché me lo chiedi? Tu e Gideon non siete mai stati molto amici.>>
    <<beh … Siamo diversi, ma questo non significa che non mi dispiaccia per lui. A domattina, Strauss.>>
    Erin, esausta, lo salutò con un gesto del capo.
     
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